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E' Impensabile che lo Spirito umano non abbia una
natura e una destinazione celeste, se ha potuto concepire il paradiso terreno
del Taj Mahal.
Valicata la porta che magnificamente lo precede e lo prospetta , al
fondo dei quattro fiumi edenici del Char Bagh, che confluiscono a
rifletterlo e a trasfigurarlo in un corpo sovrasensibile , la sua apparizione
è l'epifania del trono di gloria in cui le luci di Mumthaz e Shahjahan
riposano e rifulgono eterne, la visione nel tempo e nella spazialità
materiale di ciò che è senza tempo e pura estensione spirituale, in
virtù della luce e dell'armonia che smaterializzano il Taj nelle sue forme
marmoree, di cui anche le nicchie e gli iwan sono ombre concave di luce
d'onice.
Il distanziarsi dei minareti agli angoli della piattaforma
del
mausoleo , crea una mirabile spazialità celestiale, cui assurgono, d'essa
consustanziati, i
pinnacoli, i chattri e la cupola, elevandosi sugli incavi delle sfaccettature che
illegiadriscono il mausoleo a
teca di imperiture gioie femminili, istoriata e incastonata di fiori e
di scritte, in sintonia con le cupole, e le cupolette, implissettate delle
svasature dell'arrovesciarsi di un fiore di loto: siamo così già assunti alla nostra
dimora eterna, tra
l'azzurro e le nuvole che veleggiano oltre ogni cielo, che nel Taj Majal
è già di questo
mondo, è il giardino e le acque fra cui trascorriamo, i suoi fiori nel marmo ,
o di agata e diaspro,
che si schiudono in una con
quelli ultraterreni, simboleggiandoli.
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