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12
    Marzo 2013

Stamane mi sono risvegliato ancora in uno stato di depressione suicidaria. Ho annuito passivamente ai propositi di Kailash di andare a Chhattarpur per avviare la pratica del conseguimento di una sua licenza di conduttore di autorickshaws, una volta realizzate in Khajuraho undici, dodici sue foto seriali di riconoscimento, per l’occorrenza, non senza esserci prima recati  alla scuola presso il tempio di Chatturbuja per risalire al ragazzino che secondo quanto alcuni suoi compagni avevano raccontato a Kailash sabato scorso, aveva ritrovato il portafoglio che vi ho smarrito, per essermi caduto dalla tasca della tuta dove l’avevo malamente riposto, dopo avere fatto l’elemosina ad una vecchia rattrappita in(di) una secchezza miserrima. Ma prima mi attendeva la scuola, dovevo riaffermare le ragioni del mio visto di impiego in India, per pochi che fossero gli studenti che ancora potevo racimolare, dato il disinteresse con il quale il principal disattendeva dall’assicurarmi un seguito più nutrito, dopo che per egli è venuta meno ogni possibilità di trarre un guadagno dal mio insegnamento. E quanto agli outsiders, niente mi stomacava di più che ritrovarmi con i soli due boys streets che ultimamente avevano richiesto il mio insegnamento, per apprendere poco più che il frasario di seduzione  che a loro interessava.  Solo due sere avanti anche Ganesh si era mostrato a conoscenza dei rapporti sesuali che uno di loro, diciottenne,  aveva avuto con una signora tedesca quaranticioquenne, prima che questi mi accostasse per strada sulla vettura che il padre gli aveva appena acquistato, supponendo che lo felicitassi

      “ Ma io sono povero, sono povero- gli ho gridato desolato, pensando a me e a Kailash, dalla vita

       così  tribolata e  senza riconoscimenti di sorta. al nostro operato virtuoso, a quanto poco sentissi                          di valere per quel giovinotto,  se di me non si poteva rilevare: "But he has a lot of money! ...",  a discolpa di tutto e merito eccelso.

Anche per questa ragione non potrei differire oltre l’acquisto di un motoricksaw Ape per Kailash, ripartirei dall’India senza che per lui  si sia tratto frutto e costrutto dalla mia  permanenza nella sua casa, e per quanto sia mirabile e virtuoso, la pressione malevola della gente locale e del parentado si farebbe per lui difficilmente sostenibile.

Ma occorreva essere assolutamente certi che i tre mila euro occorrenti pervenissero sul suo conto corrente, ed era dubbio quale fosse il numero identificativo della filiale della state Bank of India presso la quale ne era titolare.

Ma stamane ero di umore velenoso nei suoi riguardi, manifestandomi diffidente dei suoi intenti reali  e larvatamente a lui ostile, un’opacità sordida  che mi indisponeva nei confronti di  ognuno, e di ogni cosa, desolava ogni mia vista ed ogni mio incontro, solo la lettura de “ L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta mi riconfortava con la prospettiva di vivere ancora, dopo che anche un libro recente su Ramon Panikkar era finito da me scagliato contro un muro, e nello splendore mattutino del marzo indiano, finalmente uscivo di casa sporco e con la barba incolta, con una gentilezza squisita eludevo ogni contatto effettivo con il principal, e solo la mite bellezza dell’incantevole Pushpendra, o la vivacità luminosa del grazioso Mohammad Anas secondo, potevano solo lenire i miei umori atrabiliari.

La cordialità degli avventori  del bengalese rubizzo che nel suo spaccio che da sulla via  per Rajnagar sa preparare un the squisito allo zenzero, mi riconciliava con il mio strato di permanenza forzata e protratta in Khajuraho, senza che le disavventure seguitate (protrattesi) per settimane  con i computer e del furto del portafoglio con la carta di credito usuale,  mi  avessero consentito di ritrovarvi la vena di leggere e scrivere,  con Kailash che seguitava a servirmi di tutto punto ed a sopportare ogni mia abietta miseria, inducendomi a mia volta a sopportare di tutto dell’India e degli indiani, in ragione  di quanto gli serviva il mio denaro, più che per una nostra amicizia, nella sua scarsa propensione ad assumere sul serio qualsiasi lavoro.

Ma avrebbe appreso a sue spese che cosa conta per me veramente,  venivo intanto inveendo dentro di me, che sono nato per leggere e scrivere, scrivere, scrivere dei miei viaggi, rendere testimonianza dei miei atti di amore, che solo se si fanno parola scritta per me assumono un senso compiuto.

Eccome se lo avrebbe appreso, mi ripetevo al rientro, nel ritrovarlo puntualmente a letto all'una pomeridiana, “ dormi, dormi pure, gli ripetevo, nello scoprirgli il volto anche dal fazzoletto di spugna che vi teneva sopra, “ non c’è certo più bisogno che ci rechiamo a Chattarpur, “ e più volte zittivo Ajay dal fargli valere le mie rimostranze.

Altro che Ape, ad uno sfaccendato del genere, così non poteva che agevolare il mio rientro in Italia, tanto più  che una e-mail di Valentino mi  allertava sul’eventualità, in un futuro quanto mai prossimo,  di dover fare le valigie, noi italiani qui residenti, per  come il mancato rientro in India dei fucilieri che hanno assassinato due marinai del Kerala in acque internazionali, scambiandoli per pirati,  sta compromettendo le relazioni tra India ed Italia.

Mentre finalmente mi facevo una doccia, Kailash non reagiva ai miei attacchi, in cui ravvisa una tigre che lo bracca furiosa, fedele al suo principio di restare calmo quando io, o qualsiasi altro, si faccia aggressivo o furente nei suoi confronti, docile e calmo mi assecondava nelle mie perplessità sul numero effettivo del codice Swift o BIC della filiale della sua Banca, dato che le indicazioni in ogni sito internet differivano da quelle del precedente invio di denaro e che gli erano state fornite dagli addetti alla banca, e tergiversavamo mentre sollecitato anche da Chandu, che voleva rivedersi sulle giostrine del festival di Sivaratri dell'anno precedente, seguitavo nei download dei programmi che finalmente mi ero deciso ad azzerare e a perdere, pur di poter recuperare il sistema operativo e salvare almeno  i dati, in una duplice operazione che mi aveva snervato e portato all’estrema disperazione in sua presenza, dibattendomi contro il letto e il muro, dopo che il conflitto in cui il sistema antivirus che avevo scaricato durante un’intera notte era entrato con quello già installato, mi avevo costretto ad annullare ogni precedente riparazione, e download, e a ripristinare e riformattare tutto da capo, con un nuovo backup…

Finalmente è poi arrivato l’autorickshaw, guidato da un Baju perennemente contorto in volto da un’ altra presa di gutka, ed abbiamo potuto raggiungere la scuola presso il Chatarbuja temple, poco prima del suono della campana che pone termine all'ultima ora di lezione. In tre pluriclassi erano stipati a terra i bambini bercianti, il libro o il quaderno dei compiti appoggiato sulla cartella, mentre le mosche si affollavano/addensavano a loro intorno, avide dellle loro cisposità e del loro moccio.Come Kailash prevedeva, non uno di loro che non ritrattasse quanto aveva precedentemente asserito di avere visto, allorchè un ragazzino dalit del vicino villaggio di Jatakra, che da giorni non viene a scuola, era stato sorpreso a intascarsi il mio portafoglio. La paura li faceva unanimi nel negare tutto, la paura che faceva lacrimevole un certo Puru che veniva invitato a confermare quanto già aveva asserito, richiamandolo dal casolare dov’era intento nei giochi.

La promessa di ricompense, la assicurazione spaventoleche l’indomani sarebbe sopraggiunta la polizia in luogo di me e di Kailash, nulla valeva a smuoverli.

Meglio riavviarci al rientro nella meraviglia dei campi al tramonto, dove il grano era già addentro al proprio rigoglio tra palme e choeula dalle fioriture sfarzose, per ritrovarci con Chandu nel mela ground, dopo una mia digressione al Raja cafè per un eggs curry, ed una  lettura di capitoli ulteriori dell’opera somma di Guenon.

Più fantasmagoriche e strabilianti che l’anno precedente, nel ground mela erano ruote ed ottovolanti, ma per Kailash era bastante un drago sferragliante, nel suo contorcerci, per fare arrestare la corsa che coinvolgeva il nostro Chandu.

Sarai davvero un bravo ed affidabile conducente di autoricksaw, gli dicevo battendogli la mano sulla spalla, dopo averlo raggiunto alla mia discesa da una delle vetture del drago, ancor più confortato dalla sua affidabilità umana, quando mi ha chiesto , al rientro in casa, di soprassedere all’acquisto dell' autorickshaw, se c’era il timore che l’ammontare finisse nel conto corrente di un altro indiano qualsiasi. Mi  limitassi piuttosto a ricostituire il suo credito in banca, per l’importo di cui era stato sminuito dalle spese da lui sostenute in mia assenza, quando mi sono protratto in  Varanasi e in Sarnat, dopo essermi dissuaso dal  finire nel kumb mela, sotto la pioggia battente di quei giorni,  mentre ero  in fuga, con la mente debilitata, dai clamori nuziali notturni  di Khajuraho, che nell'ufficio in cui avevo dovuto riparare per i contrasti violenti insorti in casa tra me e Kailash, mi avevano tolto il sonno e la mente, ed ero finito (mi ero imbattuto) devastato dai mantra che già  sul fare dell’alba, a pieno volume, mi avevano impedito di ritrovare la via del sonno nella guest house di Citrakot, ancora ignaro della sorte cui non sarei scampato proprio nel ricercato asilo di Sarnat, finendo per sbaglio proprio nella guesthouse su cui si sarebbe scatenato,dopo il nubifragio, il clangore ed il vibrato notturno, fin nella rete del letto, di un’altra  inarrestabile festa nuziale.                                           

 

Potessi ritrovare ierofanie

Negli infiniti  tanti, che anzi che nel  tirtha della mente,

si purificano nella merda del Gange,

 

che assaltano la mente

potessi  non essere voce che grida nel deserto

contro il clamore clangore l’ossessione a tutto volume

del pulsare notturno di frenesie nuziali animali

dei loro inarrestabili carri,

in cosmic mandala e crowning glory

chi largisce perle ai porci

 

 

Fossero stati i dibattimenti d'amore con l’angelo della notte

nello sfigurare dell'altro

     

Le colluttazioni delle nostre miserie infime

 

  12    Marzo 2013


 

Più forte che la morte. Martedi 19 marzo sulla via di Allahbad per il Kumb Mela


Martedi 19 marzo, sulla via di Allahbad per il Kumb Mela

 

Nel calore del pomeriggio estivo, Chandu nella mia stanza si intrattiene con ogni  cosa, nel piacere senza pari della reciproca compagnia, Vimala  lo richiama invano presso di sè, mentre il ventre mi dolora pei i sintomi di un’infezione intestinale, ed i pantaloni della tuta sono già maleodoranti per essermi appena urinato addosso,  poc anzi ho ricercato in rete il costo di un volo di ritorno tra due mesi,  mosso dal rimorso che mia madre sia rimasta finora in vana attesa che faccia rientro, senza che il protrarmi in India abbia sortito alcun lavoro remunerativo per Kailash, nel frattempo sacrificando pressoché del tutto,  a tale miraggio, ogni  viaggio ed attività di scrittura e di pensiero, i giorni e le notti implacate, al che, quanto più la mia vita si faceva un sacrificio inesausto (perenne), l’ignavia e la crudeltà di Kailash senza più riguardi verso di me, il ritrovarmi sempre più un servo vano della sua ingratitudine sans merci, per la quale l’accettazione di tutto quanto vi è di più intollerabile in India era soltanto un mio obbligo dovuto( era un mio obbligo soltanto), ha fatto insorgere in me la belva che era accovacciata, e che si è ritrovata sotto i suoi pugni e ogni suo insulto furente, quando ha tentato di riscuoterlo, percuotendolo, dalla indolenza in cui era ricaduto dopo avermi freddato anche nel mio intento di  andare in viaggio ad Ajaygarh e Kalinjar, con gli agenti di Delhi che avrebbero potuto assicurare un minimo di clienti al nostro sventurato bapuculturaltours (con ). Avevo già i bagagli pronti per andare altrove in India, fino al rientro in Italia, allorchè ho invece messo piede nella sua stanza e ho inveito sul suo corpo stravaccato al suolo, nel sonno in cui era di nuovo ricaduto di pieno pomeriggio, perché non mi rassegnavo, così, alla prospettiva di negare qualsiasi futuro ai nostri bambini, la scuola delle suore già da quest estate al mio Chandu, per quanti anni ancora, fino alla mia consumazione, disperando di essere obbligato a permanere in India, in simili condizioni, perché  l’amico non sa reggersi da solo come uomo. Il pianto,  mentre mi pacificavo sotto i suoi colpi,  dei bambini sgomenti e atterriti. E l’amico, tre giorni dopo, domenica scorsa, come ricevuta in cambio di pugni e offese, della rigovernatura che mi ha rovesciato addosso, si è ritrovato  con l’accredito di 2.000 euro per l’acquisto di un autoricksaw,  quando poco più di 300 sarebbero bastati a farmi ritrovare in Italia, presso mia madre. Le scritture sacre della domenica, come la voce del cuore, mi confortavano unanimi a questo, nel segreto dell’operazione irreversibile di bonifico che stavo praticando on line, dicendomi che è Potenza e Sapienza di Dio, ciò che per il mondo è debolezza e follia dell’’uomo.

Sono state la dolcezza della voce di Ajay e dei modi di Vimala, che nella sera mi hanno iniziato alla ripresa, nella casa da cui Kailash avevo urlato che uscissi per sempre e da cui lui invece se ne era andato via, in cerca di una serie di propri medici della mente, tutti particolari, in Jhansi o vicino al proprio villaggio, mentre a sua volta la mia mente non  si dava pace di ciò che di indelebile ed irreversibile era avvenuto , che io e Kailash ci siamo oltraggiati e percossi a vicenda fino a tali estremi, fino a digrignarli io in volto tutto quanto il mio odio impotente, e a mettergli  le mani alla gola per serrargliela per sempre.

Se ne restasse pur via, a rimeditare sui maltrattamenti a loro inflitti, era quanto mi esprimevano solidali Vimala ed Ajay, prima che l’indomani, io e i bambini, che giorno meraviglioso e dolente trascorressimo insieme, sul mela ground,  per Sivaratri,  tra una corsa in  giostra e l’altra che concedevo a loro.di godere.                     19 marzo 2013


 

Dopo il viaggio in Allahabad


“Noi li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non poco compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui ero comparso alla Messa.

E dove mai l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale perdizione idolatrica,  meritevole solo di ogni più devoto accanimento di resezione dell’ impuro.

Loro non taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa.

Non è affatto cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo di Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano Hindu.

Quasi che Cristo, anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato per la sua dannazione generale, come accadrebbe fatalmente, se per salvarsi invece che il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e nella sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita.

 Essere indiani, per i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho,  sembra che piuttosto che il convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o muslims, significhi il farsi compartecipe della idolatria dei propri connazionali per il cricket, o che per le sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti o quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri proventi e privilegi secolari che assicurano loro gli ordinamenti civili indiani.

Ne sono stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi nella loro imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in cui i cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad, dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto religioso, che si rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di nuovo e lungamente alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale dalle Civiles Lines, dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del grande museo.

Dunque era vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di Bharuth, quali quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano di una jataka in cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad innumerevoli splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di epoca gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta ancora rammemorava il naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha risalenti alla scuola di Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che sono state asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine religiosa provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e le chaitya degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha Suramardini, del tempio che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho, raggiungendo Buhmara da Nachna Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed ai siti del museo di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire alle sole fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è dato di visitare i resti dei monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose l' Itivuttaka, l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia figurative di quei templi e stupa che si siano già visitati, od evocati nel sito medesimo in cui sorsero.

Un’esperienza estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le

infinitudini dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso dal vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le travature dei ponti galleggianti che erano sospesi sulle acque poco più che reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di alcune pedane di vasi sanitari.

Da altre maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che aprivano pertanto voragini nel letto in secca del fiume, le passerelle di ferro dei vari percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad essere schiodate e rimosse ad una ad una.

Ad ondate salienti risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento, fallendolo una prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la mente vi era stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa accanto, per potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb Mela, al punto che mi sono arenato in Chitrakoot, prima di Allahabad, ed oltre la sua stazione ferroviaria, vessata dalla pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio, in Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino si ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo superstizione. Prendono tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente con le acque dello spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di prima…”

Ed io stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine del Sarvatirthamahatmya del Garuda Purana: "Ma il santuario più alto è la meditazione sul Brahman; il controllo dei sensi è un altro luogo santo; la disciplina interiore è un supremo tirtha e la purezza del cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione in un tirtha spirituale, nello stagno della conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che distrugge l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si avvia alla meta suprema.”. La frustrazione irreparabile della mia aspirazione a dare coronamento alla trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe di un anno di vita indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del massimo evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato alla sua rabbia furente, nell'uno o nell’altro dei passi, a mia libera scelta, della Gangamahatmya del Naradapurana: " Chi uccide un brahman, il proprio guru o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del guru, tutti costoro sono purificati dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su questo”.

Nella proiettività della mia miseria diuturna, sapevo a memoria con chi prendermela, con l'amico del mio cuore, appunto, che nella sua possessività egocentrica, nello stravolgere con le sue renitenze la mia mente votatasi alla missione impossibile di farne un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia sacrificale che si era obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva il colpevole primo del fatto che avessi mancato di vivere tale evento, che mi fossi ad esso sottratto o che ne fossi stato distolto, un evento, la Maha Kumbh mela, che avrebbe potuto risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi che un viaggiatore e un conoscitore sporadico.

La livida collera che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i pellegrini e i sadhu residui, uno più automatico dell'altro nel chiedermi una baksheesh, era già immemore delle sue lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua famiglia si era rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni, e mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti per il giorno seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad un giorno ancora, per recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del Khusro bagh, più di quanto non mi avesse consentito un accesso furtivo, a sera inoltrata, prima della partenza, tra le presenze fantasmatiche degli omosessuali che vi cercavano incontri, ombre umane tra quelle dimore ultraterrene, che per quanto magnificenti, a distanza di anni, quando le visitai in concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi ricomparivano come residenze celestiali di principi e regine madri, senza trascendersi nella sublimità di trono di gloria dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il Taj Mahal

The train one, one, one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe poi risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di Allahabad. E' l'India, bellezza,  intanto mi ripetevo per adattarmi al ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio anziché alle sette del mattino

Marzo 2013

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Holi

 

28 marzo, secondo giorno di holi, un holi ai suoi minimi termini ieri, qui in Khajuraho, più una festa dei colori familiare/ domestica che per strada. Soltanto un ragazzino mi ha spruzzato polveri, all’inizio della mia digressione verso il  Brahma Temple, per ripercorrere fotograficamente gli itinerari di Chitrai,. Bamnorah, Beni Gangi, sulla via di ritorno del Chatarbuja, che è sta da me ripercorsa invano così tante volte, agli inizi del mese, per ricercarvi invano il portafoglio smarritovi, con la mia carta di credito, così come alla ricerca degli occhiali che vi ho perso il giorno prima, invano in mattinata sono stato di ritorno sul mela ground ove la fiera era in via di definitivo smantellamento, Mi sono intrattenuto con diversi indiani al talab, che precede Citrai,  intento a meditarvi su come solo la considerazione della nullità, di fronte al nulla di Dio, di ogni nostro titolo e grado, possa farci ( non solo asserire ma) realmente accogliere la stessa e pari dignità di uomo, con il proprietario sik  della  mietitrebbia che stazionava al limitare dei campi di grano che nel termine opposto del mio viaggio, si stendevano oltre la cinta dei rilievi Vindya in cui si apre la breccia ch’è il sito di Beni Gangi e Bamnorah.

Prima di lasciare la casa di Kailash , che ha preferito che così io non fossi parte della celebrazione con Poorti, Vimala e Chandu, di Holi presso una famiglia di vicini che li aveva invitati, perché non rovinassi a loro anche tale ricorrenza festivai, dopo la puja di Deepawali, il Natale e il Capodanno, ho eseguito il bonifico on line  di altre 1500 euro per l’Ape di Kailash, sbollitosi il reinsorgere astioso del mio malumore per l’inettitudine economico lavorativa dell'amico, mentre al rientro, quando era già sera, riconciliato con il suo essere  quanto mai caro,  mi sono steso accanto a lui che occupava il mio letto, prima che uscissimo per comperare dolciumi bangha/  in  cui sono presenti foglie di una pianta affine alla Marjiuana. In mattinata, solo lo spirito conciliante di Kailash  ha potuto sanare  il contrasto che tra noi stava insorgendo, evitando che degenerasse in scontro. La mia mente, furente della perdita degli occhiali, una riprova del dharma negativo che infesta le nostre vite, era quella impazzita di una tigre in gabbia, e di fronte a Kailash ancora letargico/ tra le coltri, non si capacitava che per  trovare un lavoro che gli dia un qualsiasi reddito, mi ritrovassi a fine marzo senza avere ancora viaggiato a distanza e per lungo tempo per l India (, il mio astio ripetendosi) Il mio astio si ripeteva il leitmotiv solito: che per Kailash sia un dato di fatto ovvio richiedermi ogni distacco e separazione, l’accettazione di ogni doloroso disagio e patito sopruso, qui in India, ogni onere e spesa, come fossero un obbligo da me perennemente dovuto a lui e ai suoi cari, senza dunque manifestarmi  alcuna forma di rendimento di grazie per  ciò che faccio per lui,o alcuna gratificazione di sorta, mentre a me che assicuro tutto a lui ed ai suoi familiari, è stato finora inutile chiedere tutto ciò che gli costi una reale fatica, ogni considerazione in cui prevalga ciò che assicura effettivamente una fonte di reddito, domandargli ciò che solo da un padrone animalesco, e  di necessità, o solo per amore dei figli, se prevalesse sulla sua indolenza al lavoro che lo affeziona a ogni giaciglio, potrebbe essere indotto ad accingersi.

Che poi per trarre da me il mantenimento di sé e dei suoi cari, l’amico debba patire gli attacchi aggressivi del mio ritrovarmi tigre destinata per un tempo indeterminato alle  catene delle sue manchevolezze, sia costretto ad assistere, come mio garante, a quanto reco danno alla mia incolumità mentale e fisica se subisco furti o danni, se perdo cose o i dati e i lavori al computer,  ed egli debba sentire piangere i bambini  angosciati dai miei atti ed atteggiamenti, o dalle nostre risse venute oramai alle mani, vedere con loro volgere al peggio per le mie reazioni inconsulte ogni loro festa, la puja di Depawali o il Capodanno, si fa rilievo accessorio, per i miei deliri di scrittore, e di viaggiatore mancato, trattenuto in India in pausa di sosta prolungata nella sua casa

Anche / e/ stamane, rialimentava ogni mio astio e frustrazione la mia sfiducia preventiva anche nell’esito della compera per lui di un autorickshaw, dopo che con ogni mio sforzo ho ottenuto soltanto che il negozio di barbiere sia l’ambito dei suoi soli interessi non lavorativi, a perdervisi in chiacchiere, e seguitano ad essere affidati a suo padre i suoi due campi e il negozio in Byiathal, senza che da lui pervenga alcuna sollecitazione in senso contrario.

Solo per la resipiscenza di una mia tardiva assunzione di conoscenza e presa in cura dello stato delle cose, ho rilevato che la mancanza di acque di pozzo, e di irrigazione, può pregiudicare soltanto i raccolti invernali dei suoi campi, ed ho coinvolto Ajay in una trasmissione dei compiti, ottenendo, che quando avrò lasciato l’India Kailash  recinga di siepi quegli appezzamenti, assieme ad Ajay, per contornarli di  alberelli di guava, di mango, di piante ayurvediche quali il neem e l'aula, che pongano le sementi al loro riparo, più certo, dalla ghiottoneria animale o  dalla avidità umana, con la ripromessa che l’investimento, la prossima estate, sarà concentrato nella costruzione di un pozzo sui suoi terreni.

Quanto ai terreni che il dottore Dubey potrebbe lasciare in uso, in cambio di una spartizione del raccolto e di una mia assunzione dei costi di gestione, via e-mail ho interessato alla cosa Marzio ed Alessia, che per Holi si ritrovano  in Hampi. Un conto è offrire georgicamente il proprio lavoro nei campi e nella coltivazione di piante ayurvediche, per trarne esperienza e conoscenza, equilibrio fisico e mentale / è un conto/, ben altro farsi responsabile della loro conduzione annuale.

 

28 marzo 2013


 

6 aprile 2013

 


Kailash, immensamente caro, a notte inoltrata finalmente ha trovato il suo sonno  occupando il mio letto,  nella stanza della televisione Vimala e i bambini si godono ora il riposo di una vita serena, mentre io solo insonne, custodisco la mancanza insostenibile di Sumit.alla nostra unione familiare

Nei campi circostanti Khajuraho, alla cui vita agreste  l'altro ieri ho fatto ritorno da Delhi, ancora compaiono ampie distese di grano, tra i coltivi in cui già le spighe ne sono state recise e raccolte in mannelli,  una quiete profonda quanto la realtà delle cose sovrintende al lavoro nei campi e alla pastura dei bufali nelle radure,  in un'intensità d'ombre che addensa la pace sotto le fronde.

Prima di partire per Delhi, due settimane fa, sulla via che reca ai villaggi di Citrai, Beni Gangi, Bamnora, un contadino mi aveva coinvolto nella separazione che ancora era in atto dei grani dil pisello dalla pula, con un'elica che fungeva da ventilabro di fronte ai cesti di cernita,  era agli inizi la raccolta dei ceci, i campi intonsi di grano primeggiavano su quelli in cui era iniziata la semina, un incanto era la luce che invigoriva la viridescenza nel fogliame, non ancora si era illanguidita nel velame delle nubilagioni che ne offuscano ora la luminosità, mentre la calura incrementa, ed allo spirare  del vento turbini crescenti di  foglie morte ingialliscono nei fondali stradali, delle radure e dei campi di stoppie.

Nella stessa vita di ogni giorno del villaggio di Khajuraho, intanto ho dato l'addio al giovane commesso del k

Kashmir , così riguardoso e gentile, ho ritrovato Ganesh senza più lavoro come guida, con il dottor Dubey ho differito di parlare del suo affido del suo podere alle mie cure, mentre con Kailash ho pattuito compensi e fatto acquisti, ho vagheggiato un futuro in cui ogni iniziativa intrapresa giunga a buon punto, l'acquisto dell'autoricksaw, il lavoro nei campi propri ed altrui, inseminandovi con il grano od il sesamo le colture ayurverdiche, il progetto di un negozio di item islamici desunti dagli atelier dell'urdu Bazar, dell'apertura di una bottega di giocattoli e di beni domestici e capi ornamentali,  in materiali poveri quali carta riciclata, legni non pregiati, pezzi di stoffa,  giunchi e vimini e cordami, lavorati dalle mani di donne ed adolescenti o di popolazioni tribali di villaggi adivasi,

Da Delhi vi sono stato di  ritorno con nuovi seggiolini di canne palustri,  acquistati nella solita bottega  del Nehru Bazar, ma questa volta dai giovani che li fabbricano mi sono fatto condurre nella casa in cui le costruiscono, in strettoie di vicoli quali quelli in cui mi è venuta meno anche solo l'idea di inoltrarmi ulteriormente,  oltre la Turkman Gate, quando sono pervenuto sino alla breccia tra le case che costituisce con i loro muri il vano a cielo aperto del luogo di culto islamico delle presunta regina Tugluq *, morta in Delhi di fine violenta come l' altra signora che vi ha tento di erigersi nella storia recente a despota dominatrice dell'India.

Non meno care mi erano nei bagagli le cards con i  girasoli, od il trenino,  o le libellule e altri fiori e insetti  intorno ad essi volanti, ricavati da ritagli di stoffe e filamenti colorati, o la collana di simulate pietre ottenute con le policromie, e i caratteri devanagar, di striscioline arrotolate di ritagli di giornale, che nel National craft Museum avevo acquistato da una luminosa e intensa Jan Sandesh, che li fa  creare a donne ed adolescenti dei sobborghi di Delhi, ripromettendomi che sarei tornato/ tornerò/ quanto prima a trovarla, perchè le cose non finissero a tal punto, facendomi estensione, a mia volta, della  rete di relazioni del suo atelier solidale, come  non possono finire nel nulla le mie dichiarazioni di intenti con Bablu,  in Chitrakoot,di diffondere tra i bambini indianii suoi meravigliosi giocattoli di legno, in luogo di quelli di plastica, o che espressi con la signora di Nagpur che ho incontrato nel Silpgram di Kajuraho a fine febbraio, che a delle famiglie adivasi assegna la fabbricazione, o il disegno e la stampa, di meravigliosi manufatti o di tribali figurazioni warli.

 Nè vi avevo accantonato come acquisti occasionali, la maglietta con l'effige di Ganesha, dall'aureo profilo stilizzato, o quella con l'immagine in bianco e nero di Ghandi, accompagnata dal suo asserto che "Dio non ha religione". Come non ritrovarmici d'incanto, nella ricerca di un Dio da adorare in Spirito e Verità, tramite una fede liberata dal sacro di qualsiasi religiosità? Non per altra ragione raccolgo o indosso al contempo simboli hindu e islamici e cristiani, con la rabbia in corpo che mi si sprigiona in furore,  quando non posso nemmeno  inoltrarmi poco oltre la soglia di un  tempio con le scarpe, per lenire i  tormenti artrosici che insorgono nel levarmele,   dove possa sedermi  lì accanto, che ecco, all'istante, c'è già chi mi ha avvistato ed inveisce contro la impurità contaminatrice delle mie calzature, o al solo ricordo della suoricina di Khajuraho che mi rimbrotta per il rosario hindu con il quale ho partecipato al rito della messa la domenica delle palme, compiacendosi di dirmi che li tagliano loro, non appena sia loro dato di farlo,  simili  oggetti di perdizione...

Anche il samadhi del luogo di cremazione dello stesso Gandhi  ne è divenuto un sacrario, per chi mi ha redarguito che anche il vasto circondario di pietra che a distanza vi si eleva intorno,  ne era un baluardo intoccabile dalla borsa in cui avevo raccolto dei libri.

 Ma  nel tardo mattino di oggi  6 aprile,  Kailash mi ha or ora recato la notizia che dopo oltre una settimana non gli sono stati accreditati i 1.500 euro che gli ho inviato per l'acquisto dell'autorickshaw, ed io già immagino che siano finiti dispersi, e voglio soltanto sfigurarmi e levarmi la vita distruggendo la sua.

 6 aprile 2013

 



In Memoria di don Ulisse Bresciani


Dall’India in  cui ancora  mi trovo, la lettura in rete del  commento  di don Ulisse Bresciani alla Genesi e alle Lettere di Paolo, negli incontri che teneva ogni martedì nelle sale canonicali della basilica di Sant'Andrea , puntualmente  quanto implacabilmente vi arrivavo in ritardo, era rimasto fino a questi giorni il mio solo legame continuativo  con la realtà di  Mantova più propriamente  culturale e spirituale. Avrei voluto prima o poi un giorno o l’altro scrivergli, a riguardo, e rendergli grazie di quanto nel corpo a corpo dell’esercizio sanguinante dell’amore  reale, in tutte la vulnerabilità cieca e le fragilità umilianti della mia carnalità spirituale, avessi trovato sostegno e conforto decisivo nelle sue riletture illuminanti dei sacri testi che sono l‘alfa e l’ omega della spiritualità cristiana, in particolare,ad esempio, sulle orme esegetiche del biblista  Andrè Wenin,  di come la  cupidigia sia il peccato alla radice di ogni altro, quando il desiderio non sa accettare il limite che consente il ritmo dell’essere, e la " bestia, che in noi è accovacciata" si fa distruttiva di ogni alterità umana e naturale che ci è affidata in dono perché se ne sia responsabile, o di come per Paolo  la potenza e sapienza di  Dio nel suo splendore di gloria, si manifesti  proprio nella vulnerabilità fragile per cui per il mondo siamo solo debolezza e follia, sua spazzatura  e rifiuto di tutti.

Con che luminosità annuente mi aveva manifestato come fossi proprio nel vero, che avevo inteso al volo, quando gli ebbi  timidamente a chiedere  se nelle loro candide vesti lavate con il sangue dell’agnello, i 144 mila eletti dell’Apocalisse , riscattati dalla terra, non fossero gli stessi eunuchi evangelici,.

Invece per un’ispirazione che non è pura casualità naturale, dopo innumerevoli giorni ho aperto in internet  questo martedi 16 aprile la Gazzetta di Mantova,  per ritrovarvi la notizia dolorosissima della sua morte il giorno avanti, senza più alcuna possibilità di alcuna ripresa con egli di alcun discorso  ad un mio futuro rientro. Non lo ritroverò dunque più nella sala della colonna di Sant’Andrea,o in quella d’attesa del nostro comune medico personale, senza che potessi supporre la gravità del male che ve lo recava, per la stessa serenità imperturbata e gioiosa con cui mi salutava e poi, in sincronia, si reimmergeva  nelle letture dei libri che vi recavamo per leggerli in attesa, e fin che avrò vita terrena resterà così consegnato solo alla riesumazione della mia grata memoria, il ritrovarvi  in questo mondo  l’unico volto e l’unica voce in cui nelle ore estreme del dolore e della disperazione, dei miei ultimi tempi, ho confidato e che ho ritrovato immancabilmente pronta ad ascoltarmi, per accompagnarmi nella remissione o a riavviarmi alla speranza fiduciosa . Così è stato , per la sua indefettibilità spiurituale, quando a lui si è rivolto in lacrime il mio Io affranto per la morte del mio piccolo Sumit, o  quando con la dignità ed il lavoro, ogni prospettiva di vita e di futuro  sembrava  andata distrutta.-

In tal modo egli si assimilava a Dio, nel suo debole per i deboli di cui parlava nelle sue omelie mirabili, autentici improvvisi del Suo Spirito.

 Allo stesso modo, si è assimilato alla Sua passione per la libertà di ogni uomo, quando con fermezza assoluta mi ha categoricamente invitato a lasciare  affidata alla autonoma scelta del mio amico indiano, e della moglie,  il compimento della gravidanza da cui sarebbe nato il nostro adorato Chandu , pur dopo averli consigliati nella loro fede hindu secondo quanto mi dettava la mia ispirazione cristiana.

Resta  ora compito di chi a differenza di me è dentro la comunione di vita parrocchiale della Chiesa cattolica, che non vada disperso l'insegnamento del suo Cristianesimo, così radicalmente fedele alla  Parola del Verbo e così  eversivo al contempo della vulgata devozionale religiosa, nel farsi flagello sferzante, di domenica in domenica,  di chi  annuendo tra i banchi sapeva benissimo, in conformità  di fede a questo mondo,  come essere assolutamente cattolico senza essere per niente cristiano.

 

15 aprile 2013


 

L'arrivo del tuk tuk

 


Neanche due giorni sono intercorsi, tra l’arrivo del mio bonifico nel conto corrente dell‘amico,  quando già ne disperavo, e quello dell’autoricksaw nuovo di compera nella casa di Kailash, dopo che per anni e anni mi sono dato da fare, ed ho atteso invan,o  per vedere Kailash  intento al lavoro nei suoi campi, o nel nostro negozio generale di paese, fare anche solo la barba ad un solo cliente in quello di barbiere, invece che stazionarvi a farla da padrone in chiacchiere supponenti.

In Chattarpur, dove l’autoveicolo è  stato acquistato, con alla sua guida un conducente amico si è stati  già di ritorno,  martedì scorso,  una seconda volta, per la registrazione dei dati identificativi dell‘autoricksaw , sobbollendovi sotto un caldo torrido in compagnia di Ajay edi  Chandu. Insieme con il lavoro ed un  guadagno non irrisorio, stando a quanto ha raggranellato già il primo giorno, pare sia sopraggiunta anche la fine dell' insonnia notturna che alimentava il suo ozio in un circuito vizioso esasperante, quando non c’era pomeriggio che non dovessi contrastare la sua propensione a letargire in un letto, od al suolo, tra i bambini inaccuditi che gli stavano intorno.  A mezzogiorno ora lascia che anche al  mio pranzo  provveda Vimala,  per essere quanto prima in postazione di nuovo presso l’automezzo, pur se deve ancora attendere che gli arrivi a giorni la licenza del trasporto di viaggiatori che non siano dei familiari, o dei conoscenti, per potere seguitare a trasportare liberamente i suoi clienti occasionali. Nel frattempo non si attenta più a farlo, dopo che ieri la polizia l’ha intercettato e redarguito presso il tempio di Durga ch’è in prossimità dell‘aeroporto, mentre con due ragazze, oltre Vimala e Poorti, e Chandu, era avviato a Byathal per mostrare l’automezzo ai propri genitori. Con Ajay io ero invece in  Mahoba e dintorni, per visitarvi gli antichi  templi Chandella di cui avevo ritrovato l’indicazione del sito, quando ho recuperato il foglietto su cui ne avevo trascritto i nomi dai pannelli,che durante il festival di danze internazionale di Khajuraho, pubblicizzavano tali località archeologiche. Un incanto il tempietto dedicato alle Chausat yogini di Sijahari, la cui scalinata digradava nei ghat di un talab, tra le fronde di un pipal e di nim che ne custodivano la sacralità delle granitiche forme architettoniche primeve, sei sikkara sopra seidelle nove celle interne, corrispettivamente di diversa grandezza, un portale di accesso alla sala interna su cui davano le celle multi residenziali delle dei, i motivi ornamentali esterni puramente geometrici, in un’alternanza di poligoni e di rombi diamantini, sopra le flessuosità curvilinee degli stipiti inferiori, in un’assonanza di forme e decoro che evocava  i tempi del Lalguan Mahadeva di Khajuraho, e ancor più il Chusat yogini mandir, l’adiacente tempio a Ganesha, anch’essi in riva a un talab, di MauSahanya, o i presumibili tempietti alle dee e il tempio al Dio Shiva in loro puntuale prossimità , di Bhima Kundha, situati nei vicini paraggi di Dhubela.

 

18 aprile 2013


 


In Chandigarh


Quando ho sognato il mio arrivo in Chandigarh, mi accoglievano luminose case bianche con verdi finestre squillanti, tra la frescura frizzante di un vento montano, cui succedevano quartieri di case in cui il  cemento aveva grigiori perlacei, di longilinee haveli di arenaria fulgente, con intarsiati rilievi  arabescati.

Ma dopo le piatte distese oltre i filari di pioppi dei campi dell’ Haryana pulverulenti, l’arrivo nella  Chandigarh reale è stata  la disillusione istantanea che realisticamente non potevo che attendermi,

Per anonimi quartieri moderni l’autobus è pervenuto nella più anonima e grigia stazione di autobus,  aperta a  una piazza centrale di un grigiore ancora più squallido. E come ho trovato e lasciato la  stanza di albergo,  attardato dalla impossibilità di sostare nel primo hotel perché non disponevo del  permesso di residenza in Chhattarpur, è subentrata l’anonimità dei viali a quella dei caseggiati popolari e di utilità pubblica  dei settori centrali,  verdi di una moltitudine di alberi estenuati dalla calura  estiva e senza vigoria di fronde, lungo incerti e sterrati camminamenti pedonali, rispetto ai quali  predominavano le auto in ogni corsia. Ma non solo  le larghe arterie stradali a percorrenza veloce erano riservate al dominio pressocché assoluto degli autoveicoli, e lo erano anche le corsie a scorrimento più lento, mentre le piazze destinate al traffico pedonale ne erano degli esclusivi parcheggi, in cui spadroneggiavano i carapaci delle loro sagome allineate, mentre nei parchi  i viandanti erano sparute presenze fantasma.

 Delle forme di vita di strada,   le uniche attestazioni erano due venditrici appiedate di frutta, mentre per dissetarmi, in assenza di qualsiasi chiosco o rivendita di bibite analcoliche,  ho dovuto rifarmi a uno degli spacci frequenti di vino e birra.  Uscendo avevo mirato solo a raggiungere il centro capitolino, credendo che per quanto a quell'ora tarda ne fossero inaccessibili e inavvicinabili gli edifici pubblici, con il flusso del traffico potessi raggiungerne gli spiazzi resi più magnificenti dalle illuminazioni notturne.

Ma giunto a qualche settore di distanza, senza ravvisarne ancora alcuna parvenza, non mi restava che avviarmi al rientro tra le repliche seriali dello stesso tipo di edifici pubblici rinfrescati di bianco, a loro volta delle  repliche seriali di filari di balconi senza sporto rispetto ai loro supporti.

All’uscita dell’hotel, l'indomani avrei  visto  appiedati i chai walla del settore 22,  i venditori di tè, prima di trovarmi più a mio agio nel traversare un settore agiato, per raggiungere per i suoi viali il teatro Tagore.  Un  esercizio di rigore, più che di fantasia, il  parallelepipedo in muratura tra due cubi di vetro che ne costituiva il tutto, Era odoroso anche nello spiazzo esterno delle travature e dell’acustica in legno, ne era il sentore dell’ascetica degli allestimenti, l’ambito in cui  la cultura popolare indiana sembra  trovare  in Chandigarh  il solo diritto ad una sua rappresentazione scenica,

Poi, nella  pioggia che si intensificava nel  tardo mattino, nemmeno l’iter procedurale che si complicava per ottenere il diritto di accesso al centro capitolino, poteva lasciarmi presagire ciò che esso mi avrebbe riservato: già l’approssimarvisi aveva la cupezza di un incubo,  il verde incolto di radure ed alture lo appartava al di fuori della città abitata,  destinandolo al solo accesso militarizzato della burocrazia amministrativa, in un sogno di città in cui con la pianificazione urbanistica  cadeva ogni effettiva  ragione d’essere di una partecipazione politica.

Eppure, oltre il mostruosario del Secretariat , che splendidi edifici aveva vagheggiato la fantasia geometrica di Le Corbusier,  quali armoniose ricomposizioni incruente di ogni  vertenza politica e giudiziaria, nel parlamento e nell’alta corte di giustizia, in virtù del semplice decorrervi  civico dei cicli naturali dell’essere.  Si arriva a fronteggiare il Parlamento dopo averne costeggiato l’azzurro delle vasche d'angolo, che frescheggia e riflette la sua attività rinnovatrice, mentre  il profilo corneo della tettoia si allunga in un’inflessione che è come una ricezione della spiritualità celestiale, la sovrastano una piramide inclinata, una sorta di sifone svasato che pare un’ ameba, a significare tutto ciò che di  straniato e sghembo si ricompone in ogni ordine. E le vacuità dei supporti di cemento costituite di  circolarità irregolari,  esaltano come l’ordine geometrico comprenda intrinsecamente anche l.‘organico. Nel suo manifestarsi alla vista in cromatismi vistosi,  bellissimo il pannello che nei cicli della vita include la sede istituzionale del Parlamento. Ma il magnifico edificio primeggiava in un immenso isolamento deserto , senza impronta alcuna di alcuna vestigia umana  partecipativa, conteso dal cemento armato del grande spiazzo di fronte, e dall’erba matta che vi cresceva incolta e lo attorniava con grami alberi. Una recinzione che divideva l’ampio spiazzo, troncava ogni flusso vicendevole con il palazzo di giustizia,  rinviando al presidio militare della riduzione a burocrazia della democrazia.

Ridisceso l’avvallamento  e raggiunta e percorsa, a sinistra, la china  in salito del   manto stradale divisorio, mi ritrovavo presso la scultura celeberrima del’open hand, della mano aperta, pronta a ricevere e dare, in virtù di una risorsa civile di Chandigarh, così vitale, che sembrava non aver bisogno di alcun concorso  politico od istituzionale  nel suo auto asserirsi. La frequentazione diurna delle aule giudiziarie spiegava come il verde circostante l’Alta corte fosse stato aggraziato a giardino di rose, tra getti d’acqua, e come con il traffico umano di vakil, avvocati e loro clienti, vi circolasse quello veicolare. L’Alta corte era un’altra invenzione fantastica del genio architettonico di Le Corbusier, avvivata da un reticolo di parallepidedi che hanno la funzione di frangisole,  da pilastri nei più  brillanti colori primari, sullo sfondo di rampe di ascesa così innovativamente profilate di vuoti.

L’esercizio del rigore giudiziario vi era convertito nell’applicazione delle regole di un  gioco, come quelli dell’ infanzia, che attraverso le sentenze che emana ci riconsegna  alla innocenza di una ritrovata armonia  con l’ordine naturale delle cose,

Del  rigore costruttivo applicativo della città in cui tornavo, senza sublimazione ascetica o invenzione fantastica, nel suo destinare il pregio di abitazioni e negozi e ristoranti solo ai più facoltosi, era una sorta di compensazione complementare l’esuberanza fantastica del rock park che Nek  Chand, ispettore e supervisore di strade profugo dal Pakistan,  dopo la Partizione, aveva prodigiosamente popolato delle sue innumerevoli  creature scultoree, ottenute con il riuso clandestino dei più vari rottami  della città in formazione, cocci in ceramica di  vasellame, di prese della corrente, ferramenta di biciclette, senza che tuttavia lo strabiliante assumesse ai miei occhi  una valenza più che artigianale, pur nel suo evocare le cromie luminescenti degli edifici di Gaudi.

Il romantico Gandhi Bavan, di Jeanneret, nell’arcuarsi della tensione delle sue linee spezzate, per frangersi ancora, in una ricomposizione ciclica ternario che prende orpo nel corso della pradakshina deambulatoria, materializzantesi nel calore della sua bellezza granulare parietale, sotto il sole ritornato a splendere e ad avvivare i parchi e i giardini del campus universitario in cui il memoriale è situato, è stata la visione del bello in cui si era commutata in farfalla la crisalide  delle parvenze da incubo di Chandigarh, prima che il Satabdi-express mi consentisse il sollievo di distaccarmene, per ritrovarmi gioioso nella vitalità di Delhi.


30 aprile 2013



 

 

In Mahoba e dintorni itinerari di antichi templi hindu

 

Lungo l’ampio viale che da Sagar, Chhatarpur, corre verso Mahoba, giunti al borgo di Srinagar, a meno di venti chilometri oramai dal’antica capitale del regno dei Chandella, quando ormai si sta abbandonando il centro abitato del villaggio, una deviazione compare a sinistra, lungo la quale si inoltra il nostro itinerario. L’indizio che la strada è quella giusta è l’apparizione, sempre alla sinistra, poco dopo che la si è imboccata, dello specchio lacustre di un talab, prima di un conglomerato successivo di tempietti hindu, situati dentro ciò che resta di un apparato fortificato. Qualche chilometro dopo si profila sulla destra un rilievo scistoso, ed è alla sua altezza che occorre intraprendere la deviazione che compare sull'altro lato della strada, per arrivare in pochi chilometri alla prima nostra meta, in Urvara, un villaggio tutto arcuato lungo un vasto talab, per lo più prosciugato, presso il termine del cui costeggiamento  appaiono  i resti di un antico tempio shivaita.
La sua complessità confonde la vista e l’emoziona, nel profilarsi criptico di gradinate e di portici ornamentati dei motivi geometrici di rosette e rombi diamantini e gremiti di edicole vuote, i cui  recessi recano al santuario interno sovrarialzato, è un disorientamento cui contribuisce l’ammanco del lato a ridosso del villaggio, tamponato da un edificio che comprende i resti della parte caduta in rovina, insieme con la copertura del santuario del tempio. Ma l’impianto presto si disvela.

Sul basamento che digrada nel talab, tre delle quattro scalinate originarie d’accesso recano ad una terrazza superiore, e tra loro, dopo i primi gradini, sono raccordate da una galleria soggiacente alla stessa terrazza della piattaforma, sulla quale si sopraeleva il santuario vero e proprio. Sono così numerose le edicole sulle pareti esterne e interne della galleria, oltre settanta,  quale mio assistente, ne ha contate il mio piccolo incantevole Ajay, mio figlio adottivo, da accreditare l’ipotesi che il tempio fosse dedicato alle Chausat yoghini, le 64 dee in cui si manifesta l’energia o Shakti del Dio, con nicchie residenziali ulteriori per le divinità femminili ad esse alleate, almeno quanto,  se non ben più, del tempio che ritroveremo sul nostro cammino.Tra i rombi di diamante, e le rosette, che costituiscono i motivi ricorrenti dei fregi, nei pilastri una sorta di croce si risolve nella stilizzazione quanto mai compendiaria di due coppe fogliacee dell’abbondanza.

Non una novità, come non lo sono  l’ornamentazione involuta degli stipiti inferiori,  le pietre di luna o chandra sila delle soglie, o i reticoli a scacchiera sovrastanti, un apparato decorativo che fa risalire il tempio al secolo decimo della nostra era, quando i Chandella erano ancora dei feudatari tribali in fase di emancipazione. Dalla piattaforma, poi altre tre gradinate superstiti immettono nella sala o mandap quadrangolare del vero o proprio tempio , coperta, grazie alla transizione di un ottaedro, da un soffitto circolare da cui si affacciano teste bovine, entro l’involucro superstite di un tetto piramidale. Ed è da tale sala, che per il tramite di un breve vestibolo, si ha accesso a quel che resta del garbagriha, il santuario del Dio. Del portale solo le statue delle dee fluviali Ganga e Yamuna e delle loro attendenti - una delle quali era forse una divinità naga o serpentina-, sono sopravvissute con una certa grazia e fortuna all’erosione del tempio.

La contemplazione  in cui la mente s’interna in virtù del  respiro sacrale del tempio, può ora spaziare alla vastità del talab, nei cui fondali prosciugati discendono di seguito ghat sgretolatisi, e dove , se ancora umido è  il fondo, a trovare frescura e pastura armenti di bufali, in una distesa che si fa sterminata. 
E la mente corre in cerca di analogie e di conferme alle sue congetture, e non tarda a trovarle, in tutta evidenza, nella rivisitazione del tempio delle Chausat Yogini di Vias Badora, nel circondario di Lori, a una distanza di gran lunga inferiore di quanto non paia secondo gli attuali confini,  stando ai percorsi dei manti stradali e al  loro dissesto: anch’esso verte su quattro gradinate d’accesso su cui è sopraelevata la galleria, da cui  si ha accesso al tempio centrale, allo stesso piano, pressoché identica l’ornamentazione geometrico-floreale, e decisivo, a suggellare l’ipotesi che siano due varianti dello stesso tipo di tempio destinato al culto delle Yogini, il ricorso alla galleria deambulatoriale, ed il ricorrere sulle sue pareti di edicole così numerose, da raggiungere e superare il novero stesso delle Yogini.
Si è forse così individuato, al contempo, un tipo ulteriore di tempio alle dee Yogini, dell’India centrale, oltre a quelli di Khajuraho, che allinea le celle delle dee sui quattro lati del cortile rettangolare di una possente fortezza templare, e a quello che invece le dispone lungo le pareti che volgono circolarmente dei templi  di Mitaoli, nel circondario di Gwalior, e di Bedhavgath, nei pressi Jabalpur.
Raccolte le energie fisiche e speculative, si può essere di ritorno alla grande via alberata che reca a Mahoba, seguitando viaggio, al ristoro della sua ombra, fin che non si avvistano sul lato manco i cavalli di Arjiuna, Arjuna medesimo e il medesimo Krishna, nelle statue di uno sfavillante tempio recente ceramicato.
E’ alla sua altezza che occorre svoltare, per poi girare ancora a sinistra, e ritrovarci in Sanjahari, il bel villaggio del secondo tempio del nostro itinerario.
Così già l'ho descritto nella pagina del mio blog sull'arrivo dell'autorickshaw nella casa dell'amico Kailash
“Con Ajay io ero invece in Mahoba e dintorni, per visitarvi gli antichi templi Chandella di cui avevo ritrovato l’indicazione del sito, insieme con il foglietto su cui ne avevo trascritto i nomi, dai pannelli che durante il festival di danze internazionali di Khajuraho pubblicizzavano tali località archeologiche. Un incanto il tempietto dedicato alle Chausat yogini di Sijahari, la cui scalinata digradava nei ghat di un talab, tra le fronde di un pipal, e di un nim, che ne custodivano la sacralità delle granitiche forme architettoniche primeve,

sei sikkara sopra sei delle nove celle interne, corrispettivamente di diversa grandezza, alla destra e nel lato retrostante, senza alcun apparato decorativo, un portale di accesso alla sala interna su cui davano le celle multi residenziali delle dee, i motivi ornamentali esterni puramente geometrici,

in un’alternanza di poligoni e di rombi diamantini, sopra le flessuosità curvilinee degli stipiti inferiori, riprese magnificamente nella sukanasa o antefissa,

 secondo un’assonanza di forme e decoro che evocava i tempi del Lalguan Mahadeva di Khajuraho, e ancor più il Chusat yogini mandir, l’adiacente tempio a Ganesha, anch’essi in riva a un talab, di MauSahanya, o i presumibili tempietti alle dee e il tempio al Dio Shiva in loro puntuale prossimità , di Bhima Kundha, situati nei vicini paraggi di Dhubela"
 

In effetti erano cosi grezzi i soli motivi ornamentali di poligoni e rombi, era talmente semplificativa l'inteposizione della modanatura di quattro kapota tra il basamento e i sikkara,

da fare risalire il tempio di Sijahari, come quelli di cui detto, ai primordi della estensione sul territorio della dominazione Chandella


 


 

Lungo il percorso che dalla strada che reca a Mahoba svolta sulla sinistra,  all'ingresso in Sijhari, se non è in corso la stagione delle piogge, è impossibile non rilevare le pile di pani di sterco stesi al sole ad essiccare, secondo una disposizione estetica che rammenta l intreccio della paglia,

come il cotto di certi magnifici  gunbad o mausolei islamici  iraniani,  in Sangbast, nel Khorasan.

Siamo ben oltre ogni provocazione d'avanguardia inscatolata come merda d'artista,  ancora infantilmente intrappolata nel dualismo scatologico che fa dello sterco l'alimento principe del demonio, suscitato dal  disgusto sensoriale degli escrementi.

Dilungandoci nella sosta presso il tempietto, propiziata dall'amenità del sito,  sotto l'ombra delle fronde del pipal o del nim che si riversano nel talab, tra cui i sikkara granitici compaiono e dispaiono, il pensiero ricorre al dualismo radicato nell'arte Chandella come in quella di Roma antica, tra un arte braminica o patrizia della capitale e un arte plebea della provincia, per cui il granito e il suo rude ornato hanno iniziato e  seguitato a caratterizzare il sermo rusticus dell'arte dei Chandella nelle aree rurali delle loro dominazioni, rispetto ai templi in arenaria splendidi che si sono susseguiti in Khajuraho,  o negli altri principali centri dei Chandella che, quasi in prototipi di esordio, come a Mamallapuram, vi erano stati prefigurati in forme più  rudi o ancora ridotte, per poi  rifulgere coevi,  per chi venisse dai contadi, nella loro grandiosità di sviluppo architettonico e statuaria,  a iniziare dall'esordio fenomenale del tempio Laxmana. Nello stesso volgere dei tempi, i templi rurali coesistevano con la  grandiosità di sviluppo di quelli delle capitali, in modi analoghi a quelli in cui  le pievi romaniche assistevano alla loro trasfigurazione nelle splendide cattedrali dei borghi medioevali, e seguitavano a volgere alla fede e a riproporsi umili ed alte, o divulgavano i luoghi di culto più illustri in modestia di  sembianze e di ornamenticome mentre i nostri templi hindu, periferici,  riproposero quelli di Khajuraho, o di Mahoba, , più che a riproporre in tutta modestia quelli di Khajuraho, come in direzione opposta pur avvenne, remotamente, a Boipura, o a Baragaon,  in quel di Tikamgarh, tesero a differenziarsene, o si profusero per conto proprio, magari con  la vistosità di più sikkara, facendosi plurimi nei loro santuari, magari, e nelle modalità d'accedervi, ma in scala più ridotta e in tutta povertà granitica, con più rudimentali torniture di modanature e scannellature di amalaka ,  senza trine o trame di chaitya, ma senza florilegi di statue o di fregi di scene di vita di corte,  ricadute di kirtimukka a profusione. E come era possibile, altrimenti, se anche nelle successive capitali di Mahoba e di Ajaygarh, i templi dei Chandella poterono reggere il confronto con quelli di Khajuraho solo in ordine di grandezza e quanto a edificazione in arenaria,  negandosi ogni consimile trasposizione statuaria di quali e quanti siano i modi di manifestarsi della pienezza del  Dio.

Ma se nell'arte di provincia non fu raggiunta o perseguita la successione in linea e in crescendo delle componenti architettoniche dei templi di Khajuraho,  che teneva sublimemente coesa ogni espansione laterale nei transetti ed ogni profusione iconografica statuaria,  in una forma di coesione ascensionale sattvica, che rendeva intelligibile mediante un percorso circolare la metafisica religiosa che ispirava i cicli e le proiezioni e i recessi delle innumerevoli statue, non vi venne meno l'avanzamento di grado nella unificazione architettonica del tempio hindu,  di portici e sale e gallerie di deambulazione e santuario, che dei Chandella  alle forme del tempio hindu fu il lascito straordinario.

Lunga e diritta corre la strada verso Mahoba, già oltre in direzione di Bandha, e quasi dispiace, giunti al chilometro undici, lasciarne il confortevole ammanto, pur di giungere alla meta finale, per ciò che ciò si prospetta di li a poco, tra il polverio che si fa ammorbante delle cave intorno di cemento. una deviazione sulla destra per una strada sterrata così accidentata e scoscesa, irta di spuntoni di roccia così aspri, che invita a chiedere al cielo quando mai finisca, per suggestivo che sia, nel sole e nel caldo, l'aspetto nevoso che assume il paesaggio sommerso di calce. Ma è la pena di pochi chilometri soltanto, giusto il tempo che si profili il dirupo di massi intorno al quale svolge il suo corso l'incantevole Makarbai, che è bene seguire tutto nel suo dipanarsi di casipole bianche e blu, negli slarghi improvvisi ombreggiati dai nim, fin che tra i tetti bassi di tegole compaiono intatti i sikkara del purana mandir, o mar, di cui si è chiesto così a lungo, e di cui non va certo deluso all'impatto l'orizzonte d'attesa.

Tre sono i sikkara, con un rombo di diamante macroscopizzato nella discesa della proiezione centrale lungo i fianchi della jangha,

  reticoli a scacchi ne sono la trama e gli occhi di luce in luogo delle gavaksha, o chaitya, come tre sono i garbagriha dei santuari  che raccorda la sala interna, cui si accede da una gradinata che ne risale la piattaforma su cui la sala o mandapa è sopraelevata, con la sua volta a cupola sovrastata puntualmente da un tetto piramidale.

I portali dei garbagriha consentono di identificare in Vishnu la divinità della trimurti che in diverse sue manifestazioni , secondo la diversa disposizione dei suoi attributi, presiede al centro della trabeazione l'ingresso della cella, e indica  nella sua divinità  il destinatario del culto, nel fregio sovrastante si affoltano le nove divinità planetarie, e come è di rito le dee fluviali, Ganga e Yamuna , sostano in basso  sugli stipiti laterali. Nella volta del mandapa oltre  la cordonatura soggiacente di "reverse half diamonds " (semi-diamanti inversi),  fregi di  triangoli alterni, rosette, si succedono motivi a cuspide, esattamente come nel tempio  shivaita gemino di Vias Badora.

Volge al tramonto l'ora calda meridiana, appagati si è di ritorno lungo la via che riporta a Mahoba, non senza che dei pavoni possano esserci stati di congedo nella radura al'uscita del villaggio.

 

2 maggio 2013


Antichi templi di Khajuraho


Poco prima del sinuoso ingresso nell’intrico della vecchia Khajuraho,  così simile all'arroccamento tra le sue mura del suo riottoso induismo, scartando biciclette, o autoricksaw, l’ ingorgo al crocicchio del traffico umano ed animale, si apre sulla sinistra la stradicciola da intraprendere per iniziare il nostro itinerario, che costeggia l’acquitrino del Ninora Sagar. Nel suo breve tratto, un maialucolo nero che s'intrufoli nel vostro percorso lasciando le sue abituali immondizie od il liquame di scolo,  delle donne che si abbeverano alla pompa dell'acqua con accanto il loro vasellame metallico da rilavarvi, altre che sopraggiungono tra greggi ed armenti nel clangore dei loro campanacci,  con in testa un carico  di sterpi  o recando il loro fascio dell'erba stagionale, delle bambine che si dilettino a spalmare di sterco scaramantico la soglia di casa,  tra lo strombazzare di autoricksaw Ape e di motociclette, di trattori agricoli o vagoni di trasporto,  possono farvi ritrovare pienamente immersi nell' India in cui siete, mentre addossato alla arginatura del bacino del talab,  già si prospetta  il primo dei templi della nostra peregrinazione mirabile, il Brahma mandir,  come erroneamente siamo già indotti a ritenere dalla credulità popolare. E’ invece dedicato al dio Vishnu, il dio della forza di coesione onnipervasiva che conserva l'universo, secondo quanto attestano, indubitabilmente, le prominenze centrali delle immagini scultoree del dio  sugli stipiti d’accesso,  o il servente Garuda, metà uomo-metà uccello, che prono in perenne devozione, sulla sua fronte di ingresso principale, onora tuttora il proprio dio della sua cavalcatura aquilina.


 


 


 


 

Nella spoglie vesti rudimentali in granito della  sola cella di cui consiste, non che dellaphamsana piramidale d'arenaria in cui culmina, che nella Khajuraho dei Chandella non  aveva ancora ceduto il passo a curvilinei sikkara, il tempio, che era forse un edificio memoriale come il Matangheswara, l' edificio di culto ancor  vivo che sorge accanto ai templi celeberrimi ma monumentali del gruppo occidentale,  mostra di primo acchito quale fosse ancora lo stato  dell’arte sotto i Chandella ai tempi della sua costruzione, ancorata  al 925-950 dopo  Cristo. Dei templi tuttora superstiti, era stato fino ad allora eretto in Khajuraho  il solo  Chausat yogini mandir, cosi possente quanto primordiale, nel fornire a tutte quante le 64 deità della fertilità in cui si manifesta la sakti dell'energia divina, 64 tempietti minimali più tre altri, non meno essenziali, per le divinità femminili loro alleate, al riparo ciclopico delle muraglie di un’antica fortezza templare, ed era prossimo a sorgere, o da poco era stato eretto, in tutta la modestia delle sue pretese, il solo tempio shivaita ora a perdersi tra i campi di Lalguan, prima che i Chandella,  al cospetto delle divinità brahmaniche, sbaragliassero ogni rivalità mimetica che tra i sovrani hindu dell’India centrale potesse insorgere nelle edificazioni templari dinastiche, con l’elevazione fenomenale del tempio Laksmana..

Come  si sia invece  ai piedi del nostro tempio, ancora così umile e rude, numerato in ogni sua scabra pietra, è sufficiente risalirne la scalinata  per scoprirne  all’interno la ragione duplicemente erronea della sua denominazione brahmanica quale lo è quella, addirittura seriale, dei templi Chalukya di Alampur, nel lontano Andra Pradesh. Del resto, la dedica di un  tempio al Dio Brahma, pur se è il Principio o Sorgente di ogni realtà, e fa tutt'uno con essa, è in India altrettanto inusuale quale lo è nella cristianità occidentale quella di una chiesa a Dio Padre, laddove prolifereranno lungo il nostro stesso percorso i tempi e i tempietti dedicati a Durga o al leggendario Hanuman, il dio.scimmia aiutante in capo di Rama,  così come, nei paesi della cattolicità cristiana, quali l 'Italia, non si contano le cappelle e le edicole votive alla Vergine beata, erette tra i  campi o dove svolti una strada, ad attestare tuttora, nelle mie campagne d’origine padane, quali fossero i termini della centuriazione romana cui ci si rifaceva  nella loro dislocazione. Basta, per rendersi  conto del fenomeno analogo in India , già dal limitare del tempio in cui ci ritroviamo, seguitare ad inoltrare lo sguardo lungo l’argine del talab, per scorgere il biancore del primo dei templi alla Devi che onoreranno il nostro percorso.

Ma prima ancora di distanziarci insieme con il nostro sguardo, occorre  risalire, al termine della piattaforma,  alla ragione d’errore che resta da dirsi e vedersi, per cui il tempio è conosciuto come un tempio brahmanico.

Gli stipiti del portale cui siamo al cospetto, consentono intanto una chiara lettura di quale fosse l’iconologia statuaria imprescindibile di ogni accesso alla cella del  santuario: all’altezza del devoto, sulla sua sinistra la dea fluviale Ganga in posizione centrale, con ai suoi piedi  un coccodrillo rimasto intatto quale sua cavalcatura, alla sua destra, in perfetta corrispondenza,  la dea confluente Yamuna, con invece una tartaruga quale suo caratteristico veicolo animale. Le affiancano verso l’interno due assistenti  con un vaso di acqua purificatrice diruto, sovrastate da una corona di cobra anch’essa erosa. Sono nel regime protettivo delle divinità acquatiche serpentiniformi, o Naga, in relazione di subordinata inimicizia con  lo stesso Garuda.  Lo abbiamo infatti già ritrovato solo a debita distanza,  soggiacente al Dio Vishnu, al centro dell’architrave del portale, nella   posizione d’onore che al dio  Vishnu.è dovuta essendogli dedicato il tempio, mentre alla sua destra ed alla sua sinistra  si stagliano complementari e distinti Brahma e Shiva,  per quanto si interpenetrino nella trimurti hindu trinitaria . Ma è lord Shiva, che oltre il cancello che ci preclude l'accesso, al centro del santuario del tempio la fa da Signore, ossia da Ishwara, per un'incongrua traslocazione di un suo lingam a quattro volti, o chatarmukka,

che fu scambiato per un cippo brahmanico,  a seguito di una concatenazione di errori in cui si è così disvelata la ragione  della erronea denominazione del tempio. Shiva, il dio che tutto porta a compimento ed a distruzione, rigenerando la vita , ci appare ora di fronte incantevole ed orrido, nei quattro volti simultaneamente sereni e tremendi che affiorano dal suo lingam, rivolti nelle quattro direzioni cardinali a presiedere i quattro elementi della terra, dell’acqua, del fuoco, dell’aria, mentre il quinto elemento, la spazialità originaria dell’etere, o akasha, è da Shiva sovrinteso, quale Ishana, in un sua quinta attribuzione  che per la sua natura immanifesta è  qui simboleggiata dal lingam stesso,  data la sua realtà  non figurativa

 ( qualora si visiti il  Museo Archeologico di Khajuraho,  si potrà ammirare una traduzione inversa, delle manifestazioni di  Shiva, che gli attribuisce un suo viso personale come Ishana,  cui in un rovesciamento delle parti corrisponde invece una resa astratta, in forma di sfere, delle sue manifestazioni che assumono invece la personalità di un volto nel nostro chaturmukka. Si confronti Devangana Desai The religious Imagery of the Temples of Khajuraho, pg 60)

Nei suoi quattro volti inferiori, il  primo sembiante che ci appare è quello  meditante che il dio  assume nella sua potenza di Tatpurusha, o “ Spirito supremo”, una sua manifestazione che ha un volto analogo a quello della sua retrostante visualizzazione quale “Sadyojata”, mentre se procediamo  in senso orario lungo le pareti, come vuole la pradakshina, o deambulazione rituale, oltre le griglie, in posizione intermedia, sono gli opposti estremi del Dio che vediamo affrontarci, prima nel  suo volto spaventoso di Aghora, quindi  in quello soavemente femmineo di Vamadeva, poichè Shiva vi è tutt 'uno con  la soavità femminile della consorte Parvati.

Dall’alto della scalinata, qualora vi ci si soffermi, visitato il tempio, il bacino lacustre del Ninora talab si offre alla nostra vista sino all’opposta sponda, dove bambini e bufali, nel guazzo che li accomuna, trovano insieme il loro divertimento  e la loro pastura.  Di fronte invece all'entrata del tempio,  il vecchio villaggio ci concede  a sua volta un suo brano spettacolare,

che ci anticipa la fatiscenza sino allo sgretolio estremo in cui ritroveremo superstiti negli ulteriori  villaggi gli edifici di fango, tutto il rosso fulgore dei filari di mattoni cotti in cui ancora resistono all’usura del tempo le murature delle  altre costruzioni tradizionali, tra il sovraegersi, sopravanzante, dei fabbricati più recenti, e dei piani aggiunti, con supporti in cemento e travature  metalliche.

Presentano, le case in mattoni, le forme grezze e solide che consentono le intese edilizie tra capomastri  e committenti , secondo  la logica architettonica, o Vastu vidya, che sovrintende il fabbricare hindu dalla notte dei tempi dei Silpashastra, gli antichi trattati canonici che tali norme rielaborarono  Sui dossi che si avvallano tra le rovine di alcuni edifici diroccati, se non è la stagione delle piogge ci apparirà l’ altra più alta nota di colore, ocra, del paesaggio rurale , dataci dai pani di sterco stesi al sole a seccare, nel brillio dei filamenti di paglia incorporati.Ci si offra a tutta la loro vista benefica, è il loro consumo energetico,  per la cottura dei cibi, il riscaldamento, o la messa in fuga degli insetti molesti, ad opera delle dense fumigazioni che ne emanano aromatiche, che salvaguarda gli alti fusti e il diramarsi degli splendidi alberi che vedremo frondeggiare tra i coltivi:

E già non c'è tregua alle nostre emozioni, Come cessano i caseggiati da cui si risalga in strada, oltre tutta  l’ immondizia e la verde pastura della immensa radura successiva,  in cui pascono numerosi quanto stenti armenti, alla vista si  dona tutta quanta la grazia del tempio Javari, sullo sfondo d'incanto dei rilievi Vindhya.

Ci tragga pure in inganno la loro apparenza, che li fa  sembrare alti e distanti nei loro dirupi sommitali, quando sono invece ravvicinati e di altura modesta, lasciamo pure che ne tragga ancora più slancio ascendente il sikkara del tempio, il raccogliersi in armonia degli ulteriori  suoi picchi ascendenti , di forme al contempo così compiute e ridotte, prima di  accertare  che tale è la bellezza ideatrice di questo gioiello tardivo dei Chandella, che sopravvive al restauro di tanta sua parte ed alla scalfittura più rovinosa del suo complesso statuario.

Se il  tempio Javari  è di tale e tanta bellezza,  specialmente se lo si ravvisa di fronte dal  giardino circostante,

a dispetto di una denominazione che ha a che vedere solo con il miglio che si coltiva intorno, eppure pianta simboleggiante la fertilità germinale femminile, lo è  per  come  vi è armoniosamente raccolta, in  erte distinte, la tensione ascensionale prima piramidale, e poi curvilinea, delle sue sommità  sovrastrutturali che lo ragguagliano al Mont Meru,  celestiale dimora degli Dei hindu ed Asse del cosmo. E' un'ascesa cosmica che si sospinge a risalire fino all'Uno nel pinnacolo, che  secondo il profilo terminale del sikkara simboleggia il punto, o bhindu non spaziale, in cui   tutto ritorna per esservi riassorbito ed emanarne di nuovo.

Ad esso, con l'anelito del tempio tutto, tendono a risalire lungo il corpo del sikkara le sue riproduzioni in miniatura che vi sono aggettanti, come tante balze al monte che ne è la mole,  in conformità  ad un'idea frattale della divinità del reale, secondo la quale lo stesso ordine e le stesse forme si ripetono ad ogni suo diverso livello. E' cosi anche per  le sovrastrutture piramidali delle sale profane del tempio, che trovano una loro replica in tanti isomorfi tempietti- edicole, o tilaka. Il tempio inoltre incanta per quanto l'eleganza del torana, l'arco festonato del portale d'accesso, così come s'inflette in una quadruplice falcatura dai dorsi di coccodrilli-  makara,  si accorda con le svasature delle finestre balconate del portico  e del mandapa, la sala interna,

in un concorso, di festoni ed aperture, uniformate nell'ornamentazione, del cui consentire l'accesso alla grazia divina, tutto il corpo dell'edificio e l'apparato scultoreo di deità e ninfe celesti, le apsaras,  si fanno luminosamente partecipi, per un adito ch'è la stessa porta della morte di cui i coccodrilli sono i guardiani.

Chi, prima di  accogliere tale invito,  inizi il percorso di rito intorno al tempio in senso orario, la pradakshina, come si è detto, che visualizza la coesione con cui il divino si espande in ogni verso del mondo, tra le proiezioni di divinità amorose e ninfe celesti,  o apsaras, in tutta la bellezza dell'energia divina che crea semplicemente essendo e desiderando  se stessa, e la disposizione nei recessi delle figurazioni della nocività dei desideri illusori, rappresentate dai leogrifi o sardula, o detti altrimenti vyalas, presi per la coda o sormontati dai combattenti della virtuosità pugnace, insieme con le immagini di coppie umane, sensualmente intente,  per il loro piacere e per propiziare la fertilità di mogli e campi e ogni buona sorte dei devoti del tempio, vedrà comparire quali statue di maggior risalto, per il loro  stato di conservazione, gli otto dikpalas, o divinità guardiane delle direzioni spaziali,  duplicate, e ben individuabili, perchè ognuna di esse  è sovrastata dalla divinità vedica, ossia propria della religione originaria dei grandi testi Veda, di  un corrispettivo ashtavasus, con la facies bovina, non che  per la collocazione di riguardo che a loro è riservata, entro nicchie impreziosite da colonnette sovrastate da un fregio diamantino, e raccordate da un torana flessuoso, così come è dato di vedere altrimenti, non in Khajuraho, ma nel tempio a Shiva Neelkanteshwara di Udaipur. A iniziare, a Sud, da Yama il dio della morte, che tutti gli esseri viventi cattura con il suo laccio, o pasha,  a tale compito tutelare del tempio appaiono retrocesse  le grandi divinità vediche originarie,  Nirriti, il dio dei virtuosi sfortunati che volge a Sud Ovest, ignudo e con il trofeo di una una testa mozza, ad Occidente Varuna, dio dei cieli e delle loro acque superiori , a Nord Ovest Vayus, dio del vento e del soffio psichico vitale, a Nord Khubera, dio di ogni fortuna tesorifera, a Nord Est Ishana, dio della spiritualità trascendente, a Est Indra, dio delle piogge e  del fuoco celeste della folgore, a sud est Agni, dio del fuoco del mondo terrestre, del focolare e dell'altare.

Nelle proiezioni centrali campeggiano, da sinistra, in senso orario, sormontata da Vishnu e Laxminella edicola dei loro amori , l'incarnazione vishnuita di Narashima, così ammalorata, da indurci a dire di Narashima quando ricorrerà più integro nel tempio seguente, valga lo stesso discorso per  l'incarnazione sbrecciata di Varaha nella proiezione opposta, su cui si ergono in coppia Brahma e una splendida Brahmani, compiaciuta del suo amato come del fondo stesso del proprio essere, mentre intriga identificare il dio tricefalo della parete di fondo, su cui si effondono in considerazioni amorose Shiva e Parvati: Dattattreya forse, in cui si  presero corpo Brahma, Shiva e Vishnu , sotto l'ascendente di quest'ultimo, per la felicità virtuosa dei saggi Atri ed Anasuya.

Seppe costei accogliere la trimurti con tale purezza di madre nella nudità richiestale, che essi le accordarono di farsi suoi fantolini.

Un dio "vestito di cielo", talmente svezzato dalla rinuncia e dall'insegnamento che ci reca ogni elemento del mondo, da  ritrovare la verità delle cose in ogni possibile dato ed esperienza, la saggezza suprema anche nella stupidità estrema " Non credere che coloro che sembrano immaturi, creduli, sciocchi, lenti, profani o falliti non abbiano nulla da insegnarti. Tutti loro insegnano qualcosa, tu impara dunque da essi".

Sulla sua destra una coppia, per quanto mutilata, esibisce la penetrazione del membro con precisione di orifizi e corpo cavernoso,  non meno esplicito è il mukka mithuna, l'accoppiamento lingua -lingam che ricorre eroso e abraso nel recesso che precede nella parete ultima l'ultima proiezione dei dikpalas, in un chinarsi della donna al cospetto dell'uomo che richiama, nelle sinuosità rispettive, quella del combattente del vyala e del vyala stesso, ad essi soggiacenti , proprio mentre sono intenti l'uno a prendere per la coda la natura viziosa dell'animale che sovrasta laltro, flessuoso.. Altrove, ma è un luogo fin troppo comune nei templi di Khajuraho, si profitta di una giovane reclina, ad angolo acuto, nell'abbassarsi a sollevare una brocca, per penetrarla retrostantemente di precisione, altre giovani apsaras si compiacciono delle loro grazie palpandosi un seno, due altre ninfe si dilettano di un infante che recano in braccio.


 

Entrando quindi nel tempio,  per l'adito di vita e di morte  del  torana,  si transita lungo l'atrio d'ingresso ed il mandapa, sotto soffitti che recano scolpiti fiori cuspidati per trame sovrappposte, fra i quali si interpongono kirttimukka, volti leonini che eruttano festoni , privi della mandibola.Negli innumerevoli fregi in cui ricorrono, nei templi di Khajuraho, - li avevamo potuti vedere anche all'esterno del tempio Jvari,  in duplice fascia, al pari dei makara  sono l' apertura di bocca della "luce del mondo",  da cui esce la vita e in cui se ne rientra , per la porta della liberazione o per le mascelle della morte ( si veda di  Guenon  La scienza sacra, alla pagina.319 dell'edizione italiana),  Sopra le mensole, lungo le travi, ricorrono cortei festanti di gana, o cherubini, celestiali musici e danzatori, tra dei devoti estatici,   avviati alla gioia dal magnifico dio  elefantino Ganesha che rimuove ogni ostacolo, mentre lo fiancheggiano, nel mandapa , accompagnato egli a Kubera.

Danzatori e musici terrenamente umani, o quali celestiali gana,  possiamo ritrovarli nelle varie bande del portale d'accesso alla cella del santuario,  tra fasce di coppie amorose e di rilievi ondulati, mentre immancabili, ai lati, ci affiancano Ganga e Yamuna, nell'estremo transito per acqua purificatore.

L' architrave, come è dato attendersi, reca al centro Vishnu,  Brahma e Shiva al suo lato di destra e ad quello manco, e le nove divinità celesti hindu, o navaghaha,  a fare da intermediarie, in virtù della potenza dei loro influssi sull'esistenza terrena( Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno,  più il Sole e la Luna,  non che i nodi lunari di Rahu e Ketu). Siamo così giunti sulla soglia della cella, o garbaghiha,  l'utero germinale del cosmo in cui il dio del tempio risiede.  La sua statua centrale vi sta  lungo la verticale dell'Asse del mondo che lo raccorda al punto finale del riassorbimento sommitale. In essa finalmente siamo di fronte al Dio del tempio, Lord Vishnu,   benchè senza più la testa e  nemmeno le braccia. Restano da ammirare del suo corpo la posa ferma e l'ornamentazione preziosa . Ma come per un  punto Martino avrebbe perso la cappa,  è per l'assenza in essa di speciali cavigliere, o padangada, che la statua ed il tempio avrebbero potuto non essere fatte risalire ad un periodo oramai tardo, oltre il 1075 della nostra era, in cui divennero diffuse  tra le genti di allora di  Khajuraho,  e furono riprodotte di riflesso nella  statuaria religiosa, figurando alle caviglie di Vishnu Vaikunta  nel tempio Laksmana, od a quelle del dio stupendo del tempio di Chatturbuja, o delle figure scultoree assai meno esaltanti del tempio Duladeo , non fosse,  ad evitare una retrocessione nel tempo, che le padangada le ritroviamo in altre statue del tempio Javari.

Ma a parziale compenso della stroncatura delle braccia e della testa del dio, sono rimaste per lo più inscalfite le immagini circostanti delle sue principali incarnazioni: sulla nostra sinistra, arretrato rispetto alla consorte vishnuita Laxmi, la dea prosperifera, apportatrice di ogni fortuna di questo mondo, Rama regale, di cui  troppo sarebbe da dirsi, per farvi anche solo minimamente cenno, mentre sovrastante la dea  è l'avatar replicatissimo del cinghiale Varaha, che si appaga di appagare la  Terra del sollievo di ritrovarsi, per la sua possanza, risollevata dalle acque oceaniche che la sommergevano, colpevole il demone Occhio d' oro, Hiranyaksha. Sulla nostra destra, invece, arretrato invece rispetto a un Garuda  tutto riccioli e baffi, sta l' incarnazione di Balarama con i suoi bravi serpenti intorno al capo,  ed all'altezza di Varaha a costui è contrapposta  l' incarnazione di Narashima, il dio-uomo- leone che sbrana Hyraniakashipu, il Ricoperto d'oro,  nemico impenitente del proprio figlio adoratore di Vishnu, ( né di giorno, né di notte, né da un uomo né da un dio, né da un animale, né dentro né fuori il suo palazzo, avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo leonino, né vero  uomo né vero animale, sortito istantaneamente dalle colonne del palazzo, dunque né da dentro né da fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli, ineccepibilmente) , mentre soggiace a Garuda l'avatar ancora di là  da venire di Kalki,  sul suo cavallo, alla stregua di un messia o di un imam sciita duodecimano. Ancor più miniaturizzate, sono pur visibili le incarnazioni vishnuite nel pesce, o matsya,o nella tartaruga che regge il monte che fece da zangola nella contesa tra demoni e dei della celeberrima frullatura mitica dell'oceano di latte.Nel nembo campeggia un Vishnu Yogashana, in posizione meditativa, mentre nove differenti manifestazioni del dio appaiono  in una  più sciolta posizione lalitsana nella cornice, ognuna di esse differenziandosi per la diversa combinazione che le mani delle braccia  recano degli attributi del dio, conchiglia, disco, loto, mazza, e per il diverso equilibrio, che ogni loro diversa disposizione esprime, degli elementi e delle tendenze naturali corrispondenti ai quattro attributi.


 


 

Tornati a rivedere il cielo, a meno di una dilungatoia,  occorre compiere un piccolo balzo su un  rigagnolo fetido,  per seguitare il cammino che ci farà  ritrovare, a poche centinaia di metri di distanza,  già alla cancellata che racchiude il tempio Vamana, dedicato anch'esso al dio Vishnu, ma nella sua incarnazione più divertente, Vamana trivikrama.

Credeva il demone Bali, potentissimo demone ai tempi del Treta Yuga, la seconda età del mondo, che di risibili  pretese fosse quel piccolo brahamano, nel chiedergli quanto del mondo riuscisse a percorrere nell'arco di tre suoi passettini: a concessione ottenuta, peccato che come ognuno dei veri piccoli di questa terra, Vamana si sia rivelato immenso all'istante, in tre dei suoi passi percorrendo e sottraendo a Bali l'intero il triloka,  tutti e quanti i  tre mondi di terra, cielo ed atmosfera.

In realtà, il tempio in suo onore era accampato da tempo alla nostra vista, nella mole del suo sikkara e del gremitio di nicchie della sovrastruttura della sua sala principale, ma ora il suo avvistamento può tradursi nella vista della sua maggiore complessità d'impianto rispetto al Javari,

come anticipa il suo dilatarsi in un mahamandapa, ossia in una grande sala, ai cui angoli sporgono di vedetta mini-elefanti, come nei templi Kandaryia e Vishvanata.

Liscio di ogni appiglio di repliche è il suo massiccio sikkara,   ma sopra la sala principale si addensa una copertura, di tipo samvarana, che come in un mega resort di divinità ritiratesi nella giungla, assembla lungo ogni trasversalità possibile  tettucci  campaniformi, o piramidali, di minidimore divine replicanti l'ingrossamento a cupola della copertura piramidale, meravigliosamente coronata a campane.

Il crollo pressoché integrale del portico di accesso al mahamandapa, è un invito provvido a indugiare all'esterno, ove ci fornirà ampio diletto il complesso statuario architettonico, assai più cospicuo e meglio conservato e vario di quello del tempio Javari, pur se in luogo della abituale terza fascia di angeli musici volanti, con ghirlande, i gandharva, reca una semplice galleria fregiata del motivo ornamentale dei diamanti.

Si può iniziare, in tutta calma, ai lati del portale d'accesso in cui nelle proiezioni  ci fronteggiano Vishnu ed il dio guardiano Indra, da due fanciulle nubili, senza gioielli e trucco, l'una delle quali nuoce all'altra nel gioco innocente della palla, con lo scagliargliela improvvidamente nel bulbo oculare, mentre le due donzelle sottostanti recano l'una un frutto di mango, la seconda legge una lettera. Sopra la cornice del balcone incombente appaiono le prime delle poche scene di accoppiamenti carnali del tempio, Vishnu a farvi da contraltare a Ganesha.

Che tali scene non siano erotiche non dovrebbe del resto sorprenderci, poichè non è  in virtù loro, del sottostare, nei loro allestimenti, di una dama alle voglie di un orso o a quelle di un cane, meno intrusivo, che i templi di Khajuraho sono effettivamente dei templi dell'amore,  altra è la loro funzione che quella di eccitarci, a illustrazione di questa posizione o quell'altra del Kamasutra, a dispetto di ciò che le guide locali vi ripeteranno per comodità di  errore,  come non fu per indurre la cristianità di Modena a tumescenze impertinenti, che la gran donna della potta la mostrava ben schiusa  dall'alto del duomo della città emiliana, servivano siffatte immagini spinte a propiziare la fertilità  delle donne e dei coltivi, ed erano tanto più  fertilizzanti o fecondative quanto più erano estremi e poco giudiziosi gli accoppiamenti che esibivano , sempre che estremizzando non si volesse che una gran risata seppellisse ogni eccesso nel farlo o nell'astenersi, di tantrici orgiastici o di pudichi pruriginosi jain. O altrimenti l'unione sessuale risulta vividamente avvincente, nella rappresentazione della pienezza dell' appagamento dell'atto di godere, in forza del  fatto stesso che l'unione fisica era solo  il significato primario delle sue  rappresentazioni più splendide e ( più) in vista nei templi, la lettera che celava il sovrasenso dell'unione dell'anima con il Sè profondo che è la Divinità del Mondo, per il tramite, esemplificando, delle pratiche yoga che grazie allo stesso congiungimento equilibrano i flussi  del  nostro respiro, come nel coito i corpi raffigurati si compenetrano in una composizione che raggiunge  l'equilibrio formale delle linee di forza degli yantra, o diagrammi cosmici.

Vishnu, superato l'impatto niente affatto traumatico con  tali immagini, ridice la sua per quanto è proiettato oltre la parete Sud, il cui orientamento poco fausto ci è ricordato da Yama, dio della morte, sotto l'ashtavashus di riferimento, cui fa immediatamente seguito Nirriti, volto a Sud Est,  seguitato da due ulteriori riproposizioni di Vishnu, prima che una serie di edicole in verticale, tutte al femminile, all'altezza del vestibolo interno, o antarala, ci  esibiscano Laxmi con l'incarnazione vishnuita di Varaha miniaturizzata, Parvati con luna crescente, Sarasvati, dea dell'intelligenza, consorte di Brahma, attestata dallo strumento musicale della vina, Brahma e ulteriore consorte Brahmani pluricefali.

La proiezione centrale del santuario ci propone l'incarnazione vishnuita nel cinghiale Varaha sotto Brahma e Brahmani, mentre ai lati è una profusione di apsaras l'una più ammaliata, ed ammaliante dell'altra, nel cercare ogni pretesto per ostentare le proprie nude avvenenze, chi svestendosi al più presto dei propri indumenti su cui sta  uno scorpione, così ancor più dandola vinta alla sessualità che lo scorpione stesso simboleggia, come accade alla la ninfa situata più in alto nel terzultimo dei pilastri, dove è preceduta da due altre apsaras, a ridosso della proiezione centrale,  che si allacciano voluttuosamente il corpetto del sari  o si tingono  le palpebre di kajal

 Si è al punto di  svolta verso la parete retrostante, al cui centro stanno l'incarnazione vishnuita di Narashima ,

al di sopra Shiva e Parvati  intenti nel loro sposalizio,  precedute al livello superiore da ninfe che recano cespi di mango, tra le quali una apsara sembra afflitta dal dolore cocente che le reca la lettura di una lettera.

 Gli dei guardiani Varuna e Vayus ci accompagnano e si accomiatano nel passaggio di direzione da Est a Nord Est,  verso la parete settentrionale dove precedono altre creature celestiali a sesso aperto, e scoperto, meravigliosamente intente a decorarsi con l'hennè le palme delle mani o le piante dei piedi , se non a levarvisi un pruno pungente, o ad usare anch'esse per gli occhi il kajal, o il collirio, divinamente indifferenti al troneggiare al centro di Vahmana sotto Vishnu e Laxmi.

Nel pilastro della proiezione  che precede gli dei guardiani Kubera e Isana, affiancati a delle edicole evacuate delle loro divinità, presumibilmente femminili, una apsara ha un bambino accostato all'esuberanza del seno destro, mentre, oltre le nicchie vuote, la più meravigliosa di tutte le ninfe rimira nello specchio tutta la bellezza di cui è vaga del proprio orecchino, intanto che la lady sovrastante si depila l 'inguine senza tante pinze..

Sopra le edicole vuote, si succedono  Shiva con il relativo consorzio familiare,- ossia con la consorte Parvati e le divinità filiali Ganesha e Kartikkeya-, Brahma e Brahmani,  Vishnu più in alto di tutti in solitudine eletta. Non resta che attendercelo di nuovo al centro della cornice superiore del balcone, tra coppie amorose per niente conturbanti.

L'ingresso al tempio incombe, che per la rovina del portico d'entrata ci immette direttamente nel mahamandapa, la sala delle danze e dei riti in comune  che precedevano le offerte, come ci ricorda la sua piattaforma sopraelevata tra quattro pilastri, che risultano tra i più massicci di Khajuraho..

Negli altri pilastri di raccordo con i transetti dei balconi, di accesso al vestibolo stazionano dvarapalas, o guardiani delle porte del tempio, che recano steli di loto o gigli, o  meno delicatamente una serpe, in degna compagnia sull'altra faccia del pilastro di una deità Bhairava dal tremendo aspetto corrucciato,  rigonfi i capelli, gli occhi protuberanti, la bocca spalancata.

Nelle fasce del portale d'accesso alla sala del Dio, di rilevante vi è la successione delle posizioni erotiche delle coppie amorose o mithuna, nella fascia centrale dello stipite alla nostra sinistra, che procedono dai preliminari al compimento , per poi concludersi nel disciogliersi dall'atto dei partners. Gaya Laxmi profusa d'acque da due proboscidi elefantine e la divina Sarasvati, finalmente con un  libro in mano insieme con la vina,  stanno invece nelle nicchie intermedie ai lati del dio Vishnu che campeggia  nell'architrave.

Nella cella del santuario il panciutello Vamana con salva la testa ma infrante le braccia, è affiancato dalle  manifestazioni umane, o purusha, dei poteri di due dei propri attributi, la conchiglia  nel Samkhapurusha alla sua destra, seguitato da Laxmi, il disco nel Chakrapurusha, oltre il quale un barbuto Garuda reca un ostico serpente. Intorno stanno le sue incarnazioni, come nella statua del Dio del tempio Javari , e nella stessa disposizione, con le felici aggiunte di Buddha seduto ai piedi di Laxmi, nella posizione di toccare terra a propria ed altrui protezione con la mano destra, di Parasurama con tanto di ascia, come prescrive il nome, a fianco di un Balarama serpentinato che reca una coppa di vino.


 

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Tralasciati gli antichi templi Chandella, per disaffaticare la mente ci si può addentrare nel recinto calcinato, che all'ombra di un  bargad dal fusto ritorto,  tra  edicole sparse,  sfusi yoni e lingam e devoti Nandi in adorazione di Shiva, ospita un tempietto di Durga ed uno di Hanuman, come anticipano le bandiere rosse e gialle all'ingresso, e sulla soglia del tempio di lato della Devi, due leoni in pietra colorata, che minacciosi ringhiano ai bordi  del cancello d'entrata.

La cenere sparsa sotto il trisul, o tridente di Shiva, la quiete in cui tutto riposa all'interno del complesso, compresi il  custode e l'officiante  immersi nel sonno, mentre solo qualche refolo di vento può sommuovere le bandiere rosse e gialle, è la serenità del Dio  tremendo che soggiace immanifesto, nel tormento mentale che qui cerchi sollievo.


 

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Il percorso seguente si addentra in un breve succedersi di casolari, e rustici e stalle, ch'è di conforto alla rianimazione spirituale del tempio Vamana cui gravitano intorno,quasi che senza il loro soccorso e degli alberi che gli frondeggiano appresso, egli già fosse poco più che un caro estinto monumentale, fino a che dal fondo sterrato emerge il profilarsi dell'asfalto che ci reca sollievo. Le sue anse lasciano sulla destra una spianata dai caldi colori, tutto un intrecciarsi di piste tra le radure che ospitano nei giorni di festa giocatori di cricket, con occasionali wicket, per inoltrarsi tra i coltivi e l'addensarsi delle grandiose piante che li recingono,  una moltitudine che si infittisce in lontananza, contro lo stagliarsi  all'orizzonte delle alture montuose, che appaiono più ancora quali dei  maestosi rilievi nelle loro alture dimesse.

 Ma a rammemorarci ad ogni istante che non siamo felicemente regrediti o di ritorno ad alcuna età dell'oro, sia essa d' impronta greco- latina o il Krita Yuga favoloso della dottrina hindu dei cicli cosmici, in cui facile sia il sostentamento, e ignoti gli odi e gli inganni, come può illuderci l'incanto dei prati  tra gli alberi  di mahua o di neem, o il sopraggiungere nel loro clangore di lenti armenti di  pecore o di possenti bufali, di un carro agricolo trainato da buoi nella sua intelaiatura di legno, stanno le recinzioni ininterrotte di filo spinato che ai bordi della strada marcano invalicabilmente  le proprietà terriere, precludendoci, come agli animali voraci e ai ladri endemici locali, ogni libero accesso alla fragranza di spighe e di steli

Sulle ritorsioni dei fili, d'inverno, solo le campanule ingraziano il tragitto.così delimitatoci.

Siamo anche qui, al più, in un'era bucolica segnata dalla storia, e ben di ferro, per quanto ciclico ne sia il decorso annuale, e più che il canto degli uccelli tra i rami, è più facile udire il pigolio dei bimbi che come per strada  vi avvistano quali stranieri, vi si accostano senza remore e riguardi e vi chiedono all'istante " money, pen, chocolate", senza tanti "hello sir", o " how are you", che ben saprebbero come dire, ma non si confanno al sentire che hanno di voi.

Provate allora  a ribattere che l'elemosina  va chiesta rivolgendosi a chiunque sia di passaggio, sia egli indiano o forestiero, accennate all'uomo che segnato dal lavoro dei campi ride alla scena sotto immancabili baffi,       " ma quello è mio padre", vi dirà schernendosi il bambinello ridanciano.

E tanto silenzio, che grava intorno, rotto solo da trattori e vagoni agricoli, da trebbiatrici o mietitrebbia che ostruiscono il passaggio,  o che nei villaggi e nella loro ruralità arcana ne rende metafisici i casolari, è dato dall'esodo dei campi e dallo spopolamento, per opera dei dalit, soprattutto, che in cerca di fortuna vanno in  città che qui dicono Delhi, che  proprio con il concorso delle loro tribolazioni  sollevano ora il capo tra le altre dell'India, quanto qui sogliono le mahua tra le piante di neem.

Ai dalit  non sono bastate le compensazioni del discrimine di out cast con terreni forzosamente sottratti,

l'accesso alle macchine agricole è di pochi, essendo per lo più di costoso noleggio, e insieme con le leggi di mercato, e gli oligopoli multinazionali, che impongono l'esosità di sementi e concimi, qui c'è chi fa la da padrone senza sorta di repliche, su affittuari e vigilanti, sui lavoranti nei campi, con richieste di canoni, e   remunerazioni minimali, che  non lasciano margini di sorta oltre la sola sussistenza.

E poi l'acqua decide di tutto, che sia disponibile solo quella piovana, che sia attingibile  nei pozzi o pervenga canalizzata, che arrivi a tempo o fuori stagione, con grandinate esiziali.


 

Ma l'occhio , così disincantato, può rimirare meglio lo splendore dei campi, della loro fertilità assicurata dalla ferrugine della terra , che non ha nulla del grigiore cinereo delle polveri di campi aridi o di cremazione, rossa come il  sangue del mestruo delle divinità femminili qui ovunque onorate, specialmente per Dusshera, al termine dei nove giorni della festività della Devi, o per Shivaratri, quando nel tempio Matangesvara si celebra lo sposalizio di Shiva e di Parvati , o nel giorno primaverile o già estivo della nascita del dio Rama, omaggiandole di vasi di germogli di miglio, nelle loro manifestazioni di  yogini o di sacre spose del Dio, di cui sono la stessa energia operativa.

Ed oltre i fili spinati, se non è avvenuto appena il raccolto,  nei campi l'osservatore può assistere al crescere   di grano e di senape, di ceci e piselli d'inverno, di lenticchie e di sesamo nella stagione monsonica, può incantarsi  al fervere del loro verde rigoglio, ingiallito dai fiori,  o al  compiersi della maturazione nel fulgore delle spighe, in un'aurea alonatura  che s'inargenta nei pleniluni estivi.

E se così è giunto il tempo della mietitura, vedrà i campi di grano farsi distese di mannelli per opera della falce, formarsi covoni tra gli steli recisi che inaridiscono a stoppie, sollevarsi la pulverulenza della trebbiatura che separa la granella da paglia e pula. Non immagini alcuna dispersione del tutto nel vento,  diventeranno aurei cumuli sospesi nelle aie e nei campi, destinati a ingrediente del sostentamento dei bufali, che se ne nutrirano lenti e placidi, al riparo dal gran sole,  sotto i tettucci di canne in cui è a loro ammannito come gusha.

E per chi voglia farsi partecipe, basta familiarizzare con un  sorriso, per potersi attivare al ventilabro      

di un 'elica, nella separazione del seme di cece o di pisello dalla pula e dallostelo, o nell'infornata nella trebbiatrice  dei mannelli di spighe di grano.

Senza che qui sia dato come altrove, nel Madhya Pradesh, per le lenticchie nere, di vederne il raccolto disteso per strada, perché la prima trebbiatura la facciano le ruote dei veicoli di passaggio.

Ma ecco che mentre si è così intenti a pensare, un serraglio di casipole rurali che si alzano a capanna sotto i coppi, costituite di rossi filari di mattoni imbiancati sulle soglie, tra cui spicca una parete tinteggiata di un celeste luminescente,  ci riconduce ben presto alle nostri peregrinazioni  archeologiche,  preannunciandoci oltre la curva, sull'altro lato della strada,oltre piante meravigliose di choeula, l'apparire, sullo sfondo dei monti, delle poche e fascinose rovine del tempio Cakra Matha,

 rinserrato da una provvida cancellata.

 Per chi vi sia giunto in direzione opposta, dai villaggi del circondario, è il sepolcro di Bianore che preannuncia la città imminente dell'antica Kharjuravahaka, ed è ora possibile rallentare il passo, deporre il  capretto diradando le frasche.

Del tempio vishnuita sopravvive solo il mandapa con i suoi pilastri malridotti e le trabeazioni sovrastanti, le cui mensole sono rette da gana-atlanti. Ondulazioni vaghe, kirtimukka, angoli  inversi scanalati, fregi di triangoli, le decorazione usuali che si intravedono.

Oltre una cava dismessa, in cui ristà una pozza dove i bufali amano rinfrescarsi,  che precede altre più ridotte e recenti che danno luogo a fabbriche locali di mattoni d'argilla, inizia il tratto più lungo del percorso che ci reca a Beni Gangi,  quale meta imminente, costeggiato da idilliaci casolari ameni, i cui filari infuocati di pietre sono terra della stessa terra fulgida intorno. Essi appaiono talmente ribassati nel distendersi a schiera in una successione di soglie, da essere soverchiati  dai tettucci reclini  di tegole e coppi , quando sia pure di poco non si rialzano a capanna.

Accanto alle dimore si staccano i porticati raccorciati del fienilucolo e della stalletta, mentre gli accessi, tramite bancali ornati di motivi a croce, si dilatano o digradano nell'aia di raccolta degli arnesi e attrezzi e  di  bufali e capre, intenti a pascere all'ombra delle piante che la contornano.

D'inverno, al calare delle ombre dei monti, vi si vedono i fumi dei fuochi aleggiarvi sospesi nell'aria che imbruna. Via via che Beni Gangi si fa più vicino, tra fichi d'india e palme, compaiono coltivi di menta, di canna da zucchero, ed agli alberi di mahua e di nem si aggiungono l' himli, manghi, frondosi pipal.

Intanto la strada s'inflette e risale lungo l'alveo del Kudhar, il cui lento decorso ristagna in uno specchio che pare immoto, si impigrisce sinuoso tra i massi del fondo senza che ne trapelino increspature.

Risalito il dosso, è già prossimo Beni Gangi, che  si apre alla vista come un'apparizione, nelle sue vivide case multicolori, accese di bianco e d'azzurro, disposte su più livelli  e  volte in più versi, tra il digradarvi dei rilievi nel cui varco s'incunea l'abitato.

Meraviglioso  è il contrasto tra i rossi filari dei fianchi delle case , talmente lineari da non consentirsi che qualche profilatura  od una balza sporgente,  ed il bianco od il celeste luminosi di cui sono tinte le facciate,  a ridosso delle quali s'infoltano e diramano violacee  bougaivilles, un contrasto che si fa ancora più intenso mentre si risale la via d'accesso al centro dell'abitato. Su di essa si affacciano i portici delle case a pilastri binati, e i muri si alzano arcani sempre più a vista , finché il suo  percorso,  addentrandoci ove la breccia si sospinge fino all'altro pendio dei rilievi, non ci reca allo slargo terminale, ombreggiato da consueto neem, in cui convergono incantevolmente ben cinque tra vie e viottole del nostro  villaggio

A conclusione della via sta l'unica casa, finora intravedibile in Beni Gangi, morbidamente plasmata  sotto le sue bianche calcinature, mentre  se ci si volge a destra , ci si prospetta una via curva in cui i portici delle case si inarcano a loro volta, lasciandosi  sovrastare dalle sporgenze suggestive di davanzali e terrazzi, secondo modulazioni  che non potrebbero essere più difformi alle  rientranze d'obbligo di atri e balconi  in Chandigarh, secondo Le Corbusier,  così come Le Corbusier  in Chandigarh non avrebbe potuto di meno essere indiano

Sulla sinistra, due stradicciole confluiscono verso il villaggio adiacente di Bamnora, ch'è preceduto dal traversamento di un ponte sul lutulento Kudhar,  sulla destra la incantevole via principale , cui pervengono le confluenze di vari percorsi, e suggestivi slarghi,  tra case dai portici bassi ribassati anch'essi ad arco, si diparte verso i campi che digradano a valle, ed ha il suo seguito, oltre i  campi da gioco e di feste del villaggio, i suoi mela ground, in una strada sterrata che separa i coltivi successivi dai rilievi incipienti, e dai loro boschivi, situati nell'opposta direzione. Lungo il corso  della via principale è ancora possibile vedere i ruderi o i ripostigli cui sono ora ridotte le più antiche dimore di terra cruda  di Beni Gangi, le loro murature furono costruite in pisè, con il getto di argilla, ghiaia, paglia e letame quale legante dentro delle casseforme , come è  ravvisabile dai filari di blocchi che si profilano lungo le loro pareti, quale tratto residuo del disarmo delle casseforme.  L'affianca, più in alto, la via cui dobbiamo risalire per una traversa, se vogliamo pervenire per il suo tramite al tempio di Durga.

Sorge, come quello presso il Ninora talab, all'ombra di un bargad, entro un recinto, che la accomuna a un tempietto al dio Hanuman e ad un altro shivaita,  anticipato da un cippo  in cui il toro Nandi ne onora il linga .

Ma è in posizione più rialzata, al termine di una breve scalinata, ed a fianco di un pendio da cui i rilievi iniziano a  sopraelevarsi sul varco tra i monti. 


 

Il  biancore calcinato dei rifacimenti dei muri ne attutisce l'antichità originaria nel nucleo interno, ch'è remoto quale quello dei templi di Choukha, o di Achatt,  nel distretto di Chattarpur, quanto lo sono le sue proporzioni eleganti e la sua semplicità formale, costituita della sola cella senza altra copertura che una cupoletta su di un tetto piatto, mentre ne disvela l'origine  antica l'ornamentazione interna della saletta della dea,che è quasi un compendio primario ed elementare dei motivi che ricorreranno con più profusione elegante a Khajuraho, il soffitto a fiore di loto, fregi di  petali di loto, di triangoli , di angoli inversi listati, o "  renverse hald diamonds", seconda la dicitura inglese di tale motivo. 

E la dea, sotto i bendaggi, non è un  idolo fantoccio, ma una Mahishasuramardini in forme femminili naturali(stiche), intenta ad accoppare a più non posso il demone Mahisha, ovviamente emblema del male, tra altre donne sue attendenti e primordiali leogrifi rampanti . 

Una coppia di giovani sposi, mentre visito il tempio, ne effettua la pradakshina. Lui ha indosso il turbante ed i vestiti  sfarzosi della cerimonia nuziale, lei, tra delle sue compagne,   è condotta per mano con il volto nascosto dal sari. 

E' per avere figli, tale rituale, chiedo ai ragazzi che mi accompagnano, aiutandomi, per farmi capire, con il gesto che dilata il mio ventre in  quello di  una donna gravida. Confermano sorridendo. Lo sguardo, dall'altura lieve in cui mi ritrovo, oltre un tempietto alla dea Shanti e il breve muro di cinta  della deambulazione  intorno al tempio di Durga, si volge, per riposarsi,  alla valle sottostante in cui si è svolto il nostro percorso.

La distesa dei profili gialli dei campi, irti di steli, si perde nel folto degli alberi, che s'infittiscono fino alle alture di Rajnagar, sino all'orizzonte in cui cala il sole.

Tra di essi, invisibili, le case ed i covili in cui gli uomini e gli armenti sono di ritorno, o già al riposo, i limitari delle soglie accese, da cui le donne intente alla cena od al riordino della quiete domestica, usciranno a salutarci sulla via del rientro.

 

9 maggio 2013



 

Chandpur, La piccola Khajuraho


 



 


 

Lungo la grande via alberata che da Lalitpur reca a Deogarh,  quando non mancano che otto chilometri al  villaggio del gran tempio gupta delle Dieci Incarnazioni di Vishnu, o se si è  di ritorno a tale indicazione stradale perché non si è resistito a rivederlo, ancora  una volta volta, nello splendore  dei suoi grandi rilievi, proprio dove inizia l’area forestale una strada si profila a sinistra , venendo da Lalitpur, che va percorsa nel suo addentrarsi nella boscaglia della giungla, sino a che curva verso un passaggio a livello. Inutile sperare di trovarlo aperto, è all’altezza di una delle vie ferroviarie di maggiore scorrimento dell India. Ma dopo che le sbarre siano state rialzate, in capo ad almeno una decina di minuti, sostando in attesa con gli autorickshaw ed i carri stracolmi di ragazzi e uomini del posto, basterà continuare il percorso per qualche centinaio di metri, fino a che non compare a sinistra una strada sterrata, che ci porterà in capo a poco più di qualche chilometro alla nostra stupefacente meta a sorpresa, sparpagliata  oltre i binari della stessa rete ferroviaria, mentre resta al di qua della loro massicciata la manciata sparsa di casolari, che è il tutto della Chandpur dei nostri giorni.

Avvistato a sorpresa da chissà quanti milioni e milioni di viaggiatori sui treni di corsa, tra Delhi e Mumbai, Varanasi o  Ahmedabad, magari stupiti e incuriositi della meravigliosa apparizione, all'improvviso, di quale mai sito archeologico  a loro del tutto sconosciuto, fatta salva chissà quale eccezione, se è ignorato o  negletto dalle stesse indicazioni ed illustrazioni turistiche delle località monumentali  di questa area remota del Bundelkand, e non è visitato di conseguenza pressoché da nessuno, in realtà che vi si profila di magnifico nella giungla boschiva,  al di  la dei binari, è il complesso templare dell’antica Chandpur dei signori di Khajuraho, i Chandella,  edificato  a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dalla capitale del regno, come più a Sud, a qualche decina di chilometri da Chandpur, le ancor più grandiose rovine in altura di Dudhai.

Una volta superate le scarpate de binari della barriera ferroviaria, facendo la massima attenzione ai treni in arrivo a tutta velocità, tra gli ultimi coltivi prima della boscaglia è  rapidamente accessibile il primo complesso del sito, ingraziato dalla deliziosa levità di ciò che a prima vista sembrerebbe la sala di un mahamandapa, ed  invece, sopraelevato di poco su di una piattaforma, è  la sala del  portico d’accesso a tutta ampiezza di un tempio franato nelle parti restanti, senza sovrastrutture sopra un tetto piatto.

 

Ne costituiscono l’incanto l’ariosità della loggia , forse un tempo conclusa dalla svasatura del tipico schienale di pietra dei balconi dei templi Chandella, come lasciano supporre dei fori di incastro,- del resto è lignea  la natura originaria di tali davanzali,- non che il ripetersi dei motivi ornamentali dei pilastri interni al vano d’accesso, e di quelli corti lungo la parete esterna,

nella profusione di mensole in cui si profilano atlanti, e nella trama luministica del contrappunto a scacchiera che ne è  l’ornato interno ed esterno delle trabeazioni,  tra fasce  sottostanti e sovrastanti di dischi e rombi, che semplificano rosette e diamanti, replicati più macroscopicamente, oltre un fregio di triangoli.

 

Ai fianchi ricorre una serie di  volute stampigliate tra pilastrini conclusi con vasi fogliari, sopra una fascia di rombi diamantini.

Niente di nuovo sotto il sole dell’arte dei Chandella, eppure con quanta rinnovata eleganza di grazia.

Ma l’attrazione centrale del primo gruppo di templi, non deve oscurare la umile bellezza  del tempietto che sorge ai margini,

 che lascia incantati o deliziati e commossi, per come in povertà di mezzi ed elementarità di stile,  si è voluto ripetervi  su scala ridotta,e tangibile con mano, l’iconologia essenziale  dei  grandi templi di Khajuraho.

 

Sta di fatto che volgendo intorno al prasad della sua cella, sovrastata da ciò che resta del sikkara in cui culminava, preceduta da un portico a pilastri, a copertura piatta,  in cui ricorre il motivo canonico del rilievo a t che termina in un vaso dell’abbondanza da cui tracimano foglie,

si possono toccare con mano, accarezzandoli senza paura,  nel senso orario di percorrenza della pradakshina, i rilievi di Gaya Laxmi irrorata da due elefanti,

poi del primo degli dei guardiani nelle otto direzioni principali, Khubera, quindi la proiezione centrale di  un presumibile Surya, con attributi e poteri propri tanto di Brahma che di Vishnu e Shiva, dato che è rigido e impettito tra due fiori di loto nelle mani  che si ergono all’altezza del volto,

  poi Agni ed Indra quali successivi Lord protettori dell’Est e Sud Est del tempio , Ganesha danzante rubicondo al centro della parete Sud,

quindi Yama, Dio della morte, come gli spetta data la posizione angolare,

Nirriti sull’altra faccia del pilastrino,

Varaha nella proiezione centrale della parete Ovest, 


 

seguito da Saravasvati con tanto di vina,

in perfetta corrispondenza sulla parte opposta con la dea Laxmi.

 

Sovrastano gli dei una fascia di oculi solari, i gavaksha, o chaitya,  e due modanature in guisa di kapota con un fregio intermedio di cerchi e rombi, alias diamanti e rosette.

E’ una tale rarità un simile tempietto nei domini Chandella, che abbia la intraprendenza di osare di ripetere, con scolarità di mezzi, ciò che dicono con assai più complessità di intenti  le sculture templari della capitale, in un insieme di edifici di culto non meno numerosi di quelli che in essa sopravvivono ancora, che al cuore detta di getto(  l’assunto) l'assunzione di Chandpur (come) a una  piccola Khajuraho.

Basta, a esaltare l'assunto,  inoltrarsi di poco nella radura per raggiungere un altro gruppo di templi, tre i superstiti,

tra altri di cui sopravvivono solo i resti delle fondamenta.

E’ shivaita quello principale, come non è difficile intendere,

visto il bravo e buon torello Nandi che lo precede sotto una edicola, tra yoni e linga in profusione. Di un certo interesse le yoni  che recano cinque sfere, in luogo dei quattro volti laterali e di quello superiore del dio, come Isana, immanifesto e simbolizzato dallo stesso lingam, che caratterizzano i lingam a quattro volti o chaturmukka.

 

Secondo la pianta unanime dei templi superstiti di Chandpur, anche questo tempio è costituito da portico d’accesso con copertura piatta e santuario del Dio, sovrastato un tempo da un sikkara caduto in rovina, esso reca ancora i resti di un davanzale svasato, che possono ritrovarsi nello loro interezza,   nel tempio Ranchhoreji di Dhaujari, 

distante una decina di chilometri,

per altri snervanti o riposanti passaggi ferroviari,oltre Dawra e la giungla collinare, in un luogo di pellegrinaggio in prossimità delle rive del fiume Betwa.

E'  del tutto consigliabile inoltrare con piacere il nostro itinerario fino al suo sito, magari per dilungarlo sino alle grotte del Santo Muchkund ,

ed esserne di ritorno in  un percorso circolare lungo un’agevole pista nel folto della giungla, di piante di tek, dove, pur se le ha lasciate da tempo Lord Khrishna,  è possibile ritrovare in loro povertà lieta alcuni sadhu, tra miriadi di scimmie che ne condividono la scelta di vita

.

Qui invece nel nostro tempio in Chandpur, portico e balaustra ripetono i motivi a noi ben conosciuti del rilievo a T maiuscola, tra coppe con volute di foglie, le  trabeazioni presentano palmette, fregi triangolari, rombi e dardi,


 

 


 

mentre sono delle variazione interessanti Shiva danzante al centro dell’architrave del portale d’accesso al garbagriha, 

il deambulatorio che corre al suo  interno.

 

La successiva puntata ci conduce, poco distante, a un tempio rimasto in tutta solitudine.

 

E’ shivaita, sviluppato secondo la solita pianta, ma in tutta lunghezza più che in larghezza, ein tutta piattitudine della sovrastruttura del mandap (o sala) del portico , e nell’architrave d’accesso al  garbagriha,  tra la Trimurti esibisce le nove divinità planetarie

.


 

 

Il registro di viaggio che tenni quel giorno, annota pilastri con statue di guardiani,

volute stampigliate nelle mensole che sormontano i capitelli

,  motivi decorativi di  chaityia e di rombi diamantini ai lati


 

,

 

prima di rilevare i dati più significativi, un richiamo, ch’è una citazione, dello stile gupta fiorito ai massimi livelli nella regione circostante, attestato dalla decorazione di colonne e pilastri, per come le coppe dell’abbondanza e il fogliame che ne tracima vi hanno un risalto naturale, e non vi sono piattamente stilizzati in profili geometrici..


 

E quindi vi si pongono in risalto  e musici, e danzatori nella trabeazione interna del portico d’accesso , nonché, per chi se ne compiaccia, scene di accoppiamenti più o meno amorosi  sul suo lato destro, il che, se finisce per venire finanche a noia in Khajuraho, è così infrequente nei templi Chandella fuori del suo ambito, da giustificare, una volta di più, che sia avvenuto un ammaliante ritrovamento di Khajuraho in Chandpur.

Ed è tutta altro che finita.

Si seguiti tra la boscaglia, ed  ad una distanza di centinaia di metri apparirà il gruppo di rovine più vasto,  di non meno di una decina di templi, stando alle piattaforme e ai basamenti di cui restano le immense rovine,

mentre ancora si sopraelevano il tempio più grande che ancora sopravvive dell’antica Chandpur, il Laxmi Narayan, e anch'esso su piattaforma, quello accanto di cui rimangono solo il portico e il portale.

E non fosse che sono solo ammassi di resti franati, altri gruppi ancora di rovine templari resterebbero da visitare, stando a quel che diranno gli immancabili accompagnatori  locali del visitatore  alieno che qui mai capiti un giorno.

Il tempio Laxmi Narayan,

con le immagini di Varaha, Vamana, Narashima nelle proiezioni centrali delle pareti del prasad, il corpo murario della cella del tempio,

pur nella sua brevità dimensione non monumentale è  sviluppato in altezza ed in lunghezza, secondo la coesione verticalizzata “sattvica”che richiede l’ideazione statuaria dei templi Chandela,  pena una dispersione centrifuga della loro concezione iconografica, se prevale l’ampiezza, tanto più se non vi  successione lineare di componenti, portici e sale e celle, secondo un’unica entrata, ma si danno accessi laterali,  pluralità di garbagriha.

Esso consiste come al solito, in Chandpur,  come i vicini templi Pratihara nel distretto di Tikanghar, di portico d’ingresso con copertura piatta e garbagriha, su piattaforma rilevante e con sikkara, e conserva una vistosa antefissa, da cui due volti divini fissano l’osservante.

Nel portale d’accesso al sanctum,

Ganga e Yamuna appaiono sotto un torana, come nel tempietto accanto due attendenti con chaura scacciamosche, il che fa di Chandpur un trait-d’union tra la ricorrenza del motivo nel Tempio Javari di Khajuraho, e nei templi non remoti di Udaypur, o  nel circondario di  Gwalior.

Non più che un reportage degli appunti presi, il rilievo del motivo delle coppe con esubero di foglie nei pilastri,  delle nove divinità planetarie tra la Trimurti del portale d’accesso al santuario, l’annotazione per quanto attiene a ciò che resta del tempio accanto,

del richiamo allo stile gupta che evidenzia il fogliame in vivido rilievo dei pilastri interni del portico d’accesso.

Resta ancora uno sforzo, che è richiesto  dalla ripidità della scarpata ferroviaria da affrontare, per pervenire alla ragione ulteriore che fa di Chandpur la nostra piccola Khajuraho, a tutti gli effetti ed affetti.

Occorre infatti ritrovarsi di là dalla linea ferroviaria, rispetto all'area archeologica che si è concluso di visitare, ossia nell’al di qua della  Chandpur di oggi e di questo mondo da cui siamo pervenuti, nell’imminenza, che fatalmente incombe, di un altro treno merci o passeggeri  in arrivo, per una tranciante mancanza di riguardo tutta indo-britannica nei confronti  delle vestigia che si dovrebbero tutelare, che ha il suo più illustre esempio di scempio  nella linea ferroviaria che divide in Agra il Forte Rosso dalla Jama Masjd ,  se trafelati  si vuole pervenire ai resti di due templi Jain, che in Chandpur, come in Khajuraho, attestano la  promozione del loro culto assicurata dai sovrani Chandella.

Nel primo,

sottostanno  ugualmente a dei torana, le figure di profeti Tirthinkhara, o attendenti Jain, che ricorrono in luogo delle dee del fiume  Ganga e del confluente Yamuna,  così come dei Tirtinkara sostituiscono la trimurti hindu nell’architrave, che pur non manca di onorare le nove divinità planetarie.

Come è  consuetudine nei templi Jain, ristretta  e bassa è la soglia ch'è la porta e la via del cielo della liberazione, ma su di essa, a rendere già sensibile conforto alla vista,  è scolpita una dea  con un piccolo in braccio,

 sotto cespi di mango, e reca uno di tali frutti deliziosi in una mano.

Le mie note non mancano di annotare gli omaggi all’arte gupta nel portico d'accesso, anch'esso piatto, i reticoli di scacchi sulle pareti ai lati.

Conclusa la visita, detta la mia, non resta che l’abbondanza delle scelta tra  le restanti opzioni possibili , se il sole è ancora alto nel cielo dell India: il rientro in Lalitpur, o nei conforts di una diversa città di partenza, Jhansi, Orcha, tanto più se si è d’estate e  già stremati dal caldo torrido, oppure Deogarh, di nuovo, per visitare i suoi templi Jain, e le incisioni rupestri lungo i bordi rocciosi tra cui decorre il fiume Betwa, o , sempre in tema, il tempio Chandella Ranchhoreji  di Dhaujari e le grotte Mukund, di cui si  già detto. E per l ‘indomani, se non ci si  ancora recati, Pali e le meraviglie di Dudhai. Un' emula rivale possibile, nel fregiarsi della nomea di essere una seconda Khajuraho .


28 maggio 2013



 


 


 


 

L'avventura di un viaggio così suggestivo non potrebbe avere esordio più prosaico e confortevole, fin dall'inizio non richiede percorsi proibitivi , anzi, ci offre tutto l'agio di intraprendere da Lalitpur la high road per Sagar, e di  uscirne sulla destra in direzione di Pali, per ritrovarci, al di là del villaggio, dove i coltivi e gli addensamenti delle piante tra i campi- mahua, neem, choeula-,  cedono alla boscaglia che precede i bordi dell'altopiano incipiente, finchè  si finisce ai piedi di una scalinata che risale il pendio.

Cento scalini, ancora, è si è alla radura in cui appare il  muro di cinta del tempio di Shiva Neelkanteshwara.

Il biancore calcinato della muraglia e del  santuario lasciano presagire che il luogo di culto sia antico quanto ripetutamente rifatto nel suo nucleo persistente originario. Il tempio che ci appare, entro la recinzione,  dopo che anche le calze si sono dovute togliere all'entrata, consiste della sola cella, con un vestibolo d'accesso assicurato da una rientranza, e sopra un cornicione il suo tetto è assolutamente piatto: è una delle forme originarie dei templi Gupta, la cui sopravvivenza è tenace, nel cuore dell'India,  nei luoghi di culto appartati e solitari.

Sulle pareti di fondo e laterali, una nicchia  campeggia vuota tra pilastri con un rilievo a T tra coppe fogliacee, sormontando un un fregio di kirtimukka, i leoni che spalancano la voragine della vita e della morte, in cui ha termine il  profilo elegante del basamento.

 

Superato il portale d'accesso, che di rilevante ha l'incorniciatura sotto di  un torana delle divinità fluviali Ganga e Yamuna, ci attende la preziosissima reliquia del tempio. E' il bassorilievo Gupta che mostra Shiva in tre dei quattro volti che assume abitualmente nei lingam,

 

al centro nel sembiante  meditante della sua potenza di Tatpurusha, o “ Spirito supremo”, ai lati nei suoi  opposti estremi  che così ci affrontano, sulla destra  in quello dolcemente femmineo di Vamadeva, poichè Shiva vi è tutt'uno con  la soavità femminile della consorte Parvati, alla nostra sinistra nel  suo volto stravolto di  Shiva Neelkanteshwara, ossia di Signore dalla gola azzurra. Come appare nel rilievo,  la gola gli fu atrocizzata per avere ingerito l'amaro veleno residuo della frullamento mitico dell'Oceano di latte,  ossia la rimanenza negativa dell'ambrosia, od amrita, che ne fu estratta da demoni e dei, ingurgitando la quale Shiva evitò che il mondo ne fosse distrutto.

A nulla sarebbe altrimenti valso che dei e demoni, o asura, usando come zangola il monte Mandara, e il serpente Vasuki come fune per frullare, non che lo stesso Vishnu, nella sua incarnazione in una provvida tartaruga,  come perno della montagna messa  in rotazione, proprio grazie a Vishnu avessero così reinfuso nei tre mondi l'energia che in essi  e nel dio Indra era andata perduta, a seguito di una maledizione di Durvashas, illustre rishi shivaita, per un'offesa arrecatagli che non poteva restare senza conseguenze..

 Quanto a vicende di natura che si presume storica, potrà accadervi che qualcuno degli attendenti del tempio vi narri di come il re moghul Aurangzeb, odioso più dei suoi innegabili meriti, che detestava ed aveva in gran dispetto ogni forma di religione che non  fosse la propria di devotissimo muslim sunnita, vedasi quanto capitò per suo volere agli  stessi sciiti di Hyderabad, le cui moschee furono ridotte a delle stalle, qui giunto per sfregiare ciò che non avesse tempo di abbattere, e fare integralmente a pezzi, dei templi e delle immagini religiose hindu del circondario, avesse sparato un colpo di pistola al volto sacro di Shiva Neelkanteshwara: e come ne fosse sgorgato del latte dell'oceano primordiale. In concomitanza franava rovinosamente il tempio della dea Kaligath in Kolkata.

Aurangzeb, turbato, nonostante tutta la sua coriacità fanatica, avrebbe allora rivolto una sommessa preghiera al dio, allontanandosi senza  più infierire.

Quanto il tempio sia dunque ancora vivente, ve lo attesteranno i devoti che assiduamente salgono al tempio per ottenere ogni sorte di fortuna, insieme con i custodi e gli addetti intenti ai riti ed alla manutenzione,  ai loro lavori artigianali che assicurano attrezzi e sostentamento, come ricavare a colpi d'accetta il profilo di una zappa da un pezzo di legno, o scerpere i rami che intrecceranno il capanno di una puja. Tali fedeli li potrete vedere tra le loro offerte  composte in forme di yantra, sotto addobbi che li porranno più in intimità con il favore del dio.

 

Discesi e di ritorno nel villaggio di Pali, tra i coltivi circostanti di betel, lo si lascia per un arteria che corre più a sud, costeggiando i bordi  dell'altopiano che insistono  sulla destra, fin che non li raggiunge e li risale svoltando per alcuni tornanti. Ci attende una distesa più arida del fondovalle, tra dimore e recinti di pietrisco. E  quando già si preanuncia Dudhai, d'improvviso tra la sterpaglia compaiono le prime testimonianze del suo illustre passato, una trafila di tempietti, che prefigurarono, come in Mamallapuram, o replicarono su scala più ridotta, quelli di grande mole dislocati in un'area diametralmente opposta.

 

 

I tempietti, cubicolari, con una lastra per tetto piatto,  hanno la sola apertura del portale d'accesso,

 

 

 ove fasce puramente ornamentali - a scacchiera,  a fiori di loto pienamente schiusi intorno al loro pericarpo, o a fiori diamantacei e rosette,

 


 

 


 

 

-

 

 si alternano a delle fasce in cui la decorazione a chaitya, è il coronamento di statue,

 


 

, e consistono del basamento e del muro del jangha


 


 




Altri recano nella loro nudità parietale il solo intaglio in una rientranza delle statue delle deità celebrate- Ganesha danzante,

 

Kartikkeya con il veicolo del pavone, GayaLaxmi  irrorata da elefanti celesti dell'acqua celestiale del Ganga.

Il villaggio di Dudhai cui la strada perveniene serpetinando nell'arido incolto, è così scabro e minimale nella sua dispersione di case, che nemmeno riesce ad avvivare, nostalgicamente, l'immagine rovinosa e romantica del contrasto tra la sua realtà presente e il suo grandioso passato, quando Abu Rihan Alberuni nell'XI secolo ebbe a parlarne come di una grande capitale. Ma  basta superarne l'abitato, inoltrandosi per la vasta aspra distesa che si apre oltre le sue case, forse .il  bacino prosciugatosi di un antico talab, per vedere concretarsi tale fantasma che non vi aveva preso corpo della sua perduta grandezza, nell'alto sikkara che si profila dal rialzo della depressione incolta.

 

E' ridotto al suo periclitante e riassestato cuore di pietra, sopra ciò che il restauro ha ricomposto del tempio vishnuita di cui  è la sovrastruttura.

 


 


 

 

 

 

 

 

































la doppia entrata che da accesso sulla sommità della piattaforma al deambulatorio,ora tamponato, che volge  intorno a due oppos(i)te celle contigue, o garbagriha, con in  comune il muro di fondo,  dedicate entrambe a Vishnu. Il  mandir  precede la magnificenza residua del tempio ulteriore, che immette con un accesso unico alla sala, o mandapa, il cui splendore è tutt'uno con quello dei garbagriha dei tre santuari che vi si affacciano nei loro portali,  ognuna per ognuno degli dei della Trimurti hindu, Brahma multicefalo,


Shiva danzante Nataraja,  Vishnu.

 


 

. Nei domini dei Chandella un tempio similare, con tre santuari in onore di tre manifestazioni diverse del dio Vishnu, ricorre a Makarbai, nei pressi dell'ulteriore loro capitale, Mahoba, confinata ora nellUttar Pradesh, e può essere il suggello di un richiamo innegabile il diamante macroscopizzato che ricorre in entrambi i templi


 
















 


( immagine del tempio di Makarbai)

Portali, trabeazioni, pilastri, sono uno sfarzosa ostentazione di motivi ornamentali hindu come li stilizzarono le maestranze Chandella, volute serpentinanti e ondulate, architravi reticolate a  scacchiere,

 


 

,- come ricorrono nelle trabeazioni del mandap e portico d'accesso del più grazioso dei templi di Chandpur,  l'altra vicina capitale dei Chandella-, o altresì impreziosite  con rilievi di corolle di loto dai larghi petali, o di fiori cuspidati nell'intradosso, o aggettanti con acuzie nella fascia sottostante, come si dà nella trabeazione del portale d'accesso alla cella brahmanica, mentre sono  ovunque sovrastanti musici e danzatori, tra colonnette che incastonano diamanti.

Kirtimukka figurano nel rilievo a T maiuscola, dei pilastri, che riconnette vasi fogliacei dell'abbondanza, secondo una variazione presente già nei portali dei tempietti sulla via di Dudhai,  in cui riaffiora un naturalismo non ancora geometricamente stampigliato secondo il diktat degli standard di Khajuraho, ch'è tipico dell'arte Gupta fiorita nelle vicinanze di Deogarh e Behati.

Di particolare bellezza sono le colonne laterali del portale del Garbagriha del dio Brahma,  un dado dal design di eleganti volute rinserra le spirali ascensionali del fusto, prima del suo concludersi campaniforme, come campaniforme ne è  il capitello.

 

 

E ancora due tempi jain,

 

 

una statua  di Varaha, l'incarnazione in forma di cinghiale del Dio Vishnu,

 

 

 con tutto il complesso delle  deità hindu arricciate addosso come ne fossero i peli,

 

in una simbiosi di naturalismo e simbolismo, che ritroviamo identica nella scultura più grandiosa che fronteggia il tempio Laksmana  di Khajuraho.

Sulla via poi del rientro, infine la si lasci, Dudhai,  per il rilievo dirupato sulla sinistra della piana che ne fu d'ingresso, e si badi bene, nell'aggirarne il profilo, di non discostarsene, tra le piste che insabbiano. Solo così si raggiungerà,ora tra un'orribile ingabbiatura di cemento, l'alta scultura rupestre della incarnazione di Vishnu nel leone-uomo Narashima:

 

 

Spettacolare e impressionante, più di quanto si possa oramai dire che sia bella, talmente la superficie ne  stata erosa, al punto che le venature della pietra sembrano fibre legnose.

Un horror a cielo aperto, il dio digrignante nella sua ferinità appagata, non senza che ne trapeli il gusto dell'eleganza, nei resti rupestri dei diamanti che lo ornamentavano. Poco più o poco meno che la propria sagoma di malcapitato tra le sue grinfie, ciò che resta, invece, della presunzione di inattaccabilità di Hiraniakashipu. . il Ricoperto d'oro,  nemico impenitente del proprio figlio adoratore di Vishnu. Né di giorno, né di notte, né da un uomo né da un dio, né da un animale, né dentro né fuori il suo palazzo, avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo leonino, né vero  uomo né vero animale, sortito istantaneamente dalle colonne del palazzo, dunque né da dentro né da fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli, ineccepibilmente.

Ed il crepuscolo è  l'ora ambigua del distacco e del nostro rientro, felice e dolente, nella quotidianità di Lalitpur festosa di frutti.


 


 

 che nel circondario, quasi fosse vernacolare,  sarà ripresa nella Chandpur dei Chandella, nell'assicurare un tetto ai portici d'entrata dei templi sviluppati longitudinalmente, prima del sopraelevarsi in un  sikkara del santuario della cella, o all'intero tempio se sia inscrivibile nel quadrato.


giugno 2013


 



 


 


 


 


 


 

 

 

 


 


 


 


 


 


 

 

 

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