Cercando Kharraghan
Qazvin , Mercoledì 22 agosto 2003
lasciata Khermanshah, non è bastato che da Hamadan mi sia trasferito a Qatzvin , perché Karraghan ed i suoi mausolei divenissero per me più agevolmente accessibili.
" Kharraghan, Kharraghan", mi ostinavo a ripetere agli addetti delle agenzie dell' autostazione, ai conducenti dei minibus in sosta, finché uno di costoro è parso aver ben capito, e mi ha indirizzato ad uno dei pullmini che stazionavano in una piazzuola: che si è mosso solo all' una, ma per portarmi, via via che procedeva inerpicandosi su per alture impervie, che valicava delle rigogliose vallate, vi transitava per i ponticelli di paesini immersi nel verde propiziato dai corsi d'acqua che vi trascorrevano, risalendo tra rocce scoscese e dirupi voraginosi, nelle terre in cui mi sono ritrovato dei Castelli degli Assassini , ben oltre Alamut, sino alla destinazione finale del villaggio di Gazor Khan, non Kharraghan...
La corsa vi aveva termine giusto sotto la sommità su cui si elevava l'Hasan Sabah, il fortilizio del Vecchio della Montagna.
Senza più altre possibilità di rientro in Qatzvin, se non ripartendo l'indomani alle sette del mattino.
Ma non era il caso di sconfortarsi, il disguido sembrava assai più propiziarmi un guadagno memorabile,che riservarmi la dispersione avvilente dello sbaglio sventato, nell' amenità del villaggio sentivo la Sua mano aleggiare nella mia insipienza e rischiarare al suo termine il mio viaggio, nel turbinio dell' avventura, dell' imprevisto cui far fronte, movimentare l'anima che sanguinava ancora di aver lasciato Farhang...
Tra i ragazzi ed i ragazzini che mi si ponevano al seguito, incuriositi , mi sono rifornito di una riserva di cibo nel negozietto sottostante,- cetrioli, pomodori, dei biscotti, delle bevande-, poi, per una stradicciola campestre mi sono fatto accompagnare fino alla casipola di un allevatore che produceva il mast e il panir che avevo richiesto, lo yogurth ed il formaggio che mi ha allegramente venduto insieme con intere risme di lavashi,. Solo a tal punto ho contattato il proprietario del piccolo ostello del villaggio e ho convenuto di sostarvi la notte, e lasciati presso di lui i miei bagagli, mi sono avviato verso il Castello del Vecchio., trattenendo come mio sherpa il più piccoletto della combriccola che tutti respingevano.
L'ho congedato quando una volta che l'ho remunerato ha preferito incamminarsi verso casa sua, anziché guadagnare ancora altri ryals inoltrandosi al mio seguito verso l'altura, sicché mi ci sono avviato da solo e da solo mi sono ritrovato, irresistibilmente, lungo il percorso proibitivo che il piccolo mi aveva suggerito, la costa del terriccio scivoloso di una discarica di rifiuti, dove ho rischiato più volte di franare nel vallone sottostante,.
Ma appena ho ritrovato la più agevole ed ovvia via maestra, ch'era sotto gli occhi anche dei più semplici nel sole calante, l'ascesa verso le scarse rovine del castello mi addentrava oltre un ruscello in uno scenario fantastico, di asperità rocciose ed alte vette che in conche vallive, e amene vallette, si ingentilivano di pioppi e masserie, circostanti verso valle il dirupo precipite del fortilizio, che solo l'inesorabilità dei Mongoli poté espugnare.
Le catene montuose dell' Alborz erano tutt' intorno talmente stupefacenti, che mi estasiavano a fantasticare ancora più
, che già lungo il tragitto, quanto la sua estensione immateriale fosse stata immaginata come il paradiso della nostra terra celeste.Il sortilegio l'avrebbe disincantato la casa dei suoi avi. in un villaggio vicino, cui ha voluto condurmi Reza, il giovane studente di ingegneria ch'era di ritorno dalla regione in cui vive del mar Caspio con i suoi familiari, perché insieme con loro alloggiassi quella notte, allorché mi ha ritrovato ad attenderli al termine della ridiscesa dal Castello, nel timore che a quell' ora tarda, quando anche il custode aveva lasciato il sito, si fossero avventati in un'impresa foriera d'incidenti per i più piccoli della comitiva,.Tale dimora ribassata e vasta, in cui d'inverno sarebbero rimasti a vivere tra la neve solo i suoi nonni, nelle sue sue pareti sconnesse, ricalcinate, mi avrebbe riesumato le vicissitudini invece tragiche di queste regioni in questo mondo materiale, lo zenzelé, il terremoto, che incombe sul destino della sua gente.
Sul furgone di uno zio di Reza, l'indomani prestissimo, siano ridiscesi a valle sino a Qatzvin, - era piovuto nella notte, e nell' umidore del guazzo le greggi venivano riavviate al pascolo sul fare dell' alba, avveniva nei prati già la fienagione, le vicissitudini al di sopra delle quali, oltre Alamut,
finivamo immersi tra le nuvole, nel sole riapparso, ora investiti da venti che intirizzivano anche le ossa sulle sommità dei passi, ora dal caldo avvampante, che ci disseccava, come ci raccoglievano la discesa ed il fondovalle
All' arrivo in Qazvin , accanto a Reza, a sua sorella ed ai suoi cuginetti. |
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Al rientro in hotel, prima di uscirne di nuovo di lì a mezz'ora, mi facevo stavolta trascrivere in farsi Kharraghan, in tutta l' evidenza di caratteri capitali.
E questa volta non equivocavano all' autostazione.
Del resto, a diradare ogni dubbio, mi era di soccorso l'immagine stessa ingrandita dei due mausolei di Kharraghan, in un depliant che rinvenivo di fronte alla biglietteria a cui ero stato condotto.
Lungo la strada per Hamadan sono disceso all' altezza della cittadina di Abgarm, e attenendomi a quanto assai vagamente mi si indicava, su quanto Kharraghan restasse ancora distante, se ci fossero mezzi di trasporto collettivi che vi recassero ancora, a quell'ora già tarda, a dispetto dell' incognita della distanza effettiva, delle esortazioni a ricorrere a un taxi di altra gente del posto che interpellavo, mi sono avviato a piedi lungo la strada che conduceva al villaggio, chissà dove dislocato, da cui Kharraghan era raggiungibile direttamente, confidando che qualche vettura prima o poi si sarebbe pur arrestata: e così è stato, secondo la moaddab immancabile delle genti iraniche.
Due fratelli mi hanno dato un passaggio, non solo fin al punto della strada , più di venti chilometri oltre, in cui i due mausolei sono apparsi sulla destra, ma finanche all' ingresso nella piana distante, offrendomi, se avessi voluto, anche ospitalità per quella notte: e lì, arrivato alla meta finale, vi sono pervenuto per accertare come e quanto, e da chi, se non lo zenzelé, i due monumenti fossero stati ridotti a drammatiche rovine.
Erano crollate anche le cupole interne, e le pareti superstiti dei due ottaedri mistici erano tutte appuntellate ed intralicciate: eppure la meravigliosa eleganza dei due mausolei selgiuchidi ( l'uno risalente al 1093, l'altro al 1068), aleggiava ancora nella piana brulla tra i monti distanti, nelle costolonature che illeggiadrivano la loro ariosità circolare, nell' ornato di pietra, parietale, che evocava una rugosità pachidermica, finemente impreziosita.
Quanto vi è di più semplice ed umile, e fondamentale, la materia delle pietra cotta, il punto circolare, la retta o la linea curva, vi era stato trasfigurato nell' invenzione delle più fantastiche geometrie combinatorie: nell' incrociarsi, nell' intersecarsi, nell' appuntarsi ad angolarsi dei pattern, da cui sortivano fiori e stelle, una fantasmagoria di croci e serpentine.
Da quanto è più povero, ed elementare, era stata così desunta la trama infinita del complesso, in un incanto che mi evocava le forme aritmetiche di Paul Klee quando sbocciano nei prati celesti, interiori, dell' immaginazione più pura dell' invisibile, (così come è accessibile al solo occhio bambino).