"No, no, non può essere così...! Dammi a leggere, a vedere..." L'amico tace e non reagisce, lascia che sia lui , per controllarla di persona, ad accostarsi stizzito alla raffazzonatura del testo che gli stava dettando. Prima della imminente conferenza della sua consacrazione definitiva, ora a lui stesso quel testo appare ancora un guazzabuglio, come i caratteri scarsamente leggibili della sua grafia in corsivo, al tempo stesso in cui deve tramutarlo nella trascrizione in anteprima, sui grandi schermi, della sua rivelazione finalmente a un grande pubblico. " No, no, ma come puoi anche solo immaginare, che io abbia scritto parole di una tale ovvietà banale..." Fa anche l' offeso, mentre l'altro seguita a tacere e si allontana. Ed invece, in quelle sue tracce, quello che legge è esattamente quanto l'amico a viva voce gli ha appena riportato : "...................................... a consolazione l' infinita amara bellezza di ogni cosa mortale". Vorrebbe ora davvero pensare, in un eccesso di autocriticismo intemperante, di essersi sbagliato sul proprio conto, che quei versi siano invece quanto di più bello, di più alto, si possa mai scrivere nel suo tempo, quei versi che sono la clausola finale insostituibile del suo poema, l'antitesi in cui tutti i motivi della sua esistenza poetica giungono a un bilanciamento conclusivo prima della stretta finale, se crolla il quale tutto il resto viene meno. Ma senza possibilità di scampo, un vano clangore gli risuona in quelle altisonanti vuotaggini, il detto e ridetto della tradizione poetica di un secolo appena al termine, che in lui è divenuta la ripresa insignificante di un ritornello scontato. E ' lui stesso che vi si rivela una pochezza, nella presunzione delirante delle sue aspirazioni poetiche, altro che l'erede capostipite di cui i convenuti, che già accorrono nelle hall , attendono l'esordio folgorante! Vorrebbe adesso convulsivamente cambiarli, quei versi fasulli, trasfigurarli , con un colpo di genio, nella parola poetica che lo ripristini nell' alta considerazione di sé, ma non è più in tempo a niente, come non è più in tempo per rimediare con l'amico, per ritornare ad essere, e a riapparirgli, chi ha creduto di essere e di costituire per lui. Si è tradito con le sue stesse parole, con la stessa arroganza insolente con cui ha ferito chi pure ha piegato al suo corso quello della propria esistenza. Ma è in grado di intendere, con allucinata frenesia, che cosa gli resta da fare e da dirgli. Lo raggiunge per le alte scalinate dei saloni dove accorrono i convitati, lo afferra adesso per un braccio, vuole che lo senta bene senza più possibilità d'appello: " Perdonami, negli scartafacci stava effettivamente scritto quello che mi hai dettato, è tutto ciò che ho creduto di essere che è stato davvero un equivoco , in effetti io sono proprio la nullità di cui hai riportato le esatte parole, perdonami se ti ho sacrificato ad essa, io rinuncio ora a parlare, vado via e ti chiedo scusa di tutto, ti lascio nella più profonda vergogna..." Ma l'altro si limita ad afferrarlo per una manica e a sospingerlo oltre. " Non è ora il momento per questo, fatti avanti che tutti ti aspettano". Dunque, per l'altro, è soltanto una manifestazione isterica ciò che per lui è il tracollo di tutto, la rovina fallimentare del progetto in comune delle loro esistenze? Il suo riscatto estremo non costituisce per l'amico che l'estrema pagliacciata, che non può minimamente consentirgli, proprio ora, di prendere nemmeno in considerazione. Che ne è di tutto ciò che ha creduto di essere, che fosse, se lo stesso gran gesto con il quale ha creduto di clamorosamente rifarsi, è solo la buffonata dell'estremo amor proprio della sua nullaggine, senza valore effettivo, di cui l'amico ha sempre saputo e gli ha sempre taciuto che egli è... A questo punto ti risvegli , sul far del mattino, dagli eventi dell' Altro rispetto a te stesso che ti ha visitato stanotte. Ecco che cosa ti prefigura il Suo arrivo nel sogno che ti ha scosso talmente, ti dici con il cuore che per l'emozione ancora ti batte, che cosa ti accadrebbe qualora la tua vita non fosse la solitudine in cui credi miseramente di trascorrere. Non avendo nessuno che ti legge, che intenda leggerti, che intenda porsi al servizio della tua vita di solitudine e di mortificazione, all' in fuori di tua madre che attende il tuo arrivo nel mattino domenicale. La metterai all'opera un intero giorno, con i pantaloni nuovi di cui fare l'orlo o con i giubbotti di cui ricucire le tasche. Ma prima dovrai differire la partenza, se al lago vuoi tornare dal cigno per il quale è finita, che con l'ala spezzata non ha più molto margine di vita. Fuorché la semente che pietoso gli porti a riva, dove staziona nel parco, come te anche lui indifeso dagli attacchi dei cani randagi.
Chiedendoti se anche per lui, sopraggiunta dal largo, almeno accanto ci sarà ancora sua madre, Come ieri sera, quando da lui hai fatto ritorno, fra le brume ottobrine, a vigilarlo in acqua mentre dal suo male lui era impedito/ trattenuto sul molo. (in acqua ci sarà ancora sua madre, che ieri sera lo vigilava in acqua fra le brume ottobrine?). |
Il cigno