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Due morti

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Haiku di un uomo a un uccellino

Canti, che non sai,

che anche tu avrai fine

prima o poi

 Quando in Piemonte, sulla via della Sacra di San Michele, mentre stavo per arrivare alle Chiuse dalla stazione ferroviaria,  in un cartello di uno spaccio ho letto che vi si vendeva sapone di Aleppo, forse aveva avuto già inizio irresistibilmente il mio viaggio in Siria.

Mi è parso il richiamo senza più appello dell'inevitabilità del viaggio, quale ragione ultima del fatto ch'io fossi in Val di Susa per ricondurre dalle vacanze mia madre che vi soggiornava,   lei così avrebbe potuto tenere presso di sé il mio uccellino ora compianto, che avevo lasciato in cura ad un negoziante fidato della mia città.

Nemmeno lo strappo lacerante di quando, a rovinare i miei conti,  è sopraggiunta l' ulteriore bolletta d'acconto dei miei consumi di gas, poteva più farmi recedere dal viaggio ch'era già intrapreso, per quanto gualcissi e mi trattenessi a stento dal fare a brandelli il passaporto con il visto d' ingresso, fresco di consegna in mattinata.

Sotto quel grido, a dilacerarmi l'anima,  v'era in verità la mia disperazione per lo stato di deperimento e di afflizione del mio uccellino, che il  signore a cui l'avevo affidato aveva constatato e mi aveva fatto accertare, e ch'io nelle mie cure assidue e pavide anche solo di inquietare l' animaletto, nell' afferrarlo, non avevo che confusamente percepito e rimosso.

Ah, quell' unghia rotta, quella zampina gonfia e sofferente, quel suo ostinarsi allo specchio in contemplazione di sè, in mancanza di una sua compagna che lo ravvivasse...

Era già stato tentato, quel signore, di immettere in gabbia con il mio uccellino una canarina, ma confidava che mia madre, cui lo avrei affidato , con delle cure più attente che le mie...

Anch'io, pur di partire, forse ho finto di confidarvi...

" Mi dispiace per la morte del tuo uccellino, mi ha scritto Francisco, quando al rientro gliel'ho scritto . " Soltanto ti posso dire che credo che troveremo Là tutto quello che abbiamo amato Qua con vero e puro amore. Inna wa'd Alla' haqq:la promessa di Dio è vera, dice il Corano."

Per lui il viaggio è finito bene, mi comunica. Di fatto non aveva alcuna voglia di ritornare in Occidente. Stava molto bene là in Siria, senza fretta e stupide cose. Vi sarà di nuovo l'anno prossimo, per seguitare la catalogazione dei documenti siriaci della Comunità maronita.

Adesso è all' Università, dove insegna ebraico, siriaco e letteratura dell' Antico Oriente. La sua nuova cas è uno studio molto piccolo, ma bello, nel cui interno  chissà come sosterrà l' inverno di Castiglia.

In breve, è contento e  incantato ("illusionato"), al nuovo anno che comincia,

" Non ho piani nella testa e la vita mi sembra un dono bellissimo".

Sono scoppiato in lacrime a queste sue parole, vere e lucenti, a quanto di stupefatto incanto le ammanta, a che in esse mi si ripromette, in Paradiso, di felicità radiosa con il mio uccellino, quand'io ancora ieri, nella mia fede nulla, nel volto del Supremo immedesimando il ghigno di scherno del Maligno, non spasimavo che di congiungermi a quel mio esserino cadavere e con quello di Bibò , confondendomi con le loro impalpabili ceneri nella cremazione.

Caro Francisco, amico mio, che atrocità insostenibile mi è la bellezza della vita che per te è un incantesimo, talmente mi strugge il sentimento di tutto quanto è caduco, e fu così mirabile e grazioso, di come non ne resti più niente, se non il ricordarlo inconsolabile,- tormentati dal senso di colpa per essergli superstite ancora vivendo, qui ed ora, solo in quanto si è ancora partecipe di questa forza meravigliosa ed orrida, che bellamente sopravanza e annichilisce (nientifica ) tutto.

Il gran bene che ti voglio, Francisco, come a mio padre, ai miei uccellini defunti, ha origine da quanto, come loro, anche tu ami stupefatto una vita di cui ho disamore, e sei grato, come di un dono, di tutto ciò che mi è un incolmabile vuoto.

Che ingratitudine rancorosa la mia solitudine inospite...

Io che in tutto sento una privazione, vivo il dono come un abbandono, e nel dolore ho la mia estasi.

Speri di vedermi qualche giorno nel futuro (" la-amriki, ma fi-l-ard ba'id'alà-l fatà!", " Non c'è sulla terra un luogo lontano per un giovane," dicono i beduini").

Spero sia così, per davvero, anche s'io, non più giovane, sono un tardo autunno nella mia disperazione ingrigita.

Mio padre, il mio uccellino, che identica pena la fine di entrambi.

Entrambi privati dal morbo della loro motilità, mio padre dell' uso degli arti nel suo letto, l' uccellino di ogni sua possibilità di volo in fondo alla gabbia, inconsapevoli, l'uno e l'altro, che la perdita che li stupefaceva o che li sconsolava era irreversibile, che ne anticipava di lì a poco quella della vita.

E com'entrambi hanno tentato penosamente di reagire, l'uno nei sussulti d'appetito ad ogni chemioterapia, l'uccellino all' iniezione nel petto di vitamine e glucosio, prima che subentrassero in mio padre la nausea e il disgusto, nell' animaletto la voracità a vuoto delle sementi, che sul fondo della gabbia si rotolava a tentare di ghermire, la bocca od il becco ugualmente impastoiati di ciò che non vi scendeva, che non deglutivano, che cagionava ad entrambi una crisi atroce nello sforzarsi ad assumerlo, una insofferenza rabbiosa, o mordace, contro chi li assisteva e ne tormentava ancor più la fine,- prima di quel grido dal fondo della presunta incoscienza di mio padre, ( " ma non sono capace!...), dell'ultimo sforzo a cui lo inducevo sollevandone il capo sul pastoncino, che uccideva nella mia mano il mio uccellino...

Il testo è stato scritto  nella seconda metà del 2000

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