In  Armenia

 

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1 agosto 2001

 

Credevo che potesse bastarmi quanto di meravigliosamente doloroso mi è ieri accaduto, a colmare la misura degli affanni possibili della mia escursione a Kazbegi.

Ed invece eccomi ora appiedato all' imboccatura della valle, di rientro a Tbilisi,  per una crisi d'ansia che mi ha precipitato fuori della marsukta alla prima fermata possibile.

Mi ci sono ritrovato dentro, confinato di dietro,  così incassato nell’abitacolo asfittico ed impedito nella vista del paesaggio all’ esterno, in ogni movimento vi ero talmente occluso, verso il fondo, dai passeggeri che ritti in piedi mi precludevano  ogni  fuoriuscita in tempo,  che al minimo incidente mi sono sentito predestinato ad una morte certa. E con tutti gli sconquassi della via  che  mi sommuovevano...

E’ stato già alla partenza in mattinata da Kazbegi, che ho ritardato ad assicurarmi un posto, per dare da mangiare i miei biscotti sbriciolatisi a dei cagnolini randagi che vagolavano tra gli spacci di bibite, e il posto intermedio in cui mi sono seduto poi l'ho ceduto ad una coppia di vecchi che volevano restare  insieme, per dovere riparare di dietro quando nel sedile accanto mi sono accorto che vi sarebbe rimasta aggranchita la gamba che già soffre per l'artrosi.

Certo che è talmente magnifico il fondovalle d'intorno...

 

Stavo ancora così scrivendo ai margini della strada , che un'altra marsukta è inaspettatamente sopraggiunta verso Tbilisi, e su di essa tra il sole e la pioggia ho ripercorso la High Military Street fino ad Ananuri.

Sotto la pioggia, all' altezza del passo di Djvari, le montagne del Caucaso hanno assunto l'aspetto di cupa grandiosità che le caratterizza nelle pagine di Lermontov, durante il viaggio che vi avviene d' autunno in " Un eroe del nostro tempo"…

Ma come nel sole estivo del viaggio all'andata, tra me e la nuda roccia, o i dirupi o gli abissi, ovunque, lungo i tornanti, a quote sempre più alte riapparivano confortanti i fiori ed il verde di una vegetazione incessante, il cui ammanto rivestiva di praterie smaglianti le dorsali sovrastanti il corso dell' Aragvi, non cedendo alla roccia ed alla tundra che in prossimità delle vette.

All' interno delle fortificazioni a cuneo di Ananuri, in cui ho prolungato la sosta, la chiesa principale apre il suo accesso in una facciata meravigliosamente ornamentata: due tralci di vite popolati di animali, ed evolventisi da  delineantisi da due figure enigmatiche aureolate, vi affiancano una croce che si profila intarsiata in rilievi di un ardore vibrante, entro i  bordi incisi del fondale in cui si staglia.

 

Ananuri, fortezza

 

 

Ananuri, chiesa all’ interno della fortezza

 

Due leoni, aggiogati ai tralci, mediani laterali della croce flamboyant, si contrappongono al di sopra di due finestrelle cordonate dalle ornamentazioni sinuose che le intorniano.

All'interno della chiesa si ha accesso di lato,  poiché è stata murata la facciata principale, lasciandola per giunta  precedere dal fianco  di un campanile a torre, che le dà ombra. 

All' interno, conforme alla pianta canonica georgiana, tre navate a una sola campata precedevano gli arconi dell' abside che sostenevano la cupola.

Ai lati dell' abside le tamponature di due sacrestie, sulla parete interna d'accesso laterale, gli affreschi singolari di una scena del giudizio universale.

 

Ananuri, affresco del giudizio universale

 

....................

 

Riparto con il primo autobus di passaggio: poi, da Tiblisi, andrò verso  l'Armenia o le grotte di Varzia?

Sul retro, dei capri legati insieme gridano striduli come bambini.

Finché l'uomo che li tiene al cappio non scende prima di Tbilisi.

Forse per essi c'è più speranza di vita, che se l'uomo fosse arrivato fino alla capitale.

   

 

 

2 agosto 2001

 

Varzia o Erevan? ...Erevan , dove sono, ora alle 9,50 del mattino..., stanco e dopo che mi sono rinfrescato alle fontanelle di un giardino pubblico, sostando di fronte alle sedi della  British Airways e della Levon travel, in Sayat Nova street. Vi attendo l'apertura alle dieci della agenzia di viaggi, per reperirvi una sistemazione presso dei privati.

E' stato a dir poco orrendo il viaggio notturno da Tblisi a Erevan, in veste di passeggero aggiunto su di un minibus privato ch’era al servizio di  una coppia di coniugi greco-armeni, che l'utilizzavano per importare quanta più merce possibile.

La strada georgiana verso la frontiera, un percorso secondario, era un susseguirsi interminabile di crateri e di ciotoli, ove  rara, qua e là, trapelava la superstite crosta superstite d'asfalto.

" Very good, mister?”  la battuta del driver assuefatto al peggio.

Le continui voragini, e il pietrisco che ne spuntava, facevano rimpiangere il fondo di una pista sterrata.

Ma per il conducente era fors’anche il meno,  gli restavano ancora da affrontare i poliziotti e le guardie dell' una e dell' altra frontiera, di una sfinente lungaggine in perquisizioni e controlli.

Solo dopo che li ha ammorbiditi dollaro su dollaro, non  hanno fatto più storia alcuna per le mercanzie che i due coniugi importavano in Armenia.

L'ho visto sotto gli occhi di tutti, per conto dei due, i bigliettoni allungarli tranquillamente sottobanco, e alla luce artificiale  della stanza, se non a quella del sole, a chi registrava i dati per la polizia armena; poi, lungo la strada verso Erevan, passarne un altro gruzzolo, mazzettino al di là del finestrino, per collocarlo nella mano tesa di un gendarme armeno, la cui paletta alzata, con brutalità d’arresto, è diventata all' istante subito un molle lasciapassare.

 

 

 

 

Erevan, 2 agosto 2001

 

Scrivo tuttora di Tsminda Sameba, di Kazbegi, nel folto solatio del Victor Park di Erevan, cui sono risalito lungo la orribile cascade sovietica.

La sua sopraelevazione  mi ha tuttavia assicurato la vista magnifica dell' Ararat, incombente nella nemica terra turca.

 

Erevan, sullo sfondo l’Ararat

 

Sosto nel parco sotto l'ombrellone di un chiosco all' aperto, ch'è  accanto alla giostre della ruota e degli elefanti volanti. Nel loro dorso essi offrono ai piccoli, come ai loro accompagnatori, la confortevole poltrona su cui sono sospinti in alto e ridiscendono.

Si sta smorzando la calura, che di Erevan strema anche l'ombra ed il verde.

Il centro città di Erevan è laggiù quanto mai piacevole, pur non riservando alcuna bellezza monumentale, vi sono interminabili i chioschi, i bistrots e i restaurants, in Mashtots Avenue, tra la Piazza dell' Opera e Piazza della Repubblica, e più eleganti appaiono i suoi negozi, più rifornite le librerie, che nella più metropolitana Tbilisi della meno misera Georgia... Ma già quale fatiscenza e incuria condominiale in Kevian Street, dove ho trovato alloggio nell' appartamento di uno studente,... il fatto è, che come a Tbilisi, anche in Erevan  mi sto istantaneamente adattando al tramutarsi dell' opulenza del centro nella miseria fatiscente circondariale, ove più disastrato è il lascito edilizio del socialismo reale, pur se vi subentra l' animazione dei mercati popolari.

 

 

 

Erevan, 4 agosto 2002

 

Neanche un'ora fa, mi veniva sconfortando, nei pressi dell' Opera Square, di dovermici orientare di nuovo per trovare il verso di Nova Sayat street, e deviarvi in direzione di Republica Square, dove sono andato a visitare il  Museo di Storia dell' Armenia.

Fino a poc'anzi non ho visto circolare in Armenia alcun altro turista che il giovane uomo americano, stempiato, che ho ritrovato sui miei passi in Republica square, al passaggio pedsonale presso l'hotel Armenia, dopo averlo già incontrato in Sumela e a Tbilisi.

Da Erevan partirà fra tre giorni per l'Iran, con il permesso di transito che ha ottenuto grazie al visto d'ingresso di cui dispone per la Turchia.

" E quando mai potrò tornarci ancora?…", mi ha detto con l'eccitazione di chi non può eludere un'occasione irripetibile.

Benché gli occorrano quasi trenta ore di viaggio per raggiungere Theeran da Erevan, sui cinque giorni di permesso accordatigli per 50 dollari.

Per domani ci siamo dati appuntamento nella stesso punto dove ci siamo ritrovati nella stessa piazza, -Garni, Ghegard, le nostre mete nei dintorni di Erevan.

Ogni concorso e altrui soccorso mi è grato, purché ritrovi le energie e lo spirito del viaggio, dopo come, e quanto, ieri in Echmiadzin mi sono smarrito nel niente.

Anche la via giusta che malamente mi era indicata con il gesto svagato di vagolanti mani, per la mia debilitazione era un percorso da cui desistere, anche il luogo di transito ineludibile di un giardino pubblico, diventava il frapporsi di una barriera insormontabile tra me e la cattedrale, cui la via che dava accesso permaneva un adito implausibile...

E anche se non vi riconoscevo alcun tratto di Haya Gayanè, o di Hayia Hripsime, eppure doveva essere l'una o l'altra delle due chiese,  non già la cattedrale ch'era in effetti...

E che non mi degnavo di non prendere in alcuna considerazione, talmente ogni aspetto ne era un rifacimento...

Mentre tra le mie mani permaneva un libro chiuso che mi ostinavo tenacemente a non incomodarmi di consultare, la guida che avrebbe potuto rischiararmi la mente...

"To right , again to right,…", soltanto quando un religioso armeno mi ha così recitato la formula d'accesso a Haya Gayanè, muovendo dalla cattedrale, ho infine creduto in alcunché  e mi sono ritrovato nella realtà effettiva...

Ma come svolto ecco che sullo spiazzo accanto, tra gli oggetti devozionali, che vi sono esposti al pubblico, mi perturbano tre poveri piccioni in gabbia, destinati come già sapevo al sacrificio secondo i riti armeni.

Mi era intollerabile che potessero finire sgozzati, per una obbligazione irremovibile ho chiesto pertanto quanto dovessi  pagare per riscattarne la libertà, ad un vecchio e ad un giovane che li custodivano: 9 dollari, scesi poi a 7 con un pò di trattativa.

Anche se era già un assillo angosciante l’assunzione del compito, ho rinviato la decisione di acquistarne la libertà, ad ogni modo, a quando vi fossi stato di ritorno da Hagya Gayanè: ma oltre il chiostro, nel suo interno, mentre la visitavo e ne ammiravo la rigorosità esente di ornamentazione, l'esplicitazione architettonica di immediata e assoluta evidenza della sua sobrietà austera, in me era divenuta la confittura di uno spasimo impellente, il pungolo di sottrarre alla morte quegli inermi animali, in tempo  prima che potessero essere venduti a chi li sgozzasse nella cattedrale; un imperativo al quale dovevo sacrificare anche la pura gioia spirituale di avere negli occhi, nella mente, la visione d'una chiesa ch'era divenuta un mio miraggio culturale, da che ebbi a leggere le pagine a essa dedicate da Krauthaimer, come alla risoluzione architettonica esemplare dell' esigenza di realizzare una chiesa a cupola centrale.

 

Echmiadzin, Santa Gayané

 

Echmiadzin, Santa Gayané

 

Sono riaccorso dai piccioni pregandoli, come se potessero intendere, che mi aspettassero solo ancora un altro poco, ed avrei scongiurato ciò che innocentemente ignoravano del loro destino.

Al booksop della cattedrale, infatti, preliminarmente dovevo acquistare una qualsiasi cartolina, purché mi si cambiasse una banconota da 10 dollari con due da cinque; servendomi della quale, e di mille dram, al giovane ho pagato il riscatto degli animali.

Con i tre piccioni palpitanti dentro un sacchetto di plastica, mi sono avviato ad uscire quanto prima da Echmiadzin in direzione di Erevan, in cerca di un ampio spazio aperto, del verde diffuso alberi, in cui restituirli alla certezza della libertà.

Via lontano da Echmiadzin, in ogni modo, da chi avrebbe potuto catturarli, di lì a poco, ed per esporli già domani di nuovo in vendita per venire sacrificati.

Ma il tragitto era un seguito incessante di case, dietro case, di strade dietro strade, in cui le ragioni pressanti della mia richiesta ai passanti che mi si indicasse la via a piedi per la capitale armena, distante decine di chilometri, si perdevano nel ridicolo, o nello sconcerto, nel disagio a prendermi in considerazione di coloro che interpellavo, non appena mostravo a loro in che consistevano tali mie impellenze, adducendole nei tre animali che si muovevano in fondo al sacco di plastica.

Con chi interpellavo mi rifacevo ad essi, per giustificarmi, in preda ad un'ansia sempre più convulsa, esagitata dal timore che i piccioni potessero finire soffocati nella strettoia dell’involucro, prima che potessi liberarli in cieli aperti.

Ma in una di quelle vie, mentre ad un'armena spiegavo a gesti che vi facessi, che stessi cercando, uno di loro, prossimo all' imboccatura, profittando di un momentaneo allentamento eccessivo della mia stretta convulsa, anticipava con la sua fuga la via della liberazione: un attimo, ed era già volato via, su di un tetto basso di una casa, dove superato già lo stranimento, pareva compiacersi della libertà inattesa, forse così acquisita troppo prematuramente.

Con la mano non mi restava che salutarlo ed augurargli la migliore delle sorti, trepidando che la mia inavvertenza potesse appena averla fatta a lui mancare.

Era oramai tale il mio stato di esaltazione infervorata, che solo l'assennato consiglio di chi fosse ad essa estranea, poteva darvi ragionevole sbocco; un consiglio quale me lo suggeriva una ragazza richiamata di fuori da un bar dove era addetta, in quanto che sapeva, eccome, l'inglese in cui chiedevo agli accoliti di parlare: perché non prendevo un  autobus per Erevan e non li liberavo a Zvartnots, la vicina borgata dov'era la grande chiesa di  Narsete III che mi restava da visitare?

" Ce n'è del verde, a Zvartnots..."

Vi discendevo dall' autobus con il puzzo che ho ancora addosso, ora che ne scrivo nel mio domicilio in Erevan, degli escrementi che i piccioni venivano facendo nello involucro, tra volti schifati e volti di benevola comprensione dei passeggeri, e mi avviavo lungo il viale alberato che recava al tempio.

Solo quando sono stato parecchio distante dalla strada, e mi sono ritrovato nel verde tra degli alberi intorno, in prossimità di un canale, ho aperto l'involucro e ho lasciato andare via i due piccioni superstiti.

Non è facile, non solo per gli uomini, ritrovare la libertà perduta o ritrovarsi in una libertà che non si è mai avuta.

Di lì a cinque, dieci minuti, fatti i biglietti d' ingresso al tempio, e ristoratomi, li ho ritrovati poco distanti, ancora insieme e nel più vivo sconcerto, o stupefatta sorpresa o meraviglia.

 

I due piccioni superstiti, liberati in Zvartnots

I due piccioni, già distanziatisi

 

 

 

Ma non li avrei più rivisti, quando ho fatto nuovamente ritorno al sito, dopo che ho terminato la visita delle magnifiche rovine di Zvartnots.

I superstiti capitelli delle colonne delle absidi e della galleria del deambulatorio, nei protervi profili delle aquile che vi erano incise, spiravano la ieraticità mediorientale di aeree logge, dischiusa e vibrante, in cui non v'era alcun preludio della quintessenziale monoliticità volumetrica dell' arte armena successiva.

 

Zvartnots, tempio

 

 

 

 

Colonna del tempio di Zvartnots

      

 

 

Com’ era il  tempio di Zvartnots

 

 

Nella calura in cui mi arroventavo a contemplarli, mi raggiungeva la signora che era all' ingresso, un'archeologa che vedendomi talmente affascinato e intento nella mia indagine mentale, si faceva compartecipe del mio entusiasmo, ma per dissuadermi dalle mie evocazioni mediorientali, con il richiamo alla spiccata etnicità autoctona dei motivi scultorei di melograni e di viticci.

Era oramai il tardo pomeriggio, così, quando l'autobus che mi riconduceva ad Echmiadzin, s'arrestava di fronte ad Haya Hrispimé.

Sono rimasto stupefatto alla sua vista: contro ogni mia aspettativa vi ero al cospetto della traduzione architettonica, in perfetto armeno, di un archetipo aulico costantinopolitano, in cui gli incavi e le rilevanze emergenze si fondevano nell’ unità di una spiritualità geometrica che visualizzava con chiarezza, di sintesi assoluta, la semplicità immediata di apparenze in cui era stata risolta la complessità degli intenti compositivi: la realizzazione di una chiesa tetraconca con nicchie d'angolo a tre quarti di cerchio, tra le absidi, e sagrestie intermedie laterali.

Sarebbe stato forse possibile conseguire tanto, mediante la sola trasfigurazione formale di uno spirito costruttivo autoctono?

 

Echmiadzin, Santa Hripsimé

 

Non erano più che espliciti i richiami a Bisanzio, nell'equilibrio armonico tra la cupola e il tamburo per questo non sproporzionato ridimensionato in altezza, nelle torrette ad esso circostanti e  nel giro interno delle sue finestre archeggiate e delle  balaustre sommitali?

Ma entro l' empireo costantinopolitano /cosmopolitano, Haya Hripsimè costituiva pur sempre un' epifania armena, più che nell' invenzione assoluta del proprio assunto,-ha precedenti in Avan-, nell' attuazione perfetta dell' esemplare tetraconco, con nicchie d’angolo, quale pura volumetria senza tensioni plastiche, una e indivisibile allo sguardo.

Al contempo, e appunto in questo, capace di resistere ai sommovimenti sismici del Caucaso, ai quali aveva dovuto soccombere invece il tempio di Zvartnots .

Quando sortivo dall' emanazione dello Spirito Santo che irradiava l'interno della sua cupola, ero ancora in preda ad una sete boccheggiante, né la spiritualità di Haya Hripsimé mi era valsa a trascenderla, senza che potesse ancora attingere una tregua fisica della mia arsura, dal sollievo gustoso ed infimo di intere bottiglie ingestite di soda/ Coca-cola, talmente in essa era sitibonda la mia ansia.

Ed era oramai troppo tardi, perché non trovassi già chiusa Haya Gayanè quando vi facevo (ero) di ritorno.

Era spopolata, di passaggio, anche la piazza che dà adito alla cattedrale, in cui temevo che già altri piccioni avessero rimpiazzato quelli ai quali avevo restituito la libertà.

Valeva poi la pena, in Erevan, alla Pizzeria di Roma, che ordinando una  pizza con basturma, pur di assaggiare il gusto di tale carne di manzo, affumicata, già contraddicessi la mia salvazione in giornata di vite animali?

Immangiabile quella carne salatissima…

Avevo appena evitato di fare le più dovute e risentite rimostranze alla direzione, perché in menù c'era la pizza “Korleone”.-

Di rientro nell' appartamento del giovane studente di economia, per poi addormentarmi, di lì a poco, con ancora addosso l' odore escrementizio dell' animalità palpitante dei piccioni liberati.

Né questo mi bastava a farmi contento?

( Se questo non mi bastava a farmi contento…)

 

 

       

   

 

 

5 agosto

 

Ieri già il Museo di Storia dell' Armenia mi si è fatto un percorso indecifrabile, prima che la  fortezza di Erebuni mi divenisse un labirinto urarteo di cui mi precludevo una via d'uscita.

La fortezza di Erebun

 

(Ai tempi dell' Unione Sovietica era celebrata come il baluardo del primo stato che fosse sorto nei territori dell' Impero:  che fosse uno stato schiavistico passava in subordine, rispetto alla sua natura di superpotenza regionale, quasi che il comunismo avesse ereditato l'uno senza l' altro carattere.)

Ed oggi, che è domenica, mi sono irretito nel volermi recare al tempio ellenistico di Garni, nei dintorni di Erevan, intestardendomi, per poterci andare, a pervenire ad ogni costo alla stazione degli autobus Kylikia, benché potessi solo vagamente supporre che qualche mezzo di trasporto vi fosse diretto.

Seguitavo ad ostinarmi  quando già il pomeriggio era inoltrato, ed alla autostazione non potevo più trovare che chiuso ogni sportello, e nessun autobus era più in partenza per alcuna destinazione.

Una buona volta che un simpatico giovane diskjokey, assecondato dalla sua giovine compagna, mi aveva depistato in tutt'altra zona di Erevan, in cui nessuno sembrava capirmi o potermi orientare, per quanto abbia vociato (mi sgolassi) a chiedere in armeno dell' " otobus gayarani". 

Come se già non sapessi che non era a tale autostazione che comunque dovevo fare capo per pervenire a Garnì, secondo tutto quanto ho realizzato in proposito in tutta la giornata.

Stamane, al risveglio, non c'era una goccia d'acqua che stillasse dai rubinetti, nell' appartamento del giovane studente che mi ci ha lasciato solo, per trascorrere altrove il fine settimana.

Ieri sera, al rientro, mentre per ogni sportello e cassetto venivo cercando un cavatappi per bermi del vino armeno, ho notato che pressocché ogni cosa che egli possiede è stipata in scatoloni dentro gli armadi.

Su un tavolo  il suo passaporto.

Come se la sua esistenza fosse già predisposta solo per l'espatrio.

Verso la Germania, dove suo padre lavora e lui mi ha detto che vuole raggiungerlo.

In Armenia sono troppe le privazioni da subire, ed è talmente infima ogni remunerazione che ci si deve rifare a più lavori solo per sopravvivere.

E' già stato in Germania, in Francia, in una località italiana di cui non sapeva dirmi che un improbabile nome.

" Dunque sai come si vive da noi?- gli ho chiesto, anche perché non scambi per inaccortezza il mio spirito di adattamento alle sue condizioni di vita ed alle sue pretese.

Nella sua casa non c'è maniglia o manopola, o presa, che non faccia difetto o non si stacchi.

Il frigorifero, o frigosauro, un mastodonte sovietico, era l'unico elettrodomestico che vi fosse presente.

Ed emanava calore più di quanto (non) raffreddasse.

Ma in Erevan è  generale la penuria d'acqua.

Giù nel cortile dell' immenso condominio, oltre le scale e i rivoltanti pianerottoli in calcestruzzo sbrecciato, un uomo l' attingeva dalla fontana con dei secchi.

E nel ridotto sotterraneo del caffè all' aperto, presso la Cascade, entro le cui latrine ieri sera finalmente avevo potuto trarre sollievo da un' impellenza urinaria che non mi dava tregua, le acque non scendevano dal rubinetto del lavabo.

Erano quasi le nove del mattino quando stamane sono uscito, per essere puntuale all' appuntamento alle dieci in Republique square con il mio amico americano. Con lui ieri era già inteso che, se ci fossimo ritrovati, saremmo andati insieme a Garnì, seguitando poi per Geghard.

" Di nuovo è l'incontro in perfetto orario tra gli States e l'Italia", gli venivo già dicendo", " sai, in Italia io sono perennemente in ritardo su tutto, vivessi in America sarei un homeless senza più lavoro...

Qui in Erevan, in tua attesa, ho invece trovato il tempo anche per prendere nota dello spessore dei muri del tempio di Garni, dell' anno di costruzione edificio per edificio del monastero di Geghard...

Puoi vedere, nel mio zainetto, in ogni modo che cosa ho provveduto a che non manchi anche non deve mai mancare in un viaggio del genere..", estraendo la carta igienica che avevo avuto il tempo di acquistare per l'occorrenza in Kevian Street, dopo aver assunto per ogni evenienza del dissentein.

" E'  forse  perché hai il pathos di chi è il tuo nemico, o già lo è stato,  che viaggi in Armenia ed in Georgia, e che vuoi ora recarti in Iran a tutti i costi? Suppongo che l' ideale sia per te, proseguendo, fare ritorno in America dall' Afghanistan, con scalo in Libia, su qualche aereo della flotta di Bin Laden..."

Ma non sono state, queste parole, che le prefigurazioni mentali di un incontro che non c'è stato.

Intanto dall' Hotel Armenia, in una mia vana attesa, vedevo uscire degli studiosi del British Museum, colti ed eleganti e ricchi come io non potrò mai essere, per recarsi a visitare con attrezzature di ripresa e fotografiche quali io non potrò mai acquistarmi, tutti i luoghi d'Armenia in nessuno dei quali con i miei mezzi potrò recarmi.                  

Così, rinviando al pomeriggio l''impresa aleatoria di giungere a Garnì,con dei trasporti pubblici di cui ignoravo anche il luogo eventuale di partenza, -la guida di cui dispongo, della Lonely Planet, è al solo servizio di chi può fare comunque affidamento nella propria automobile o in un taxi privato,- mi sono addentrato nel vicino Palazzo in cui già mi ero aggirato per le sale del Museo di Storia dell' Armenia, e sono salito a visitarvi la Galleria d'Arte Nazionale.

Mi ci sono ritrovato, prima ancora, tra le miniature, che già mi avevano incantato, della mostra Christian Armenia-2001, diciassette secoli di Cristianesimo.

Che splendore di arcobalenii di colori, in quali meravigliosi viluppi evolvevano le colonne di comparazione tra i testi evangelici, in cui mostri arcani, pavoni, uccelli d'oro e di cobalto, si profilavano, si affrontavano, si facevano intimi in se stessi o come faville sprizzavano via, incastonando le storie del Cristo in scene di cui era mirabile l' equilibrio delle figure e dei loro gesti, nei lezionari del Regno Armeno di Cilicia specialmente.

 

Grigor

Prima pagina del Vangelo di Luca

Grigor 

Prima pagina del Vangelo di Giovanni

Grigor

prima pagina del Vangelo di Matteo

Grigor

Corano, tavole del canone

Toros, 

prima pagina del Vangelo di Marco

Toros

Prima pagina del Vangelo di Giovanni

Toros

Vergine e figlio

Toros Taronatsi

 

Pitsak

Corano, canone

Pitsak

Lettera di Eusebio

Pitsak

Prima pagina del Vangelo di Matteo

Pitsak

Prima pagina del vangelo di Giovanni

 

 

Ma discendendo dalle sale superiori, di piano in piano, ancor più stupefacente oltre i ritrovati Donatello, Garofalo, Bernardo Strozzi e Guercino, nonchè Rubens e Jordaens e Greuze, il Rousseau de l'école de Barbizon e Courbet,-  ancor più stupefacente è stata per me la rivelazione della grandezza degli ultimi due secoli di pittura armena, laddove e l' arte pittorica figurativa era così secondaria nella concezione eminentemente architettonica delle sue antiche chiese, al punto che si ricorreva ad artisti latini di Francia, o a maestranze georgiane, se il committente intendeva adornarle di affreschi.

Ma da quelle stesse miniature antecedenti, dalle pitture oleografiche tradizionali di cui era il testimone più alto era il quattrocentesco maestro della madonne di Sevan, non avevano forse tratto origine le stesse silhouettes dei personaggi dipinti di Hakob Hovnetanian?

Dai manichini delle loro convenzioni sociali, in cui ne era stato irrigidito il profilo, spiccava con ancora più vita l' individualità toccante dei volti, timidamente pallidi o fieramente supponenti, nell’incarnato di adolescenti che già sotto il peso della vita vacillavano, o di impettiti benestanti e cittadini autorevoli, di anziani sacerdoti divenuti i ministri di una religiosità quasi regale nei riconoscimenti acquisiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E Aivazovsky, Sureniants, Sarian, Tadevossian, Hakobian...

Nell'ora residua di apertura degli altri musei, dopo l'uscita, con una marsukta son pur riuscito a pervenire all' ingresso del Parco dov'è l'* , il complesso monumentale che commemora gli Armeni che furono le vittime del genocidio del 1915.

Nel Museo circolare ricorrevano le immagini, esse solo  superstiti, dei deportati avviati alla morte nei deserti siriaci, tra la gente turca che impassibile li osserva sfilare, di alcune donne, madre e figlia, che in Deir-er-Zor erano state ritrovate oramai consunte a larve scheletriche.

Altre fotografie documentavano l’ impiccagione di uomini armeni  in pubbliche piazze, mostravano cesti ripieni di loro teste, o delle scaffalature in cui altri capi mozzati di gente armena giacevano riposti, con un'impressione di vita ancora rappresa nel volto, altre ancora esponevano i cumuli ch’erano stati ritrovati dei resti dei loro corpi.

Delle immagini successive attestavano come apparivano  i quartieri di Van in cui abitavano le vittime, prima e dopo di essere ridotti a macerie e polvere, come si presentava un tempo il gruppo di magnifiche chiese del canyon in prossimità di Kizkouk, a sud-est di Kars.

Di esse una soltanto non è stata rasa al suolo, nel corso dello sterminio che ancora è in atto, in Turchia, della memoria e della tradizione armena.

Oltre lo spiazzo, sovrastato sullo sfondo dall'obelisco d'acciaio che simboleggia la volontà di rinascita del popolo armeno, ho raggiunto il mausoleo composto di dodici pilastri di basalto inclinati verso l' interno, dove in una cavità circolare bruciava il fuoco eterno della memoria del genocidio.

Intorno garofani bianchi, dai recessi il risorgere, senza fine, interminabilemente, della struggente musica commemorativa di Komitas.

 

Il museo del genocidio di Erevan

 

La fiamma inestinguibile del museo del genocidio di Erevan

 

 

Erevan, Il museo del genocidio

 

C'è una vita arcana nella morte, un popolo vive e sopravvive nella stessa memoria perenne dei suoi morti che seguitano a vivere in lui, in un'altra vita, after life, la cui risonanza ultraterrena si congiunge alla nostra vita nel ricordo che non dimentica.

 

C'è una vita arcana nella morte, un popolo vive e sopravvive in virtù dei morti che seguitano ad esistere fra la sua gente, ad ispirarla tramite la memoria che ne serba, essi ispirandola in un'altra vita, after life, la cui risonanza ultraterrena si congiunge alla nostra esistenza nel ricordo che non dimentica.

 

Era questo che sentivo dirmi e che mi commuoveva, nella musica che con il fuoco si mescolava al  vento.

Per un cristiano che ci poteva essere di strano, che sia poi finito tra il dileggio di coloro che sono della stessa stirpe delle vittime che mi avevano hanno commosso.               

       9  agosto 2001

Il giorno avanti l'altro ieri, era la grazia ionica del tempio di Garni che contemplavo superstite sulla voragine di un canyon armeno, [1] mentre ieri erano le vestigia della fortezza di Amberd e della mirabile sua chiesa d'altura, l’apparizione preservatami dai dirupi convergenti e tutelari di altri due torrenti[2],(al termine dell’ escursione con Manouk e i suoi giovani assistenti informatici, dell’ approdo rocambolesco al cui residence universitario dirò più oltre).

 

 

Garnì tempio ellenistico

 

Garni, tempio ellenistico

Rilievi delle trabeazioni del tempio ellenistico di Garnì

 

Amberd fortezza e chiesa

La chiesa di Amberd

 

Nelle sale d' esposizione del Matenadaran, l' altro ieri, i testi miniati di astronomi, di medici, di poeti e filosofi e teologi armeni, testimoniavano quanto invece,di mirabile, è  il tramite umano che nel Caucaso ha potuto sottrarre anche all'orda più atroce, e in tale arca è potuto pervenire fino ai nostri giorni.[3]

Nel monastero di Geghard, oltre Garni mi si è poi disvelato in quali nidi le popolazioni armene medioevali cercassero scampo, al riparo dei blocchi di pietra della sua cattedrale tra chiese rupestri, celle dei monaci, tombe di principi incavate anch'esse nelle rocce.

Si accedeva dal fianco laterale del gavit alle loro oscure cappelle, oltre i leoni che nella roccia scolpita da cui si aveva adito alla più eminente delle cappelle funerarie, emergevano dall'ombra del tempo concatenati ad una aquila.

Soltanto il tremolio delle candele, un forame delle volte, comunicava la luce all' arcano di pietra, nel recesso sepolcrale più interno, di croci geminanti da croci.

Nel silenzio non stillavano che le gocce della fonte sacra dell' altra cappella, finché non si è udito un canto di invisibili religiosi officianti, e la resurrezione si è compiuta, ogni divenire intercorso nei secoli si è vanificato, anime e anime erano ancora a quegli altari raccolte in preghiera.

 

 

 

 

Geghard, facciata laterale della chiesa principale

 

 

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Geghard, l’arcano di croci di pietra

 

 

 

 

 

Fine della prima parte

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[1] Variante Il giorno avanti l'altro ieri, il 6 agosto, era della grazia ionica del tempio di Garni, che contemplavo il sopraelevarsi superstite sulla voragine di un canyon armeno,

 

[2] Variante il fantasma che mi è apparso preservarsi  tra i dirupi convergenti e tutelari di due torrenti

[3] Variante erano le testimonianze mirabili che l'orda non è riuscita a impedire che sopravvivessero, e che in tale arca siano potute pervenire fino ai nostri giorni.