Viaggio in Armenia

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9  agosto 2001

Il giorno avanti l'altro ieri, era la grazia ionica del tempio di Garni che contemplavo superstite sulla voragine di un canyon armeno, [1] mentre ieri erano le vestigia della fortezza di Amberd e della mirabile sua chiesa d'altura, l’apparizione preservatami dai dirupi convergenti e tutelari di altri due torrenti[2],(al termine dell’ escursione con Manouk e i suoi giovani assistenti informatici, dell’ approdo rocambolesco al cui residence universitario dirò più oltre).

 

 

Garnì tempio ellenistico

 

Garni, tempio ellenistico

Rilievi delle trabeazioni del tempio ellenistico di Garnì

 

Amberd fortezza e chiesa

La chiesa di Amberd

 

Nelle sale d' esposizione del Matenadaran, l' altro ieri, i testi miniati di astronomi, di medici, di poeti e filosofi e teologi armeni, testimoniavano quanto invece, di mirabile, è  il tramite umano che nel Caucaso ha potuto sottrarre anche all'orda più atroce, e in tale arca è potuto pervenire fino ai nostri giorni.[3]

Nel monastero di Geghard, oltre Garni mi si è poi disvelato in quali nidi le popolazioni armene medioevali cercassero scampo, al riparo dei blocchi di pietra della sua cattedrale tra chiese rupestri, celle dei monaci, tombe di principi incavate anch'esse nelle rocce.

Si accedeva dal fianco laterale del gavit alle loro oscure cappelle, oltre i leoni che nella roccia scolpita da cui si aveva adito alla più eminente delle cappelle funerarie, emergevano dall'ombra del tempo concatenati ad una aquila.

Soltanto il tremolio delle candele, un forame delle volte, comunicava la luce all' arcano di pietra, nel recesso sepolcrale più interno, di croci geminanti da croci.

Nel silenzio non stillavano che le gocce della fonte sacra dell' altra cappella, finché non si è udito un canto di invisibili religiosi officianti, e la resurrezione si è compiuta, ogni divenire intercorso nei secoli si è vanificato, anime e anime erano ancora a quegli altari raccolte in preghiera.

 

 

 

 

Geghard, facciata laterale della chiesa principale

 

 

.

 

 

Geghard, l’arcano di croci di pietra

 

 

 

…………………………………………………….

 

In questi giorni ho ripreso confidenza in me stesso, negli altri e negli eventi, poiché in me stesso e nel prossimo ho ritrovato l'immagine che vi va salvaguardata, e  con il mio intimidimento stizzito negli altrui confronti, anche il timore e lo sconforto hanno receduto.

Stamane non mi ha prostrato il contrattempo che lungo il tragitto da Erevan per Amberd, verso il monte Aragats, gli autobus si arrestassero a Byurakan.

Che importa? Con il conforto di un ragazzo mi metto alacre in cammino,seguito lungo l'erta pur sotto il peso immane dello zaino, confidando,che prima o poi,vi si materializzi l'hotel di cui parlava la guida.

Finchè un furgone ch'é diretto sino ad Amberdd ci dà un passaggio.

Ma io voglio ugualmente scendere, quando intravedo un edificio in cui ho ravvisato l'albergo.

E’invece il convito dell' Università di Erevan, mi dicono dei ragazzi che sono sopraggiunti dai suoi viali come ne ho valicato l'ingresso.

Non mi occorre molto, standoli a sentire, a quale è l’accoglienza che mi è riservata dagli insegnanti che sopraggiungono, dal direttore, per capire che non avrei potuto vedere sviati con più fortuna i miei progetti.

Invece che in un  hotel per 25 dollari per notte, chissà come e chissà dove raggiungibile, dal quale chissà come e a che cifre quali costi avrei potuto salire in sventurata solitudine sull' Aragats sono finito nella convivialità più accogliente, di un ostello economico, dove per una modica cifra mi sono assicurati anche il trasporto e la compagnia di chi può farmi da guida per l'Aragats.

Sono costoro Manouk, un informatico dell'Università di Erevan, insieme con i tre suoi giovani assistenti simpatici e piacevoli, non che un ragazzo, di intelligenza precoce, che ne è il cucciolo al seguito, a loro legato fedelmente dalla passione per i computer che è già capacissimo di usare[4].[5]

Solo più tardi verrò a sapere che è il figlio di una insegnante d'inglese, dell' Università, alla quale sono stato furtivamente presentato dalla decana che vi insegna l’ Italiano , come verrò poi a sapere che a quel suo unico figlio da anni deve provvedere da sola, da che dal marito è stata malamente abbandonata.

Una bella donna, goffamente vestita, che istantaneamente mi ha messo a disagio, per la intimidita ingenuità che trapela in ogni suo approccio comunicativo.

Ma si rivela forte e intrepido quel ragazzino, quando al seguito di Manouk ci avviamo tutti quanti per Amberd, nel primo pomeriggio, resta tranquillamente in retrovia come gli suggeriscono l'estro e le forze, non gli occorre l' ostentarsi, sa già come adattarsi alle situazioni ed agli eventi senza contrariarsi, così come al corso, che in una sola battuta, mostra di avere vissuto e compreso della Storia ch’è in atto nel suo Paese:

" Here, in Armenia , -mi dirà fulmineo-,before the communism, now the capitalism".

 

Lasciato a valle il centro ricreativo, solo per un breve tratto seguiamo il percorso stradale, avviandoci tra i  coltivi e i pascoli oltre una postazione militare.

Ma quando ci approssimiamo agli armenti un' inquietudine serpeggia tra i giovani, un timore apprensivo che essi non si vergognano di rivelarmi, confidandomi che paventano che qualche cane da guardia possa sbucare all' improvviso.

Poi, cessati i terreni di magra pastura, tra una vegetazione stenta di coltivi di arbusti, i campi di stoppie si susseguono ad altri campi spogli,  finché in un cielo, che si fa nuvoloso, si profilano le rovine della fortezza di Amberd, suggestivamente romantiche, al di là della gola scavata dal torrente Arkhchian*.

E' in quel tratto che abbandono la compagnia del più bello, e tremante e fragile di quei ragazzi, per Ruben, introverso e intimido, e più cresciuto, con il quale mi è più agevole anziché in inglese potere comunicare in francese. Discendiamo nella gola, lungo un tornante, fino alle acque tumultuanti tra i massi che ci fanno da guado, prima di per inerpicarci come capre per il pendio ripido che ci separa ancora dalle rovine delle fortificazioni,  Manukian, che ci guida, avendo perso di vista il sentiero che vi conduce.

Le guadagniamo ov'è la chiesa, ma non vi sostiamo, per il momento, tra gli ammassi superstiti delle fortificazioni cerchiamo invece dei varchi, a fatica,per raggiungere l' ingresso al sito da cui dominarne la vista.

E' poco il tempo durante il quale possiamo trattenerci lì all' aperto,- il vento, coi suoi refoli freddi in cui già turbina la pioggia, consiglia Manuk e gli altri di precedermi in un vicino rifugio.

Tra alcuni pastori che vi sono convenuti al riparo,- uno di loro, un ragazzo, è singolarmente avvenente e contraccambia i miei sguardi-, ritrovo l'uomo che in mattinata mi ha dato un passaggio fino al convito universitario, è suo quel rifugio, mi riconosce e mi sorride.

Ne è la moglie colei, che assistita da una vecchia, scalda sui fornelli e ci versa ogni volta di nuovo un infuso aromatico prelibato, colei che e ci imbandisce porge altre sfoglie secche di lavashi,- può durare dei mesi senza deteriorarsi, mi si fa sapere, - con del formaggio aspro e piccante, e del matsuni che ugualmente lei ha fatto con le sue mani, uno yogurt che Manuk si compiace di dirmi ch'è di prima qualità.

Egli vuole pagare anche per me, quando ci leviamo, lasciando il tepore e il fortore di quell' interno impiallicciato, per rivisitare con cura le rovine di Ambered.

Mi sono dilungato a rintracciare gli edifici dove alloggiavano le guarnigioni, gli interni dei bagni e le loro condutture, a mostrare a Ruben, delle fortificazioni esterne del vecchio castello, con un muro supplementare, le tre torri cieche  adiacenti, le arcature senza una chiave di volta.

Ma è nella graziosa chiesetta con cuspide a ombrello, l'edificio del sito fortificato che è  più prossimo  allo sperone ove confluiscono l'Ambered e l' Arkhchian, che ci riuniamo e ci ritroviamo tutti quanti di nuovo insieme, entro la suggestione  della sua croce interna che ci raccoglie nella sua ombra, credenti o atei, che siamo, senza, che nella nuova Armenia,chi ha fede debba provare del rispetto umano se fra gli altri si segna e prega.

I giovani si volgono alla luce che filtra nei due vani laterali all' abside, il ragazzino eleva un canto per accertare la risonanza acustica interna.

Sulla via del ritorno cresce l'intimità dei discorsi, la fraternità dell' impresa, mentre ridiscendiamo le erte già intraprese, riattraversiamo ora bagnandoci i piedi lo stesso guado, ripercorrendo di nuovo tornanti e campi sommitali, riprendendo la strada verso Byurakan senza più tagliarne il percorso tra oliveti e pascoli grami, ora transitando tra le sbarre di accesso che fronteggiano la postazione militare.

Resto sorpreso, delle cose che mi dice Ruben, ch’egli ch’è così introverso e complesso, senta il bisogno per il suo popolo di un uomo col pugno forte, che ne raccolga il sentire nazionalistico e gli indichi le mete future.

Anche lui, come Edgar che mi ha ospitato in Erevan, ritiene che nel comunismo vi fosse molto di buono, e che ora il problema principale del suo popolo sia che  manca m di possibilità di lavoro e di certezze, soprattutto per la eventualità sempre in agguato che le ostilità riprendano con l' Azerbaigian. Finché se ne profila la minaccia, non si avvieranno in Armenia reali investimenti industriali.

Seguitano i nostri discorsi, a sera, nella stanza del convito in cui vivono ed operano insieme Manouk e i suoi allievi.

Dai dispensieri, in luogo della cena che non abbiamo potuto consumare, egli è riuscito a farsi dare uova e verdura e formaggio, ma di cibo e discorsi non se ne cura il ragazzino, che vi si esercita al computer come in un passato sovietico si sarebbe addestrato al pianoforte.

Anche Manouk non ha che parole di riconoscimento e di gratitudine per il comunismo ch'è finito.

E vero che nel regime sovietico di libertà ve n'era poca, ma non può dimenticare che da quel regime gli è stato consentito di studiare a Erevan , di perfezionare a Mosca i suoi studi.

E il tenore di vita nell' Unione Sovietica un tempo non era inferiore a quello occidentale, aveva potuto accertarlo quando era stato a Roma, per un convegno.

Con il Colosseo, il Vaticano, si ricordava che lo aveva sorpreso che gli italiani ignorassero quasi tutti l'inglese, qualsiasi lingua straniera.

Ma quanto erano gentili le donne italiane…

Eppure del comunismo non ha nostalgia, tende a ribadirmi.

Quando non siamo stati in grado, io e i suoi allievi, di stappare senza cavatappi la bottiglia di vino armeno che avevo deciso di bere con loro, egli si è divertito a mostrarci come aveva appreso a porvi rimedio in Russia, durante i suoi trascorsi di studente a Mosca.

Si è fatto dare un asciugamano, che ha ripiegato, l' ha frapposto tra la bottiglia e il muro, e ha preso a infierire alla bottiglia dei colpi continui urtandola con il fondo contro la parete, finché per i contraccolpi successivi il tappo non è fuoriuscito dal collo...

" In Russia, - si sono messi a ridere-, si trova sempre il modo di aprire una bottiglia..."

Peccato che pur senza avere cognizione alcuna di ciò di cui stessi parlando, quando ho detto che la  committenza di una chiesa armena aveva preposto agli affreschi dei pittori georgiani, per le attitudini eminentemente architettoniche delle maestranze armene, egli sia pressoché insorto contro quanto affermavo, in un immediato riflesso di esclusivismo nazionalistico.

Al che, in francese, - Ruben faceva tra noi da interprete-, non mi sono trattenuto dal ribattergli che mi pareva che gli armeni di nemici ne avessero già finanche troppi, per consentirsi di guardarsi con i georgiani come chi volta le spalle l'uno all' altro.

E per quale frontiera di terra sarebbe stato ancora possibile accedere in Armenia, se anche con la Georgia si tagliavano i ponti?

Ovviamente tutto si è risolto all' istante nella sua affermazione risentita, che non consentiva repliche, dei più sinceri sentimenti di amicizia e di rispetto per ogni individuo possibile del popolo georgiano, come accade per qualsiasi screzio diplomatico che abbia rivelato come stiano in effetti le cose.

Quando ci lasciamo mi indica  dov’è ubicato il solo stanzino, dal quale è appena rientrato uno dei suoi allievi, in cui per le centinaia di studenti e professori, è disponibile  l' unica doccia nel residence universitario.

L' indomani, sveglia al più presto di tutti quanti per l'Aragats,  con il pulmino del convito ed il suo conducente che sono già pronti ad attenderci, all' ora mattutina convenuta insieme con l' importo.

E con noi, una bella ragazza resa misteriosa dagli occhiali scuri, coppie di professori e di addetti universitari che venivano a villeggiare alle pendici del monte.

Mancava invece il ragazzino.

Prima di partire nella refezione faccio colazione con l'anziana insegnante di italiano presso l'Università di Erevan, che mi vuole tutto per sé presso il suo tavolo.

Ha modo di raccontarmi allora la storia dei suoi familiari:  anch'essi vennero sterminati nell' attuazione del genocidio, sua madre fu l'unica superstite.

Rimase esanime tra i cadaveri dei suoi fratelli e fu creduta morta, al colpo che le venne inferto perché non sopravvivesse alla fine dei suoi stessi genitori.

Furono dei turchi a salvarla, travestendola con dei loro abiti.

Raggiunse poi la Bulgaria, dove la signora era nata ed aveva trascorso la sua infanzia.

Erano buona gente i bulgari, mentre non potevo nemmeno immaginare " che popolo orribile siano i Turchi. Orribile, orribile..."

Forse non erano così unanimemente orribili,  se alcuni turchi del vicinato si erano esposti a salvare sua madre da bambina, così doveva pur convenire, quando sono stato avvisato che mi affrettassi, che il pulmino era già pronto per la partenza.        

Ci avviamo, nella nostra già varia brigatella,  e siamo già inoltrati lungo una stradicciola che permane per nostra fortuna asfaltata, quando incontriamo due ragazze autostoppiste,  le accomodiamo senza problemi a salire.

Sono praghesi, e da Byurakan  sono sopraggiunte a piedi e con lo zaino in spalla fino a quel punto.

La strada seguita a salire amenamente tra il verde, che non dirada, tra i pascoli e gli attendamenti nomadi che persistono  lungo le pendici, finché perveniamo e ci arrestiamo in prossimità del freddo splendore del lago*, a 3200 metri di altitudine, da cui ha inizio l'erta a piedi per le vette adiacenti dell' Aragats.

Le loro creste frastagliano i bordi cupi che ci sovrastano del suo cratere sbrecciato, nevai residui ne striano i fianchi e l' interna voragine, è come se traspirassero l'algore che ci alita dall' alto.

Ed eruttate pietraie giacciono intorno, canaloni e rivoli di una furia sismica che giace in agguato.

Ma lungo il pendio che intercorre e ci sovrasta, il manto vegetale e i suoi fiori smaglianti non desistono dal crescere ancora, in una moltitudine incantevole di stellarie, pulsatille, delle genzianelle più celestiali, di margherite composite e miosotidi arvensi.

Temo, come ci mettiamo in marcia, che un procedere troppo spedito/ incalzante possa crearmi difficoltà di respiro, ma non è solo per questo che sono in retroguardia perenne, che ogni ripartenza è un strappo in cui immediatamente mi stacco e resto arretrato.

E' che non ho l'agilità e la giovinezza degli altri, che i miei piedi soffrono il tormentio di ogni minima asperità, ove subentrano le  pietraie senza più tregua di ammanti d'erba, per i pendii rocciosi che mi appaiono sempre più ripidi della mia capacità di riequilibrarmi senza franare, mentre non so fino a quanto possano soccorrermi le forze fisiche, in affanno, cui seguito a fare appello per restare al passo.

In fondo si specchia sempre più remoto il lago cilestrino con le sue postazioni astronomiche, la fredda bellezza delle sue rive spoglie, finché non guadagniamo il crinale, la sua frastagliatura così suggestiva , sembra il profilarsi sfaldato d'un'antica muraglia, il cui verde ruderale  si fa il seguito giù, giù, fino a valle, dell’acqua discioltasi dai nevai sottostanti e che è già il corso serpentinante di un torrente fra i pendi ulteriori, ai quali discende dall' interno dell' antico cratere ove ne è franato il bordo.

 

Dall’ Aragats, vista del lago e delle giogaie sottostanti

 

 

E oltre il suo corso, altre vallate sempre più sottostanti, ancora rilievi di dirupi, prima dell' immensa distesa della valle dell' Ararat e della sua mole immensa.

Il camminamento resta appena al di qua del precipizio interno, ma basta gettarvi gli occhi per averne le vertigini, come accade al bel ragazzo che mi precede di poco, perché si è attardato con le borse dei viveri.

" Go on , Go on, " lo rincuoro, [6] come lo raggiungo e sono di nuovo da lui distaccato.

Sopravviene, all' ulteriore inerpicamento tra lo smottamento petroso, una crisi fisica, di insofferenza, per quanto ancora ne avrò di quel calpestio dolente, le forze ancora mi reggono sostenute dall' orgoglio, ed è l'ultima ascesa, grazie al cielo, prima di ritrovarci riuniti sulla prima cima dell' Aragats.

Una croce, delle lapidi, tra i massi franti, ricordano i terremotati che vi trovarono riparo nel corso del sisma del 1998.

I miei compagni di viaggio

 

Insieme con i miei compagni di viaggio

 

Tra una fotografia e l'altra che ci scattiamo a gruppi, ora l'uno, ora l'altro di noi, si accosta ai bordi del cratere impressionante, per vedere la corona cupa che lo cresta intorno tra le nubi circostanti, la neve residua negli interstizi lavici, le sue  distese che ne sbiancano le ripe.

 

L’interno del cratere dell’ Aragats

 

La discesa di li a un’ora tra i nevai esterni, in cui io mi dilungo nel costeggiarli per non deturparne l' immacolatezza, ci  ritrova stremati in prossimità del lago, ove i primi che sono arrivati stanno abbronzandosi al sole con chi vi era rimasto.

Lungo la via del ritorno ci abbeveriamo ancora alle alte sorgenti,  scendono durante il tragitto le due ragazze di Praga,  rientriamo ed ogni occupante frettolosamente lascia il pulmino, ove dove io resto, ancora buon ultimo, ancora buon ultimo a pagare per tutti.

Non importa, anche se si era convenuto altrimenti, è tale la felicità che ho fatto di tutti quanti…

Preferisco ad ogni modo, anziché con Manoukian ed i suoi giovani seguaci,  ritrovarmi tra le spire dell' anziana signora che insegna Italiano presso l'Università di Erevan, al suo tavolo dove mi obbliga a rimpinzarmi di spezzatino e patate, per immangiabile che mi sia la carne di manzo che vi latita, e non solo in quanto sono animalista.

Ma più ancora terribile è affrontare la sua repulsione, come gliene parli, di ogni popolo circonvicino agli armeni.

Farò dunque ritorno in Georgia? Ho trovato già ospitali i georgiani?

" Ma che ne puoi sapere, figlio mio, di come sono pronti a mentirti e ad ingannarti..."

Ho una predilezione per i Siriani?

" I Siriani? -fa una smorfia -Ma se sono così ignoranti..." 

Devo poi assolutamente seguirla anche in stanza, dove a tutti i costi vuole ch'io beva il caffè che mi prepara con un apparecchio elettrico.

Sbaglia e deve pentirsene, di un dolore che non riesce a trattenere in sé, quando si distrae dal suo funzionamento per parlarmi più da vicino.

E' troppo tardi quand'io mi accorgo che il caffè sta già tracimando dalla caffettiera sul comodino dove l'ha posta, che vi trabocca sulle pagine della pubblicazione che vi ha messo di sotto come isolante, su cui dispera che si sia riversato rovinosamente.

Quando afflitta mi porge l'opuscolo impregnato, vedo che sia,  ciò cui ha mostrato di tenere così tanto: è il programma del concerto che il maestro Muti ha tenuto a Erevan, a fine luglio, dopo averlo eseguito ad Istanbul il giorno avanti, un evento di riconciliazione ideale tra i due popoli, al quale era talmente orgogliosa di avere potuto assistere.

L' indomani, prima di partire a piedi da quel caro convito, anziché affrettarmi a prendere il pulmino che discende a Byurakan, nel fresco del mattino salgo alla stanza di Manouk e dei suoi allievi senza i retropensieri che forse temono, per salutarli e averne l'indirizzo di posta elettronica.

Addio, dunque, di rientro nella sterminata valle a perdita d'occhio dell' Ararat, verso l' Astarak di Mendel’stam, per raggiungervi Talin, Mastara, Ereruk...    

      

     

 

Astarak, 13 agosto 2001

 

......

Stamane, per fortuna, nello zaino che ho rifatto in Astarak, non mancava nemmeno il foglio sul quale era trascritto il più prezioso degli indirizzi che ho raccolto in  Armenia, che ieri sera era finito disperso nella hall del terzo piano, durante la mia indecorosa sfuriata contro la vecchia dell' hotel che seguitava a bussare alla mia porta per pretendere quali mai altri soldi ancora, oltre l'importo dell' albergo che avevo già pagato, con l'uscita dall' hotel che mi restava preclusa, mentre in stanza in cui ero confinato,  in assenza di ogni stilla d'acqua dai rubinetti,  veniva alterandomi, sino all' incandescenza, il solo bere che mi restava là dentro di una bottiglia di vodka.

Nel mia esplosione di collera, furibonda, con la chiave della stanza ho scaraventato passaporto, dram, ogni ricevuta di prelievo di travellers cheques e valuta.

Un' inserviente l'aveva poi raccolto e riposto sul  tavolino della sala al terzo piano dell' hotel Astarak, il foglio di carta che vi ho rinvenuto su cui avevo trascritto l'indirizzo : l' indirizzo di Stella Bogossian, che in * ho lasciato piangendo in lacrime, talmente mi ha commosso la generosità della sua ospitalità, che mi ha consentito non solo di visitare le chiese di Ereruk, di Talin e di Mastara, come agognavo, ma di conoscere un'anima forte e grande come la sua, l'intensità immediata dell' amicizia dei suoi figli, di Vartan innanzitutto.

Ma questa è una storia da riprendere altrove che all' ombra ristoratrice del pergolato del ristorantino in cui ne scrivo, una locanda di Astarak che dà sul canyon dello fiume scrosciante Kassa, è una storia che venendomi già meno il tempo per riposarmi e risollevarmi in questa frescura amena, debbo seguitare nella sala d'attesa della stazione Kilikya di Erevan, se intendo ripartirne in giornata, dalla capitale,  verso Vanadzor e i monasteri della valle di Lori.

E’ la storia di Stella d’Armenia.

( Si appone in Nota la redazione originaria delle vicende del viaggio che attengono a Stella[7] ( il cui testo è stato riveduto in “Stella d’Armenia”)

 

 

......Eppure al termine della giornata di ieri avrei dovuto essere comunque contento della Sua volontà.

Se in mattinata avessi anticipato la rivisitazione del Museo di Erevan, per rivedere soprattutto la pittura armena degli ultimi due secoli, e non mi fossi invece intrattenuto in Astarak, dove sono rientrato ieri sera dal soggiorno presso  Stella Bogossaian, non che da Talin, Mastara, Ereruk, ( - ad incantarmi, in Astarak,  la vista della piccola quanto magnifica ed emozionante chiesa della Karmravor,

 

 

La karmravor, in Ashtarak(da www.cilicia.com)

 

 La Karmravor, cappella in Ashtarak del VII secolo

 Sempre la cappella della Karmravor

 

 per poi dilungarmi nella solennità della cattedrale di Mughnì, negli immediati dintorni, quanto vi si dilungava la messa domenicale di rito armeno),-

 

 

nella capitale non avrei trovato i Musei anticipatamente chiusi, con un intero vuoto pomeridiano che non ho saputo altrimenti come colmare, che facendo di nuovo ritorno ad Echmiadzin.

Solo così ho avuto l' occasione di salvarvi dal loro destino le due bianche colombe ingabbiate sulla soglia di Aya Gayanè, non che i due piccioni che a sera stavano ancora esposti nella stessa piazzuola non che nella stessa gabbia della  volta precedente, per la gioia, poi in Zvartnots, di vederli volare  liberi in alto nel cielo dell' Ararat.

Come la volta precedente una delle colombe ha preceduto le altre, librandosi su di uno dei tetti delle aziende agricole di Zvartnots, fino ai cui frutteti ho dovuto inoltrarmi fra i campi,  poiché nel sito archeologico stazionavano in parata i reparti militari.

E l'altra colomba, ed i piccioni, stavolta non m'hanno lasciato che il tempo del souvenir di una foto fugace , per unirsi istantaneamente in volo ad altre colombe e ad altri piccioni, sempre più invisibili in alto nei liberi cieli.

Salvi,…

Nel cielo dell’ Ararat

 

Ma pur sempre come la volta precedente, ancora stamane, qui in Astarak ho ancora addosso il loro sentore.

Ripensandoci, mi è sorto il dubbio che le prime due colombe, che ho rilevato in Aya Gayanè, non fossero avviate allo stesso destino sacrificale dei piccioni.

Gli auspici che hanno tratto per me i loro custodi, qualora alle due creature avessi riassicurato la libertà, stando a quello che il loro tono consentiva di intendere, lasciavano supporre che fossero state lì sistemate perché anch'io, benché secondo il rito armeno, potessi fare “azat buzat”, - come nel racconto " Gli uccelli tornano a volare", di Yashar Kemal, si dice che in Istanbul accadesse in un tempo spirituale, che non è più, sul sagrato dei luoghi di culto di ogni religione convenuta, di moschee, di sinagoghe, delle basiliche cristiane adibite ai culti .

" Sii libero e aspettami sulle soglie del Paradiso", la formula all'atto della liberazione, nel gioire dando gioia agli esseri alati.

Ma è venuto meno anche ogni tempo supplementare per riconfortarmi nel ristorantino ameno , ora in marcia per Erevan, verso Vanadzor e i monasteri di Haghbat, di Odzun e Sanahin.

 

 

 

 

15 agosto 2001

 

Devo oggi dunque lasciare così l' Armenia, da Vanadzor o Ierovanakan, che sia, di rientro in Erevan per essere già domani a Varzia, dopo un esito talmente esiguo della mia escursione nel Lori?

Non ho raggiunto che il monastero pur meraviglioso di Haghbat, dei tanti della verde regione, un triste fallimento il tentativo di raggiungere in giornata anche quelli di Odzun e di Sanahin.

Ho atteso oltre un'ora che dalla stazione degli autobus ai piedi dell'erta che reca ad Haghbat partisse l'autobus che mi si assicurava che mi avrebbe recato fino a Odzun, mentre per me la corsa è finita di lì a qualche chilometro nel grande borgo del fondovalle, dove per pervenire a destinazione avrei dovuto attenderne ancora un altro che non si è minimamente materializzato.

Prima infuriato, poi rassegnato, non mi è restato che avviarmi verso la sovrastante stazione per il  rientro in treno a Vanadzor.

Almeno avessi potuto rivedervi dal finestrino la bellezza luminosa e scrosciante d'acque delle verdi vallate del Lori, che nel mattino avevo potuto solo intravedere in autobus, tra il sentore di stalla della gente sovrastipata e la fresca fragranza  dei pomodori, e d'altri ortaggi, che in scatole e cassette e sacchi i valligiani recavano appresso.

Oltre due ore, all' impiedi,  per percorrere non più di 50 chilometri, anche per le continue soste cui obbligavano i problemi di pressione e di respirazione di una vecchia che boccheggiava a un finestrino.

Ma al rientro, dai vetri opachi e sporchi del treno non ho potuto che intravedere che i soli profili dei rilievi tra i quali il treno procedeva incassato, come negli scompartimenti si stava incassati sotto i ripiani ribassati per i bagagli e le cuccette, in un treno che si era affollato sempre di più di gente con un 'infinitudine di sacchi e fagotti, di cassette e secchi e secchielli, ricolmi di mirtilli e altri frutti di bosco, al punto che era raro vedere uomo o donna o ragazzo che non ne recasse in città dei contenitori strapieni.

Poi, nella Vanadzor serale senza più luce pubblica nelle vie, ho avuto la grama idea di volere andare a vedere la fabbrica di colla dei tempi sovietici.

Un uomo del quartiere si è offerto di accompagnarmi per visitare l'intero kombinat chimico, così quella che intendeva essere solo una mia sortita in perlustrazione è divenuta una peregrinazione sfinente intorno alle mure di cinta delle ferrugginose rovine industriali cadenti, e degli impianti in funzione della fabbrica enorme, senza che volessi saperne di  avvalermi della facoltà di violare i divieti d'accesso che l'uomo mi assicurava d'intesa con i vigilantes, né sapessi come porre termine all' afflizione tormentosa di quella disponibilità eccessiva, se non con la scortesia più impietosa e scostante dell' egoismo turistico.

Eppure Haghbat non valeva di per se l'intera escursione?

Per la suggestione del sito monastico tra case del villaggio d'altura, e per quanto della vita spirituale che un tempo vi era trascorsa, riesumavano le integre vestigia di chiese e gavit e cappelle, del campanile leggiadro e  della biblioteca e del refettorio, delle tombe appartate dei signori del luogo?

Haghbat, veduta del monastero

Haghbat, veduta  sottostante del monastero

 

All' aggirarsi ancora tra le tacite esistenze di un tempo remoto, dietro l'abside nel percorso all' esterno interrato, sotto le arcate che si appuntellavano ai declivi sovrastanti, tra i katchar e  cappelle-annesse alla chiesa- e lastre sepolcrali pavimentali,- l'adito, all' angolo di svolta, alla biblioteca per le meditazioni del culto, prima di uscire alla piena luce di cui si accaloravano l'abside e la cuspide della cappella alla Vergine.

Haghbat, veduta del passaggio circostante l’abside della chiesa principale

 

 

 

E prima ancora, che nel corso della storia, in Haghbat le funzioni religiose decadesse per quelle economiche, e nel Basso Medioevo refettori, e biblioteche, divenissero colmi granai e frantoi per l'olio di colza dei signori locali.

 

  Note paesaggistiche

       

 Da Erevan a Vanadzor, al tempo stesso in cui si valica il passo dall' una all' altra regione, al giallo delle stoppie delle valli e convalli dell'Aragats subentra il verde delle dorsali montuose della regione di Lori, a prerannuncio delle pendici boscose che furono già georgiane della valle di Alaverdi,  si infoltano coltivi di girasoli e di cavoli, già intorno ad Aparan,  prima che in Spitak compaiano le distese dei baraccamenti e delle casipole nuove dei terremotati,e  poi nel fondovalle di Vanadzor i relitti industriali e le fabbriche superstiti del socialismo sovietico, la rugginosità slabbrata degli altiforni e delle ciminiere dismesse, delle alte torri di avvistamento degli impianti.

 

Da Erevan a Giumry avrei ritrovato l'Armenia disossata sino alla pietra, l' aridità stenta dei suoi declivi spogli, troppo magra anche per  farsi diffuso pascolo- la miseria ecomomico-sociale di un capitalismo senza fabbriche e lavoro.  

 

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Cronaca  postuma dell’ accaduto del 17 agosto 2001,

 

Per mia buona sorte non era ancora finito il mio viaggio in Armenia, con il rientro alcuni giorni or sono l'altro ieri in Astarak da Vanadzor, quando lungo il tragitto avevo pur avuto modo di soddisfare il desiderio di raffrontare dal vivo le chiese Tsiranavor in  Astarak e quella di di Aparan.

E' come se la Sua Volontà, quel giorno, abbia condotto allo stolido fallimento ogni mio piano, perchè così soltanto nel Matenadaran avrei potuto reincontrare Sasha, nella fulgida bellezza affabile  della sua intelligenza e della sua giovinezza fisica, dopo che l'avevo lasciato con la sua compagna alla Santa Trinità di Kazbegi, e non altrimenti avrei potuto ritrovarlo di nuovo, dopo che credevamo di esserci salutati per sempre nel Matenadaran[8],

Ci saremmo invece recati insieme in Astarak, nel solito albergo dove io solo avrei dormito di nuovo. Egli ha invece dovuto lasciarlo per trascorrere all’ esterno la notte in tenda. Così deve fare, se con i mezzi di cui dispone vuole raggiungere l’India attraverso l’ Iran e il Pakistan . " Elle est une femme vraiment impitoyable" gli ho detto della donna dell' albergo che è stata irremovibile nel farlo uscire dalla mia stanza in cui discorrevamo di Mantegna, del cinema russo, benchè di fuori lampeggiasse e tuonasse, il vento sospingesse le nuvole del maltempo

Già nella sala d' ingresso del Matenadaran, in cui avevo fatto ritorno soltanto per acquistare degli opuscoli sui principali pittori armeni degli ultimi due secoli, quando ho visto il suo zaino riposto in un angolo, ho avvertito in esso alcunché che poteva riguardarmi.

Nella sala espositiva dei manoscritti, poi è stato lui che mi ha riconosciuto per primo:

 

...............

(Variante conclusiva per la prima pagina di Viaggio nella Turchia Armena)

 

Stavo ancora scrivendo le righe precedenti, stamane non più in Armenia ma in Georgia, oramai in  procinto di lasciarla per la vicina Turchia, quando sento bussare con insistenza alla porta della mia stanza d'hotel in Akalththshike.) 

(E quanto segue è la continuazione del racconto dei fatti che ho trascritto nella Turchia armena,  ultimandolo oltre Cesme lungo la rotta verso l’ Italia.)

 

Mentre nel Matenadaran passavamo da un manoscritto all' altro, discorrendone fra noi in francese, intanto che io gli illustravo la" scrittura di ferro" di alcuni esemplari, e lui me ne mostrava le mutazioni seguenti in versioni più  semplificate, che splendore mi si è irradiato nella sua inesausta apertura al dialogo nei miei confronti, allo schiudersi del suo sorriso all' ulteriore interrogativo del suo interlocutore.

Ma da Petersbourg, egli che è studente di sociologia, attraverso la Bielorussia e l'Ucraina, non era giunto in Armenia ed in Georgia solo per visitarne le chiese ed i Musei, intendeva soprattutto venirne a conoscere la realtà della vita delle popolazioni, valendosi del fatto che georgiani ed armeni parlavano correntemente la sua lingua.

Le attuali limitazioni penose gravavano talmente per gli uni e per gli altri, a suo dire, perché non vi erano abituati nel regime sovietico, quando la Georgia era la più ricca delle Repubbliche, e gli armeni erano i mercanti dell' Unione, al punto che  li si ritrovava in ogni città russa.

In questo mi era difficile potergli credere, gli ho detto in tutta sincerità, mentre ci si pregava di parlare più piano perchè nel Matenadaran si girava un documentario, ed una giovane ragazza stava facendo da guida ed illustrami  stato possibile che in un passato prossimo si vivesse molto meglio nel Caucaso, quando le strade, gli edifici pubblici e condominiali, impianti industriali e infrastrutture, tutto quanto era stato ereditato da allora ogni eredità di allora appariva in uno stato così calamitoso?

Dovevo pensare, mi ha chiarito, che le cose di questo modo possono essere concepite di breve o di media o di lunga  durata,  e che nell' Unione sovietica si costruiva ogni cosa con del materiale scadente perché era destinata a durare per poco.

" Si scivolava in superficie..." .

Ed ora armeni, e georgiani, si trovavano a dovere utilizzare a lungo termine edifici e strutture fatiscenti, quei loro edifici condominiali così "délabrés", come avevo ben potuto vedere intorno.

Certo, corrispondevano al vero gli stipendi miserrimi di cui mi era stato detto, una famiglia di quattro persone, mediamente, dispone in Armenia di 5 dollari al mese per ciascun componente.

Ma gli era stato mostrato, facendo i conti, come in Armenia fosse possibile sopravvivere e soddisfare i propri bisogni pur in tali termini estremi.

Si è detto anche dello sfruttamento catastrofico delle acque del lago di Sevan, della situazione ancora precaria dei terremotati delle regioni  Nord-Orientali dell'Amenia, intorno a Spitak, delle riserve della valle dell' Ararat che non divenivano risorse, delle ricadute nel Caucaso  dell' eredità sovietica di un' industria militare al collasso, delle divisioni dei traffici illeciti- auto, droga, clandestini e Natashe- fra le varie mafie georgiana o armena o tartara...

Nelle vicinanze le lago di Sevan Sacha aveva visitato i Molokane, la setta russa ereticale, cosi nominata in quanto durante la Quaresima faceva del latte il proprio solo nutrimento,- a simbolo che la loro dottrina era il latte spirituale di cui parla Paolo nella prima lettera ai Corinzi,3, 2-

Vi erano stati confinati da Caterina di Russia, e del tempo del proprio esilio conservavano ancora le fogge vestimentarie.

Da un mese Sacha era in viaggio,  traverso la Bielorussia e l'Ucraina era giunto fino a Kazbegi dove l'avevo incontrato, allora era ancora insieme con la sua compagna, si erano separati in Georgia e da solo era venuto in Armenia, da dove proseguirà per la Persia e per il Pakistan e l'India.

L'indomani stesso si sarebbe recato presso l'Ambasciata iraniana per ritirarvi il visto di transito.

Ed io se in giornata intendevo ancora visitare ambo i piani delle sale dei pittori armeni nella Galleria Nazionale, dovevo congedarmi ora da lui.

Prima della mia partenza preventivata nel tardo pomeriggio per la Georgia.

Ci siamo così lasciati solo salutandoci.

Da allora, il piano residuo dell' intera giornata è parso inclinarsi solo verso lo scacco e il fallimento: nell' ora e poco più che mi era rimasta, prima della chiusura pomeridiana, non ho fatto in tempo che a rivedere le tele di Hakob Hovnatanian, di Aivazovsky, di Sureniants, che a intravedere la sola grandezza del pittore ch’ è l’autore del ritratto del musicista Komitas.

E quando sono stato alla stazione Kylikya dove avevo lasciato i bagagli, e mi credevo già prossimo a partire per l'impronunciabile Akaltshicke, sulla via georgiana di Batumi, soltanto al momento di fare il biglietto ho capito quanto vanamente il bigliettaio già aveva cercato di farmi intendere in mattinata, che solo l'indomani ci sarebbe stato un autobus in partenza per il Saketi e l'Achara.

Nemmeno alle autolinee turche risultava che vi fosse un autobus in serata per Tiblisi.

Potevo, volendo e potendo, dividere le spese del taxi per la capitale georgiana con un'addetta della compagnia,la quale doveva recarvisi in serata presso l'Ambasciata georgiana.

Ma la diffidenza scontrosa che la donna mi ha riservato, mi ha dissuaso dal riproporre un'offerta che già lei così palesemente aveva fatto decadere.

Non mi restava che riavviarmi bagagli in spalla verso Astarak, il suo hotel omonimo, rinviando all' indomani la partenza per la Georgia.

Almeno potevo l'indomani, depositati di nuovo i bagagli all' autostazione, vedermi anche il museo di Paradzanov, a Erevan, ultimare la rivisitazione dei pittori armeni nella Galleria nazionale.

Ciononostante ad amareggiarmi, più di ogni contrattempo insorto, più di quanto potessi già felicitarmi di avere invece ritrovato Sacha, era che se   in mattinata avessi inteso che non c'erano autobus quel giorno per Batumi, avrei potuto salire su quello che era in partenza per il lago di Sevan, e farne ritorno l'indomani.

Mi venivo così chiedendo  che cosa l' Altissimo mi riservasse con il fallimento di ogni mio scopo, quando attraversata la Lusavoritch stret, verso l'autobus che dall' altro lato della strada era in partenza per Astarak, risollevandomi dall'onere a cui soggiacevo dello zaino per salire sul predellino, dall' angolo di fronte vedo Sacha che sopraggiunge nello stesso istante, per prendere anch'egli lo stesso autobus...

 Ci salutiamo felici che la casualità, o la provvidenzialità, abbiano voluto che le nostre esistenze non si lasciassero per sempre.

E' un torrente irruento il nostro discorrere sull' autobus, quanto gli sono piaciuti i collages e gli assemblaggi di Paradzanov, nel museo dedicato al cineasta da cui era reduce, lo sa che Astarak è la località ove Mandel'stam ha soggiornato a lungo nel suo viaggio in Armenia?

Al punto che le ha dedicato due magnifici frammenti del libro 

che ne ha desunto?

Mandel'stam lo predilige a ogni altro poeta del Novecento, ah, il Caucaso, miraggio e terra d'esilio di che grandi poeti e scrittori russi, Puskin, Lermontov...

Certo, quando in Kazbegi ci eravamo lasciati su alla Tsminda Sameba, avevo cercato conforto della perdita che ritenevo irreparabile delle mie foto di viaggio, leggendo tra le montagne di Kazbegi le pagine stesse in cui Lermontov le aveva descritte, ripercorrendo in "  Un eroe del nostro tempo" la Georgian Military Highway.

" Je suis un émotif",ho ironizzato, se non  l'aveva ancora capito, quando in prossimità di Astarak ero inquieto di non averla ancora ravvisata  nelle vedute circostanti.

all' hotel io soltanto ho preso sistemazione, egli si recato in Astarak, l'ho capito allora soltanto, perché poteva impiantarvi la tenda in una località campestre poco lontano da Erevan, dalla donna ch'era alla reception gli è stato comunque consentito di depositare i bagagli nella mia tenda, finché non fossimo rientrati a un'ora più tarda.

Data l'ora legale che in Armenia è particolarmente inoltrata, eravamo ancora in tempo perché potessi ambire ad illustrargli le chiese di Astarak che conoscevo,.

Quando ci siamo ritrovati al cospetto della divina grazia della Karmravor, non abbiamo dovuto dolerci che qualche distante di averla ritrovata chiusa, la custode era nei pressi ed è sopraggiunta ad aprirci.

Ero ancora toccato di quanto tra me e lei era intercorso il giorno avanti, quando la mia offerta di 1500  dhram che avevo fatto a una bambina del vicinato per un disegno ad acquerello della chiesetta, l' aveva lasciata sbigottita.

Era il suo guadagno di custode per un'intera settimana...

Fosse stata almeno sua figlia...

Che sguardo rabbioso ha indirizzato  alla graziosetta che non si levava di torno...

Con un'amarezza stomacata di dentro, che si è alleviata solo quando ho riparato offrendole mille dhram per un ipotetico restauro della chiesa, che prontamente lei ha accettato.

Sasha si è con lei intrattenuto lungamente conversando in russo,  usandole l'amabile grazia che in lui era naturalezza.

Per il suo tramite ho potuto venire a sapere dalla donna dei particolari della chiesa che in precedenza aveva cercato invano di farmi sapere, come una pietra suggellava della polvere che si riteneva terrasanta gerosolomitana, con la quale si cospargeva il capo per trarne beneficio.

 

C'era un'altra chiesa nei pressi, oltre la  Karmravor  e la Tziranavor, che già conoscevo, alla quale ci poteva recare, imparentata alle altre due  dal nome desunto da un colore. Come la Karmravor era la chiesa rossa e la Tziranavor la chiesa arancio, il suo nome, la Spitakavor, la designava come la chiesa nera, se ben ricordo.

E con il nome desunto da un colore, una leggenda le imparentava, che la donna ha cominciato a raccontare a Sasha.  Purtroppo ne sapevo già la fine, come egli a sua volta ha cominciato a tradurmela.

Narrava di tre ragazze, una bianca, o nera, una arancione e una rosa, innamorate tutte e tre dello stesso uomo.

Ora avvenne che per fare felice la terza, le prime due si siano sacrificate, scagliandosi nel fondo del burrone scavato dal fiume sottostante: al che la terza non accettò di essere felice, al prezzo della vita delle sue rivali, e a sua volta  si precipitò   nella voragine. E alle tre ragazze corrispondevano ora le tre Chiese.

Siamo risaliti e la donna ci ha lasciato presso la sua casa.

Di quanto gli aveva detto in  russo della sua vita, Sasha mi ha confidato che in passato era una infermiera, poi il suo lavoro era risultato superfluo, poiché non lo si poteva più retribuire.

In vita sua non aveva visto che Astarak, Erevan e Sevan.

Se-van, ossia il lago nero, il lago del rimpianto della Grande Armenia perduta nella piccola Armenia ch'era la patria rimasta.

Sasha l' ho poi condotto per la Astarak che più mi piaceva, com'era piaciuta tanto a Mandel'stam, l' Astarak delle acque scroscianti ai margini della strada lungo i pendii, delle case immerse nel folto di giardini-frutteti, delle fronde che ne traboccavano, dei tralci di vite tracimanti nelle vie che percorrevamo senza una meta mentre si faceva sera.

"ah, ce qu'ils ruissellent...", gli ho mormorato, estasiato dalle acque che cantavano intorno tra il folto del verde.

Quando mi ero congedato dalla custode della Karmravor, le avevo porto e stretto la mano, indotto a tanta affabilità anche dallo sguardo smisuratamente confidente della donna, dal pudore fiero e sofferto della sua indigenza. Avevo agito per il meglio?, gli ho chiesto.

In Armenia non usa affatto dare la mano a una donna, mi ha sconfessato, lo vieta il tradizionalismo maschile imperante.

Mi ha sconcertato quanto mi diceva.

Nei miei riguardi non erano state forse sempre delle donne ad assumere l'iniziativa di aiutarmi, avvalendosi dell' esercizio di una propria autorevolezza indiscussa?

Non era forse stato così per Stella Bogossian, per la professoressa di canto di Vanadzor, quando mi ha tratto dall' impasse dell' interminabile attesa che partisse un autobus per Erevan, che solo quando avesse riempito di passeggeri tutti i posti vuoti si sarebbe mosso chissà quando ?

Solamente gli ho confidato, per la mia esperienza, quanto per le donne qui possa essere incredibile un uomo che pianga.

In Russia, mi ha sorriso, l'uomo russo ha dovuto piangere tutte le sue lacrime nell'ultimo secolo.

Gli armeni, a differenza dei georgiani, ma suo dire amano ancora i russi.

C'è un riavvicinamento in atto tra Armenia e Russia, sempre più armeni tornano a farsi presenti nelle grandi città russe, in Pietroburgo come a Rostov.

Ma nello stile di vita degli Armeni non aveva ravvisato la piacevolezza di quello georgiano, tutto volto all' esterno, più estroflesso.

Era ben vero che i popoli caucasici sono nazionalistici, ma quello armeno lo è più esasperatamente di ogni altro.

Non immaginavo, quanto soffrano della mancanza di un mare.

Quanto disprezzino anche i soli vicini che hanno, i georgiani.

Li considerano della gente ch'è soltanto interessata, pronta a vendersi a chiunque, iraniani o turchi che siano i loro acquirenti.

Potevamo intanto trovare un sito dove sostare, gli ho chiesto? La sera era calata e volevo parlargli avendolo avanti nel suo bellissimo sguardo, dovevo pur trovare di che mangiare, mi era difficile adattarmi alla sua alimentazione ch'era quale quella di un uccello dei campi.

Ad uno spaccio, cui si è fermato, per pochi dirham ha chiesto quanti pomodori poteva prendere, l'anziana signora gli ha lasciato prenderne quanti ne voleva.

Mi ha detto che esibire un importo minimo, di 50 dihram, ad esempio, e domandare quanto si può acquistare con tale modica cifra, è uno dei due modi per acquistare il più possibile nel Caucaso.

L'altro di cui mi ha detto, se ben ricordo, è di prelevare del prodotto e chiedere se per esso può bastare il poco che si offre.

Divagando ancora siamo pervenuti ad un locale al fondo del paese, degli uomini sostavano a chiacchierare all' aperto, che ci hanno invitato a restare con loro.

Quando ho preso un melone da un cumulo e ne ho chiesto l'importo, per pagarlo, è stato offerto per cena ad entrambi.

Uno degli uomini ci ha posto un piatto di fronte, un altro ne sgusciava e porgeva a entrambi una fetta, sostituendola con un'altra come l'avevamo divorata.

Alle mie spalle d' improvviso uno di loro ha

fatto scoppiare un mortaretto, " un Ceceno", ha gridato ridendo, una sortita che Sasha ha giustificato come una "blague" al mio ritegno freddo.

Nei loro discorsi c'era l'interesse a sapere perché fossi venuto in Armenia, a denunciare tutta la loro  miseria.

Solo che un armeno metta da parte o reperisca qualche migliaio di dollari, e vende la casa e cerca all' estero fortuna.

Perdendo così la casa, non si temeva di porre fine anche a ogni possibilità di fare ritorno,  di fare rientro  se finiva male?

Ci si affida alla sorte, mi hanno fatto sapere tramite Sasha, quando la realtà presente non offre più niente.

L' Armenia non è che un sasso da cui ricavare nutrimento.

E parlavano, chiedevano, ed io guardavo ed ammiravo ed invidiavo Sasha per come si moveva e stava naturalmente tra loro, senza alcuna mia ispidità ombrosa e scontrosa, le mie pene o difficoltà palesi.

Alla loro domanda tra le altre se credessi in Dio, ho detto di sì, particolarmente/ soprattutto  in quel giorno, lì ed ora, perché mi aveva/ era stato dato da Lui /  il modo di incontrare Sasha.

Egli ne ha sorriso nel tradurlo a loro, mentr'io cercavo di far comprendere ch'era occorso l'incredibile a farci incontrare, come  per ben due volte ci eravamo ritrovati dopo che ci eravamo lasciati, solo perché ogni cosa che avevo in mente di fare era finita male.

In hotel, quando in stanza ci siamo scambiati gli ultimi discorsi, sul  cinema russo, su Sokurov, sulla sua visione, a dire di Sasha, dell' autodegradazione del potere quando si fa tirannide, in Hitler, Lenin o Eltsin, gli ho mostrato l'edizioncina italiana del Viaggio in Armenia di Mendel'stam, della quale ha memorizzato i dati bibliografici per reperire l'opera in russo al suo rientro in Pietroburgo.

E si è messo a leggere in italiano le pagine del testo,  sbalordendomi per come non sbagliasse un accento, l'intonazione.

E' che sapeva lo spagnolo, è la ragione che ha supposto.

Ma la donna addetta all'hotel non voleva saperne che restasse ancora in stanza.

Sasha doveva sbrigarsi ad andare via.

Stesse pur certo che gli avrei scritto ai suoi indirizzi in e-mail, che vi avrebbe ricevuto i miei ipertesti.

Ed io stessi pur certo che egli a sua volta avrebbe contraccambiato, (nelle nostre comunicazioni) che il nostro discorso sarebbe continuato, dall' una all'altra delle nostre città sorte sul fango.

In uno dei miei testi visualizzabili in rete , sul ponte di San Giorgio che era a Nord della mia città e che ora non esiste più , avrebbe potuto vedere com' essa era in un giorno del 1460, nella sua rappresentazione nel dipinto della morte della Vergine di Andrea Mantegna.

Mantegna, ha soggiunto, gli riesumava alcunché di "morbide", nella raffigurazione del corpo morto.

Davvero? Per Mantegna, gli ho illustrato, ,ciò che è storia si fa archeologia naturale, ciò che è natura storia vivente, le forme mineralizzano  le carni dei corpi e cristallizzano il fuoco nei marmi, secondo lo spirito alchemico della scuola pittorica della vicina Ferrara.

Anche le ferite della carne si fanno suture e strappi di un tessuto immortale...

c'era alcunché di nebuloso nella mia mente che in merito non riuscivo a focalizzare, intanto che l'addetta all' hotel seguitava a insistere alla nostra porta.

Doveva andare a tutti i costi con ogni sua, benché fuori sguisciassero lampi, si addensasse del maltempo in arrivo.

"Il s'agit d'une femme vraiment impitoyable" ho sospirato con Sasha facendolo sorridere.

Come la carta, sempre la morte, che solleva Carmen tra Mercedes e Frasquita.

Poi, lasciatici in una stretta di mano sulle soglie dell'hotel, nel dirci quanto ci avesse felicitati l'uno l'incontro con l'altro, in stanza ho raccolto la mia solitudine nella prosecuzione del mio discorso mentale con lui, intorno al limbo confuso in cui mi avevo lasciato il suo discorso sulla "morbosità" del Mantegna.

Finché nella notte in cui lui se ne era andato a dormire in tenda

fuori di Astarak, la mia nebulosa mantegnesca si è chiarificata:

"morbide" il Mantegna immortalante le forme spirate del Cristo morto, o l'artista, di lui emulo, attraverso la cui opera Sasha se ne ricordava? Con lo stesso sguardo con il quale lo avevano visto gli occhi di Dostoevskji: Holbein il giovane, del Cristo cadavere che talmente aveva impressionato con il principe Miskin il suo autore.

 

Andrea Mantegna, Cristo Morto

Holbein il Giovane, Cristo Morto

 

    Lettere a Sasha   

 

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Fine del testo riveduto e corretto

 

Appunti di trascrizione dai Diari

 

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Nel quaderno Georgia,2

 

 

 Il paesaggio dell' Armenia

 

 

 Le basiliche di Astarak, Aparan

 

 

Santa Mariné

 

 

La chiesa tra Mastara e Ereruk

 

 

Nel quaderno turco ( okul defterj)

 

 

L' incontro con Sasha

 

 

Sintesi dell' ascesa all' Aragats- esordio

 

 

 

 

 

Nel Quaderno Armenia,A

 

 

Mughni

 

Aparan

 

 

Nel quaderno Armenia, B

 

 

17 agosto, Astarak

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Variante Il giorno avanti l'altro ieri, il 6 agosto, era della grazia ionica del tempio di Garni, che contemplavo il sopraelevarsi superstite sulla voragine di un canyon armeno,

 

[2] Variante il fantasma che mi è apparso preservarsi  tra i dirupi convergenti e tutelari di due torrenti

[3] Variante erano le testimonianze mirabili che l'orda non è riuscita a impedire che sopravvivessero, e che in tale arca siano potute pervenire fino ai nostri giorni.

[4] ( Altra Versione . Ma in esso  ho trovato ben di più di quanto temevo che così mi si sfumasse irraggiungibile, la più cara accoglienza, non solo vitto ed alloggio, la compagnia e le guide più auspicabili verso Amberd e l'Aragats.

Dopo di che ripartirò domani, per Talin, Mastara, Ereruk.) 

[5] ..................

Sono tre i giovani studenti informatici che con me procedono al seguito di Manuk, e tutti e tre sono particolarmente belli. Al gruppo si è unito anche un ragazzino dalla precoce intelligenza, che la passione per l' informatica ha affiatato a loro.

[6]Variante: gli dico battendogli la mano sulla cara spalla

[7] Astarak  13 agosto 2001

 

      E stato qui in Astarak che tutto ha  avuto inizio,  o che nulla di quanto è stato avrebbe potuto succedere, all' interminabile sosta in attesa dell'Icarus per Talin, Gyumri, in cui credevo che il mio viaggio in Armenia si fosse definitivamente arenato.

Già lo sconforto veniva prevalendo, benché insieme con l'alloggio presso il convito universitario al di là di Byurakan, solo da poche ore avessi appena lasciato le care persone del suo direttore, della anziane insegnante di Italiano, di Manouk e dei suoi amabili assistenti, con il concorso della cui  giovinezza ero stato alla fortezza di Amberd, mi ero esaltato a salire sull' Aragats.

     Ma è stato mio merito persistere nel mio intento, anche quando sembrava solo un'ostinazione cieca, e credere in una Sua provvidenza, quando solo pochi minuti prima che arrivasse per davvero l'oramai inarrivabile Icarus, ho desistito dall' atto rinunciatario di salire piuttosto sul pullman che era sopraggiunto per la vicina Agsk, con il giovane uomo e la ragazza francesi che si erano sopraggiunti uniti con me alla fermata, ove come me già da ore stazionavano insieme già  da ore nella medesima impasse.

Quanto mai dovevo seguitare ancora ad attendere per vederlo apparire in arrivo da Erevan, ho chiesto ancora una volta, dovevo forse aspettare fino alle tredici, alle tredici e trenta, o non anche fino alle due, o alle due e trenta, come mi era stato vaticinato che dovevo rassegnarmi ad attendere, non sapevo più se almeno con un esito, nel corso di una sosta che perdurava dalle 9,30 del mattino.

Dovevo forse andare a Talin? dal gruppo di chi sostava in attesa Lei si è allora fatta avanti, a chiedermi, una donna sfiorita dagli anni nel suo bel ruvido volto, facendomi intendere che vi era ugualmente diretta, facendomi segno che mi ponessi al suo seguito.

Come le ho manifestato che oltre a Talin volevo recarmi a Mastara, a Ereruk, mi ha fatto capire che aveva già inteso il senso e l'interesse del mio viaggio.

Ero un archeologo? Lei era una storica, e conosceva il modo come farmici arrivare.

Se non parlavo il russo, tanto meno l'armeno, lei sapeva un po' di tedesco, che l'avrebbe aiutata a capire il mio inglese.

Quando eccolo finalmente l' Icarus, che sopraggiunge, su cui salgo con lei in coda a tutti gli altri.

Ma dove eravamo, dove dopo un'ora circa di viaggio mi ha detto che dovevamo scendere? Non poteva essere certamente Talin un così piccolo, anonimo villaggio, di un' Armenia inariditasi fino allo stremo di una gialla pietraia.

Ma lei, a cenni e a gesti, non ammetteva altro che mi ponessi al suo seguito, con i miei bagagli.

E Ora mi induceva a sostare di fronte al monumento di chi era stato "unsere Garibaldi", unificando all' Armenia il Karabak, mi conduceva davanti alla scuola in cui insegnava, mi faceva entrare nella sua casa e riporvi lo zaino nella sala che ne era il soggiorno, una vasta sala che dava su un  giardino ingiallito e polveroso, gremita di cimeli e di libri nel suo mobilio stagionato.

Vi era già la giovane sposa di uno dei suoi figli con un neonato piagnucoloso  in grembo, che da uno dei sofà mi si è levata incontro a salutarmi, prima che una vecchia, la suocera, sopravvenisse dall' esterno, precedendo delle donne del vicinato, delle bambine, un'inserviente che si è posta al mio servizio, in virtù dell' evidente ascendente che la donna, Stella, Astark, come mi ha detto di chiamarsi, doveva esercitare in quel villaggio.

Era stato il suo sposo, " meine man", l' uomo di cui mi mostrava l'immagine con la barba di quand'era un civile, il volto sbarbato nella posa della fotografia ufficiale di quando aveva assunto la divisa militare, combattendo e morendo nel Nagorni Karabak.

Dei fiori ne contornavano l'immagine in un quadro, il berretto militare stava sul televisore sottostante.

Suo marito era stato un archeologo, prima di partire per il fronte, come mi dicevano non solo le sue parole, ma altresì mi attestavano i libri e i cimeli di cui erano stipate le teche della stanza.

Era stato in contatto con gli insegnanti e gli archeologi più prestigiosi delle università tedesche dell' ex-Germania orientali, con alcuni di loro aveva condotto i suoi scavi nel territorio circostante, era diventato un intellettuale illustre ed emerito presso le più eminenti autorità armene di un passato prossimo politico, come mi illustravano le tante fotografie che lei mi dispiegava, in cui era possibile vederlo con gli uni o con gli altri, sui luoghi di scavo o ad una premiazione, all' inaugurazione del monumento al Garibaldi armeno.

Sono  stato distolto da quelle immagini per essere condotto all' esterno, dove in veranda mi hanno fatto accomodare su di una sedia ed esservi fatto sedere su di una seggiola, presso la quale in un catino la vecchia inserviente mi ha versato in un catino l'acqua per la lavanda dei piedi, offrendosi di lavare personalmente i miei panni sporchi, all' atto di soffregarli con un immaginario sapone.

Dello yogurth, un'insalata di verdura, al rientro sono state le pietanze che mi hanno rifocillato, tra un bicchierino e l'altro di cognac armeno.

Poi, prima o poi, ci saremmo mossi per Talin , Mastara, Ereruk. Per questo occorreva che potesse mettermi a disposizione una macchina, contribuendo con 20 dollari alle spese per la benzina.  Accordatici all' istante, Stella è passata a mostrarmi i libri devozionali del padre di suo marito, una sua fotografia di combattente nell' esercito ottomano.

Era originario della regione di Van, dell' Armenia turca come lei seguitava a ripetermi, ogni volta che localizzavo in Turchia una città od un edificio religioso di cui mi mostrava le immagini.

Le ho chiesto che ne fosse stato della sua famiglia, a seguito del genocidio del 1915.

Degli uomini del suo parentado, mi ha trascritto i dati su un foglio, 65 erano stati sterminati, solo due erano scampati.

Il mio pensiero è corso alla giovane, allegra e cordiale, che in mattinata mi si era seduta accanto sull' autobus

da Byurakan per Erevan: nel terremoto dell'89, mi ha confidato, solo poco prima che scendessi, aveva perduto entrambi i genitori.

Ed ho ripensato alla anziana donna che insegna l' Italiano all' Università di Erevan: sua madre era l'unica che fosse sopravvissuta, della sua famiglia, di cui aveva assistito allo sterminio quando i suoi fratelli le erano stati uccisi sotto gli occhi.

" E' meglio che tu muoia, piuttosto che tu soffra ancora,- a sua madre bambina aveva detto l'uomo che la veniva colpendo con il calcio del fucile, credendo di averla uccisa quando aveva smesso di infierire.

Ma nelle parole, nel tono di voce di Stella, non c'era alcun indulgere nell' ostilità acrimoniosa espressa dalla vecchia professoressa, alcunché delle sue parole di disgusto per la gente turca.

" Un popolo orribile, orribile," a suo dire.

Eppure se la madre della professoressa aveva potuto riparare in Bulgaria, dove lei era nata, se era scampata alla furia che era allora passata di casa in casa dove vivevano armeni, era avvenuto grazie a dei vicini turchi che l'aveva travestita con gli abiti delle loro figlie.

Nelle parole di Stella non esistevano invece che i fatti, che le realtà del passato e del presente di cui mi esibiva i termini e le cifre: la Grande Armenia di cui mi mostrava l'estensione perduta su dei libri vetusti, le sue dodici capitali sino all' attuale Erevan, il secolo esatto a cui risaliva ogni chiesa armena di cui appariva l'immagine nei libri che mi sfogliava davanti.

Quei volumi erano il lascito della passione e dell' attività archeologica del marito.

Di lui, " mein man", come mi diceva, mi rammemorava gli scavi a cui aveva partecipato, allorché ci imbattevamo nelle immagini dei siti archeologici che aveva contribuito a portare alla luce.

Così libri ed opuscoli si accumulavano sul tavolo, venivano riposti, a un bicchierino di cognac ne seguiva un altro, più di un'ora era passata, senza che vedessi prendere corpo quanto mi aveva ripromesso, e dato per certo, circa la mia escursione a iniziare da Talin, scrivendone i termini come di ogni altro discorso su un  tovagliolo di carta, in caratteri che difficoltosamente evolvevano dall' armeno o dal cirillico in quelli occidentali.

Guardavo già sconfortato i fiori del giardino, le piante di altee, le galline che venivano alla finestra del soggiorno guardando dentro, cominciava a pesarmi la generosità ospitale della donna, tanto più quanto seguitava a venirmi elargita, senza che vedessi concretizzarsi ciò per cui mi era stata ripromessa.

Con una cortesia che mentalmente era oramai assente salutavo l'ingresso in stanza dei suoi figli, Ashtots, un bell' uomo giovane, non fosse stato per il suo aspetto incolto, proprio di chi è incurante e inconsapevole della propria avvenenza, Vartan , in divisa  e in servizio militare di luogotenente, i cui marcati lineamenti  mi erano estranei.

Credevo a tal punto che ogni termine di tempo possibile per quel giorno fosse stato già superato, quando Stella, nel fare nuovamente rientro in soggiorno da una delle sue uscite momentanee, mi ha fatto segno che si poteva partire.

Sul retro della sua casa ci siamo avviati verso l'auto che stava sopraggiungendo di un vicino, la persona che finalmente era in cui aveva finalmente trovato chi fosse aveva trovato disponibile a trasportarmi,- ed insieme ad Ashtots, a Vartan, partivamo per Talin con costui alla guida.

Non avevo considerato che in virtù dell' ora solare che vige in Armenia, anche dopo le sette di sera era possibile iniziare a intraprendere un'escursione,

Eravamo ancora in attesa dell' auto in manovra, sullo sterrato, quando Stella si è volta intorno, mi ha indicato l' intero villaggio, le montagne circostanti ha avuto occhi per il villaggio, e mi ha detto con tono sconsolato: " No gut. No gut. No fabrik. No arbeit".

Ci siamo fermati al forte Zakaryas, prima di Talin, dove suo marito aveva sovrinteso gli scavi, una prominenza difensiva originata dalla erosione di due corsi d'acqua confluenti, come i siti di Garni, di Amberd.

Talin era un'uniformità desolante di casamenti e caserme nel volgere al tramonto di quel pomeriggio dilagante di sole, dopo il tempo incerto, qualche po' di pioggia, ancora uffici, reparti ambulatoriali, finché, oltre un cimitero, nello slargo si è stagliata grandiosa la sua cattedrale, accanto la più piccola chiesa di *.

Nell' interno deserto della cattedrale, a cielo aperto, l'oculo del cielo dilatava d'azzurro  il suo tamburo sbrecciato.

Non poteva forse bastare, la sua vastità in cui ci aggiravamo, non era forse finita lì, a sera, per la nostra escursione per quel giorno?

Non era così, l'auto ripartiva per un sito fortificato poco distante da Talin, nella campagna circostante, dove sorgeva tra delle fattorie e i loro letamai, che ne racchiudevano la vasta cinta di mura e di torri superstiti.

Nelle articolazioni superstiti non c'era cuneo prominente che non precludesse più all'esterno a una torre involvente, mi confermava il giro intorno alle mura, e tanto poteva bastarmi di rilevare, nell' ora del tramonto che arrossava le pietre fortificate,- ma Vartan e Ashtots insistevano mio malgrado perché salissi a vedere ciò che v'era dove si erano arrischiati ad arrampicarsi, saltando con agilità oltre un vuoto sottostante, dall' uno all' altro dei pietrami franati di due muri adiacenti.

La loro determinazione era ahimè pari alla mia renitenza pavida, sicché sopraggiungevano da un casolare vicino con una scala di legno, sulla quale non potevo più esimermi dal salire.

Naturalmente non c'era alcunché da vedere alla sommità di quelle rovine, se non in lontananza, al limitare dell'orizzonte, una piccola antica  chiesa che segnalavo ai due fratelli.

Restava l'assillo di come vincere la paura che mi atterriva, quando rivedevo in verticale la scala lungo la quale dovevo discendere.

Nè l'uno nè l'altro dei fratelli trovava motivo di sorriderne, Vartan provvedeva piuttosto a sistemare la scala di traverso, sorreggendo con la sua presa la mia mano mentre ne discendevo che ne scendeva tremante.

Stella stava intanto intrattenendosi con una donna più anziana di un casolare limitrofo, doveva esserle assai familiare, la vecchia, se costei cercava le sue parole di conforto per un dolore che in lei era inconsolabile.

Era una sua cugina, mi è stato detto in macchina, che aveva perduto un figlio quarantenne un anno fa.

Quando lasciavamo il sito fortificato la sera era già incombente, ma la vettura, procedendo per i campi, anziché al rientro si avviava a raggiungervi una meta ulteriore: la chiesetta stessa che avevo visto all' orizzonte, per il solo fatto che avessi detto che mi aveva incantato la sua umile parvenza fra i campi.

Benché fosse già così tardi, era ancora aperta quando vi siamo giunti e siamo scesi all' altezza della sua radura.

Nel suo semplice interno lucevano inconsunte delle candele accese, sfavillavano ancora le immagini devozionali, con di fronte dei fiori  di campo e delle bende votive.

Al loro cospetto, tutti quanti, mi hanno preceduto segnandosi e sostando in raccoglimento.

Siamo rientrati che la sera era oramai precipitata nel buio.

Stella aveva predisposto che fosse pronta la cena, che fosse   già allestito per me un letto nella stanza di sopra, tra le cui coltri mi sono addormentato come lei si è congedata con poche e brusche parole.

Il giorno seguente, con mia sorpresa, Stella non sarebbe stata della compagnia che mi avrebbe condotto a Mastara, a Ereruk.

Vartan era il sovrintendente del viaggio, di cui non  ho tardato molto a capire che conosceva a malapena solo la strada, il taxi driver era stavolta un ragazzo del villaggio dal volto inameno, del quale io soltanto, quando mi è stato presentato nel suo impaccio evidente, non ho riso che fosse stato chiamato a tale compito.

Anche Ashtots era parte della comitiva.

All' esterno della casa, Stella mi ha mostrato le due vetture della famiglia che erano divenute inservibili al compito, perché, a quanto mi diceva, erano divenute entrambe "Kaputt"

E' stato agevole il tratto di strada fino a Mastara, alla sua grandiosa chiesa tra le fattorie della città di provincia.

A rendermene animato il percorso era solo l'atteggiamento divertito di ironia beffarda del giovane alla guida della vettura, cui i due fratelli mi rincresceva che non riuscissero a sottrarsi.  

/Dalla note, questi appunti presi su dei fogli volanti sulla chiesa di Mastara: un tetraconco a pianta centrale volto in poliedri, con incisioni intermedie triangolari, dei pentaedri le absidi, un ottaedro il tamburo, i pentaedri absidali contrappuntati da dei salienti(?) sporgenti in corrispondenza delle trombe, il che animava la grevità altrimenti compatta delle masse murarie, raccolte intorno alla grande cupola radiante in una luminosità uniformemente diffusa all' interno-due finestre per ogni tromba, una per abside, otto nel tamburo/.

 

I due fratelli, e l' improvvisato il giovane "driver", vedendomi vedendomi prendere appunti, non solo scattare foto, ritornare estatico sui miei passi, soffermarmi di nuovo e riconsiderare e misurare a vista le proporzioni dell' edificio, avevano sospeso ogni atteggiamento divertito, e mi seguivano ora a rispettosa distanza mentre mi movevo al suo interno, intorno al suo ottaedro, vi salivo al piano superiore prossimo alla cupola. All' apparenza se si mostravano riguardosi di che ammiravo, oltreché della mia ammirazione, forse era più per il sentimento religioso che in loro intensificava il luogo di culto, che per una considerazione persuasa della eccezionalità  della magnifica chiesa.

Segnandosi, e accendendo candele, nella luminosità interna in cui si dilatava la cupola. E' Ashtots che ho ritrovato di loro con me al piano superiore, mentre il giovane taxista indugiava nel vano sottostante, a intonarvi un canto liturgico per verificarne l'acustica.

Ma lasciata Mastara per Ereruk, quella sua devozionalità infantile, senza parole, primordiale e intensa come la durezza brutale scontrosa dei suoi lineamenti,  quando con  la sua vettura egli ha dovuto affrontare il lungo  tratto accidentato di una pista iniziale , ha ceduto alla più rabbiosa stizza, all'imprecazione, per quanta era la benzina che veniva consumando in quel tragitto dissestato, vanificando i margini del suo compenso.

Non mi era più incomprensibile l' armeno in cui si esprimeva, battendo le mani sugli indicatori del cruscotto, anche se facevo finta di non intendere niente di alcunché.

E quando si è dato il passaggio a un militare, sono riprese le loro battute ridanciane sul mio conto, sulla loro missione, ma ad una sosta, in un villaggio, anche costui mi è venuto incontro, e da un albero che sporgeva dal giardino della casa dell' uomo al quale avevano chiesto di bere, ha colto dei frutti e me li ha porto.

Il militare è sceso al villaggio successivo e noi abbiamo seguitato ancora a lungo, di villaggio in villaggio tra la vastità dei pascoli riarsi, gialli di stoppie, interrotti dalle mandrie nel via vai alla pastura, agli abbeveratoi, e sono apparse le postazioni di frontiera, i binari ferroviari di confine, il profilo  della chiesa di Ereruk discosto dal villaggio.

La splendida basilica, nella sua mole in  disparte, ad una prima visione mi è apparsa  l' evocazione delle parti mancanti di quella siriaca di Qalb Lozeh,  desumibile, ove nel frammento superstite della facciata, ch'era in posizione arretrata rispetto alle due torri laterali, in Ereruk le trifore sovrastano ancora l'arco d'ingresso che vi campeggia tra due arcate cieche, di preludio entrambe alle navatelle interne.

Già nel precedente villaggio ci eravamo riforniti del cibo per pranzare all' aperto, che io avevo voluto pagare anche per loro, ma mancava ancora il pane, e per procurarselo Vartan e il giovane ch'era il conducente si sono allontanati in macchina verso Ereruk.

Abbiamo pranzato all' ombra della chiesa al loro rientro.

Tra noi si è allora manifestata una tale allegria festosa, c'era uno stare così bene insieme, che solo l'affiatamento raggiunto può consentire.

Nella calura divampante li ho poi lasciati, intenti alla siesta, per aggirarmi nella bellezza abbagliante delle rovine superstiti, in altra pietra di taglio di quella delle basiliche siriache nordoccidentali, fra le quali da quella di Qalb Lozeh, in particolare, si è presunto che gli artefici abbiano desunto il modello dell' edificio, in  un tufo ocra che vi era variegato pittoricamente con il nero basalto.

Al limitare della prateria che si stremava all' incontro con cielo e monti, i blocchi che ne furono addizionati conformavano una mole che si sopraelevava su una scalinata d'accesso templare, a internare più ancora in se, nelle proprie torri frontali, i protiri, e le absidi, che invece in Qalb Lozeh emergono volumetricamente.

Li in Ereruk le absidi figuravano infatti racchiuse nell'alta parete di fondo, i protiri entro la prospicienza delle colonne scomparse di due logge esterne, che si suppone fossero riservate a chi era ancora penitente, di cui erano un avamposto frontale le due torri laterali della facciata.

Concludeva le logge esterne un'abside, un loro pregio risolutivo di cui invece non erano state nobilitate le navatelle laterali.

L'interno splendido, infatti, come in Qalb Lozeh poneva termine alle navatelle in due sale adiacenti al catino dell' abside della navata,  mentre nel ricordo che avevo del sito siriaco, appariva molto più alto e profondo nella sua solennità a cielo aperto, le arcate non erano ribassate, come nella chiesa del Jebel al'Ala, entro un ritmo di pilastri più frequenti reiterato in un ordine superiore, navate e navatelle dovevano essere state slanciate fin verso l'alto, voltato a botte, stando ai salienti che ne rilevavano le differenze in ampiezza ed in altezza.

Il tufo che ne era la materia, ugualmente accalorata, si veniva intanto accendendo di un colore uniformemente più fosco di quello del chiaro calcare del Jebel siriaco, solo che  il sole si disvelasse da una delle nubi ch'erano di transito, ma non  appariva così finemente intagliato, come in Qalb Lozeh, le modanature a forma di omega e i nastri delle finestre non ne ripetevano la continuità dinamica di bande, e le dentellature ad esse interne non ne avevano la bellezza d'intaglio, in Qalb Lozeh crepitante di luce fino a vibrarne all' acme.

Ma per i miei giovani accompagnatori, quelle nude vestigia superstiti, spoglie a cielo aperto di ogni funzione religiosa o devozionale, non significavano niente che potesse indurli ad attendermi più di tanto, oltre l'ulteriore battuta e sigaretta.

E per lungo che fosse ancora il pomeriggio davanti, nelle loro parole che mi sollecitavano a risalire in macchina dalle rovine e gli sterpi, incombeva la coincidenza con il sopraggiungere dell' Icarus da Giumry diretto a Erevan, cui mi avrebbe riportato, al rientro nel loro villaggio.

Ma lasciata Ereruk, per una più agevole via di rientro a Talin, che stretta al cuore, nella mia felicità in disparte, Ashtots, Vartan, l'altro giovane, vederli sempre più euforici e sfrenati, senza più alcuna riserva nei miei confronti, vedere come il compito che si errano assunti nei miei riguardi, si era tramutato per loro nell' occasione di un' indimenticabile giornata, che con poco più di venti dollari non solo avevo consentito a me stesso di visitare le chiese di Talin, Mastara, Ereruk, avevo fatto anche la loro felicità di giovani uomini.

Al punto che Vartan mi ha stretto la mano, le mie dita tra le sue, ed in un empito ho capito che mi ha detto in armeno:

" E questa lo sai cos'è? E' amicizia".

Al nostro rientro, quando mancava ancora poco più di un'ora al passaggio dell' Icarus per Astarak, Erevan,  Stella era già pronta ad attenderci.

Aveva preparato anche una cena, che doveva rifocillarmi prima del tragitto verso la capitale armena.

Ma per appetitosa che fosse, io l'ho lasciata largamente nel piatto, impedito dalla commozione che veniva sopravanzando.

Abbiamo seguitato a sfogliare libri, a chiederci e fornirci informazioni sull'arte e la civiltà degli armeni. Lei ha voluto vedere la mia guida, farmi ripetere le parole italiane che corrispondevano a quelle armene che vi figuravano.

In strada, mentre mi accompagnava all' autobus, insieme con Vartan, ho cercato di distogliere altrove il viso, quando le lacrime sono divenute un pianto incontenibile.

Come se ne è resa conto, è parsa stupefatta.

Che cosa accusavano le mie lacrime?

Ho scosso il capo e ho volto lo sguardo alla strada disastrata, al villaggio intorno.

Non mi ha taciuto di avere compreso ogni cosa invece Vartan, toccandosi il cuore, stringendomi le mani.

Restandomi vicino anche alla fermata.

Se volevo fare rientro e restare da loro anche quella sera, per partire l'indomani, non c'era alcun problema.

Ma il mio diniego è stato irremovibile, mentre il pianto  venivo raffrenandolo.

Stella l'ho rivista ancora una volta. E' apparsa a distanza, su di un'autovettura, da cui è scesa per raccomandarsi al figlio senza volgermi uno sguardo.

Con gli altri congiunti e i vicini che l'accompagnavano, ritornava sulla tomba del marito anche quel sabato.

Verso Astarak, ho ripensato a quanto sia dura in Armenia la vita, da inaridire anche le ragioni del pianto.

 

 

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Talin Ereruk. Appunti

 

La meravigliosa cattedrale di Talin, il suo tamburo poliedro che sfora nel cielo, raccogliendo nella sua sfera celeste le ampie volte delle conche absidali e della grandiosità basilicale delle sue navate. La chiesa accanto della Vergine era invece ritratta entro la sua croce architettonica, le stesse absidiole vi erano inscritte, per un maggior raccoglimento dei culti al cuore della croce in cui se ne incontrano i bracci,  nel plesso della divinità che la luce della cupola permea intorno,

Era ridotta alla sua croce l'ulteriore chiesetta pievana di Kristapor, triconca, unicamente solo un'arcata supplementare ne approfondiva profondandone l' abside di fondo rispetto a quelle laterali, il solo braccio d'accesso ne costituiva il decorso longitudinale sostitutivo delle navate ne era il decorso longitudinale in luogo delle navate.

( così come nella chiesetta di Amberd quattro sacrestie laterali compivano l'inserto della croce in un quadrato).

Ma nonostante l'ora tarda, il luogo appartato, quando ne abbiamo schiuso le porte era ancora fervente della devozione di delle candele inestinte al cospetto delle immagini sacre.

........................

La basilica di Ereruk

 

Già in prossimità della frontiera turca, eccco che come tra i campi infuocati di stoppie e i binari della ferrovia da Erevan a Giumri, presso il villaggio omonimo la basilica di Ereruk mi si è profilata nella sua mole in  disparte, ad una prima visione mi è apparsa ad una prima visione come l' evocazione delle parti mancanti della basilica siriaca di Qalb Lozeh,  desumibile, ove nel frammento superstite della facciata ch'è in posizione arretrata rispetto alle due torri laterali, le trifore sovrastano ancora l'arco d'ingresso che vi campeggia tra due arcate cieche, entrambe di preludio alle navatelle interne.

Ma quand'anche vi fosse stato ripreso questo o quell' altro modello siriaco basilicale di antica basilica-, altrimenti identificato o identificabile nelle chiese di Deir Soleib,  Turmanin o Ruweha-, ne era la una reinvenzione in altra pietra di taglio, più refrattaria al calore mutevole dell' ora del tempo; il tufo ocra che vi era variegato pittoricamente con il nero basalto.

I blocchi che ne vennero addizionati conformavano , in blocchi addizionati a conformare una sua mole che si sopraelevava su una scalinata d'accesso templare, a internare racchiudere più ancora in se, nelle proprie torri frontali, alla vista approssimantesi, i protiri, e le absidi, che invece in Qalb Lozeh emergono volumetricamente in Qalb Lozeh.

Le absidi in Ereruk furono racchiuse nell'alta parete di fondo, i protiri entro la prospicienza delle colonne scomparse di due loggiati/ due logge esterne, si suppone penitenziali, di cui erano un avamposto frontale le due torri laterali della facciata erano l'avamposto frontale.

Concludeva le logge esterne un'abside, un pregio risolutivo di cui non erano state nobilitate le navatelle laterali.

L'interno splendido, infatti, come in Qalb Lozeh terminava le navatelle in due sale adiacenti al catino dell' abside della navata, era ugualmente concluso, come nella chiesa siriaca del Jebel al-'Ala-, da due sale adiacenti al catino dell' abside della nave centrale, ma appariva molto più alto e profondo nella sua solennità a cielo aperto, le arcate non erano ribassate, come nella chiesa siriaca del Jewbel al'Ala, in un ritmo di pilastri ( più) frequenti reiterato in un ordine superiore,  e navate e navatelle dovevano essere slanciate fin verso l'alto, voltato a botte, stando ai salienti che rilevavano le differenze in ampiezza ed in altezza ( di nave e navatelle?).

Il tufo che ne era la materia, ugualmente accalorata, solo che  il sole si disvelasse da una nube, si accendeva di un colore uniformemente più fosco di quello del chiaro calcare del Jebel siriaco, solo che  il sole si disvelasse da una delle nubi ch'erano di transito, ma non era così finemente intagliato come quello della basilica di Qalb Lozeh come in Qalb Lozeh, le modanature a forma di omega e i nastri delle finestre aperture di luce non ne ripetevano la continuità dinamica lineare di bande, e le dentellature ad esse interne non ne avevano la bellezza d'intaglio, in Qalb Lozeh crepitante di luce fino a vibrarne all' acme.

 

 

 

Solo le croci delle arcate delle absidi, fra fregi di foglie, nella loro pietra ne erano fulgide si accaloravano di luce.

 

P.S. Nel solo suo reperto fotografico di cui dispongo, la basilica di Aparan/Koshag, libera da involucri di colonnati esterni, nei suoi protiri aggettanti e nelle sue finestre sottolineate da cornici ad omega, assai più della basilica di Ereruk appare similare a Qalb Lozeh.

 

Sarenjah? tra Mastara e Ereruk.

 

Le absidi si esprimono ( si traducono) in tetraedri con inserti di salienti( ?) d'angolo, in assenza di trombe, che soggiacciono all'ottaedro ad ombrella del tamburo con rozze colonne tortili.

L'interno è l'incontro tetraconco dei quattro bracci della croce, e presenta due aperture di luce nelle absidi laterali, da cui si entra, rispetto al solo vano di luce dell' ingresso originario, ora tamponato, e dell' abside con bema che fronteggia.

Vi è una sola stanza, di lato all' abside del bema rialzato.

Assai pregevole è la croce di vita nel portale d'accesso.

 

 

Mastara

 

E' una Basilica tetraconca volta in poliedri, il tamburo ottaedro, pentaedre le absidi, con incisioni triangolari nel tamburo i tetraedri (?),( le quali sono) contrappuntate  dalle emergenze, in corrispondenza delle trombe, animanti la grevità della sua compatta volumetria/ compattezza volumetrica.  ( due sono le finestre per ogni tromba, una per ogni abside, otto quelle del tamburo. Esse consentono la luminosità uniformemente diffusa dell' interno, in cui tutta la chiesa, nella sua animazione volumetrica, si raccoglie intorno alla vastità radiante della cupola.)

La sua articolazione massiva risulta però irregolarizzata dalle due stanze poste accanto all' abside di fondo-

Tale irregolarità è forse significativa della preminenza della liturgia rispetto alla assolutezza richiesta dagli equilibri volumetrici. Ma almeno una sacrestia, anche nella più piccola chiesa armena, risulta iscritta nella sua croce greca, ad essa si deve pur far posto nella pianta circolare.  

Sarà Hripsimè, la soluzione del problema di come riassorbire nella pianta centrale a cupola, che viene contraddistinguendo e differenziando le forme architettoniche della chiesa armena da quella di Bisanzio,  le sacrestie laterali richieste dalle celebrazioni liturgiche, raccordandone gli accessi.

 

Gayanè-Hripsime.

 

Lo slancio verso l'alto del giro della cupola della Gayanè è compresso dalle volte a botte delle arcate laterali, mentre in Hripsimè si allarga in una vastità circolare di più luminoso  respiro, in virtù dell' inserto delle nicchie d'angolo tra una volta e l'altra delle arcate laterali.     

         

* La coessenzialità di ornamentazione pittorica, o scultorea,  e di architettura nelle chiese georgiane.)

  

              

 

                     

 

    

 

 

 

Talin Ereruk. Appunti

 

La meravigliosa cattedrale di Talin, il suo tamburo poliedro che sfora nel cielo, raccogliendo nella sua sfera celeste le ampie volte delle conche absidali e della grandiosità basilicale delle sue navate. La chiesa accanto della Vergine era invece ritratta entro la sua croce architettonica, le stesse absidiole vi erano inscritte, per un maggior raccoglimento dei culti al cuore della croce in cui se ne incontrano i bracci,  nel plesso della divinità che la luce della cupola permea intorno,

Era ridotta alla sua croce l'ulteriore chiesetta pievana di Kristapor, triconca, unicamente solo un'arcata supplementare ne approfondiva profondandone l' abside di fondo rispetto a quelle laterali, il solo braccio d'accesso ne costituiva il decorso longitudinale sostitutivo delle navate ne era il decorso longitudinale in luogo delle navate.

( così come nella chiesetta di Amberd quattro sacrestie laterali compivano l'inserto della croce in un quadrato).

Ma nonostante l'ora tarda, il luogo appartato, quando ne abbiamo schiuso le porte era ancora fervente della devozione di delle candele inestinte al cospetto delle immagini sacre.

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La basilica di Ereruk

 

Già in prossimità della frontiera turca, eccco che come tra i campi infuocati di stoppie e i binari della ferrovia da Erevan a Giumri, presso il villaggio omonimo la basilica di Ereruk mi si è profilata nella sua mole in  disparte, ad una prima visione mi è apparsa ad una prima visione come l' evocazione delle parti mancanti della basilica siriaca di Qalb Lozeh,  desumibile, ove nel frammento superstite della facciata ch'è in posizione arretrata rispetto alle due torri laterali, le trifore sovrastano ancora l'arco d'ingresso che vi campeggia tra due arcate cieche, entrambe di preludio alle navatelle interne.

Ma quand'anche vi fosse stato ripreso questo o quell' altro modello siriaco basilicale di antica basilica-, altrimenti identificato o identificabile nelle chiese di Deir Soleib,  Turmanin o Ruweha-, ne era la una reinvenzione in altra pietra di taglio, più refrattaria al calore mutevole dell' ora del tempo; il tufo ocra che vi era variegato pittoricamente con il nero basalto.

I blocchi che ne vennero addizionati conformavano , in blocchi addizionati a conformare una sua mole che si sopraelevava su una scalinata d'accesso templare, a internare racchiudere più ancora in se, nelle proprie torri frontali, alla vista approssimantesi, i protiri, e le absidi, che invece in Qalb Lozeh emergono volumetricamente in Qalb Lozeh.

Le absidi in Ereruk furono racchiuse nell'alta parete di fondo, i protiri entro la prospicienza delle colonne scomparse di due loggiati/ due logge esterne, si suppone penitenziali, di cui erano un avamposto frontale le due torri laterali della facciata erano l'avamposto frontale.

Concludeva le logge esterne un'abside, un pregio risolutivo di cui non erano state nobilitate le navatelle laterali.

L'interno splendido, infatti, come in Qalb Lozeh terminava le navatelle in due sale adiacenti al catino dell' abside della navata, era ugualmente concluso, come nella chiesa siriaca del Jebel al-'Ala-, da due sale adiacenti al catino dell' abside della nave centrale, ma appariva molto più alto e profondo nella sua solennità a cielo aperto, le arcate non erano ribassate, come nella chiesa siriaca del Jewbel al'Ala, in un ritmo di pilastri ( più) frequenti reiterato in un ordine superiore,  e navate e navatelle dovevano essere slanciate fin verso l'alto, voltato a botte, stando ai salienti che rilevavano le differenze in ampiezza ed in altezza ( di nave e navatelle?).

Il tufo che ne era la materia, ugualmente accalorata, solo che  il sole si disvelasse da una nube, si accendeva di un colore uniformemente più fosco di quello del chiaro calcare del Jebel siriaco, solo che  il sole si disvelasse da una delle nubi ch'erano di transito, ma non era così finemente intagliato come quello della basilica di Qalb Lozeh come in Qalb Lozeh, le modanature a forma di omega e i nastri delle finestre aperture di luce non ne ripetevano la continuità dinamica lineare di bande, e le dentellature ad esse interne non ne avevano la bellezza d'intaglio, in Qalb Lozeh crepitante di luce fino a vibrarne all' acme.

 

 

 

Solo le croci delle arcate delle absidi, fra fregi di foglie, nella loro pietra ne erano fulgide si accaloravano di luce.

 

P.S. Nel solo suo reperto fotografico di cui dispongo, la basilica di Aparan/Koshag, libera da involucri di colonnati esterni, nei suoi protiri aggettanti e nelle sue finestre sottolineate da cornici ad omega, assai più della basilica di Ereruk appare similare a Qalb Lozeh.

 

Sarenjah? tra Mastara e Ereruk.

 

Le absidi si esprimono ( si traducono) in tetraedri con inserti di salienti( ?) d'angolo, in assenza di trombe, che soggiacciono alll'ottaedro ad ombrella del tamburo con rozze colonne tortili.

L'interno è l'incontro tetraconco dei quattro bracci della croce, e presenta due aperture di luce nelle absidi laterali, da cui si entra, rispetto al solo vano di luce dell' ingresso originario, ora tamponato, e dell' abside con bema che fronteggia.

Vi è una sola stanza, di lato all' abside del bema rialzato.

Assai pregevole è la croce di vita nel portale d'accesso.

 

 

Mastara

 

E' una Basilica tetraconca volta in poliedri, il tamburo ottaedro, pentaedre le absidi, con incisioni triangolari nel tamburo i tetraedri (?),( le quali sono) contrappuntate  dalle emergenze, in corrispondenza delle trombe, animanti la grevità della sua compatta volumetria/ compattezza volumetrica.  ( due sono le finestre per ogni tromba, una per ogni abside, otto quelle del tamburo. Esse consentono la luminosità uniformemente diffusa dell' interno, in cui tutta la chiesa, nella sua animazione volumetrica, si raccoglie intorno alla vastità radiante della cupola.)

La sua articolazione massiva risulta però irregolarizzata dalle due stanze poste accanto all' abside di fondo-

Tale irregolarità è forse significativa della preminenza della liturgia rispetto alla assolutezza richiesta dagli equilibri volumetrici. Ma almeno una sacrestia, anche nella più piccola chiesa armena, risulta iscritta nella sua croce greca, ad essa si deve pur far posto nella pianta circolare.  

Sarà Hripsimè, la soluzione del problema di come riassorbire nella pianta centrale a cupola, che viene contraddistinguendo e differenziando le forme architettoniche della chiesa armena da quella di Bisanzio,  le sacrestie laterali richieste dalle celebrazioni liturgiche, raccordandone gli accessi.

 

Gayanè-Hripsime.

 

Lo slancio verso l'alto del giro della cupola della Gayanè è compresso dalle volte a botte delle arcate laterali, mentre in Hripsimè si allarga in una vastità circolare di più luminoso  respiro, in virtù dell' inserto delle nicchie d'angolo tra una volta e l'altra delle arcate laterali.     

         

* La coessenzialità di ornamentazione pittorica, o scultorea,  e di architettura nelle chiese georgiane.)

[8] Ci saremmo invece recati insieme in Astarak, nel solito albergo dove io solo avrei dormito di nuovo. Egli ha invece dovuto lasciarlo per trascorrere all’ esterno la notte in tenda. Così deve fare, se con i mezzi di cui dispone vuole raggiungere l’India attraverso l’ Iran e il Pakistan . " Elle est une femme vraiment impitoyable" gli ho detto della donna dell' albergo che è stata irremovibile nel farlo uscire dalla mia stanza in cui discorrevamo di Mantegna, del cinema russo, benchè di fuori lampeggiasse e tuonasse, il vento sospingesse le nuvole del maltempo Avremmo invece fatto rientro in Astarak per dormire di nuovo nel solito albergo, ch'egli ha lasciato, dopo che abbiamo seguitato a parlare a lungo di cinema e di pittura, per trascorrere all' esterno la notte in una tenda.

Così deve fare, se con i mezzi di cui dispone vuole attraversare l'Iran, il Pakistan, raggiungere l' India con due visti di transito.

" Elle est une femme vraiment impitoiable" gli ho detto della donna dell' albergo che è stata irremovibile nel farlo uscire dalla mia stanza in cui discorrevamo di Mantegna, del cinema russo, benchè di fuori lampeggiasse e tuonasse, il vento sospingesse le nuvole del maltempo