Più
volte, ogni giorno, prima di accedere alla medersa , per le lezioni coraniche,
il nuovo giovane maestro doveva compiere le abluzioni rituali per purificarsi. Poiché era
tornato a toccarsi le carni di nuovo.
Così,
nel piacere del proprio nerbo , si consolava di non averne il commercio con
giovani ed uomini. Per una sua incapacità d'animo, e nel timore che se ne
divulgasse la diffamazione. E vi si ostinava benché fosse consapevole che
quegli atti lo isolavano in una religione senza più cuore, e la pratica di non
fare uso di se stesso che in solitudine, lo grondasse di vergogna sotto lo sguardo di
ogni discepolo ed uomo.
Nemmeno
il senso nonostante tutto della sua elezione, in lui sempre più debole, poteva farlo desistere o
limitarsi, per quanto fosse consapevole che in quegli atti egli si ottenebrava nella stessa vita
delle genti perdute, la stessa che si consumava
dietro gli sporti anche delle più nobili case, di cui le donne si
purificavano alla fontana le mani e la bocca Tanto meno ignorava come tra gli
allievi che il mattino si chinavano devoti nella preghiera, dinnanzi al suo
sguardo ( ),
la sera i più belli si chinassero nei vicoli all'altezza di un ricco straniero.
Ma
non poteva più nulla, in lui, lo stesso tormento di divenire così schiuma del
torrente di Allah, perduto alla sua luce nella corruzione delle cose sensibili.
La
manipolazione di se stesso non terminava di esasperarlo: benché la precedente
effusione avesse avuto un lascito ancora più amaro, già lo esaltava,
ritemprato il solo
riaprire la djellaba alla vista della propria animalità, il tatto di nuovo
della sua eccitazione sudata, la bellezza allo specchio della sua vitalità
intatta.
Nella
sua dissoluzione, soltanto, egli trovava un'intimità con la sua natura, da cui
sentiva di doversi bandire ad ogni uscita tra gli altri, per mostrarsi decoroso e conforme
alla Legge.
E
proprio quanto più così si assecondava, tanto più poi si doleva di oscurarNe
lo specchio, quindi si
mescolava fra gli altri, riguardandosi da ogni finestra, in ogni interno, come
la ridicola pena che immaginava di suscitare negli altri.
Finché
non fosse stato che carne in se
intenta (volta), luce spenta di spiritualità celeste, si rampognava,
ogni giorno, che per lui non vi sarebbe mai stata conoscenza del cuore, la sua tensione
essendo una corda usurata fin nell'intima fibra.
E
come poteva dirsi ancora maestro? Egli la cui verità era diventata il desiderio
impotente della genitalità dei suoi allievi, quello sfogo dei sensi di cui la loro virilità
pervenuta alle donne non aveva più bisogno; seguitando fra gli uomini ad
abbassare lo sguardo nel timore della irrisione.
Eppure,
ciononostante, in che seguitava a presumersi ancora un eletto?
Ma
se non si asteneva nella carne anche da questi suoi atti, come avrebbe potuto
mai divenire la parvenza dell'Adamo perfetto? si chiedeva anche quel giorno nel cingersi la
veste, distogliendosi da un volo di colombe e dalla fragranza di oleandri che si
era espansa nel suo giardino, mentre con la mano ancora insisteva presso lo
specchio.
"
Ah, come sono interminabili le potenze della costrizione, si dice irrigidendosi
mentre perviene all'acme, nell' istante che si vanifica lo sforzo di contrarre la
carne per
non espandere il seme, "quel fluido di una vana maschilità", come si
compiace di considerarne l'effusione in atto; ed in tanto si ripete che così, e
non altrimenti, lo ha voluto Allah nella sua natura di uomo, secondo la riformulazione dell'alibi perenne
del suo cedimento.
"Mi
avesse visto, ora è un istante, il discepolo ch’è più caro alla mia carne
nella sua irraggiungibilità, come potrebbe riaccostarmisi nella sua
venerazione? E mia madre piangerebbe la miseria della maschilità a cui mi ha
generato".
Riaccostando
le grate, prima di uscire, nel balenio rivede i gesti con i quali, ieri, quei
giovani carovanieri alludevano ad una loro castità che valeva nei soli riguardi delle
donne, mentr’erano intenti a disciogliersi i sandali per le abluzioni .
La
santità del luogo ne aveva esaltato lo splendore delle carni nella reticenza
degli atti, all'accostarsi delle loro gole nella reciproca cura dei crini
ricciuti.
Egli
si
rimorde il labbro, nel distoglierne l'immagine sempre più provocante.
All'uscire
per i vicoli, incontro ai suoi allievi, i suoi sensi snervati li sente più succubi della luce
abbagliante, il biancore dei muri ne stordisce la fragilità accecata, lo
esaltano più trepidamente colori e fragranze.
Saluta
frettolosamente i conoscenti che incontra, temendo con loro di stentare e
confondersi,
E’
solo nella più immota luce accecante, che il suo fervore consunto brama di
estinguersi.
"In
me non potrà più sbocciare l'interno dell'uomo",gli ripete intanto il
compiacimento della sua disperazione, " se anche la luce più netta, la più
pura, è l'ardore stesso che vela l'occhio del cuore".
Egli
ha già nella mente quale sia il versetto del Libro, che la sua sottomissione
alla carne commenterà ai discepoli: " Non è dato all'uomo che Dio gli
parli altro che per una comunicazione da dietro un velo, oppure Egli gli invia un
Angelo".
Intanto
che così prefigura la lezione del giorno , la sua cortesia ricambia intimidita il profumiere che lo
saluta.
Attenendosi,
con
una voce che si fa sempre più sottile, a salutare anche il macellaio
che gli ha rivenduto in settimana della carne guasta.
"Io,
per il decoro del mio abito, sono il servo timorato di ogni uomo. Ma proprio così,
provoco negli altri ogni atto malevolo che presagisco.
Come posso, dunque, sperare ancora nella Sua Legge?
Nel
mentre, per il mio timore, non sono nemmeno l'uomo di me stesso".
Quand'è
nello spiazzo della Mellah, lo accoglie un gridio di bambini che saltellano per
strada come degli uccellini sui rami.
"
Quand'ero uno di loro, già ne ardevo e non ne sentivo la colpa. Ero innocente e
senza paura negli atti.
Fu
poi, che mi formularono la Legge e s'intorbidò la Luce."
Giunto oltre le porte, nel suk dei calderai, con il rumore dei battiti, dagli antri, ne colpisce i sensi il braciere dei crogioli.
"Nel fuoco che li apprende, il
ferro e la fiamma si nutrono l'uno dell'altra. Anche nel mio ardore impuro Egli
dunque si esalta. E quanto più ne brucio Lui si avviva".
Poi
all'angolo del fico, tra la polvere addensatasi sulle sue foglie, nel loro
vividio la consunzione
dei frutti rinsecchiti.
" Io ugualmente, non altrimenti sparirò in me stesso...
Come gli escrementi,
Si
reimbatte allora, all'altezza dell'hammam, nella comitiva di giovani carovanieri
i cui splendidi corpi ieri ha spiato intenti alle abluzioni.
Ed
il rimpianto è il nodo alla gola che lo stringe se si volge indietro.
Dai
loro discorsi era trapelato che si recano verso un'oasi più a Sud.
Nel
mentre, come si lambiscono e sottintendono...
Il
più bello e prestante signoreggia sugli altri. Succubi al suo seguito, alcuni
di loro a prova suonano flauti.
Vanno
al palmeto, nel cui folto trascorreranno insieme la notte.
Li
guata di nuovo sotto l'arcata, tra il variegarli della luce traverso i graticci:le loro risa, ed i sussurri, facendosi
sempre più gravidi di complicità notturne.
Potrebbe
ancora essere ben accetto al loro servizio, purché si pieghi ad
ogni loro volere, ad uno ad uno...
E’
ormai prossimo alla medersa. Il suo ansito nel petto non ha tregua.
Come
il primo Adamo si sente di fronte a stesso in una vertigine di stordimento, ed è solo
in una spogliazione mortificante che intravede i suoi gradi ascendenti.
Abbia
pure il solo Suo libro delle ore e dei giorni, in pagine e pagine di sfinimenti
abietti, pur di sfamarsi anch'egli nell'immondo, quando, di padrone in padrone,
gli sarà inflitto il gusto di offendere più ancora il suo avvilirsi.
Lo
soccorre il pensiero, mentre supera la medersa, che quando l'Adamo iniziale
convocò le forme di luce perché si rivolgessero al loro Principio, se non le
avesse rese sensibili, si sarebbero sempre più
"Ed
anche per me, non c'è più Luce
Sciogliendosi,
già oltre, al seguito dei suoni verso il palmeto.
(All'alba,
al biancheggiare del sole, dove due cani selvatici ne sparpagliavano i resti.)