In Armenia |
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1 agosto
2001 Credevo
che potesse bastarmi quanto di meravigliosamente doloroso mi è ieri
accaduto, a colmare la misura degli affanni possibili della mia
escursione a Kazbegi. Ed
invece eccomi ora appiedato all' imboccatura della valle, di rientro a
Tbilisi, per una crisi
d'ansia che mi ha precipitato fuori della marsukta alla prima fermata
possibile. Mi
ci sono ritrovato dentro, confinato di dietro,
così incassato nell’abitacolo asfittico ed impedito nella
vista del paesaggio all’ esterno, in ogni movimento vi ero talmente
occluso, verso il fondo, dai passeggeri che ritti in piedi mi
precludevano ogni
fuoriuscita in tempo, che
al minimo incidente mi sono sentito predestinato ad una morte certa. E
con tutti gli sconquassi della via che
mi sommuovevano... E’
stato già alla partenza in mattinata da Kazbegi, che ho ritardato ad
assicurarmi un posto, per dare da mangiare i miei biscotti sbriciolatisi
a dei cagnolini randagi che vagolavano tra gli spacci di bibite, e il
posto intermedio in cui mi sono seduto poi l'ho ceduto ad una coppia di
vecchi che volevano restare insieme,
per dovere riparare di dietro quando nel sedile accanto mi sono accorto
che vi sarebbe rimasta aggranchita la gamba che già soffre per
l'artrosi. Certo
che è talmente magnifico il fondovalle d'intorno... Stavo
ancora così scrivendo ai margini della strada , che un'altra marsukta
è inaspettatamente sopraggiunta verso Tbilisi, e su di essa tra il sole
e la pioggia ho ripercorso la High Military Street fino ad Ananuri. Sotto
la pioggia, all' altezza del passo di Djvari, le montagne del Caucaso
hanno assunto l'aspetto di cupa grandiosità che le caratterizza nelle
pagine di Lermontov, durante il viaggio che vi avviene d' autunno in
" Un eroe del nostro tempo"… Ma
come nel sole estivo del viaggio all'andata, tra me e la nuda roccia, o
i dirupi o gli abissi, ovunque, lungo i tornanti, a quote sempre più
alte riapparivano confortanti i fiori ed il verde di una vegetazione
incessante, il cui ammanto rivestiva di praterie smaglianti le dorsali
sovrastanti il corso dell' Aragvi, non cedendo alla roccia ed alla
tundra che in prossimità delle vette. All'
interno delle fortificazioni a cuneo di Ananuri, in cui ho prolungato la
sosta, la chiesa principale apre il suo accesso in una facciata
meravigliosamente ornamentata: due tralci di vite popolati di animali,
ed evolventisi da
Due
leoni, aggiogati ai tralci, mediani laterali della croce flamboyant, si
contrappongono al di sopra di due finestrelle cordonate dalle
ornamentazioni sinuose che le intorniano. All'interno
della chiesa si ha accesso di lato,
poiché è stata murata la facciata principale, lasciandola per
giunta precedere dal fianco
di un campanile a torre, che le dà ombra.
All'
interno, conforme alla pianta canonica georgiana, tre navate a una sola
campata precedevano gli arconi dell' abside che sostenevano la cupola. Ai
lati dell' abside le tamponature di due sacrestie, sulla parete interna
d'accesso laterale, gli affreschi singolari di una scena del giudizio
universale.
.................... Riparto
con il primo autobus di passaggio: poi, da Tiblisi, andrò verso
l'Armenia o le grotte di Varzia? Sul
retro, dei capri legati insieme gridano striduli come bambini. Finché
l'uomo che li tiene al cappio non scende prima di Tbilisi. Forse
per essi c'è più speranza di vita, che se l'uomo fosse arrivato fino
alla capitale.
2
agosto 2001 Varzia
o Erevan? ...Erevan , dove sono, ora alle 9,50 del mattino..., stanco e
dopo che mi sono rinfrescato alle fontanelle di un giardino pubblico,
sostando di fronte alle sedi della British
Airways e della Levon travel, in Sayat Nova street. Vi attendo
l'apertura alle dieci della agenzia di viaggi, per reperirvi una
sistemazione presso dei privati. E'
stato a dir poco orrendo il viaggio notturno da Tblisi a Erevan, in
veste di passeggero aggiunto su di un minibus privato ch’era al
servizio di una coppia di
coniugi greco-armeni, che l'utilizzavano per importare quanta più merce
possibile. La
strada georgiana verso la frontiera, un percorso secondario, era un
susseguirsi interminabile di crateri e di ciotoli, ove
rara, qua e là, trapelava la superstite crosta superstite
d'asfalto. "
Very good, mister?” la
battuta del driver assuefatto al peggio. Le
continui voragini, e il pietrisco che ne spuntava, facevano rimpiangere
il fondo di una pista sterrata. Ma
per il conducente era fors’anche il meno,
gli restavano ancora da affrontare i poliziotti e le guardie
dell' una e dell' altra frontiera, di una sfinente lungaggine in
perquisizioni e controlli. Solo
dopo che li ha ammorbiditi dollaro su dollaro, non
hanno fatto più storia alcuna per le mercanzie che i due coniugi
importavano in Armenia. L'ho
visto sotto gli occhi di tutti, per conto dei due, i bigliettoni
allungarli tranquillamente sottobanco, Erevan, 2 agosto 2001Scrivo
tuttora di Tsminda Sameba, di Kazbegi, nel folto solatio del Victor Park
di Erevan, cui sono risalito lungo la orribile cascade sovietica. La
sua sopraelevazione mi ha
tuttavia assicurato la vista magnifica dell' Ararat, incombente nella
nemica terra turca.
Sosto
nel parco sotto l'ombrellone di un chiosco all' aperto, ch'è
accanto alla giostre della ruota e degli elefanti volanti. Nel
loro dorso essi offrono ai piccoli, come ai loro accompagnatori, la
confortevole poltrona su cui sono sospinti in alto e ridiscendono. Si
sta smorzando la calura, che di Erevan strema anche l'ombra ed il verde. Il
centro città di Erevan è laggiù quanto mai piacevole, pur non
riservando alcuna bellezza monumentale, vi sono interminabili i
chioschi, i bistrots e i restaurants, in Mashtots Avenue, tra la Piazza
dell' Opera e Piazza della Repubblica, e più eleganti appaiono i suoi
negozi, più rifornite le librerie, che nella più metropolitana Tbilisi
della meno misera Georgia... Ma già quale fatiscenza e incuria
condominiale in Kevian Street, dove ho trovato alloggio nell'
appartamento di uno studente,... il fatto è, che come a Tbilisi, anche
in Erevan mi sto
istantaneamente adattando al tramutarsi dell' opulenza del centro nella
miseria fatiscente circondariale, ove più disastrato è il lascito
edilizio del socialismo reale, pur se vi subentra l' animazione dei
mercati popolari. Erevan, 4 agosto 2002Neanche
un'ora fa, mi veniva sconfortando, nei pressi dell' Opera Square, di
dovermici orientare di nuovo per trovare il verso di Nova Sayat street,
e deviarvi in direzione di Republica Square, dove sono andato a visitare
il Museo di Storia dell'
Armenia. Fino
a poc'anzi non ho visto circolare in Armenia alcun altro turista che il
giovane uomo americano, stempiato, che ho ritrovato sui miei passi in
Republica square, Da
Erevan partirà fra tre giorni per l'Iran, con il permesso di transito
che ha ottenuto grazie al visto d'ingresso di cui dispone per la
Turchia. "
E quando mai potrò tornarci ancora?…", mi ha detto con
l'eccitazione di chi non può eludere un'occasione irripetibile. Benché
gli occorrano quasi trenta ore di viaggio per raggiungere Theeran da
Erevan, sui cinque giorni di permesso accordatigli per 50 dollari. Per
domani ci siamo dati appuntamento nella stesso punto dove ci siamo
ritrovati Ogni
concorso e altrui soccorso mi è grato, purché ritrovi le energie e lo
spirito del viaggio, dopo come, e quanto, ieri in Echmiadzin mi sono
smarrito nel niente. Anche
la via giusta che malamente mi era indicata con il gesto svagato di
vagolanti mani, per la mia debilitazione era un percorso da cui
desistere, anche il luogo di transito ineludibile di un giardino
pubblico, diventava il frapporsi di una barriera insormontabile tra me e
la cattedrale, cui la via che dava accesso permaneva un adito
implausibile... E
anche se non vi riconoscevo alcun tratto di Haya Gayanè, o di Hayia
Hripsime, eppure doveva essere l'una o l'altra delle due chiese,
non già la cattedrale ch'era in effetti... E
che non mi degnavo di non prendere in alcuna considerazione, talmente
ogni aspetto ne era un rifacimento... Mentre
tra le mie mani permaneva un libro chiuso che mi ostinavo tenacemente a
non incomodarmi di consultare, la guida che avrebbe potuto rischiararmi
la mente... "To
right , again to right,…", soltanto quando un religioso armeno mi
ha così recitato la formula d'accesso a Haya Gayanè, muovendo dalla
cattedrale, ho infine creduto in alcunché
e mi sono ritrovato nella realtà effettiva... Ma
come svolto ecco che sullo spiazzo accanto, tra gli oggetti devozionali,
che vi sono esposti al pubblico, mi perturbano tre poveri piccioni in
gabbia, destinati Mi
era intollerabile che potessero finire sgozzati, per una obbligazione
irremovibile ho chiesto pertanto quanto dovessi
pagare per riscattarne la libertà, ad un vecchio e ad un giovane
che li custodivano: 9 dollari, scesi poi a 7 con un pò di trattativa. Anche
se era già un assillo angosciante l’assunzione del compito, ho
rinviato la decisione di acquistarne la libertà, ad ogni modo, a quando
vi fossi stato di ritorno da Hagya Gayanè: ma oltre il chiostro, nel
suo interno, mentre la visitavo e ne ammiravo la rigorosità esente di
ornamentazione, l'esplicitazione architettonica di immediata e assoluta
evidenza della sua sobrietà austera, in me era divenuta la confittura
di uno spasimo impellente, il pungolo di sottrarre alla morte quegli
inermi animali, in tempo prima
che potessero essere venduti a chi li sgozzasse nella cattedrale; un
imperativo al quale dovevo sacrificare anche la pura gioia spirituale di
avere negli occhi, nella mente, la visione d'una chiesa ch'era divenuta
un mio miraggio culturale, da che ebbi a leggere le pagine a essa
dedicate da Krauthaimer, come alla risoluzione architettonica esemplare
dell' esigenza di realizzare una chiesa a cupola centrale.
Sono
riaccorso dai piccioni pregandoli, come se potessero intendere, che mi
aspettassero solo ancora un altro poco, ed avrei scongiurato ciò che
innocentemente ignoravano del loro destino. Al
booksop della cattedrale, infatti, preliminarmente dovevo acquistare una
qualsiasi cartolina, purché mi si cambiasse una banconota da 10 dollari
con due da cinque; servendomi della quale, e di mille dram, al giovane
ho pagato il riscatto degli animali. Con
i tre piccioni palpitanti dentro un sacchetto di plastica, mi sono
avviato ad uscire quanto prima da Echmiadzin in direzione di Erevan, in
cerca di un ampio spazio aperto, del verde diffuso alberi, in cui
restituirli alla certezza della libertà. Via
lontano da Echmiadzin, in ogni modo, da chi avrebbe potuto catturarli,
di lì a poco, ed Ma
il tragitto era un seguito incessante di case, dietro case, di strade
dietro strade, in cui le ragioni pressanti della mia richiesta ai
passanti che mi si indicasse la via a piedi per la capitale armena,
distante decine di chilometri, si perdevano nel ridicolo, o nello
sconcerto, nel disagio a prendermi in considerazione di coloro che
interpellavo, non appena mostravo a loro in che consistevano tali mie
impellenze, adducendole nei tre animali che si muovevano in fondo al
sacco di plastica. Con
chi interpellavo mi rifacevo ad essi, per giustificarmi, in preda ad
un'ansia sempre più convulsa, esagitata dal timore che i piccioni
potessero finire soffocati nella strettoia dell’involucro, prima che
potessi liberarli in cieli aperti. Ma
in una di quelle vie, mentre ad un'armena spiegavo a gesti che vi
facessi, che stessi cercando, uno di loro, prossimo all' imboccatura,
profittando di un momentaneo allentamento eccessivo della mia stretta
convulsa, anticipava con la sua fuga la via della liberazione: un
attimo, ed era già volato via, su di un tetto basso di una casa, dove
superato già lo stranimento, pareva compiacersi della libertà
inattesa, forse così acquisita troppo prematuramente. Con
la mano non mi restava che salutarlo ed augurargli la migliore delle
sorti, trepidando che la mia inavvertenza potesse appena averla fatta a
lui mancare. Era
oramai tale il mio stato di esaltazione infervorata, che solo
l'assennato consiglio di chi fosse ad essa estranea, poteva darvi
ragionevole sbocco; un consiglio quale me lo suggeriva una ragazza
richiamata di fuori da un bar dove era addetta, in quanto che sapeva,
eccome, l'inglese in cui chiedevo agli accoliti di parlare: perché non
prendevo un autobus per
Erevan e non li liberavo a Zvartnots, la vicina borgata dov'era la
grande chiesa di Narsete III
che mi restava da visitare? "
Ce n'è del verde, a Zvartnots..." Vi
discendevo dall' autobus con il puzzo che ho ancora addosso, ora che ne
scrivo nel mio domicilio in Erevan, degli escrementi che i piccioni
venivano facendo nello involucro, tra volti schifati e volti di benevola
comprensione dei passeggeri, e mi avviavo lungo il viale alberato che
recava al tempio. Solo
quando sono stato parecchio distante dalla strada, e mi sono ritrovato
nel verde tra degli alberi intorno, in prossimità di un canale, ho
aperto l'involucro e ho lasciato andare via i due piccioni superstiti. Non
è facile, non solo per gli uomini, ritrovare la libertà perduta o
ritrovarsi in una libertà che non si è mai avuta. Di
lì a cinque, dieci minuti, fatti i biglietti d' ingresso al tempio, e
ristoratomi, li ho ritrovati poco distanti, ancora insieme e nel più
vivo sconcerto, o stupefatta sorpresa o meraviglia.
Ma
non li avrei più rivisti, quando ho fatto nuovamente ritorno al sito,
dopo che ho terminato la visita delle magnifiche rovine di Zvartnots. I
superstiti capitelli delle colonne delle absidi e della galleria del
deambulatorio, nei protervi profili delle aquile che vi erano incise,
spiravano la ieraticità mediorientale di aeree logge, dischiusa e
vibrante, in cui non v'era alcun preludio della quintessenziale
monoliticità volumetrica dell' arte armena successiva.
Nella
calura in cui mi arroventavo a contemplarli, mi raggiungeva la signora
che era all' ingresso, un'archeologa che vedendomi talmente affascinato
e intento nella mia indagine mentale, si faceva compartecipe del mio
entusiasmo, ma per dissuadermi dalle mie evocazioni mediorientali, con
il richiamo alla spiccata etnicità autoctona dei motivi scultorei di
melograni e di viticci. Era
oramai il tardo pomeriggio, così, quando l'autobus che mi riconduceva
ad Echmiadzin, s'arrestava di fronte ad Haya Hrispimé. Sono
rimasto stupefatto alla sua vista: contro ogni mia aspettativa vi ero al
cospetto della traduzione architettonica, in perfetto armeno, di un
archetipo aulico costantinopolitano, in cui gli incavi e le rilevanze Sarebbe
stato forse possibile conseguire tanto, mediante la sola trasfigurazione
formale di uno spirito costruttivo autoctono?
Non
erano più che espliciti i richiami a Bisanzio, nell'equilibrio armonico
tra la cupola e il tamburo Ma
entro l' empireo costantinopolitano /cosmopolitano, Haya Hripsimè
costituiva pur sempre un' epifania armena, più che nell' invenzione
assoluta del proprio assunto,-ha precedenti in Avan-, nell' attuazione
perfetta dell' esemplare tetraconco, con nicchie d’angolo, quale pura
volumetria senza tensioni plastiche, una e indivisibile allo sguardo. Al
contempo, e appunto in questo, capace di resistere ai sommovimenti
sismici del Caucaso, ai quali aveva dovuto soccombere invece il tempio
di Zvartnots . Quando
sortivo dall' emanazione dello Spirito Santo che irradiava l'interno
della sua cupola, ero ancora in preda ad una sete boccheggiante, né la
spiritualità di Haya Hripsimé mi era valsa a trascenderla, senza che
potesse ancora attingere una tregua fisica della mia arsura, dal
sollievo gustoso ed infimo di intere bottiglie ingestite di Ed
era oramai troppo tardi, perché non trovassi già chiusa Haya Gayanè
quando vi facevo (ero) di ritorno. Era
spopolata, di passaggio, anche la piazza che dà adito alla cattedrale,
in cui temevo che già altri piccioni avessero rimpiazzato quelli ai
quali avevo restituito la libertà. Valeva
poi la pena, in Erevan, alla Pizzeria di Roma, che ordinando una
pizza con basturma, pur di assaggiare il gusto di tale carne di
manzo, affumicata, già contraddicessi la mia salvazione in giornata di
vite animali? Immangiabile
quella carne salatissima… Avevo
appena evitato di fare le più dovute e risentite rimostranze alla
direzione, perché in menù c'era la pizza “Korleone”.- Di
rientro nell' appartamento del giovane studente di economia, per poi
addormentarmi, di lì a poco, con ancora addosso l' odore escrementizio
dell' animalità palpitante dei piccioni liberati. Né
questo mi bastava a farmi contento? (
Se questo non mi bastava a farmi contento…)
5
agosto Ieri
già il Museo di Storia dell' Armenia mi si è fatto un percorso
indecifrabile, prima che la fortezza
di Erebuni mi divenisse un labirinto urarteo di cui mi precludevo una
via d'uscita.
( Ed
oggi, che è domenica, mi sono irretito nel volermi recare al tempio
ellenistico di Garni, nei dintorni di Erevan, intestardendomi, per
poterci andare, a pervenire ad ogni costo alla stazione degli autobus
Kylikia, benché potessi solo vagamente supporre che qualche mezzo di
trasporto vi fosse diretto. Seguitavo
ad ostinarmi quando già il
pomeriggio era inoltrato, ed alla autostazione non potevo più trovare
che chiuso ogni sportello, e nessun autobus era più in partenza per
alcuna destinazione.
Come
se già non sapessi che non era a tale autostazione che comunque dovevo
fare capo per pervenire a Garnì, secondo tutto quanto ho realizzato in
proposito in tutta la giornata. Stamane,
al risveglio, non c'era una goccia d'acqua che stillasse dai rubinetti,
nell' appartamento del giovane studente che mi ci ha lasciato solo, per
trascorrere altrove il fine settimana. Ieri
sera, al rientro, mentre per ogni sportello e cassetto venivo cercando
un cavatappi per bermi del vino armeno, ho notato che pressocché ogni
cosa che egli possiede è stipata in scatoloni dentro gli armadi. Su
un tavolo il suo passaporto. Come
se la sua esistenza fosse già predisposta solo per l'espatrio. Verso
la Germania, dove suo padre lavora e lui mi ha detto che vuole
raggiungerlo. In
Armenia sono troppe le privazioni da subire, ed è talmente infima ogni
remunerazione che ci si deve rifare a più lavori solo per sopravvivere. E'
già stato in Germania, in Francia, in una località italiana di cui non
sapeva dirmi che un improbabile nome. "
Dunque sai come si vive da noi?- gli ho chiesto, anche perché non
scambi per inaccortezza il mio spirito di adattamento alle sue
condizioni di vita ed alle sue pretese. Nella
sua casa non c'è maniglia o manopola, o presa, che non faccia difetto o
non si stacchi. Il
frigorifero, o frigosauro, un mastodonte sovietico, era l'unico
elettrodomestico che vi fosse presente. Ed
emanava calore più di quanto (non) raffreddasse. Ma
in Erevan è generale la
penuria d'acqua. Giù
nel cortile dell' immenso condominio, oltre le scale e i rivoltanti
pianerottoli in calcestruzzo sbrecciato, un uomo l' attingeva dalla
fontana con dei secchi. E
nel ridotto sotterraneo del caffè all' aperto, presso la Cascade, entro
le cui latrine ieri sera finalmente avevo potuto trarre sollievo da un'
impellenza urinaria che non mi dava tregua, le acque non scendevano dal
rubinetto del lavabo. Erano
quasi le nove del mattino quando stamane sono uscito, per essere
puntuale all' appuntamento alle dieci in Republique square con il mio
amico americano. Con lui ieri era già inteso che, se ci fossimo
ritrovati, saremmo andati insieme a Garnì, seguitando poi per Geghard. "
Di nuovo è l'incontro in perfetto orario tra gli States e
l'Italia", gli venivo già dicendo", " sai, in Italia io
sono perennemente in ritardo su tutto, vivessi in America sarei un
homeless senza più lavoro... Qui
in Erevan, in tua attesa, ho invece trovato il tempo anche per prendere
nota dello spessore dei muri del tempio di Garni, dell' anno di
costruzione edificio per edificio del monastero di Geghard... Puoi
vedere, nel mio zainetto, in ogni modo che cosa ho provveduto a che non
manchi anche "
E' forse
perché hai il pathos di chi è il tuo nemico, o già lo è
stato, che viaggi in Armenia
ed in Georgia, e che vuoi ora recarti in Iran a tutti i costi? Suppongo
che l' ideale sia per te, proseguendo, fare ritorno in America dall'
Afghanistan, con scalo in Libia, su qualche aereo della flotta di Bin
Laden..." Ma
non sono state, queste parole, che le prefigurazioni mentali di un
incontro che non c'è stato. Intanto
dall' Hotel Armenia, in una mia vana attesa, vedevo uscire degli
studiosi del British Museum, colti ed eleganti e ricchi come io non potrò
mai essere, per recarsi a visitare con attrezzature di ripresa e
fotografiche quali io non potrò mai acquistarmi, tutti i luoghi
d'Armenia in nessuno dei quali con i miei mezzi potrò recarmi.
Così,
rinviando al pomeriggio l''impresa aleatoria di giungere a Garnì,con
dei trasporti pubblici di cui ignoravo anche il luogo eventuale di
partenza, -la guida di cui dispongo, della Lonely Planet, è al solo
servizio di chi può fare comunque affidamento nella propria automobile
o in un taxi privato,- mi sono addentrato nel vicino Palazzo in cui già
mi ero aggirato per le sale del Museo di Storia dell' Armenia, e sono
salito a visitarvi la Galleria d'Arte Nazionale. Mi
ci sono ritrovato, prima ancora, tra le miniature, che già mi avevano
incantato, della mostra Christian Armenia-2001, diciassette secoli di
Cristianesimo. Che
splendore di arcobalenii di colori, in quali meravigliosi viluppi
evolvevano le colonne di comparazione tra i testi evangelici, in cui
mostri arcani, pavoni, uccelli d'oro e di cobalto, si profilavano, si
affrontavano, si facevano intimi in se stessi o come faville sprizzavano
via, incastonando le storie del Cristo in scene di cui era mirabile l'
equilibrio delle figure e dei loro gesti, nei lezionari del Regno Armeno
di Cilicia specialmente.
Ma
discendendo dalle sale superiori, di piano in piano, Ma
da quelle stesse miniature antecedenti, dalle pitture oleografiche
tradizionali di cui Dai
manichini delle loro convenzioni sociali, in cui ne era stato irrigidito
il profilo, spiccava con ancora più vita l' individualità toccante dei
volti, timidamente pallidi o fieramente supponenti, nell’incarnato di
adolescenti che già sotto il peso della vita vacillavano, o di
impettiti benestanti e cittadini autorevoli, di anziani sacerdoti
divenuti i ministri di una religiosità quasi regale nei riconoscimenti
acquisiti.
E
Aivazovsky, Sureniants, Sarian, Tadevossian, Hakobian... Nell'ora
residua di apertura degli altri musei, dopo l'uscita, con una marsukta
son pur riuscito a pervenire all' ingresso del Parco dov'è l'* , il
complesso monumentale che commemora gli Armeni che furono le vittime del
genocidio del 1915. Nel
Museo circolare ricorrevano le immagini, esse solo
superstiti, dei deportati avviati alla morte nei deserti siriaci,
tra la gente turca che impassibile li osserva sfilare, di alcune donne,
madre e figlia, che in Deir-er-Zor erano state ritrovate oramai consunte
a larve scheletriche. Altre
fotografie documentavano l’ impiccagione di uomini armeni
in pubbliche piazze, mostravano cesti ripieni di loro teste, o
delle scaffalature in cui altri capi mozzati di gente armena giacevano
riposti, con un'impressione di vita ancora rappresa nel volto, altre
ancora esponevano i cumuli ch’erano stati ritrovati dei resti dei loro
corpi. Delle
immagini successive attestavano come apparivano
i quartieri di Van in cui abitavano le vittime, prima e dopo di
essere ridotti a macerie e polvere, come si presentava un tempo il
gruppo di magnifiche chiese del canyon in prossimità di Kizkouk, a
sud-est di Kars. Di
esse una soltanto non è stata rasa al suolo, nel corso dello sterminio
che ancora è in atto, in Turchia, della memoria e della tradizione
armena. Oltre
lo spiazzo, sovrastato sullo sfondo dall'obelisco d'acciaio che
simboleggia la volontà di rinascita del popolo armeno, ho raggiunto il
mausoleo composto di dodici pilastri di basalto inclinati verso l'
interno, dove in una cavità circolare bruciava il fuoco eterno della
memoria del genocidio. Intorno
garofani bianchi, dai recessi il risorgere, senza fine,
C'è
una vita arcana nella morte, un popolo vive e sopravvive in virtù dei
morti che seguitano ad esistere fra la sua gente, Era
questo che sentivo dirmi e che mi commuoveva, nella musica che con il
fuoco si mescolava al vento.
9
agosto 2001 Il
giorno avanti l'altro ieri, era la grazia ionica del tempio di Garni che
contemplavo superstite sulla voragine di un canyon armeno, [1]
mentre ieri erano le vestigia della fortezza di Amberd e della mirabile
sua chiesa d'altura, l’apparizione preservatami dai dirupi convergenti
e tutelari di altri due torrenti[2],(al
termine dell’ escursione con Manouk e i suoi giovani assistenti
informatici, dell’ approdo rocambolesco al cui residence universitario
dirò più oltre).
Nelle
sale d' esposizione del Matenadaran, l' altro ieri, i testi miniati di
astronomi, di medici, di poeti e filosofi e teologi armeni,
testimoniavano quanto invece,di mirabile, è
il tramite umano che nel Caucaso ha potuto sottrarre anche
all'orda più atroce, e in tale arca è potuto pervenire fino ai nostri
giorni.[3] Nel
monastero di Geghard, oltre Garni mi si è poi disvelato in quali nidi
le popolazioni armene medioevali cercassero scampo, al riparo dei
blocchi di pietra della sua cattedrale tra chiese rupestri, celle dei
monaci, tombe di principi incavate anch'esse nelle rocce. Si
accedeva dal fianco laterale del gavit alle loro oscure cappelle, oltre
i leoni che nella roccia scolpita da cui si aveva adito alla più
eminente delle cappelle funerarie, emergevano dall'ombra del tempo
concatenati ad una aquila. Soltanto
il tremolio delle candele, un forame delle volte, comunicava la luce
all' arcano di pietra, nel recesso sepolcrale più interno, di croci
geminanti da croci. Nel
silenzio non stillavano che le gocce della fonte sacra dell' altra
cappella, finché non si è udito un canto di invisibili religiosi
officianti, e la resurrezione si è compiuta, ogni divenire intercorso
nei secoli si è vanificato, anime e anime erano ancora a quegli altari
raccolte in preghiera.
.
Fine della prima parteVai alla home page[1]
Variante Il giorno avanti l'altro
ieri, il 6 agosto, era della grazia ionica del tempio di Garni, che
contemplavo il sopraelevarsi superstite sulla voragine di un canyon
armeno, [2] Variante il fantasma che mi è apparso preservarsi tra i dirupi convergenti e tutelari di due torrenti [3] Variante erano le testimonianze mirabili che l'orda non è riuscita a impedire che sopravvivessero, e che in tale arca siano potute pervenire fino ai nostri giorni.
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