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Caro, piccolo mio,
mio spirito uccellino sempre più inconsistente, sempre più morto e sempre più assente, per vuote che restino queste mie stanze senza di te...
Basta l'usura del tempo, per il fatto stesso che passa, sempre più a vanificarti nella mia vana vita, l' assimilarmi ogni giorno in ulteriori affanni, perchè tu sbiadisca insieme con le consuetudini dismesse che ti riguardavano, di quando qui primeggiavi ed io ti accudivo con ansia diuturna.
Che gelidi tuoi resti sempre più induriti ritrovo nel frazer, nell'oscenità dello scempio che la morte ha fatto della tua povera grazia.
Infinitamente tale, quanto tu eri in gabbia così piccolino e solo.
Oh, mio tormentoso morticino che mi voliti intorno, è la mia vitalità stessa, perseverando, che in ogni suo attaccamento è un tuo tradimento, come già lo è stata della memoria di mio padre, in me e mia madre, la mia vitalità, in quanto persevera, che che ti è venuta smarrendo quando più credeva di perpetuarti, da che la stessa cura che ti riservavo, ho preso a volgerla ad altri animali.
E' successo, fatalmente, per quanto riesumassi il ricordo delle parole che ti dicevo mentre tu mi fissavi stupefatto di che ti accadeva, senza poterti più reggere al fondo, che con il becco con cui traevi ancora respiro al bordo della gabbia:
" Sappi, mio caro, che tu sarai sempre il mio uccellino, che non avrò mai altri uccellini all' infuori di te..."
E invece che assottigliarsi del mio sentimento di te, già nell' assiduità con cui cibavo gli storni dell' albero grande che fronteggia la stessa stanza in cui te lo ripromisi, poi nell' insistenza con cui cercavo i contatti con qualche gatto randagio, giù nel cortile, lungo le rive del lago, prima ancora che sia tornato a rivedere, a ricercare, le quattro anitre che da settimane, oramai ogni giorno, vado a nutrire presso le stesse acque.
Quando vanno a spasso e si dimenano tra le erba, nel loro fulvo piumaggio che sul capo si fa iridiscente, o la femmina protende il suo becco, famelica, a distogliermi dalla mano il brano dello stesso biscottino che ti nutriva, senza la tua ritrosia, fugace, ma con la medesima tua paura che la fa subito recedere, suscitano lo stesso irresistibile trasporto, lo stesso intenerimento, che quando tu eri in vita nutrivo per la tua cara bellezza piumacea, per i modi in cui accudivi a te stesso incantevole in gabbia.
Ma mi senti, uccellino? puoi sentirmi ancora?
No, che non puoi più sentirmi, solo che la la mente, come ora, si faccia memoria per altri, della mia specie, delle circostanze del mio incontro con il gruppo palmipede, impellenza di dirlo in un altro file.
Ma seguiterò, come potrò parlarti.
Caro, caro, ora come sempre.
E' stato quando non avevo più altri scatti di foto nel rullino, che soltanto allora ho scorto quelle quattro anitrelle in gruppo al bordo del lago. Nel dimenio piumato del loro culetto, vi si affaccendavano ove la radura della prominenza in uno scenario di pioppi termina il parco, gravemente solenne come il sacrario arboreeo di una tela di Bocklin.
Quel giorno, ventoso e solare, ero uscito a scattare quelle ultime immagini perchè oltre l' altra sponda potevo intravedere, talmente era limpida l'aria, finanche le prealpi a incastonarne lo specchio d'acque.
Il rullino l' avrei così esaurito, e finalmente avrei potuto recuperare, con il suo sviluppo, il negativo che già da mesi vi vi era impresso del mio viaggio in Siria.
Ma è stata la simpatica bellezza di quel gruppo palmipede a rimanermi viva nella memoria, più che quello scenario che è rimasto accantonato nelle sue immagini che ho ritirato, senza più riguardarle, così come si è perduto in realtà nell' opacità atmosferica abituale.
Mentre quelle anitre e morette così incantevoli nel loro piumaggio, iridescente di verde sul capo dei maschi, brunito di tonii bruciati e di variegature di grigio sul resto del loro corpo,- umido di tonalità terracquee invece quello della femmina-, da allora sono tornato sempre più spesso a ritrovarle, oramai pressoché ogni giorno, dapprima soltanto per rivederle, poi per nutrirle dei biscottini per gli uccellini e di pastasciutta che appronto esclusivamente per loro, lasciando che altri rechino le loro leccornie ai più magnificenti cigni che bordeggiano le rive.
Già le prime volte, dopo essersi nutrite del cibo che lanciavo ad esse nell' acqua, quando ne sono uscite mi sono rimaste appresso come le ho avvicinate, e allorché a loro ho sbriciolato il biscotto, prima la femmina poi l'uno, l'altro maschio, sono venuti a beccarlo voraci dalle mie mani .
Ho fatto da loro ritorno anche sotto la pioggia, quando il cielo di sera era oramai annerito, nella gioia che prima o poi mi apparissero immancabilmente, dall' uno o dall' altro capo di quel solo tratto di costa,o più ancora contento, che risalite sulla terraferma, potessi accostarle inoltrate nel parco in cerca di cibo.
Sono bastati quei pochi giorni per apprendere i caratteri del loro piumaggio nelle specchiature celesti o nel ricciolo maschile , e già intristisco che prima o poi migrino altrove.
In poche settimane, soprattutto*, ne ho assimilato varie abitudini di vita, i riti e le trasformazioni d'aspetto che comportano .
So pertanto che vanamente, lungo quel tratto, si approssimano alla riva un'altra anitrella con il suo compagno germano: è successo infatti anche ieri, immancabilmente, che mentre su un solo piede palmato le altre tre anitre del gruppo sostavano a riva, non appena l' incauta coppia si è avvicinata, colei che era di guardia si adergesse in volo, di vedetta, e che dall' acqua in cui si era reimmersa accelerasse la nuotata prima di spiccare il balzo, per raggiungere implacabile la coppia, dibattendo le ali, con il becco proteso, a discacciarla dall' esclusiva del loro territorio.
E' la stessa inesorabilità con la quale prende il volo ad ogni altro stormo di anitre che faccia rotta nel lago, poco più al largo, infallibilmente intercettandolo e deviandone il corso.
Solo dopo di che, a missione compiuta, ritorna a riva per planare nelle acque in cui fila e rallenta e va a rifarsi, non più impervia, l'anitrella che solo galleggia in quel torbido specchio, placida e lenta in attesa delle altre .
In che acque fangose, e luride di rifiuti, poi si ricompongono e sguazzano in cerca di cibo; nel loro cabotaggio, ricordandomi, allora, quei miei allievi che in rete si alimentano dello schifo delle chat lines.
Nella loro ricerca, quando si immergono, gli anitroccoli si profondono talmente , che il solo culetto piumaceo ne fuoriesce dall' acqua.
Oggi che nel lago livido sotto un cielo di pioggia non le vedevo in nessun dove, e che lo specchio d'acqua era percorso solo da qualche folaga o svasso, da quelle due anitrelle per una volta tanto indisturbate, la sua distesa era cupa della mia apprensione, ma che contentezza le è subentrata, quando di ritorno, chissà da dove, le ho viste sbucare a riva e risalirla.
A loro volta, come mi hanno ravvisato, mi sono corse intorno, rumorose, per il biscottino che sbriciolavo e porgevo loro. La femmina era talmente famelica che veniva a ghermirmi, a beccarmi in mano, anche dopo che non mi era più rimasto che porgergliela vuota.
Che meraviglia, incantevole, tra l'erba e le margherite ritrovarmele intorno, che mi scrutavano, disteso fra loro, senza particolarmente temermi se non facevo bruschi gesti, solo che le lasciassi toccarmi senza cercare io di toccarle... per poi voltarmi e puntualmente, quella ch'era già stata di vedetta, ritrovarla che mi aveva aggirato alle spalle e mi stava al fianco, dirimpetto alle altre, dopo ch' era parso che costoro finanche l' avessero rimbeccata se si appressava a cibarsi , perché non disattendesse la loro guardia. Potevo sentirla che col becco mi tastava gli indumenti di jeans, il lembo di plastica della giacca a vento... Se non fosse stato che mi insinuava il sospetto o la vaga inquietudine, in questo, che di me stesso si fosse lì appostata di guardia , pronta a saltarmi istantaneamente di spalle alla nuca, se solo io avessi toccato la femmina o qualche suo compagno....
Poi mi lasciavano per il loro guazzetto, ma la femmina, soprattutto, mi era parsa così vorace e bisognosa di cibo, che più tardi ho fatto ritorno, a sera, con un altro pacchettino di biscotti che avevo preso al supermarket.
E di nuovo le ho calamitate, mi sono state intorno, di nuovo mi è dispiaciuto di doverle lasciare, allontanandomi solo quando si sono riavviate con un salterello in acqua.
Nella sera, sulla via del ritorno, pregando lo spirito del mio uccellino di perdonarmi, per la nicchia d'affetto in cui le care anitre mi si sono addentrate:
" Avevano talmente fame, avessi sentito come la femmina mi beccava vorace dalla mano il biscottino che tu sai... "
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