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12 Marzo
2013
Stamane mi sono risvegliato
ancora in uno stato di depressione suicidaria. Ho annuito
passivamente ai propositi di Kailash di andare a Chhattarpur per
avviare la pratica del conseguimento di una sua licenza di
conduttore di autorickshaws, una volta realizzate in Khajuraho
undici, dodici sue foto seriali di riconoscimento, per
l’occorrenza, non senza esserci prima recati alla
scuola presso il tempio di Chatturbuja per risalire al ragazzino
che secondo quanto alcuni suoi compagni avevano raccontato a
Kailash sabato scorso, aveva ritrovato il portafoglio che vi ho
smarrito, per essermi caduto dalla tasca della tuta dove l’avevo
malamente riposto, dopo avere fatto l’elemosina ad una
vecchia rattrappita in(di) una secchezza miserrima. Ma prima mi
attendeva la scuola, dovevo riaffermare le ragioni del mio visto
di impiego in India, per pochi che fossero gli studenti che ancora
potevo racimolare, dato il disinteresse con il quale il principal
disattendeva dall’assicurarmi un seguito più nutrito,
dopo che per egli è venuta meno ogni possibilità di
trarre un guadagno dal mio insegnamento. E quanto agli outsiders,
niente mi stomacava di più che ritrovarmi con i soli due
boys streets che ultimamente avevano richiesto il mio
insegnamento, per apprendere poco più che il frasario di
seduzione che a loro interessava. Solo due sere avanti
anche Ganesh si era mostrato a conoscenza dei rapporti sesuali che
uno di loro, diciottenne, aveva avuto con una signora
tedesca quaranticioquenne, prima che questi mi accostasse per
strada sulla vettura che il padre gli aveva appena acquistato,
supponendo che lo felicitassi
“ Ma
io sono povero, sono povero- gli ho gridato desolato, pensando a
me e a Kailash, dalla vita
così
tribolata e senza riconoscimenti di sorta. al nostro operato
virtuoso, a quanto poco sentissi
di
valere per quel giovinotto, se di me non si poteva rilevare:
"But he has a lot of money! ...", a discolpa di
tutto e merito eccelso.
Anche per questa ragione non
potrei differire oltre l’acquisto di un motoricksaw Ape per
Kailash, ripartirei dall’India senza che per lui si
sia tratto frutto e costrutto dalla mia permanenza nella sua
casa, e per quanto sia mirabile e virtuoso, la pressione malevola
della gente locale e del parentado si farebbe per lui
difficilmente sostenibile.
Ma occorreva essere
assolutamente certi che i tre mila euro occorrenti pervenissero
sul suo conto corrente, ed era dubbio quale fosse il numero
identificativo della filiale della state Bank of India presso la
quale ne era titolare.
Ma stamane ero di umore
velenoso nei suoi riguardi, manifestandomi diffidente dei suoi
intenti reali e larvatamente a lui ostile, un’opacità
sordida che mi indisponeva nei confronti di ognuno, e
di ogni cosa, desolava ogni mia vista ed ogni mio incontro, solo
la lettura de “ L’uomo e il suo divenire secondo il
Vedanta mi riconfortava con la prospettiva di vivere ancora, dopo
che anche un libro recente su Ramon Panikkar era finito da me
scagliato contro un muro, e nello splendore mattutino del marzo
indiano, finalmente uscivo di casa sporco e con la barba incolta,
con una gentilezza squisita eludevo ogni contatto effettivo con il
principal, e solo la mite bellezza dell’incantevole
Pushpendra, o la vivacità luminosa del grazioso Mohammad
Anas secondo, potevano solo lenire i miei umori atrabiliari.
La cordialità degli
avventori del bengalese rubizzo che nel suo spaccio che da
sulla via per Rajnagar sa preparare un the squisito allo
zenzero, mi riconciliava con il mio strato di permanenza forzata e
protratta in Khajuraho, senza che le disavventure seguitate
(protrattesi) per settimane con i computer e del furto del
portafoglio con la carta di credito usuale, mi
avessero consentito di ritrovarvi la vena di leggere e scrivere,
con Kailash che seguitava a servirmi di tutto punto ed a
sopportare ogni mia abietta miseria, inducendomi a mia volta a
sopportare di tutto dell’India e degli indiani, in ragione
di quanto gli serviva il mio denaro, più che per una
nostra amicizia, nella sua scarsa propensione ad assumere sul
serio qualsiasi lavoro.
Ma avrebbe appreso a sue
spese che cosa conta per me veramente, venivo intanto
inveendo dentro di me, che sono nato per leggere e scrivere,
scrivere, scrivere dei miei viaggi, rendere testimonianza dei miei
atti di amore, che solo se si fanno parola scritta per me assumono
un senso compiuto.
Eccome se lo avrebbe appreso,
mi ripetevo al rientro, nel ritrovarlo puntualmente a letto
all'una pomeridiana, “ dormi, dormi pure, gli ripetevo,
nello scoprirgli il volto anche dal fazzoletto di spugna che vi
teneva sopra, “ non c’è certo più
bisogno che ci rechiamo a Chattarpur, “ e più volte
zittivo Ajay dal fargli valere le mie rimostranze.
Altro che Ape, ad uno
sfaccendato del genere, così non poteva che agevolare il
mio rientro in Italia, tanto più che una e-mail di
Valentino mi allertava sul’eventualità, in un
futuro quanto mai prossimo, di dover fare le valigie, noi
italiani qui residenti, per come il mancato rientro in India
dei fucilieri che hanno assassinato due marinai del Kerala in
acque internazionali, scambiandoli per pirati, sta
compromettendo le relazioni tra India ed Italia.
Mentre finalmente mi facevo
una doccia, Kailash non reagiva ai miei attacchi, in cui ravvisa
una tigre che lo bracca furiosa, fedele al suo principio di
restare calmo quando io, o qualsiasi altro, si faccia aggressivo o
furente nei suoi confronti, docile e calmo mi assecondava nelle
mie perplessità sul numero effettivo del codice Swift o BIC
della filiale della sua Banca, dato che le indicazioni in ogni
sito internet differivano da quelle del precedente invio di denaro
e che gli erano state fornite dagli addetti alla banca, e
tergiversavamo mentre sollecitato anche da Chandu, che voleva
rivedersi sulle giostrine del festival di Sivaratri dell'anno
precedente, seguitavo nei download dei programmi che finalmente mi
ero deciso ad azzerare e a perdere, pur di poter recuperare il
sistema operativo e salvare almeno i dati, in una duplice
operazione che mi aveva snervato e portato all’estrema
disperazione in sua presenza, dibattendomi contro il letto e il
muro, dopo che il conflitto in cui il sistema antivirus che avevo
scaricato durante un’intera notte era entrato con quello già
installato, mi avevo costretto ad annullare ogni precedente
riparazione, e download, e a ripristinare e riformattare tutto da
capo, con un nuovo backup…
Finalmente è poi
arrivato l’autorickshaw, guidato da un Baju perennemente
contorto in volto da un’ altra presa di gutka, ed abbiamo
potuto raggiungere la scuola presso il Chatarbuja temple, poco
prima del suono della campana che pone termine all'ultima ora di
lezione. In tre pluriclassi erano stipati a terra i bambini
bercianti, il libro o il quaderno dei compiti appoggiato sulla
cartella, mentre le mosche si affollavano/addensavano a loro
intorno, avide dellle loro cisposità e del loro moccio.Come
Kailash prevedeva, non uno di loro che non ritrattasse quanto
aveva precedentemente asserito di avere visto, allorchè un
ragazzino dalit del vicino villaggio di Jatakra, che da giorni non
viene a scuola, era stato sorpreso a intascarsi il mio
portafoglio. La paura li faceva unanimi nel negare tutto, la paura
che faceva lacrimevole un certo Puru che veniva invitato a
confermare quanto già aveva asserito, richiamandolo dal
casolare dov’era intento nei giochi.
La promessa di ricompense, la
assicurazione spaventoleche l’indomani sarebbe sopraggiunta
la polizia in luogo di me e di Kailash, nulla valeva a smuoverli.
Meglio riavviarci al rientro
nella meraviglia dei campi al tramonto, dove il grano era già
addentro al proprio rigoglio tra palme e choeula dalle fioriture
sfarzose, per ritrovarci con Chandu nel mela ground, dopo una mia
digressione al Raja cafè per un eggs curry, ed una
lettura di capitoli ulteriori dell’opera somma di Guenon.
Più fantasmagoriche e
strabilianti che l’anno precedente, nel ground mela erano
ruote ed ottovolanti, ma per Kailash era bastante un drago
sferragliante, nel suo contorcerci, per fare arrestare la corsa
che coinvolgeva il nostro Chandu.
“Sarai
davvero un bravo ed affidabile conducente di autoricksaw, gli
dicevo battendogli la mano sulla spalla, dopo averlo raggiunto
alla mia discesa da una delle vetture del drago, ancor più
confortato dalla sua affidabilità umana, quando mi ha
chiesto , al rientro in casa, di soprassedere all’acquisto
dell' autorickshaw, se c’era il timore che l’ammontare
finisse nel conto corrente di un altro indiano qualsiasi. Mi
limitassi piuttosto a ricostituire il suo credito in banca,
per l’importo di cui era stato sminuito dalle spese da lui
sostenute in mia assenza, quando mi sono protratto in Varanasi
e in Sarnat, dopo essermi dissuaso dal finire nel kumb mela,
sotto la pioggia battente di quei giorni, mentre ero in
fuga, con la mente debilitata, dai clamori nuziali notturni di
Khajuraho, che nell'ufficio in cui avevo dovuto riparare per i
contrasti violenti insorti in casa tra me e Kailash, mi avevano
tolto il sonno e la mente, ed ero finito (mi ero imbattuto)
devastato dai mantra che già sul fare dell’alba,
a pieno volume, mi avevano impedito di ritrovare la via del sonno
nella guest house di Citrakot, ancora ignaro della sorte cui non
sarei scampato proprio nel ricercato asilo di Sarnat, finendo per
sbaglio proprio nella guesthouse su cui si sarebbe scatenato,dopo
il nubifragio, il clangore ed il vibrato notturno, fin nella rete
del letto, di un’altra inarrestabile festa
nuziale.
Potessi ritrovare ierofanie
Negli infiniti tanti,
che anzi che nel tirtha della mente,
si purificano nella merda del
Gange,
che assaltano la
mente
potessi non essere voce
che grida nel deserto
contro il
clamore clangore l’ossessione
a tutto volume
del pulsare notturno di
frenesie nuziali animali
dei loro
inarrestabili carri,
in cosmic mandala e crowning
glory
chi largisce perle ai porci
Fossero stati i dibattimenti
d'amore con l’angelo della notte
nello sfigurare dell'altro
Le colluttazioni delle nostre
miserie infime
12 Marzo
2013
Più forte che la
morte. Martedi 19 marzo sulla via di Allahbad per il Kumb Mela
Martedi 19 marzo, sulla
via di Allahbad per il Kumb Mela
Nel calore del pomeriggio
estivo, Chandu nella mia stanza si intrattiene con ogni
cosa, nel piacere senza pari della reciproca compagnia, Vimala lo
richiama invano presso di sè, mentre il ventre mi dolora
pei i sintomi di un’infezione intestinale, ed i pantaloni
della tuta sono già maleodoranti per essermi appena urinato
addosso, poc anzi ho ricercato in rete il costo di un volo
di ritorno tra due mesi, mosso dal rimorso che mia madre sia
rimasta finora in vana attesa che faccia rientro, senza che il
protrarmi in India abbia sortito alcun lavoro remunerativo per
Kailash, nel frattempo sacrificando pressoché del tutto, a
tale miraggio, ogni viaggio ed attività di scrittura
e di pensiero, i giorni e le notti implacate, al che, quanto più
la mia vita si faceva un sacrificio inesausto (perenne), l’ignavia
e la crudeltà di Kailash senza più riguardi verso di
me, il ritrovarmi sempre più un servo vano della sua
ingratitudine sans merci, per la quale l’accettazione di
tutto quanto vi è di più intollerabile in India era
soltanto un mio obbligo dovuto( era un mio obbligo soltanto), ha
fatto insorgere in me la belva che era accovacciata, e che si è
ritrovata sotto i suoi pugni e ogni suo insulto furente, quando ha
tentato di riscuoterlo, percuotendolo, dalla indolenza in cui era
ricaduto dopo avermi freddato anche nel mio intento di
andare in viaggio ad Ajaygarh e Kalinjar, con gli agenti di Delhi
che avrebbero potuto assicurare un minimo di clienti al nostro
sventurato bapuculturaltours (con ). Avevo già i bagagli
pronti per andare altrove in India, fino al rientro in Italia,
allorchè ho invece messo piede nella sua stanza e ho
inveito sul suo corpo stravaccato al suolo, nel sonno in cui era
di nuovo ricaduto di pieno pomeriggio, perché non mi
rassegnavo, così, alla prospettiva di negare qualsiasi
futuro ai nostri bambini, la scuola delle suore già da
quest estate al mio Chandu, per quanti anni ancora, fino alla mia
consumazione, disperando di essere obbligato a permanere in India,
in simili condizioni, perché l’amico non sa
reggersi da solo come uomo. Il pianto, mentre mi pacificavo
sotto i suoi colpi, dei bambini sgomenti e atterriti. E
l’amico, tre giorni dopo, domenica scorsa, come ricevuta in
cambio di pugni e offese, della rigovernatura che mi ha rovesciato
addosso, si è ritrovato con l’accredito di
2.000 euro per l’acquisto di un autoricksaw, quando
poco più di 300 sarebbero bastati a farmi ritrovare in
Italia, presso mia madre. Le scritture sacre della domenica, come
la voce del cuore, mi confortavano unanimi a questo, nel segreto
dell’operazione irreversibile di bonifico che stavo
praticando on line, dicendomi che è Potenza e Sapienza di
Dio, ciò che per il mondo è debolezza e follia
dell’’uomo.
Sono state la dolcezza della
voce di Ajay e dei modi di Vimala, che nella sera mi hanno
iniziato alla ripresa, nella casa da cui Kailash avevo urlato che
uscissi per sempre e da cui lui invece se ne era andato via, in
cerca di una serie di propri medici della mente, tutti
particolari, in Jhansi o vicino al proprio villaggio, mentre a sua
volta la mia mente non si dava pace di ciò che di
indelebile ed irreversibile era avvenuto , che io e Kailash ci
siamo oltraggiati e percossi a vicenda fino a tali estremi, fino a
digrignarli io in volto tutto quanto il mio odio impotente, e a
mettergli le mani alla gola per serrargliela per sempre.
Se ne restasse pur via, a
rimeditare sui maltrattamenti a loro inflitti, era quanto mi
esprimevano solidali Vimala ed Ajay, prima che l’indomani,
io e i bambini, che giorno meraviglioso e dolente trascorressimo
insieme, sul mela ground, per Sivaratri, tra una corsa
in giostra e l’altra che concedevo a loro.di
godere.
19 marzo 2013
Dopo il viaggio in Allahabad
“Noi
li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non
poco compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui
ero comparso alla Messa.
E dove
mai l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto
di fatale perdizione idolatrica, meritevole solo di ogni più
devoto accanimento di resezione dell’ impuro.
“ Loro
non taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle
loro scuole, ho replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che
dovrei sottostare alla richiesta della sorella di non comparire
con simboli hindu ad una Messa.
“ Non
è affatto cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il
suo solo concepimento mi risuonava quanto mai empio e blasfemo,
non meno del rifiuto dell’ex vescovo di Varanasi di benedire
i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano
Hindu.
Quasi
che Cristo, anziché per la totale salvazione del genere
umano, si fosse incarnato per la sua dannazione generale, come
accadrebbe fatalmente, se per salvarsi invece che il vivere bene,
fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e nella
sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato
ed attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita.
Essere
indiani, per i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho, sembra
che piuttosto che il convertirsi alle ragioni di fede di hindu,
jain, siks, o muslims, significhi il farsi compartecipe della
idolatria dei propri connazionali per il cricket, o che per le
sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti
o quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani,
non che per ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri
proventi e privilegi secolari che assicurano loro gli ordinamenti
civili indiani.
Ne sono
stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici
estesi nella loro imponenza per interi isolati stradali, che
primeggiano in città in cui i cristiani sono poco più
di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad, dove il
Saint Joseph College non era certo l’unico istituto
religioso, che si rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi
imposto di nuovo e lungamente alla vista, mentre facevo ritorno
alla stazione centrale dalle Civiles Lines, dove mi ero perso per
l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del grande
museo.
Dunque
era vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello
stupa di Bharuth, quali quello degli acrobati sovrapposti in
elevazione, od il brano di una jataka in cui comparivano capanne
dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad innumerevoli splendide
opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di epoca
gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte
gupta ancora rammemorava il naturalismo, a splendide
rappresentazioni del Buddha risalenti alla scuola di Sarnath, o di
Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che sono state
asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine
religiosa provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli
ornamentali e le chaitya degli oculi solari, contornanti divinità
quali Mahisha Suramardini, del tempio che finora ho mancato di
andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario
nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho,
raggiungendo Buhmara da Nachna Kuthara, per poi dirigersi a
Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed ai siti del museo
di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per
Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire
alle sole fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso
Ashoka in Kausambi, dove è dato di visitare i resti dei
monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose l' Itivuttaka,
l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il
ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia
figurative di quei templi e stupa che si siano già
visitati, od evocati nel sito medesimo in cui sorsero.
Un’esperienza
estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa
alla Sangam, del giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri
fiumi non avevo ritrovato pressoché più nulla della
Maha Kumbh mela. Soltanto le
infinitudini
dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio
percorso dal vento che non era infranto che dal rumore dei camion
che asportavano le travature dei ponti galleggianti che erano
sospesi sulle acque poco più che reflue del Gange, in cui
della festa hindu non sopravvivevano che poche ghirlande di
calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di
alcune pedane di vasi sanitari.
Da
altre maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con
le scavatrici, che aprivano pertanto voragini nel letto in secca
del fiume, le passerelle di ferro dei vari percorsi di raccordo,
sul greto sabbioso, seguitavano ad essere schiodate e rimosse ad
una ad una.
Ad
ondate salienti risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento
con l’evento, fallendolo una prima volta quando ho tentato
di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la mente vi era
stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali
e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa
accanto, per potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb
Mela, al punto che mi sono arenato in Chitrakoot, prima di
Allahabad, ed oltre la sua stazione ferroviaria, vessata dalla
pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio, in
Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino
si ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh
mela “ E’ solo superstizione. Prendono tutto alla
lettera, ed invece di purificare la mente con le acque dello
spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più
merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più
truffatori di prima…”
Ed io
stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla
mia frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a
tale sua deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine
del Sarvatirthamahatmya del Garuda Purana: "Ma
il santuario più alto è la meditazione sul Brahman;
il controllo dei sensi è un altro luogo santo; la
disciplina interiore è un supremo tirtha e
la purezza del cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione
in un tirtha spirituale, nello stagno della
conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che distrugge
l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si
avvia alla meta suprema.”. La frustrazione
irreparabile della mia aspirazione a dare coronamento alla
trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe di un anno
di vita indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del
massimo evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato alla
sua rabbia furente, nell'uno o nell’altro dei passi, a mia
libera scelta, della Gangamahatmya del Naradapurana: "
Chi uccide un brahman, il proprio guru
o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del
guru, tutti costoro sono purificati
dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su
questo”.
Nella
proiettività della mia miseria diuturna, sapevo a memoria
con chi prendermela, con l'amico del mio cuore, appunto, che nella
sua possessività egocentrica, nello stravolgere con le sue
renitenze la mia mente votatasi alla missione impossibile di farne
un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia sacrificale che
si era obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva il
colpevole primo del fatto che avessi mancato di vivere tale
evento, che mi fossi ad esso sottratto o che ne fossi stato
distolto, un evento, la Maha Kumbh mela, che avrebbe potuto
risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi che un
viaggiatore e un conoscitore sporadico.
La
livida collera che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i
pellegrini e i sadhu residui, uno più automatico dell'altro
nel chiedermi una baksheesh, era già immemore delle sue
lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua famiglia si
era rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni,
e mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che
l'indisponibilità di posti per il giorno seguente, mi fosse
di impedimento a restare in Allahabad un giorno ancora, per
recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del
Khusro bagh, più di quanto non mi avesse consentito un
accesso furtivo, a sera inoltrata, prima della partenza, tra le
presenze fantasmatiche degli omosessuali che vi cercavano
incontri, ombre umane tra quelle dimore ultraterrene, che per
quanto magnificenti, a distanza di anni, quando le visitai in
concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi ricomparivano come
residenze celestiali di principi e regine madri, senza
trascendersi nella sublimità di trono di gloria
dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il Taj Mahal
“The
train one, one, one, ek, ek, ek, is" normally late" 2,
3, ..11 hours,” avrebbe poi risuonato di continuo
l'altoparlante, nella Junction railway's station di Allahabad. E'
l'India, bellezza, intanto mi ripetevo per adattarmi al
ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del
pomeriggio anziché alle sette del mattino
Marzo
2013
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Holi
28 marzo, secondo giorno di
holi, un holi ai suoi minimi termini ieri, qui in Khajuraho, più
una festa dei colori familiare/ domestica che per strada. Soltanto
un ragazzino mi ha spruzzato polveri, all’inizio della mia
digressione verso il Brahma Temple, per ripercorrere
fotograficamente gli itinerari di Chitrai,. Bamnorah, Beni Gangi,
sulla via di ritorno del Chatarbuja, che è sta da me
ripercorsa invano così tante volte, agli inizi del mese,
per ricercarvi invano il portafoglio smarritovi, con la mia carta
di credito, così come alla ricerca degli occhiali che vi ho
perso il giorno prima, invano in mattinata sono stato di ritorno
sul mela ground ove la fiera era in via di definitivo
smantellamento, Mi sono intrattenuto con diversi indiani al talab,
che precede Citrai, intento a meditarvi su come solo la
considerazione della nullità, di fronte al nulla di Dio, di
ogni nostro titolo e grado, possa farci ( non solo asserire ma)
realmente accogliere la stessa e pari dignità di uomo, con
il proprietario sik della mietitrebbia che stazionava
al limitare dei campi di grano che nel termine opposto del mio
viaggio, si stendevano oltre la cinta dei rilievi Vindya in cui si
apre la breccia ch’è il sito di Beni Gangi e
Bamnorah.
Prima di lasciare la casa di
Kailash , che ha preferito che così io non fossi parte
della celebrazione con Poorti, Vimala e Chandu, di Holi presso una
famiglia di vicini che li aveva invitati, perché non
rovinassi a loro anche tale ricorrenza festivai, dopo la puja di
Deepawali, il Natale e il Capodanno, ho eseguito il bonifico on
line di altre 1500 euro per l’Ape di Kailash,
sbollitosi il reinsorgere astioso del mio malumore per
l’inettitudine economico lavorativa dell'amico, mentre al
rientro, quando era già sera, riconciliato con il suo
essere quanto mai caro, mi sono steso accanto a lui
che occupava il mio letto, prima che uscissimo per comperare
dolciumi bangha/ in cui sono presenti foglie di una
pianta affine alla Marjiuana. In mattinata, solo lo spirito
conciliante di Kailash ha potuto sanare il contrasto
che tra noi stava insorgendo, evitando che degenerasse in scontro.
La mia mente, furente della perdita degli occhiali, una riprova
del dharma negativo che infesta le nostre vite, era quella
impazzita di una tigre in gabbia, e di fronte a Kailash ancora
letargico/ tra le coltri, non si capacitava che per trovare
un lavoro che gli dia un qualsiasi reddito, mi ritrovassi a fine
marzo senza avere ancora viaggiato a distanza e per lungo tempo
per l India (, il mio astio ripetendosi) Il mio astio si ripeteva
il leitmotiv solito: che per Kailash sia un dato di fatto ovvio
richiedermi ogni distacco e separazione, l’accettazione di
ogni doloroso disagio e patito sopruso, qui in India, ogni onere e
spesa, come fossero un obbligo da me perennemente dovuto a lui e
ai suoi cari, senza dunque manifestarmi alcuna forma di
rendimento di grazie per ciò che faccio per lui,o
alcuna gratificazione di sorta, mentre a me che assicuro tutto a
lui ed ai suoi familiari, è stato finora inutile chiedere
tutto ciò che gli costi una reale fatica, ogni
considerazione in cui prevalga ciò che assicura
effettivamente una fonte di reddito, domandargli ciò che
solo da un padrone animalesco, e di necessità, o solo
per amore dei figli, se prevalesse sulla sua indolenza al lavoro
che lo affeziona a ogni giaciglio, potrebbe essere indotto ad
accingersi.
Che poi per trarre da me il
mantenimento di sé e dei suoi cari, l’amico debba
patire gli attacchi aggressivi del mio ritrovarmi tigre destinata
per un tempo indeterminato alle catene delle sue
manchevolezze, sia costretto ad assistere, come mio garante, a
quanto reco danno alla mia incolumità mentale e fisica se
subisco furti o danni, se perdo cose o i dati e i lavori al
computer, ed egli debba sentire piangere i bambini
angosciati dai miei atti ed atteggiamenti, o dalle nostre
risse venute oramai alle mani, vedere con loro volgere al peggio
per le mie reazioni inconsulte ogni loro festa, la puja di
Depawali o il Capodanno, si fa rilievo accessorio, per i miei
deliri di scrittore, e di viaggiatore mancato, trattenuto in India
in pausa di sosta prolungata nella sua casa
Anche / e/ stamane,
rialimentava ogni mio astio e frustrazione la mia sfiducia
preventiva anche nell’esito della compera per lui di un
autorickshaw, dopo che con ogni mio sforzo ho ottenuto soltanto
che il negozio di barbiere sia l’ambito dei suoi soli
interessi non lavorativi, a perdervisi in chiacchiere, e seguitano
ad essere affidati a suo padre i suoi due campi e il negozio in
Byiathal, senza che da lui pervenga alcuna sollecitazione in senso
contrario.
Solo per la resipiscenza di
una mia tardiva assunzione di conoscenza e presa in cura dello
stato delle cose, ho rilevato che la mancanza di acque di pozzo, e
di irrigazione, può pregiudicare soltanto i raccolti
invernali dei suoi campi, ed ho coinvolto Ajay in una trasmissione
dei compiti, ottenendo, che quando avrò lasciato l’India
Kailash recinga di siepi quegli appezzamenti, assieme ad
Ajay, per contornarli di alberelli di guava, di mango, di
piante ayurvediche quali il neem e l'aula, che pongano le sementi
al loro riparo, più certo, dalla ghiottoneria animale o
dalla avidità umana, con la ripromessa che l’investimento,
la prossima estate, sarà concentrato nella costruzione di
un pozzo sui suoi terreni.
Quanto ai terreni che il
dottore Dubey potrebbe lasciare in uso, in cambio di una
spartizione del raccolto e di una mia assunzione dei costi di
gestione, via e-mail ho interessato alla cosa Marzio ed Alessia,
che per Holi si ritrovano in Hampi. Un conto è
offrire georgicamente il proprio lavoro nei campi e nella
coltivazione di piante ayurvediche, per trarne esperienza e
conoscenza, equilibrio fisico e mentale / è un conto/, ben
altro farsi responsabile della loro conduzione annuale.
28 marzo 2013
6 aprile 2013
Kailash, immensamente
caro, a notte inoltrata finalmente ha trovato il suo sonno
occupando il mio letto, nella stanza della televisione
Vimala e i bambini si godono ora il riposo di una vita serena,
mentre io solo insonne, custodisco la mancanza insostenibile di
Sumit.alla nostra unione familiare
Nei campi circostanti
Khajuraho, alla cui vita agreste l'altro ieri ho fatto
ritorno da Delhi, ancora compaiono ampie distese di grano, tra i
coltivi in cui già le spighe ne sono state recise e
raccolte in mannelli, una quiete profonda quanto la realtà
delle cose sovrintende al lavoro nei campi e alla pastura dei
bufali nelle radure, in un'intensità d'ombre che
addensa la pace sotto le fronde.
Prima di partire per Delhi,
due settimane fa, sulla via che reca ai villaggi di Citrai, Beni
Gangi, Bamnora, un contadino mi aveva coinvolto nella separazione
che ancora era in atto dei grani dil pisello dalla pula, con
un'elica che fungeva da ventilabro di fronte ai cesti di cernita,
era agli inizi la raccolta dei ceci, i campi intonsi di grano
primeggiavano su quelli in cui era iniziata la semina, un incanto
era la luce che invigoriva la viridescenza nel fogliame, non
ancora si era illanguidita nel velame delle nubilagioni che ne
offuscano ora la luminosità, mentre la calura incrementa,
ed allo spirare del vento turbini crescenti di foglie
morte ingialliscono nei fondali stradali, delle radure e dei campi
di stoppie.
Nella stessa vita di ogni
giorno del villaggio di Khajuraho, intanto ho dato l'addio al
giovane commesso del k
Kashmir , così
riguardoso e gentile, ho ritrovato Ganesh senza più lavoro
come guida, con il dottor Dubey ho differito di parlare del suo
affido del suo podere alle mie cure, mentre con Kailash ho
pattuito compensi e fatto acquisti, ho vagheggiato un futuro in
cui ogni iniziativa intrapresa giunga a buon punto, l'acquisto
dell'autoricksaw, il lavoro nei campi propri ed altrui,
inseminandovi con il grano od il sesamo le colture ayurverdiche,
il progetto di un negozio di item islamici desunti dagli atelier
dell'urdu Bazar, dell'apertura di una bottega di giocattoli e di
beni domestici e capi ornamentali, in materiali poveri quali
carta riciclata, legni non pregiati, pezzi di stoffa,
giunchi e vimini e cordami, lavorati dalle mani di donne ed
adolescenti o di popolazioni tribali di villaggi adivasi,
Da Delhi vi sono stato di
ritorno con nuovi seggiolini di canne palustri, acquistati
nella solita bottega del Nehru Bazar, ma questa volta dai
giovani che li fabbricano mi sono fatto condurre nella casa in cui
le costruiscono, in strettoie di vicoli quali quelli in cui mi è
venuta meno anche solo l'idea di inoltrarmi ulteriormente,
oltre la Turkman Gate, quando sono pervenuto sino alla breccia tra
le case che costituisce con i loro muri il vano a cielo aperto del
luogo di culto islamico delle presunta regina Tugluq *, morta in
Delhi di fine violenta come l' altra signora che vi ha tento di
erigersi nella storia recente a despota dominatrice dell'India.
Non meno care mi erano nei
bagagli le cards con i girasoli, od il trenino, o le
libellule e altri fiori e insetti intorno ad essi volanti,
ricavati da ritagli di stoffe e filamenti colorati, o la collana
di simulate pietre ottenute con le policromie, e i caratteri
devanagar, di striscioline arrotolate di ritagli di giornale, che
nel National craft Museum avevo acquistato da una luminosa e
intensa Jan Sandesh, che li fa creare a donne ed adolescenti
dei sobborghi di Delhi, ripromettendomi che sarei tornato/
tornerò/ quanto prima a trovarla, perchè le cose non
finissero a tal punto, facendomi estensione, a mia volta, della
rete di relazioni del suo atelier solidale, come non
possono finire nel nulla le mie dichiarazioni di intenti con
Bablu, in Chitrakoot,di diffondere tra i bambini
indianii suoi meravigliosi giocattoli di legno, in luogo di quelli
di plastica, o che espressi con la signora di Nagpur che ho
incontrato nel Silpgram di Kajuraho a fine febbraio, che a delle
famiglie adivasi assegna la fabbricazione, o il disegno e la
stampa, di meravigliosi manufatti o di tribali figurazioni warli.
Nè
vi avevo accantonato come acquisti occasionali, la maglietta con
l'effige di Ganesha, dall'aureo profilo stilizzato, o quella con
l'immagine in bianco e nero di Ghandi, accompagnata dal suo
asserto che "Dio non ha religione". Come non
ritrovarmici d'incanto, nella ricerca di un Dio da adorare in
Spirito e Verità, tramite una fede liberata dal sacro di
qualsiasi religiosità? Non per altra ragione raccolgo o
indosso al contempo simboli hindu e islamici e cristiani, con la
rabbia in corpo che mi si sprigiona in furore, quando non
posso nemmeno inoltrarmi poco oltre la soglia di un
tempio con le scarpe, per lenire i tormenti artrosici che
insorgono nel levarmele, dove possa sedermi lì
accanto, che ecco, all'istante, c'è già chi mi ha
avvistato ed inveisce contro la impurità contaminatrice
delle mie calzature, o al solo ricordo della suoricina di
Khajuraho che mi rimbrotta per il rosario hindu con il quale ho
partecipato al rito della messa la domenica delle palme,
compiacendosi di dirmi che li tagliano loro, non appena sia loro
dato di farlo, simili oggetti di perdizione...
Anche il samadhi del luogo di
cremazione dello stesso Gandhi ne è divenuto un
sacrario, per chi mi ha redarguito che anche il vasto circondario
di pietra che a distanza vi si eleva intorno, ne
era un baluardo intoccabile dalla borsa in cui avevo raccolto dei
libri.
Ma
nel tardo mattino di oggi 6 aprile, Kailash mi
ha or ora recato la notizia che dopo oltre una settimana non gli
sono stati accreditati i 1.500 euro che gli ho inviato per
l'acquisto dell'autorickshaw, ed io già immagino che siano
finiti dispersi, e voglio soltanto sfigurarmi e levarmi la vita
distruggendo la sua.
6
aprile 2013
In
Memoria di don Ulisse Bresciani
Dall’India in cui
ancora mi trovo, la lettura in rete del commento di
don Ulisse Bresciani alla Genesi e alle Lettere di Paolo, negli
incontri che teneva ogni martedì nelle sale canonicali
della basilica di Sant'Andrea , puntualmente quanto
implacabilmente vi arrivavo in ritardo, era rimasto fino a questi
giorni il mio solo legame continuativo con la realtà
di Mantova più propriamente culturale e
spirituale. Avrei voluto prima o poi un giorno o l’altro
scrivergli, a riguardo, e rendergli grazie di quanto nel corpo a
corpo dell’esercizio sanguinante dell’amore reale,
in tutte la vulnerabilità cieca e le fragilità
umilianti della mia carnalità spirituale, avessi trovato
sostegno e conforto decisivo nelle sue riletture illuminanti dei
sacri testi che sono l‘alfa e l’ omega della
spiritualità cristiana, in particolare,ad esempio, sulle
orme esegetiche del biblista Andrè Wenin, di
come la cupidigia sia il peccato alla radice di ogni altro,
quando il desiderio non sa accettare il limite che consente il
ritmo dell’essere, e la " bestia, che in noi è
accovacciata" si fa distruttiva di ogni alterità umana
e naturale che ci è affidata in dono perché se ne
sia responsabile, o di come per Paolo la potenza e sapienza
di Dio nel suo splendore di gloria, si manifesti proprio
nella vulnerabilità fragile per cui per il mondo siamo solo
debolezza e follia, sua spazzatura e rifiuto di tutti.
Con che luminosità
annuente mi aveva manifestato come fossi proprio nel vero, che
avevo inteso al volo, quando gli ebbi timidamente a chiedere
se nelle loro candide vesti lavate con il sangue
dell’agnello, i 144 mila eletti dell’Apocalisse ,
riscattati dalla terra, non fossero gli stessi eunuchi
evangelici,.
Invece per un’ispirazione
che non è pura casualità naturale, dopo innumerevoli
giorni ho aperto in internet questo martedi 16 aprile la
Gazzetta di Mantova, per ritrovarvi la notizia dolorosissima
della sua morte il giorno avanti, senza più alcuna
possibilità di alcuna ripresa con egli di alcun discorso
ad un mio futuro rientro. Non lo ritroverò dunque più
nella sala della colonna di Sant’Andrea,o in quella d’attesa
del nostro comune medico personale, senza che potessi supporre la
gravità del male che ve lo recava, per la stessa serenità
imperturbata e gioiosa con cui mi salutava e poi, in sincronia, si
reimmergeva nelle letture dei libri che vi recavamo per
leggerli in attesa, e fin che avrò vita terrena resterà
così consegnato solo alla riesumazione della mia grata
memoria, il ritrovarvi in questo mondo l’unico
volto e l’unica voce in cui nelle ore estreme del dolore e
della disperazione, dei miei ultimi tempi, ho confidato e che ho
ritrovato immancabilmente pronta ad ascoltarmi, per accompagnarmi
nella remissione o a riavviarmi alla speranza fiduciosa . Così
è stato , per la sua indefettibilità spiurituale,
quando a lui si è rivolto in lacrime il mio Io affranto per
la morte del mio piccolo Sumit, o quando con la dignità
ed il lavoro, ogni prospettiva di vita e di futuro sembrava
andata distrutta.-
In tal modo egli si
assimilava a Dio, nel suo debole per i deboli di cui parlava nelle
sue omelie mirabili, autentici improvvisi del Suo Spirito.
Allo
stesso modo, si è assimilato alla Sua passione per la
libertà di ogni uomo, quando con fermezza assoluta mi ha
categoricamente invitato a lasciare affidata alla autonoma
scelta del mio amico indiano, e della moglie, il compimento
della gravidanza da cui sarebbe nato il nostro adorato Chandu ,
pur dopo averli consigliati nella loro fede hindu secondo quanto
mi dettava la mia ispirazione cristiana.
Resta ora compito di
chi a differenza di me è dentro la comunione di vita
parrocchiale della Chiesa cattolica, che non vada disperso
l'insegnamento del suo Cristianesimo, così radicalmente
fedele alla Parola del Verbo e così eversivo al
contempo della vulgata devozionale religiosa, nel farsi flagello
sferzante, di domenica in domenica, di chi annuendo
tra i banchi sapeva benissimo, in conformità di fede
a questo mondo, come essere assolutamente cattolico senza
essere per niente cristiano.
15 aprile 2013
L'arrivo del tuk tuk
Neanche due giorni sono
intercorsi, tra l’arrivo del mio bonifico nel conto corrente
dell‘amico, quando già ne disperavo, e quello
dell’autoricksaw nuovo di compera nella casa di Kailash,
dopo che per anni e anni mi sono dato da fare, ed ho atteso
invan,o per vedere Kailash intento al lavoro nei suoi
campi, o nel nostro negozio generale di paese, fare anche solo la
barba ad un solo cliente in quello di barbiere, invece che
stazionarvi a farla da padrone in chiacchiere supponenti.
In Chattarpur, dove
l’autoveicolo è stato acquistato, con alla sua
guida un conducente amico si è stati già di
ritorno, martedì scorso, una seconda volta, per
la registrazione dei dati identificativi dell‘autoricksaw ,
sobbollendovi sotto un caldo torrido in compagnia di Ajay edi
Chandu. Insieme con il lavoro ed un guadagno non
irrisorio, stando a quanto ha raggranellato già il primo
giorno, pare sia sopraggiunta anche la fine dell' insonnia
notturna che alimentava il suo ozio in un circuito vizioso
esasperante, quando non c’era pomeriggio che non dovessi
contrastare la sua propensione a letargire in un letto, od al
suolo, tra i bambini inaccuditi che gli stavano intorno. A
mezzogiorno ora lascia che anche al mio pranzo provveda
Vimala, per essere quanto prima in postazione di nuovo
presso l’automezzo, pur se deve ancora attendere che gli
arrivi a giorni la licenza del trasporto di viaggiatori che non
siano dei familiari, o dei conoscenti, per potere seguitare a
trasportare liberamente i suoi clienti occasionali. Nel frattempo
non si attenta più a farlo, dopo che ieri la polizia l’ha
intercettato e redarguito presso il tempio di Durga ch’è
in prossimità dell‘aeroporto, mentre con due ragazze,
oltre Vimala e Poorti, e Chandu, era avviato a Byathal per
mostrare l’automezzo ai propri genitori. Con Ajay io ero
invece in Mahoba e dintorni, per visitarvi gli antichi
templi Chandella di cui avevo ritrovato l’indicazione
del sito, quando ho recuperato il foglietto su cui ne avevo
trascritto i nomi dai pannelli,che durante il festival di danze
internazionale di Khajuraho, pubblicizzavano tali località
archeologiche. Un incanto il tempietto dedicato alle Chausat
yogini di Sijahari, la cui scalinata digradava nei ghat di un
talab, tra le fronde di un pipal e di nim che ne custodivano la
sacralità delle granitiche forme architettoniche primeve,
sei sikkara sopra seidelle nove celle interne, corrispettivamente
di diversa grandezza, un portale di accesso alla sala interna su
cui davano le celle multi residenziali delle dei, i motivi
ornamentali esterni puramente geometrici, in un’alternanza
di poligoni e di rombi diamantini, sopra le flessuosità
curvilinee degli stipiti inferiori, in un’assonanza di forme
e decoro che evocava i tempi del Lalguan Mahadeva di
Khajuraho, e ancor più il Chusat yogini mandir, l’adiacente
tempio a Ganesha, anch’essi in riva a un talab, di
MauSahanya, o i presumibili tempietti alle dee e il tempio al Dio
Shiva in loro puntuale prossimità , di Bhima Kundha,
situati nei vicini paraggi di Dhubela.
18 aprile 2013
In
Chandigarh
Quando ho sognato il mio
arrivo in Chandigarh, mi accoglievano luminose case bianche con
verdi finestre squillanti, tra la frescura frizzante di un vento
montano, cui succedevano quartieri di case in cui il cemento
aveva grigiori perlacei, di longilinee haveli di arenaria
fulgente, con intarsiati rilievi arabescati.
Ma dopo le piatte distese
oltre i filari di pioppi dei campi dell’ Haryana
pulverulenti, l’arrivo nella Chandigarh reale è
stata la disillusione istantanea che realisticamente non
potevo che attendermi,
Per anonimi quartieri moderni
l’autobus è pervenuto nella più anonima e
grigia stazione di autobus, aperta a una piazza
centrale di un grigiore ancora più squallido. E come ho
trovato e lasciato la stanza di albergo, attardato
dalla impossibilità di sostare nel primo hotel perché
non disponevo del permesso di residenza in Chhattarpur, è
subentrata l’anonimità dei viali a quella dei
caseggiati popolari e di utilità pubblica dei settori
centrali, verdi di una moltitudine di alberi estenuati dalla
calura estiva e senza vigoria di fronde, lungo incerti e
sterrati camminamenti pedonali, rispetto ai quali predominavano
le auto in ogni corsia. Ma non solo le larghe arterie
stradali a percorrenza veloce erano riservate al dominio
pressocché assoluto degli autoveicoli, e lo erano anche le
corsie a scorrimento più lento, mentre le piazze destinate
al traffico pedonale ne erano degli esclusivi parcheggi, in cui
spadroneggiavano i carapaci delle loro sagome allineate, mentre
nei parchi i viandanti erano sparute presenze fantasma.
Delle
forme di vita di strada, le uniche attestazioni erano due
venditrici appiedate di frutta, mentre per dissetarmi, in assenza
di qualsiasi chiosco o rivendita di bibite analcoliche, ho
dovuto rifarmi a uno degli spacci frequenti di vino e birra.
Uscendo avevo mirato solo a raggiungere il centro
capitolino, credendo che per quanto a quell'ora tarda ne fossero
inaccessibili e inavvicinabili gli edifici pubblici, con il flusso
del traffico potessi raggiungerne gli spiazzi resi più
magnificenti dalle illuminazioni notturne.
Ma giunto a qualche settore
di distanza, senza ravvisarne ancora alcuna parvenza, non mi
restava che avviarmi al rientro tra le repliche seriali dello
stesso tipo di edifici pubblici rinfrescati di bianco, a loro
volta delle repliche seriali di filari di balconi senza
sporto rispetto ai loro supporti.
All’uscita dell’hotel,
l'indomani avrei visto appiedati i chai walla del
settore 22, i venditori di tè, prima di trovarmi più
a mio agio nel traversare un settore agiato, per raggiungere per i
suoi viali il teatro Tagore. Un esercizio di rigore,
più che di fantasia, il parallelepipedo in muratura
tra due cubi di vetro che ne costituiva il tutto, Era odoroso
anche nello spiazzo esterno delle travature e dell’acustica
in legno, ne era il sentore dell’ascetica degli
allestimenti, l’ambito in cui la cultura popolare
indiana sembra trovare in Chandigarh il solo
diritto ad una sua rappresentazione scenica,
Poi, nella pioggia che
si intensificava nel tardo mattino, nemmeno l’iter
procedurale che si complicava per ottenere il diritto di accesso
al centro capitolino, poteva lasciarmi presagire ciò che
esso mi avrebbe riservato: già l’approssimarvisi
aveva la cupezza di un incubo, il verde incolto di radure ed
alture lo appartava al di fuori della città abitata,
destinandolo al solo accesso militarizzato della burocrazia
amministrativa, in un sogno di città in cui con la
pianificazione urbanistica cadeva ogni effettiva ragione
d’essere di una partecipazione politica.
Eppure, oltre il mostruosario
del Secretariat , che splendidi edifici aveva vagheggiato la
fantasia geometrica di Le Corbusier, quali armoniose
ricomposizioni incruente di ogni vertenza politica e
giudiziaria, nel parlamento e nell’alta corte di giustizia,
in virtù del semplice decorrervi civico dei cicli
naturali dell’essere. Si arriva a fronteggiare il
Parlamento dopo averne costeggiato l’azzurro delle vasche
d'angolo, che frescheggia e riflette la sua attività
rinnovatrice, mentre il profilo corneo della tettoia si
allunga in un’inflessione che è come una ricezione
della spiritualità celestiale, la sovrastano una piramide
inclinata, una sorta di sifone svasato che pare un’ ameba, a
significare tutto ciò che di straniato e sghembo si
ricompone in ogni ordine. E le vacuità dei supporti di
cemento costituite di circolarità irregolari,
esaltano come l’ordine geometrico comprenda
intrinsecamente anche l.‘organico. Nel suo manifestarsi alla
vista in cromatismi vistosi, bellissimo il pannello che nei
cicli della vita include la sede istituzionale del Parlamento. Ma
il magnifico edificio primeggiava in un immenso isolamento deserto
, senza impronta alcuna di alcuna vestigia umana partecipativa,
conteso dal cemento armato del grande spiazzo di fronte, e
dall’erba matta che vi cresceva incolta e lo attorniava con
grami alberi. Una recinzione che divideva l’ampio spiazzo,
troncava ogni flusso vicendevole con il palazzo di giustizia,
rinviando al presidio militare della riduzione a burocrazia
della democrazia.
Ridisceso l’avvallamento
e raggiunta e percorsa, a sinistra, la china in salito
del manto stradale divisorio, mi ritrovavo presso la
scultura celeberrima del’open hand, della mano aperta,
pronta a ricevere e dare, in virtù di una risorsa civile di
Chandigarh, così vitale, che sembrava non aver bisogno di
alcun concorso politico od istituzionale nel suo auto
asserirsi. La frequentazione diurna delle aule giudiziarie
spiegava come il verde circostante l’Alta corte fosse stato
aggraziato a giardino di rose, tra getti d’acqua, e come con
il traffico umano di vakil, avvocati e loro clienti, vi circolasse
quello veicolare. L’Alta corte era un’altra invenzione
fantastica del genio architettonico di Le Corbusier, avvivata da
un reticolo di parallepidedi che hanno la funzione di frangisole,
da pilastri nei più brillanti colori primari,
sullo sfondo di rampe di ascesa così innovativamente
profilate di vuoti.
L’esercizio del rigore
giudiziario vi era convertito nell’applicazione delle regole
di un gioco, come quelli dell’ infanzia, che
attraverso le sentenze che emana ci riconsegna alla
innocenza di una ritrovata armonia con l’ordine
naturale delle cose,
Del rigore costruttivo
applicativo della città in cui tornavo, senza sublimazione
ascetica o invenzione fantastica, nel suo destinare il pregio di
abitazioni e negozi e ristoranti solo ai più facoltosi, era
una sorta di compensazione complementare l’esuberanza
fantastica del rock park che Nek Chand, ispettore e
supervisore di strade profugo dal Pakistan, dopo la
Partizione, aveva prodigiosamente popolato delle sue innumerevoli
creature scultoree, ottenute con il riuso clandestino dei
più vari rottami della città in formazione,
cocci in ceramica di vasellame, di prese della corrente,
ferramenta di biciclette, senza che tuttavia lo strabiliante
assumesse ai miei occhi una valenza più che
artigianale, pur nel suo evocare le cromie luminescenti degli
edifici di Gaudi.
Il romantico Gandhi Bavan, di
Jeanneret, nell’arcuarsi della tensione delle sue linee
spezzate, per frangersi ancora, in una ricomposizione ciclica
ternario che prende orpo nel corso della pradakshina
deambulatoria, materializzantesi nel calore della sua bellezza
granulare parietale, sotto il sole ritornato a splendere e ad
avvivare i parchi e i giardini del campus universitario in cui il
memoriale è situato, è stata la visione del bello in
cui si era commutata in farfalla la crisalide delle parvenze
da incubo di Chandigarh, prima che il Satabdi-express mi
consentisse il sollievo di distaccarmene, per ritrovarmi gioioso
nella vitalità di Delhi.
30
aprile 2013
In Mahoba e dintorni
itinerari di antichi templi hindu
Lungo l’ampio viale che
da Sagar, Chhatarpur, corre verso Mahoba, giunti al borgo di
Srinagar, a meno di venti chilometri oramai dal’antica
capitale del regno dei Chandella, quando ormai si sta abbandonando
il centro abitato del villaggio, una deviazione compare a
sinistra, lungo la quale si inoltra il nostro itinerario.
L’indizio che la strada è quella giusta è
l’apparizione, sempre alla sinistra, poco dopo che la si è
imboccata, dello specchio lacustre di un talab, prima di un
conglomerato successivo di tempietti hindu, situati dentro ciò
che resta di un apparato fortificato. Qualche chilometro dopo si
profila sulla destra un rilievo scistoso, ed è alla sua
altezza che occorre intraprendere la deviazione che compare
sull'altro lato della strada, per arrivare in pochi chilometri
alla prima nostra meta, in Urvara, un villaggio tutto arcuato
lungo un vasto talab, per lo più prosciugato, presso il
termine del cui costeggiamento appaiono i resti di un
antico tempio shivaita. La sua complessità confonde la
vista e l’emoziona, nel profilarsi criptico di gradinate e
di portici ornamentati dei motivi geometrici di rosette e rombi
diamantini e gremiti di edicole vuote, i cui recessi recano
al santuario interno sovrarialzato, è un disorientamento
cui contribuisce l’ammanco del lato a ridosso del villaggio,
tamponato da un edificio che comprende i resti della parte caduta
in rovina, insieme con la copertura del santuario del tempio. Ma
l’impianto presto si disvela.
Sul basamento che digrada nel
talab, tre delle quattro scalinate originarie d’accesso
recano ad una terrazza superiore, e tra loro, dopo i primi
gradini, sono raccordate da una galleria soggiacente alla stessa
terrazza della piattaforma, sulla quale si sopraeleva il santuario
vero e proprio. Sono così numerose le edicole sulle pareti
esterne e interne della galleria, oltre settanta, quale mio
assistente, ne ha contate il mio piccolo incantevole Ajay,
mio figlio adottivo, da accreditare l’ipotesi che il tempio
fosse dedicato alle Chausat yoghini, le 64 dee in cui si manifesta
l’energia o Shakti del Dio, con nicchie residenziali
ulteriori per le divinità femminili ad esse alleate, almeno
quanto, se non ben più, del tempio che ritroveremo
sul nostro cammino.Tra i rombi di diamante, e le rosette, che
costituiscono i motivi ricorrenti dei fregi, nei pilastri una
sorta di croce si risolve nella stilizzazione quanto mai
compendiaria di due coppe fogliacee dell’abbondanza.
Non una novità, come
non lo sono l’ornamentazione involuta degli stipiti
inferiori, le pietre di luna o chandra sila delle soglie, o
i reticoli a scacchiera sovrastanti, un apparato decorativo che fa
risalire il tempio al secolo decimo della nostra era, quando i
Chandella erano ancora dei feudatari tribali in fase di
emancipazione. Dalla piattaforma, poi altre tre gradinate
superstiti immettono nella sala o mandap quadrangolare del vero o
proprio tempio , coperta, grazie alla transizione di un ottaedro,
da un soffitto circolare da cui si affacciano teste bovine, entro
l’involucro superstite di un tetto piramidale. Ed è
da tale sala, che per il tramite di un breve vestibolo, si ha
accesso a quel che resta del garbagriha, il santuario del Dio. Del
portale solo le statue delle dee fluviali Ganga e Yamuna e delle
loro attendenti - una delle quali era forse una divinità
naga o serpentina-, sono sopravvissute con una certa grazia e
fortuna all’erosione del tempio.
La contemplazione in
cui la mente s’interna in virtù del respiro
sacrale del tempio, può ora spaziare alla vastità
del talab, nei cui fondali prosciugati discendono di seguito ghat
sgretolatisi, e dove , se ancora umido è il fondo, a
trovare frescura e pastura armenti di bufali, in una distesa che
si fa sterminata. E la mente corre in cerca di analogie e
di conferme alle sue congetture, e non tarda a trovarle, in tutta
evidenza, nella rivisitazione del tempio delle Chausat Yogini di
Vias Badora, nel circondario di Lori, a una distanza di gran lunga
inferiore di quanto non paia secondo gli attuali confini, stando
ai percorsi dei manti stradali e al loro dissesto: anch’esso
verte su quattro gradinate d’accesso su cui è
sopraelevata la galleria, da cui si ha accesso al tempio
centrale, allo stesso piano, pressoché identica
l’ornamentazione geometrico-floreale, e decisivo, a
suggellare l’ipotesi che siano due varianti dello stesso
tipo di tempio destinato al culto delle Yogini, il ricorso alla
galleria deambulatoriale, ed il ricorrere sulle sue pareti di
edicole così numerose, da raggiungere e superare il novero
stesso delle Yogini. Si è forse così individuato,
al contempo, un tipo ulteriore di tempio alle dee Yogini,
dell’India centrale, oltre a quelli di Khajuraho, che
allinea le celle delle dee sui quattro lati del cortile
rettangolare di una possente fortezza templare, e a quello che
invece le dispone lungo le pareti che volgono circolarmente dei
templi di Mitaoli, nel circondario di Gwalior, e di
Bedhavgath, nei pressi Jabalpur. Raccolte le energie fisiche e
speculative, si può essere di ritorno alla grande via
alberata che reca a Mahoba, seguitando viaggio, al ristoro della
sua ombra, fin che non si avvistano sul lato manco i cavalli di
Arjiuna, Arjuna medesimo e il medesimo Krishna, nelle statue di
uno sfavillante tempio recente ceramicato. E’ alla sua
altezza che occorre svoltare, per poi girare ancora a sinistra, e
ritrovarci in Sanjahari, il bel villaggio del secondo tempio del
nostro itinerario. Così già l'ho descritto
nella pagina del mio blog sull'arrivo dell'autorickshaw nella
casa dell'amico Kailash “Con Ajay io ero invece in Mahoba
e dintorni, per visitarvi gli antichi templi Chandella di cui
avevo ritrovato l’indicazione del sito, insieme con il
foglietto su cui ne avevo trascritto i nomi, dai pannelli che
durante il festival di danze internazionali di
Khajuraho pubblicizzavano tali località archeologiche.
Un incanto il tempietto dedicato alle Chausat yogini di Sijahari,
la cui scalinata digradava nei ghat di un talab, tra le fronde di
un pipal, e di un nim, che ne custodivano la sacralità
delle granitiche forme architettoniche primeve,
sei sikkara sopra sei delle
nove celle interne, corrispettivamente di diversa grandezza, alla
destra e nel lato retrostante, senza alcun apparato decorativo, un
portale di accesso alla sala interna su cui davano le celle multi
residenziali delle dee, i motivi ornamentali esterni puramente
geometrici,
in un’alternanza di
poligoni e di rombi diamantini, sopra le flessuosità
curvilinee degli stipiti inferiori, riprese magnificamente nella
sukanasa o antefissa,
secondo
un’assonanza di forme e decoro che evocava i tempi del
Lalguan Mahadeva di Khajuraho, e ancor più il Chusat yogini
mandir, l’adiacente tempio a Ganesha, anch’essi in
riva a un talab, di MauSahanya, o i presumibili tempietti alle dee
e il tempio al Dio Shiva in loro puntuale prossimità , di
Bhima Kundha, situati nei vicini paraggi di Dhubela"
In effetti erano cosi grezzi
i soli motivi ornamentali di poligoni e rombi, era talmente
semplificativa l'inteposizione della modanatura di quattro kapota
tra il basamento e i sikkara,
da fare risalire il tempio di
Sijahari, come quelli di cui detto, ai primordi della estensione
sul territorio della dominazione Chandella
Lungo il percorso che dalla
strada che reca a Mahoba svolta sulla sinistra, all'ingresso
in Sijhari, se non è in corso la stagione delle piogge, è
impossibile non rilevare le pile di pani di sterco stesi al sole
ad essiccare, secondo una disposizione estetica che rammenta l
intreccio della paglia,
come il cotto di certi
magnifici gunbad o mausolei islamici iraniani,
in Sangbast, nel Khorasan.
Siamo ben oltre ogni
provocazione d'avanguardia inscatolata come merda d'artista,
ancora infantilmente intrappolata nel dualismo scatologico che fa
dello sterco l'alimento principe del demonio, suscitato dal
disgusto sensoriale degli escrementi.
Dilungandoci nella sosta
presso il tempietto, propiziata dall'amenità del sito,
sotto l'ombra delle fronde del pipal o del nim che si riversano
nel talab, tra cui i sikkara granitici compaiono e dispaiono, il
pensiero ricorre al dualismo radicato nell'arte Chandella come in
quella di Roma antica, tra un arte braminica o patrizia della
capitale e un arte plebea della provincia, per cui il granito e il
suo rude ornato hanno iniziato e seguitato a caratterizzare
il sermo rusticus dell'arte dei Chandella nelle aree rurali delle
loro dominazioni, rispetto ai templi in arenaria splendidi che si
sono susseguiti in Khajuraho, o negli altri principali
centri dei Chandella che, quasi in prototipi di
esordio, come a Mamallapuram, vi erano stati prefigurati in forme
più rudi o ancora ridotte, per poi rifulgere
coevi, per chi venisse dai contadi, nella loro grandiosità
di sviluppo architettonico e statuaria, a
iniziare dall'esordio fenomenale del tempio Laxmana. Nello stesso
volgere dei tempi, i templi rurali coesistevano con la
grandiosità di sviluppo di quelli delle capitali, in
modi analoghi a quelli in cui le pievi romaniche assistevano
alla loro trasfigurazione nelle splendide cattedrali dei borghi
medioevali, e seguitavano a volgere alla fede e a riproporsi umili
ed alte, o divulgavano i luoghi di culto più
illustri in modestia di sembianze e di
ornamenti, come mentre i
nostri templi hindu, periferici, riproposero quelli
di Khajuraho, o di Mahoba, , più che a
riproporre in tutta modestia quelli di Khajuraho, come in
direzione opposta pur avvenne, remotamente, a Boipura, o a
Baragaon, in quel di Tikamgarh, tesero a differenziarsene, o
si profusero per conto proprio, magari con la vistosità
di più sikkara, facendosi plurimi nei loro
santuari, magari, e nelle modalità
d'accedervi, ma in scala più ridotta e in tutta povertà
granitica, con più rudimentali torniture di modanature e
scannellature di amalaka , senza trine o trame di
chaitya, ma senza florilegi di statue o di
fregi di scene di vita di corte, ricadute di kirtimukka a
profusione. E come era possibile, altrimenti, se anche nelle
successive capitali di Mahoba e di Ajaygarh, i templi dei
Chandella poterono reggere il confronto con quelli di Khajuraho
solo in ordine di grandezza e quanto a edificazione in arenaria,
negandosi ogni consimile trasposizione statuaria di quali e
quanti siano i modi di manifestarsi della pienezza del Dio.
Ma se nell'arte di provincia
non fu raggiunta o perseguita la successione in linea e in
crescendo delle componenti architettoniche dei templi di
Khajuraho, che teneva sublimemente coesa ogni espansione
laterale nei transetti ed ogni profusione iconografica statuaria,
in una forma di coesione ascensionale sattvica, che rendeva
intelligibile mediante un percorso circolare la metafisica
religiosa che ispirava i cicli e le proiezioni e i recessi delle
innumerevoli statue, non vi venne meno l'avanzamento di grado
nella unificazione architettonica del tempio hindu, di
portici e sale e gallerie di deambulazione e santuario, che
dei Chandella alle forme del tempio hindu fu il lascito
straordinario.
Lunga e diritta corre la
strada verso Mahoba, già oltre in direzione di Bandha, e
quasi dispiace, giunti al chilometro undici, lasciarne il
confortevole ammanto, pur di giungere alla meta finale, per ciò
che ciò si prospetta di li a poco, tra il polverio che si
fa ammorbante delle cave intorno di cemento. una deviazione sulla
destra per una strada sterrata così accidentata e scoscesa,
irta di spuntoni di roccia così aspri, che invita a
chiedere al cielo quando mai finisca, per suggestivo che sia, nel
sole e nel caldo, l'aspetto nevoso che assume il paesaggio
sommerso di calce. Ma è la pena di pochi chilometri
soltanto, giusto il tempo che si profili il dirupo di massi
intorno al quale svolge il suo corso l'incantevole Makarbai, che è
bene seguire tutto nel suo dipanarsi di casipole bianche e blu,
negli slarghi improvvisi ombreggiati dai nim, fin che tra i tetti
bassi di tegole compaiono intatti i sikkara del purana mandir, o
mar, di cui si è chiesto così a lungo, e di cui non
va certo deluso all'impatto l'orizzonte d'attesa.
Tre sono i sikkara, con un
rombo di diamante macroscopizzato nella discesa della proiezione
centrale lungo i fianchi della jangha,
reticoli
a scacchi ne sono la trama e gli occhi di luce in luogo delle
gavaksha, o chaitya, come tre sono i garbagriha dei santuari
che raccorda la sala interna, cui si accede da una gradinata che
ne risale la piattaforma su cui la sala o mandapa è
sopraelevata, con la sua volta a cupola sovrastata puntualmente da
un tetto piramidale.
I portali dei garbagriha
consentono di identificare in Vishnu la divinità della
trimurti che in diverse sue manifestazioni , secondo la diversa
disposizione dei suoi attributi, presiede al centro della
trabeazione l'ingresso della cella, e indica nella sua
divinità il destinatario del culto, nel fregio
sovrastante si affoltano le nove divinità planetarie, e
come è di rito le dee fluviali, Ganga e Yamuna , sostano in
basso sugli stipiti laterali. Nella volta del mandapa oltre
la cordonatura soggiacente di "reverse half diamonds "
(semi-diamanti inversi), fregi di triangoli alterni,
rosette, si succedono motivi a cuspide, esattamente come nel
tempio shivaita gemino di Vias Badora.
Volge al tramonto l'ora calda
meridiana, appagati si è di ritorno lungo la via che
riporta a Mahoba, non senza che dei pavoni possano esserci stati
di congedo nella radura al'uscita del villaggio.
2 maggio 2013
Antichi templi di Khajuraho
Poco prima del sinuoso
ingresso nell’intrico della vecchia Khajuraho, così
simile all'arroccamento tra le sue mura del suo riottoso
induismo, scartando biciclette, o autoricksaw, l’
ingorgo al crocicchio del traffico umano ed animale, si apre
sulla sinistra la stradicciola da intraprendere per iniziare il
nostro itinerario, che costeggia l’acquitrino del
Ninora Sagar. Nel suo breve tratto, un maialucolo nero che
s'intrufoli nel vostro percorso lasciando le sue abituali
immondizie od il liquame di scolo, delle donne che si
abbeverano alla pompa dell'acqua con accanto il loro vasellame
metallico da rilavarvi, altre che sopraggiungono tra greggi ed
armenti nel clangore dei loro campanacci, con in testa un
carico di sterpi o recando il loro fascio dell'erba
stagionale, delle bambine che si dilettino a spalmare di sterco
scaramantico la soglia di casa, tra lo strombazzare di
autoricksaw Ape e di motociclette, di trattori agricoli o vagoni
di trasporto, possono farvi ritrovare pienamente immersi
nell' India in cui siete, mentre addossato alla arginatura del
bacino del talab, già si prospetta il
primo dei templi della nostra peregrinazione mirabile, il Brahma
mandir, come erroneamente siamo già indotti a
ritenere dalla credulità popolare. E’ invece dedicato
al dio Vishnu, il dio della forza di coesione onnipervasiva
che conserva l'universo, secondo quanto attestano,
indubitabilmente, le prominenze centrali delle immagini scultoree
del dio sugli stipiti d’accesso, o il servente
Garuda, metà uomo-metà uccello, che prono in perenne
devozione, sulla sua fronte di ingresso principale, onora tuttora
il proprio dio della sua cavalcatura aquilina.
Nella spoglie vesti
rudimentali in granito della sola cella di cui consiste, non
che dellaphamsana piramidale d'arenaria in cui culmina, che
nella Khajuraho dei Chandella non aveva ancora ceduto il
passo a curvilinei sikkara, il tempio, che era forse un edificio
memoriale come il Matangheswara, l' edificio di culto ancor vivo
che sorge accanto ai templi celeberrimi ma monumentali del gruppo
occidentale, mostra di primo acchito quale fosse ancora lo
stato dell’arte sotto i Chandella ai tempi della
sua costruzione, ancorata al 925-950 dopo Cristo. Dei
templi tuttora superstiti, era stato fino ad allora eretto in
Khajuraho il solo Chausat yogini mandir, cosi possente
quanto primordiale, nel fornire a tutte quante le 64 deità
della fertilità in cui si manifesta la sakti dell'energia
divina, 64 tempietti minimali più tre altri, non meno
essenziali, per le divinità femminili loro alleate, al
riparo ciclopico delle muraglie di un’antica fortezza
templare, ed era prossimo a sorgere, o da poco era stato eretto,
in tutta la modestia delle sue pretese, il solo tempio shivaita
ora a perdersi tra i campi di Lalguan, prima che i Chandella, al
cospetto delle divinità brahmaniche, sbaragliassero ogni
rivalità mimetica che tra i sovrani hindu dell’India
centrale potesse insorgere nelle edificazioni templari dinastiche,
con l’elevazione fenomenale del tempio Laksmana..
Come si sia invece ai
piedi del nostro tempio, ancora così umile e rude, numerato
in ogni sua scabra pietra, è sufficiente risalirne la
scalinata per scoprirne all’interno la ragione
duplicemente erronea della sua denominazione brahmanica quale lo è
quella, addirittura seriale, dei templi Chalukya di Alampur, nel
lontano Andra Pradesh. Del resto, la dedica di un tempio al
Dio Brahma, pur se è il Principio o Sorgente di ogni
realtà, e fa tutt'uno con essa, è in India
altrettanto inusuale quale lo è nella cristianità
occidentale quella di una chiesa a Dio Padre, laddove
prolifereranno lungo il nostro stesso percorso i tempi e i
tempietti dedicati a Durga o al leggendario Hanuman, il
dio.scimmia aiutante in capo di Rama, così come, nei
paesi della cattolicità cristiana, quali l 'Italia, non si
contano le cappelle e le edicole votive alla Vergine beata, erette
tra i campi o dove svolti una strada, ad attestare tuttora,
nelle mie campagne d’origine padane, quali fossero i termini
della centuriazione romana cui ci si rifaceva nella loro
dislocazione. Basta, per rendersi conto del fenomeno analogo
in India , già dal limitare del tempio in cui ci
ritroviamo, seguitare ad inoltrare lo sguardo lungo l’argine
del talab, per scorgere il biancore del primo dei templi alla Devi
che onoreranno il nostro percorso.
Ma prima ancora di
distanziarci insieme con il nostro sguardo, occorre risalire,
al termine della piattaforma, alla ragione d’errore
che resta da dirsi e vedersi, per cui il tempio è
conosciuto come un tempio brahmanico.
Gli stipiti del portale cui
siamo al cospetto, consentono intanto una chiara lettura di quale
fosse l’iconologia statuaria imprescindibile di ogni accesso
alla cella del santuario: all’altezza del devoto,
sulla sua sinistra la dea fluviale Ganga in posizione centrale,
con ai suoi piedi un coccodrillo rimasto intatto quale sua
cavalcatura, alla sua destra, in perfetta corrispondenza, la
dea confluente Yamuna, con invece una tartaruga quale suo
caratteristico veicolo animale. Le affiancano verso l’interno
due assistenti con un vaso di acqua purificatrice diruto,
sovrastate da una corona di cobra anch’essa erosa. Sono nel
regime protettivo delle divinità acquatiche
serpentiniformi, o Naga, in relazione di subordinata inimicizia
con lo stesso Garuda. Lo abbiamo infatti già
ritrovato solo a debita distanza, soggiacente al Dio Vishnu,
al centro dell’architrave del portale, nella posizione
d’onore che al dio Vishnu.è dovuta essendogli
dedicato il tempio, mentre alla sua destra ed alla sua sinistra
si stagliano complementari e distinti Brahma e Shiva, per
quanto si interpenetrino nella trimurti hindu trinitaria . Ma è
lord Shiva, che oltre il cancello che ci preclude l'accesso,
al centro del santuario del tempio la fa da Signore, ossia da
Ishwara, per un'incongrua traslocazione di un suo lingam a quattro
volti, o chatarmukka,
che fu scambiato per un cippo
brahmanico, a seguito di una concatenazione di errori in cui
si è così disvelata la ragione della erronea
denominazione del tempio. Shiva, il dio che tutto porta a
compimento ed a distruzione, rigenerando la vita , ci appare ora
di fronte incantevole ed orrido, nei quattro volti simultaneamente
sereni e tremendi che affiorano dal suo lingam, rivolti nelle
quattro direzioni cardinali a presiedere i quattro elementi della
terra, dell’acqua, del fuoco, dell’aria, mentre il
quinto elemento, la spazialità originaria dell’etere,
o akasha, è da Shiva sovrinteso, quale Ishana, in un
sua quinta attribuzione che per la sua natura immanifesta è
qui simboleggiata dal lingam stesso, data la sua realtà
non figurativa
(
qualora si visiti il Museo Archeologico di Khajuraho, si
potrà ammirare una traduzione inversa, delle manifestazioni
di Shiva, che gli attribuisce un suo viso personale come
Ishana, cui in un rovesciamento delle parti corrisponde
invece una resa astratta, in forma di sfere, delle sue
manifestazioni che assumono invece la personalità di un
volto nel nostro chaturmukka. Si
confronti Devangana Desai The religious Imagery of the Temples of
Khajuraho, pg 60)
Nei suoi quattro volti
inferiori, il primo sembiante che ci appare è quello
meditante che il dio assume nella sua potenza di
Tatpurusha, o “ Spirito supremo”, una sua
manifestazione che ha un volto analogo a quello della sua
retrostante visualizzazione quale “Sadyojata”, mentre
se procediamo in senso orario lungo le pareti, come vuole la
pradakshina, o deambulazione rituale, oltre le griglie, in
posizione intermedia, sono gli opposti estremi del Dio che vediamo
affrontarci, prima nel suo volto spaventoso di Aghora,
quindi in quello soavemente femmineo di Vamadeva, poichè
Shiva vi è tutt 'uno con la soavità femminile
della consorte Parvati.
Dall’alto della
scalinata, qualora vi ci si soffermi, visitato il tempio, il
bacino lacustre del Ninora talab si offre alla nostra vista sino
all’opposta sponda, dove bambini e bufali, nel guazzo che li
accomuna, trovano insieme il loro divertimento e la loro
pastura. Di fronte invece all'entrata del tempio, il
vecchio villaggio ci concede a sua volta un suo brano
spettacolare,
che ci anticipa la fatiscenza
sino allo sgretolio estremo in cui ritroveremo superstiti negli
ulteriori villaggi gli edifici di fango, tutto il rosso
fulgore dei filari di mattoni cotti in cui ancora resistono
all’usura del tempo le murature delle altre
costruzioni tradizionali, tra il sovraegersi, sopravanzante, dei
fabbricati più recenti, e dei piani aggiunti, con supporti
in cemento e travature metalliche.
Presentano, le case in
mattoni, le forme grezze e solide che consentono le intese
edilizie tra capomastri e committenti , secondo la
logica architettonica, o Vastu vidya, che sovrintende il
fabbricare hindu dalla notte dei tempi dei Silpashastra, gli
antichi trattati canonici che tali norme rielaborarono Sui
dossi che si avvallano tra le rovine di alcuni edifici diroccati,
se non è la stagione delle piogge ci apparirà l’
altra più alta nota di colore, ocra, del paesaggio rurale ,
dataci dai pani di sterco stesi al sole a seccare, nel brillio dei
filamenti di paglia incorporati.Ci si offra a tutta la loro vista
benefica, è il loro consumo energetico, per la
cottura dei cibi, il riscaldamento, o la messa in fuga degli
insetti molesti, ad opera delle dense fumigazioni che ne emanano
aromatiche, che salvaguarda gli alti fusti e il diramarsi degli
splendidi alberi che vedremo frondeggiare tra i coltivi:
E già non c'è
tregua alle nostre emozioni, Come cessano i caseggiati da cui si
risalga in strada, oltre tutta l’ immondizia e la
verde pastura della immensa radura successiva, in cui
pascono numerosi quanto stenti armenti, alla vista si dona
tutta quanta la grazia del tempio Javari, sullo sfondo d'incanto
dei rilievi Vindhya.
Ci tragga pure in inganno la
loro apparenza, che li fa sembrare alti e distanti nei loro
dirupi sommitali, quando sono invece ravvicinati e di altura
modesta, lasciamo pure che ne tragga ancora più slancio
ascendente il sikkara del tempio, il raccogliersi in armonia degli
ulteriori suoi picchi ascendenti , di forme al contempo così
compiute e ridotte, prima di accertare che tale è
la bellezza ideatrice di questo gioiello tardivo dei Chandella,
che sopravvive al restauro di tanta sua parte ed alla scalfittura
più rovinosa del suo complesso statuario.
Se il tempio Javari è
di tale e tanta bellezza, specialmente se lo si ravvisa di
fronte dal giardino circostante,
a dispetto di una
denominazione che ha a che vedere solo con il miglio che si
coltiva intorno, eppure pianta simboleggiante la fertilità
germinale femminile, lo è per come vi è
armoniosamente raccolta, in erte distinte, la tensione
ascensionale prima piramidale, e poi curvilinea, delle sue sommità
sovrastrutturali che lo ragguagliano al Mont Meru,
celestiale dimora degli Dei hindu ed Asse del cosmo. E'
un'ascesa cosmica che si sospinge a risalire fino all'Uno nel
pinnacolo, che secondo il profilo terminale del sikkara
simboleggia il punto, o bhindu non spaziale, in cui tutto
ritorna per esservi riassorbito ed emanarne di nuovo.
Ad esso, con l'anelito del
tempio tutto, tendono a risalire lungo il corpo del sikkara le sue
riproduzioni in miniatura che vi sono aggettanti, come tante balze
al monte che ne è la mole, in conformità ad
un'idea frattale della divinità del reale, secondo la quale
lo stesso ordine e le stesse forme si ripetono ad ogni suo diverso
livello. E' cosi anche per le sovrastrutture piramidali
delle sale profane del tempio, che trovano una loro replica in
tanti isomorfi tempietti- edicole, o tilaka. Il tempio
inoltre incanta per quanto l'eleganza del torana, l'arco festonato
del portale d'accesso, così come s'inflette in una
quadruplice falcatura dai dorsi di coccodrilli- makara, si
accorda con le svasature delle finestre balconate del portico e
del mandapa, la sala interna,
in un concorso, di festoni ed
aperture, uniformate nell'ornamentazione, del cui consentire
l'accesso alla grazia divina, tutto il corpo dell'edificio e
l'apparato scultoreo di deità e ninfe celesti, le apsaras,
si fanno luminosamente partecipi, per un adito ch'è
la stessa porta della morte di cui i coccodrilli sono i guardiani.
Chi, prima di accogliere
tale invito, inizi il percorso di rito intorno al tempio in
senso orario, la pradakshina, come si è detto, che
visualizza la coesione con cui il divino si espande in ogni verso
del mondo, tra le proiezioni di divinità amorose e ninfe
celesti, o apsaras, in tutta la bellezza dell'energia divina
che crea semplicemente essendo e desiderando se stessa, e la
disposizione nei recessi delle figurazioni della nocività
dei desideri illusori, rappresentate dai leogrifi o sardula, o
detti altrimenti vyalas, presi per la coda o sormontati dai
combattenti della virtuosità pugnace, insieme con le
immagini di coppie umane, sensualmente intente, per il loro
piacere e per propiziare la fertilità di mogli e campi e
ogni buona sorte dei devoti del tempio, vedrà comparire
quali statue di maggior risalto, per il loro stato di
conservazione, gli otto dikpalas, o divinità
guardiane delle direzioni spaziali, duplicate, e ben
individuabili, perchè ognuna di esse è
sovrastata dalla divinità vedica, ossia propria della
religione originaria dei grandi testi Veda, di un
corrispettivo ashtavasus, con la facies bovina, non che per
la collocazione di riguardo che a loro è riservata, entro
nicchie impreziosite da colonnette sovrastate da un fregio
diamantino, e raccordate da un torana flessuoso, così come
è dato di vedere altrimenti, non in Khajuraho, ma nel
tempio a Shiva Neelkanteshwara di Udaipur. A iniziare, a Sud, da
Yama il dio della morte, che tutti gli esseri viventi cattura con
il suo laccio, o pasha, a tale compito tutelare del
tempio appaiono retrocesse le grandi divinità vediche
originarie, Nirriti, il dio dei virtuosi sfortunati che
volge a Sud Ovest, ignudo e con il trofeo di una una testa mozza,
ad Occidente Varuna, dio dei cieli e delle loro acque superiori ,
a Nord Ovest Vayus, dio del vento e del soffio psichico vitale, a
Nord Khubera, dio di ogni fortuna tesorifera, a Nord Est Ishana,
dio della spiritualità trascendente, a Est Indra, dio delle
piogge e del fuoco celeste della folgore, a sud est Agni,
dio del fuoco del mondo terrestre, del focolare e dell'altare.
Nelle proiezioni centrali
campeggiano, da sinistra, in senso orario, sormontata da Vishnu e
Laxminella edicola dei loro amori , l'incarnazione vishnuita di
Narashima, così ammalorata, da indurci a dire di Narashima
quando ricorrerà più integro nel tempio seguente,
valga lo stesso discorso per l'incarnazione sbrecciata di
Varaha nella proiezione opposta, su cui si ergono in coppia Brahma
e una splendida Brahmani, compiaciuta del suo amato come del fondo
stesso del proprio essere, mentre intriga identificare il dio
tricefalo della parete di fondo, su cui si effondono in
considerazioni amorose Shiva e Parvati: Dattattreya forse, in cui
si presero corpo Brahma, Shiva e Vishnu , sotto l'ascendente
di quest'ultimo, per la felicità virtuosa dei saggi Atri ed
Anasuya.
Seppe costei accogliere la
trimurti con tale purezza di madre nella nudità
richiestale, che essi le accordarono di farsi suoi fantolini.
Un dio "vestito di
cielo", talmente svezzato dalla rinuncia e dall'insegnamento
che ci reca ogni elemento del mondo, da ritrovare la verità
delle cose in ogni possibile dato ed esperienza, la saggezza
suprema anche nella stupidità estrema " Non credere
che coloro che sembrano immaturi, creduli, sciocchi, lenti,
profani o falliti non abbiano nulla da insegnarti. Tutti loro
insegnano qualcosa, tu impara dunque da essi".
Sulla sua destra una coppia,
per quanto mutilata, esibisce la penetrazione del membro con
precisione di orifizi e corpo cavernoso, non meno esplicito
è il mukka mithuna, l'accoppiamento lingua -lingam che
ricorre eroso e abraso nel recesso che precede nella parete ultima
l'ultima proiezione dei dikpalas, in un chinarsi della donna al
cospetto dell'uomo che richiama, nelle sinuosità
rispettive, quella del combattente del vyala e del vyala stesso,
ad essi soggiacenti , proprio mentre sono intenti l'uno a prendere
per la coda la natura viziosa dell'animale che sovrasta laltro,
flessuoso.. Altrove, ma è un luogo fin troppo comune nei
templi di Khajuraho, si profitta di una giovane reclina, ad angolo
acuto, nell'abbassarsi a sollevare una brocca, per penetrarla
retrostantemente di precisione, altre giovani apsaras si
compiacciono delle loro grazie palpandosi un seno, due altre ninfe
si dilettano di un infante che recano in braccio.
Entrando quindi nel tempio,
per l'adito di vita e di morte del torana, si
transita lungo l'atrio d'ingresso ed il mandapa, sotto soffitti
che recano scolpiti fiori cuspidati per trame sovrappposte, fra i
quali si interpongono kirttimukka, volti leonini che eruttano
festoni , privi della mandibola.Negli innumerevoli fregi in cui
ricorrono, nei templi di Khajuraho, - li avevamo potuti vedere
anche all'esterno del tempio Jvari, in duplice fascia, al
pari dei makara sono l' apertura di bocca della "luce
del mondo", da cui esce la vita e in cui se ne rientra
, per la porta della liberazione o per le mascelle della morte (
si veda di Guenon La scienza sacra, alla pagina.319
dell'edizione italiana), Sopra le mensole, lungo le travi,
ricorrono cortei festanti di gana, o cherubini, celestiali musici
e danzatori, tra dei devoti estatici, avviati alla gioia
dal magnifico dio elefantino Ganesha che rimuove ogni
ostacolo, mentre lo fiancheggiano, nel mandapa , accompagnato
egli a Kubera.
Danzatori e musici
terrenamente umani, o quali celestiali gana, possiamo
ritrovarli nelle varie bande del portale d'accesso alla cella del
santuario, tra fasce di coppie amorose e di rilievi
ondulati, mentre immancabili, ai lati, ci affiancano Ganga e
Yamuna, nell'estremo transito per acqua purificatore.
L' architrave, come è
dato attendersi, reca al centro Vishnu, Brahma e Shiva al
suo lato di destra e ad quello manco, e le nove divinità
celesti hindu, o navaghaha, a fare da intermediarie, in
virtù della potenza dei loro influssi sull'esistenza
terrena( Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, più
il Sole e la Luna, non che i nodi lunari di Rahu e Ketu).
Siamo così giunti sulla soglia della cella, o garbaghiha,
l'utero germinale del cosmo in cui il dio del tempio
risiede. La sua statua centrale vi sta lungo la
verticale dell'Asse del mondo che lo raccorda al punto finale del
riassorbimento sommitale. In essa finalmente siamo di fronte al
Dio del tempio, Lord Vishnu, benchè senza più
la testa e nemmeno le braccia. Restano da ammirare del suo
corpo la posa ferma e l'ornamentazione preziosa . Ma come per un
punto Martino avrebbe perso la cappa, è per
l'assenza in essa di speciali cavigliere, o padangada, che la
statua ed il tempio avrebbero potuto non essere fatte risalire ad
un periodo oramai tardo, oltre il 1075 della nostra era, in cui
divennero diffuse tra le genti di allora di Khajuraho,
e furono riprodotte di riflesso nella statuaria
religiosa, figurando alle caviglie di Vishnu Vaikunta nel
tempio Laksmana, od a quelle del dio stupendo del tempio di
Chatturbuja, o delle figure scultoree assai meno esaltanti del
tempio Duladeo , non fosse, ad evitare una retrocessione nel
tempo, che le padangada le ritroviamo in altre statue del tempio
Javari.
Ma a parziale compenso della
stroncatura delle braccia e della testa del dio, sono rimaste per
lo più inscalfite le immagini circostanti delle sue
principali incarnazioni: sulla nostra sinistra, arretrato rispetto
alla consorte vishnuita Laxmi, la dea prosperifera, apportatrice
di ogni fortuna di questo mondo, Rama regale, di cui troppo
sarebbe da dirsi, per farvi anche solo minimamente cenno, mentre
sovrastante la dea è l'avatar replicatissimo del
cinghiale Varaha, che si appaga di appagare la Terra del
sollievo di ritrovarsi, per la sua possanza, risollevata dalle
acque oceaniche che la sommergevano, colpevole il demone Occhio d'
oro, Hiranyaksha. Sulla nostra destra, invece, arretrato invece
rispetto a un Garuda tutto riccioli e baffi, sta l'
incarnazione di Balarama con i suoi bravi serpenti intorno al
capo, ed all'altezza di Varaha a costui è
contrapposta l' incarnazione di Narashima, il dio-uomo-
leone che sbrana Hyraniakashipu, il Ricoperto d'oro, nemico
impenitente del proprio figlio adoratore di Vishnu, ( né di
giorno, né di notte, né da un uomo né da un
dio, né da un animale, né dentro né fuori il
suo palazzo, avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto
Brahma gli aveva accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo
leonino, né vero uomo né vero animale, sortito
istantaneamente dalle colonne del palazzo, dunque né da
dentro né da fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli
artigli, ineccepibilmente) , mentre soggiace a Garuda l'avatar
ancora di là da venire di Kalki, sul suo
cavallo, alla stregua di un messia o di un imam sciita
duodecimano. Ancor più miniaturizzate, sono pur visibili le
incarnazioni vishnuite nel pesce, o matsya,o nella tartaruga che
regge il monte che fece da zangola nella contesa tra demoni e dei
della celeberrima frullatura mitica dell'oceano di latte.Nel nembo
campeggia un Vishnu Yogashana, in posizione meditativa, mentre
nove differenti manifestazioni del dio appaiono in una più
sciolta posizione lalitsana nella cornice, ognuna di esse
differenziandosi per la diversa combinazione che le mani delle
braccia recano degli attributi del dio, conchiglia, disco,
loto, mazza, e per il diverso equilibrio, che ogni loro diversa
disposizione esprime, degli elementi e delle tendenze naturali
corrispondenti ai quattro attributi.
Tornati a rivedere il cielo,
a meno di una dilungatoia, occorre compiere un piccolo balzo
su un rigagnolo fetido, per seguitare il cammino che
ci farà ritrovare, a poche centinaia di metri di
distanza, già alla cancellata che racchiude il tempio
Vamana, dedicato anch'esso al dio Vishnu, ma nella sua
incarnazione più divertente, Vamana trivikrama.
Credeva il demone Bali,
potentissimo demone ai tempi del Treta Yuga, la seconda età
del mondo, che di risibili pretese fosse quel piccolo
brahamano, nel chiedergli quanto del mondo riuscisse a percorrere
nell'arco di tre suoi passettini: a concessione ottenuta, peccato
che come ognuno dei veri piccoli di questa terra, Vamana si
sia rivelato immenso all'istante, in tre dei suoi passi
percorrendo e sottraendo a Bali l'intero il triloka, tutti
e quanti i tre mondi di terra, cielo ed atmosfera.
In realtà, il tempio
in suo onore era accampato da tempo alla nostra vista, nella mole
del suo sikkara e del gremitio di nicchie della sovrastruttura
della sua sala principale, ma ora il suo avvistamento può
tradursi nella vista della sua maggiore complessità
d'impianto rispetto al Javari,
come anticipa il suo
dilatarsi in un mahamandapa, ossia in una grande sala, ai cui
angoli sporgono di vedetta mini-elefanti, come nei templi
Kandaryia e Vishvanata.
Liscio di ogni appiglio di
repliche è il suo massiccio sikkara, ma sopra la
sala principale si addensa una copertura, di tipo samvarana,
che come in un mega resort di divinità ritiratesi nella
giungla, assembla lungo ogni trasversalità possibile
tettucci campaniformi, o piramidali, di minidimore
divine replicanti l'ingrossamento a cupola della copertura
piramidale, meravigliosamente coronata a campane.
Il crollo pressoché
integrale del portico di accesso al mahamandapa, è un
invito provvido a indugiare all'esterno, ove ci fornirà
ampio diletto il complesso statuario architettonico, assai più
cospicuo e meglio conservato e vario di quello del tempio Javari,
pur se in luogo della abituale terza fascia di angeli musici
volanti, con ghirlande, i gandharva, reca una semplice
galleria fregiata del motivo ornamentale dei diamanti.
Si può iniziare, in
tutta calma, ai lati del portale d'accesso in cui nelle
proiezioni ci fronteggiano Vishnu ed il dio guardiano
Indra, da due fanciulle nubili, senza gioielli e trucco, l'una
delle quali nuoce all'altra nel gioco innocente della palla, con
lo scagliargliela improvvidamente nel bulbo oculare, mentre le due
donzelle sottostanti recano l'una un frutto di mango, la seconda
legge una lettera. Sopra la cornice del balcone incombente
appaiono le prime delle poche scene di accoppiamenti carnali del
tempio, Vishnu a farvi da contraltare a Ganesha.
Che tali scene non siano
erotiche non dovrebbe del resto sorprenderci, poichè non è
in virtù loro, del sottostare, nei loro allestimenti,
di una dama alle voglie di un orso o a quelle di un cane, meno
intrusivo, che i templi di Khajuraho sono effettivamente dei
templi dell'amore, altra è la loro funzione che
quella di eccitarci, a illustrazione di questa posizione o
quell'altra del Kamasutra, a dispetto di ciò che le guide
locali vi ripeteranno per comodità di errore, come
non fu per indurre la cristianità di Modena a tumescenze
impertinenti, che la gran donna della potta la mostrava ben
schiusa dall'alto del duomo della città emiliana,
servivano siffatte immagini spinte a propiziare la fertilità
delle donne e dei coltivi, ed erano tanto più
fertilizzanti o fecondative quanto più erano estremi
e poco giudiziosi gli accoppiamenti che esibivano , sempre che
estremizzando non si volesse che una gran risata seppellisse ogni
eccesso nel farlo o nell'astenersi, di tantrici orgiastici o di
pudichi pruriginosi jain. O altrimenti l'unione sessuale risulta
vividamente avvincente, nella rappresentazione della pienezza
dell' appagamento dell'atto di godere, in forza del fatto
stesso che l'unione fisica era solo il significato primario
delle sue rappresentazioni più splendide e ( più)
in vista nei templi, la lettera che celava il sovrasenso
dell'unione dell'anima con il Sè profondo che è la
Divinità del Mondo, per il tramite, esemplificando, delle
pratiche yoga che grazie allo stesso congiungimento equilibrano i
flussi del nostro respiro, come nel coito i corpi
raffigurati si compenetrano in una composizione che raggiunge
l'equilibrio formale delle linee di forza degli yantra, o
diagrammi cosmici.
Vishnu, superato l'impatto
niente affatto traumatico con tali immagini, ridice la sua
per quanto è proiettato oltre la parete Sud, il cui
orientamento poco fausto ci è ricordato da Yama, dio della
morte, sotto l'ashtavashus di riferimento, cui fa immediatamente
seguito Nirriti, volto a Sud Est, seguitato da due
ulteriori riproposizioni di Vishnu, prima che una serie di edicole
in verticale, tutte al femminile, all'altezza del vestibolo
interno, o antarala, ci esibiscano Laxmi con
l'incarnazione vishnuita di Varaha miniaturizzata, Parvati con
luna crescente, Sarasvati, dea dell'intelligenza, consorte di
Brahma, attestata dallo strumento musicale della vina, Brahma e
ulteriore consorte Brahmani pluricefali.
La proiezione centrale del
santuario ci propone l'incarnazione vishnuita nel cinghiale Varaha
sotto Brahma e Brahmani, mentre ai lati è una profusione di
apsaras l'una più ammaliata, ed ammaliante dell'altra, nel
cercare ogni pretesto per ostentare le proprie nude avvenenze, chi
svestendosi al più presto dei propri indumenti su cui sta
uno scorpione, così ancor più dandola vinta
alla sessualità che lo scorpione stesso simboleggia, come
accade alla la ninfa situata più in alto nel terzultimo dei
pilastri, dove è preceduta da due altre apsaras, a ridosso
della proiezione centrale, che si allacciano voluttuosamente
il corpetto del sari o si tingono le palpebre di kajal
Si è
al punto di svolta verso la parete retrostante, al cui
centro stanno l'incarnazione vishnuita di Narashima ,
al di sopra Shiva e Parvati
intenti nel loro sposalizio, precedute al livello
superiore da ninfe che recano cespi di mango, tra le quali una
apsara sembra afflitta dal dolore cocente che le reca la lettura
di una lettera.
Gli
dei guardiani Varuna e Vayus ci accompagnano e si accomiatano nel
passaggio di direzione da Est a Nord Est, verso la parete
settentrionale dove precedono altre creature celestiali a sesso
aperto, e scoperto, meravigliosamente intente a decorarsi con
l'hennè le palme delle mani o le piante dei piedi , se non
a levarvisi un pruno pungente, o ad usare anch'esse per gli occhi
il kajal, o il collirio, divinamente indifferenti al troneggiare
al centro di Vahmana sotto Vishnu e Laxmi.
Nel pilastro della proiezione
che precede gli dei guardiani Kubera e Isana, affiancati a
delle edicole evacuate delle loro divinità, presumibilmente
femminili, una apsara ha un bambino accostato all'esuberanza del
seno destro, mentre, oltre le nicchie vuote, la più
meravigliosa di tutte le ninfe rimira nello specchio tutta la
bellezza di cui è vaga del proprio orecchino, intanto che
la lady sovrastante si depila l 'inguine senza tante pinze..
Sopra le edicole vuote, si
succedono Shiva con il relativo consorzio familiare,- ossia
con la consorte Parvati e le divinità filiali Ganesha e
Kartikkeya-, Brahma e Brahmani, Vishnu più in alto di
tutti in solitudine eletta. Non resta che attendercelo di nuovo al
centro della cornice superiore del balcone, tra coppie amorose per
niente conturbanti.
L'ingresso al tempio incombe,
che per la rovina del portico d'entrata ci immette direttamente
nel mahamandapa, la sala delle danze e dei riti in comune che
precedevano le offerte, come ci ricorda la sua piattaforma
sopraelevata tra quattro pilastri, che risultano tra i più
massicci di Khajuraho..
Negli altri pilastri di
raccordo con i transetti dei balconi, di accesso al vestibolo
stazionano dvarapalas, o guardiani delle porte del tempio,
che recano steli di loto o gigli, o meno delicatamente una
serpe, in degna compagnia sull'altra faccia del pilastro di una
deità Bhairava dal tremendo aspetto corrucciato, rigonfi
i capelli, gli occhi protuberanti, la bocca spalancata.
Nelle fasce del portale
d'accesso alla sala del Dio, di rilevante vi è la
successione delle posizioni erotiche delle coppie amorose
o mithuna, nella fascia centrale dello stipite alla nostra
sinistra, che procedono dai preliminari al compimento , per poi
concludersi nel disciogliersi dall'atto dei partners. Gaya Laxmi
profusa d'acque da due proboscidi elefantine e la divina
Sarasvati, finalmente con un libro in mano insieme con la
vina, stanno invece nelle nicchie intermedie ai lati del dio
Vishnu che campeggia nell'architrave.
Nella cella del santuario il
panciutello Vamana con salva la testa ma infrante le braccia, è
affiancato dalle manifestazioni umane, o purusha, dei
poteri di due dei propri attributi, la conchiglia nel
Samkhapurusha alla sua destra, seguitato da Laxmi, il disco nel
Chakrapurusha, oltre il quale un barbuto Garuda reca un ostico
serpente. Intorno stanno le sue incarnazioni, come nella statua
del Dio del tempio Javari , e nella stessa disposizione, con le
felici aggiunte di Buddha seduto ai piedi di Laxmi, nella
posizione di toccare terra a propria ed altrui protezione con la
mano destra, di Parasurama con tanto di ascia, come prescrive il
nome, a fianco di un Balarama serpentinato che reca una coppa di
vino.
..................................
Tralasciati gli antichi
templi Chandella, per disaffaticare la mente ci si può
addentrare nel recinto calcinato, che all'ombra di un bargad
dal fusto ritorto, tra edicole sparse, sfusi
yoni e lingam e devoti Nandi in adorazione di Shiva, ospita un
tempietto di Durga ed uno di Hanuman, come anticipano le bandiere
rosse e gialle all'ingresso, e sulla soglia del tempio di lato
della Devi, due leoni in pietra colorata, che minacciosi ringhiano
ai bordi del cancello d'entrata.
La cenere sparsa sotto il
trisul, o tridente di Shiva, la quiete in cui tutto riposa
all'interno del complesso, compresi il custode e
l'officiante immersi nel sonno, mentre solo qualche refolo
di vento può sommuovere le bandiere rosse e gialle, è
la serenità del Dio tremendo che soggiace
immanifesto, nel tormento mentale che qui cerchi sollievo.
........
Il percorso seguente si
addentra in un breve succedersi di casolari, e rustici e stalle,
ch'è di conforto alla rianimazione spirituale del tempio
Vamana cui gravitano intorno,quasi che senza il loro soccorso e
degli alberi che gli frondeggiano appresso, egli già fosse
poco più che un caro estinto monumentale, fino a che dal
fondo sterrato emerge il profilarsi dell'asfalto che ci reca
sollievo. Le sue anse lasciano sulla destra una spianata dai caldi
colori, tutto un intrecciarsi di piste tra le radure che ospitano
nei giorni di festa giocatori di cricket, con occasionali wicket,
per inoltrarsi tra i coltivi e l'addensarsi delle grandiose piante
che li recingono, una moltitudine che si infittisce in
lontananza, contro lo stagliarsi all'orizzonte delle alture
montuose, che appaiono più ancora quali dei maestosi
rilievi nelle loro alture dimesse.
Ma a
rammemorarci ad ogni istante che non siamo felicemente regrediti o
di ritorno ad alcuna età dell'oro, sia essa d' impronta
greco- latina o il Krita Yuga favoloso della dottrina hindu dei
cicli cosmici, in cui facile sia il sostentamento, e ignoti gli
odi e gli inganni, come può illuderci l'incanto dei
prati tra gli alberi di mahua o di neem, o il
sopraggiungere nel loro clangore di lenti armenti di pecore
o di possenti bufali, di un carro agricolo trainato da buoi nella
sua intelaiatura di legno, stanno le recinzioni ininterrotte di
filo spinato che ai bordi della strada marcano invalicabilmente
le proprietà terriere, precludendoci, come agli
animali voraci e ai ladri endemici locali, ogni libero accesso
alla fragranza di spighe e di steli
Sulle ritorsioni dei fili,
d'inverno, solo le campanule ingraziano il tragitto.così
delimitatoci.
Siamo anche qui, al più,
in un'era bucolica segnata dalla storia, e ben di ferro, per
quanto ciclico ne sia il decorso annuale, e più che il
canto degli uccelli tra i rami, è più facile udire
il pigolio dei bimbi che come per strada vi avvistano
quali stranieri, vi si accostano senza remore e riguardi e vi
chiedono all'istante " money, pen, chocolate", senza
tanti "hello sir", o " how are you", che ben
saprebbero come dire, ma non si confanno al sentire che hanno di
voi.
Provate allora a
ribattere che l'elemosina va chiesta rivolgendosi a chiunque
sia di passaggio, sia egli indiano o forestiero, accennate
all'uomo che segnato dal lavoro dei campi ride alla scena sotto
immancabili baffi, " ma quello è
mio padre", vi dirà schernendosi il bambinello
ridanciano.
E tanto silenzio, che grava
intorno, rotto solo da trattori e vagoni agricoli, da trebbiatrici
o mietitrebbia che ostruiscono il passaggio, o che nei
villaggi e nella loro ruralità arcana ne rende metafisici i
casolari, è dato dall'esodo dei campi e dallo spopolamento,
per opera dei dalit, soprattutto, che in cerca di fortuna vanno in
città che qui dicono Delhi, che proprio con il
concorso delle loro tribolazioni sollevano ora il capo tra
le altre dell'India, quanto qui sogliono le mahua tra le piante di
neem.
Ai dalit non sono
bastate le compensazioni del discrimine di out cast con terreni
forzosamente sottratti,
l'accesso alle macchine
agricole è di pochi, essendo per lo più di costoso
noleggio, e insieme con le leggi di mercato, e gli oligopoli
multinazionali, che impongono l'esosità di sementi e
concimi, qui c'è chi fa la da padrone senza sorta di
repliche, su affittuari e vigilanti, sui lavoranti nei campi, con
richieste di canoni, e remunerazioni minimali, che non
lasciano margini di sorta oltre la sola sussistenza.
E poi l'acqua decide di
tutto, che sia disponibile solo quella piovana, che sia
attingibile nei pozzi o pervenga canalizzata, che arrivi a
tempo o fuori stagione, con grandinate esiziali.
Ma l'occhio , così
disincantato, può rimirare meglio lo splendore dei campi,
della loro fertilità assicurata dalla ferrugine della terra
, che non ha nulla del grigiore cinereo delle polveri di campi
aridi o di cremazione, rossa come il sangue del mestruo
delle divinità femminili qui ovunque onorate, specialmente
per Dusshera, al termine dei nove giorni della festività
della Devi, o per Shivaratri, quando nel tempio Matangesvara si
celebra lo sposalizio di Shiva e di Parvati , o nel giorno
primaverile o già estivo della nascita del dio Rama,
omaggiandole di vasi di germogli di miglio, nelle loro
manifestazioni di yogini o di sacre
spose del Dio, di cui sono la stessa energia operativa.
Ed oltre i fili spinati, se
non è avvenuto appena il raccolto, nei campi
l'osservatore può assistere al crescere di
grano e di senape, di ceci e piselli d'inverno, di lenticchie e di
sesamo nella stagione monsonica, può incantarsi al
fervere del loro verde rigoglio, ingiallito dai fiori, o al
compiersi della maturazione nel fulgore delle spighe, in
un'aurea alonatura che s'inargenta nei pleniluni estivi.
E se così è
giunto il tempo della mietitura, vedrà i campi di grano
farsi distese di mannelli per opera della falce, formarsi covoni
tra gli steli recisi che inaridiscono a stoppie, sollevarsi la
pulverulenza della trebbiatura che separa la granella da paglia e
pula. Non immagini alcuna dispersione del tutto nel vento,
diventeranno aurei cumuli sospesi nelle aie e nei campi,
destinati a ingrediente del sostentamento dei bufali, che se ne
nutrirano lenti e placidi, al riparo dal gran sole, sotto i
tettucci di canne in cui è a loro ammannito come gusha.
E per chi voglia farsi
partecipe, basta familiarizzare con un sorriso, per potersi
attivare al ventilabro
di un 'elica, nella
separazione del seme di cece o di pisello dalla pula e dallostelo,
o nell'infornata nella trebbiatrice dei mannelli di spighe
di grano.
Senza che qui sia dato come
altrove, nel Madhya Pradesh, per le lenticchie nere, di vederne il
raccolto disteso per strada, perché la prima trebbiatura la
facciano le ruote dei veicoli di passaggio.
Ma ecco che mentre si è
così intenti a pensare, un serraglio di casipole rurali che
si alzano a capanna sotto i coppi, costituite di rossi filari di
mattoni imbiancati sulle soglie, tra cui spicca una parete
tinteggiata di un celeste luminescente, ci riconduce ben
presto alle nostri peregrinazioni archeologiche,
preannunciandoci oltre la curva, sull'altro lato della
strada,oltre piante meravigliose di choeula, l'apparire, sullo
sfondo dei monti, delle poche e fascinose rovine del tempio Cakra
Matha,
rinserrato
da una provvida cancellata.
Per
chi vi sia giunto in direzione opposta, dai villaggi del
circondario, è il sepolcro di Bianore che preannuncia la
città imminente dell'antica Kharjuravahaka, ed è ora
possibile rallentare il passo, deporre il capretto diradando
le frasche.
Del tempio vishnuita
sopravvive solo il mandapa con i suoi pilastri malridotti e le
trabeazioni sovrastanti, le cui mensole sono rette da
gana-atlanti. Ondulazioni vaghe, kirtimukka, angoli inversi
scanalati, fregi di triangoli, le decorazione usuali che si
intravedono.
Oltre una cava dismessa, in
cui ristà una pozza dove i bufali amano rinfrescarsi, che
precede altre più ridotte e recenti che danno luogo a
fabbriche locali di mattoni d'argilla, inizia il tratto più
lungo del percorso che ci reca a Beni Gangi, quale meta
imminente, costeggiato da idilliaci casolari ameni, i cui filari
infuocati di pietre sono terra della stessa terra fulgida intorno.
Essi appaiono talmente ribassati nel distendersi a schiera in una
successione di soglie, da essere soverchiati dai tettucci
reclini di tegole e coppi , quando sia pure di poco non si
rialzano a capanna.
Accanto alle dimore si
staccano i porticati raccorciati del fienilucolo e della
stalletta, mentre gli accessi, tramite bancali ornati di motivi a
croce, si dilatano o digradano nell'aia di raccolta degli arnesi e
attrezzi e di bufali e capre, intenti a pascere
all'ombra delle piante che la contornano.
D'inverno, al calare delle
ombre dei monti, vi si vedono i fumi dei fuochi aleggiarvi sospesi
nell'aria che imbruna. Via via che Beni Gangi si fa più
vicino, tra fichi d'india e palme, compaiono coltivi di menta, di
canna da zucchero, ed agli alberi di mahua e di nem si aggiungono
l' himli, manghi, frondosi pipal.
Intanto la strada s'inflette
e risale lungo l'alveo del Kudhar, il cui lento decorso ristagna
in uno specchio che pare immoto, si impigrisce sinuoso tra i massi
del fondo senza che ne trapelino increspature.
Risalito il dosso, è
già prossimo Beni Gangi, che si apre alla vista come
un'apparizione, nelle sue vivide case multicolori, accese di
bianco e d'azzurro, disposte su più livelli e volte
in più versi, tra il digradarvi dei rilievi nel cui varco
s'incunea l'abitato.
Meraviglioso è
il contrasto tra i rossi filari dei fianchi delle case , talmente
lineari da non consentirsi che qualche profilatura od una
balza sporgente, ed il bianco od il celeste luminosi di
cui sono tinte le facciate, a ridosso delle quali
s'infoltano e diramano violacee bougaivilles, un contrasto
che si fa ancora più intenso mentre si risale la via
d'accesso al centro dell'abitato. Su di essa si affacciano i
portici delle case a pilastri binati, e i muri si alzano arcani
sempre più a vista , finché il suo percorso,
addentrandoci ove la breccia si sospinge fino all'altro
pendio dei rilievi, non ci reca allo slargo terminale, ombreggiato
da consueto neem, in cui convergono incantevolmente ben cinque tra
vie e viottole del nostro villaggio
A conclusione della via sta
l'unica casa, finora intravedibile in Beni Gangi, morbidamente
plasmata sotto le sue bianche calcinature, mentre se
ci si volge a destra , ci si prospetta una via curva in cui i
portici delle case si inarcano a loro volta, lasciandosi
sovrastare dalle sporgenze suggestive di davanzali e
terrazzi, secondo modulazioni che non potrebbero essere più
difformi alle rientranze d'obbligo di atri e balconi
in Chandigarh, secondo Le Corbusier, così
come Le Corbusier in Chandigarh non avrebbe potuto di meno
essere indiano
Sulla sinistra, due
stradicciole confluiscono verso il villaggio adiacente di Bamnora,
ch'è preceduto dal traversamento di un ponte sul lutulento
Kudhar, sulla destra la incantevole via principale , cui
pervengono le confluenze di vari percorsi, e suggestivi slarghi,
tra case dai portici bassi ribassati anch'essi ad arco, si
diparte verso i campi che digradano a valle, ed ha il suo seguito,
oltre i campi da gioco e di feste del villaggio, i suoi mela
ground, in una strada sterrata che separa i coltivi successivi dai
rilievi incipienti, e dai loro boschivi, situati nell'opposta
direzione. Lungo il corso della via principale è
ancora possibile vedere i ruderi o i ripostigli cui sono ora
ridotte le più antiche dimore di terra cruda di Beni
Gangi, le loro murature furono costruite in pisè, con il
getto di argilla, ghiaia, paglia e letame quale legante dentro
delle casseforme , come è ravvisabile dai filari di
blocchi che si profilano lungo le loro pareti, quale tratto
residuo del disarmo delle casseforme. L'affianca, più
in alto, la via cui dobbiamo risalire per una traversa, se
vogliamo pervenire per il suo tramite al tempio di Durga.
Sorge, come quello presso il
Ninora talab, all'ombra di un bargad, entro un recinto, che la
accomuna a un tempietto al dio Hanuman e ad un altro shivaita,
anticipato da un cippo in cui il toro Nandi ne onora
il linga .
Ma è in posizione più
rialzata, al termine di una breve scalinata, ed a fianco di un
pendio da cui i rilievi iniziano a sopraelevarsi sul varco
tra i monti.
Il biancore calcinato
dei rifacimenti dei muri ne attutisce l'antichità
originaria nel nucleo interno, ch'è remoto quale quello dei
templi di Choukha, o di Achatt, nel distretto di Chattarpur,
quanto lo sono le sue proporzioni eleganti e la sua semplicità
formale, costituita della sola cella senza altra copertura che una
cupoletta su di un tetto piatto, mentre ne disvela l'origine
antica l'ornamentazione interna della saletta della dea,che
è quasi un compendio primario ed elementare dei motivi che
ricorreranno con più profusione elegante a Khajuraho, il
soffitto a fiore di loto, fregi di petali di loto, di
triangoli , di angoli inversi listati, o " renverse
hald diamonds", seconda la dicitura inglese di tale motivo.
E la dea, sotto i bendaggi,
non è un idolo fantoccio, ma una Mahishasuramardini
in forme femminili naturali(stiche), intenta ad accoppare a più
non posso il demone Mahisha, ovviamente emblema del male, tra
altre donne sue attendenti e primordiali leogrifi rampanti .
Una coppia di giovani sposi,
mentre visito il tempio, ne effettua la pradakshina. Lui ha
indosso il turbante ed i vestiti sfarzosi della cerimonia
nuziale, lei, tra delle sue compagne, è condotta per
mano con il volto nascosto dal sari.
E' per avere figli, tale
rituale, chiedo ai ragazzi che mi accompagnano, aiutandomi, per
farmi capire, con il gesto che dilata il mio ventre in quello
di una donna gravida. Confermano sorridendo. Lo sguardo,
dall'altura lieve in cui mi ritrovo, oltre un tempietto alla dea
Shanti e il breve muro di cinta della deambulazione intorno
al tempio di Durga, si volge, per riposarsi, alla valle
sottostante in cui si è svolto il nostro percorso.
La distesa dei profili gialli
dei campi, irti di steli, si perde nel folto degli alberi, che
s'infittiscono fino alle alture di Rajnagar, sino all'orizzonte in
cui cala il sole.
Tra di essi, invisibili,
le case ed i covili in cui gli uomini e gli armenti sono di
ritorno, o già al riposo, i limitari delle soglie accese,
da cui le donne intente alla cena od al riordino della quiete
domestica, usciranno a salutarci sulla via del rientro.
9 maggio 2013
Chandpur, La piccola
Khajuraho
Lungo la grande via alberata
che da Lalitpur reca a Deogarh, quando non mancano che otto
chilometri al villaggio del gran tempio gupta delle Dieci
Incarnazioni di Vishnu, o se si è di ritorno a tale
indicazione stradale perché non si è resistito a
rivederlo, ancora una volta volta, nello splendore dei
suoi grandi rilievi, proprio dove inizia l’area forestale
una strada si profila a sinistra , venendo da Lalitpur, che va
percorsa nel suo addentrarsi nella boscaglia della giungla, sino a
che curva verso un passaggio a livello. Inutile sperare di
trovarlo aperto, è all’altezza di una delle vie
ferroviarie di maggiore scorrimento dell India. Ma dopo che le
sbarre siano state rialzate, in capo ad almeno una decina di
minuti, sostando in attesa con gli autorickshaw ed i carri
stracolmi di ragazzi e uomini del posto, basterà continuare
il percorso per qualche centinaio di metri, fino a che non compare
a sinistra una strada sterrata, che ci porterà in capo a
poco più di qualche chilometro alla nostra stupefacente
meta a sorpresa, sparpagliata oltre i binari della stessa
rete ferroviaria, mentre resta al di qua della loro massicciata la
manciata sparsa di casolari, che è il tutto della Chandpur
dei nostri giorni.
Avvistato a sorpresa da
chissà quanti milioni e milioni di viaggiatori sui treni di
corsa, tra Delhi e Mumbai, Varanasi o Ahmedabad, magari
stupiti e incuriositi della meravigliosa apparizione,
all'improvviso, di quale mai sito archeologico a loro del
tutto sconosciuto, fatta salva chissà quale eccezione, se è
ignorato o negletto dalle stesse indicazioni ed
illustrazioni turistiche delle località monumentali di
questa area remota del Bundelkand, e non è visitato di
conseguenza pressoché da nessuno, in realtà che
vi si profila di magnifico nella giungla boschiva, al di
la dei binari, è il complesso templare dell’antica
Chandpur dei signori di Khajuraho, i Chandella, edificato a
centinaia e centinaia di chilometri di distanza dalla capitale del
regno, come più a Sud, a qualche decina di chilometri da
Chandpur, le ancor più grandiose rovine in altura di
Dudhai.
Una volta superate le
scarpate de binari della barriera ferroviaria, facendo la massima
attenzione ai treni in arrivo a tutta velocità, tra gli
ultimi coltivi prima della boscaglia è rapidamente
accessibile il primo complesso del sito, ingraziato dalla
deliziosa levità di ciò che a prima vista
sembrerebbe la sala di un mahamandapa, ed invece,
sopraelevato di poco su di una piattaforma, è la sala
del portico d’accesso a tutta ampiezza di un tempio
franato nelle parti restanti, senza sovrastrutture sopra un tetto
piatto.
Ne costituiscono l’incanto
l’ariosità della loggia , forse un tempo conclusa
dalla svasatura del tipico schienale di pietra dei balconi dei
templi Chandella, come lasciano supporre dei fori di incastro,-
del resto è lignea la natura originaria di tali
davanzali,- non che il ripetersi dei motivi ornamentali dei
pilastri interni al vano d’accesso, e di quelli corti lungo
la parete esterna,
nella profusione di mensole
in cui si profilano atlanti, e nella trama luministica del
contrappunto a scacchiera che ne è l’ornato
interno ed esterno delle trabeazioni, tra fasce sottostanti
e sovrastanti di dischi e rombi, che semplificano rosette e
diamanti, replicati più macroscopicamente, oltre un fregio
di triangoli.
Ai fianchi ricorre una serie
di volute stampigliate tra pilastrini conclusi con vasi
fogliari, sopra una fascia di rombi diamantini.
Niente di nuovo sotto il sole
dell’arte dei Chandella, eppure con quanta rinnovata
eleganza di grazia.
Ma l’attrazione
centrale del primo gruppo di templi, non deve oscurare la umile
bellezza del tempietto che sorge ai margini,
che
lascia incantati o deliziati e commossi, per come in povertà
di mezzi ed elementarità di stile, si è voluto
ripetervi su scala ridotta,e tangibile con mano,
l’iconologia essenziale dei grandi templi di
Khajuraho.
Sta di fatto che volgendo
intorno al prasad della sua cella, sovrastata da ciò che
resta del sikkara in cui culminava, preceduta da un portico a
pilastri, a copertura piatta, in cui ricorre il motivo
canonico del rilievo a t che termina in un vaso dell’abbondanza
da cui tracimano foglie,
si possono toccare con mano,
accarezzandoli senza paura, nel senso orario di percorrenza
della pradakshina, i rilievi di Gaya Laxmi irrorata da due
elefanti,
poi del primo degli dei
guardiani nelle otto direzioni principali, Khubera, quindi la
proiezione centrale di un presumibile Surya, con attributi e
poteri propri tanto di Brahma che di Vishnu e Shiva, dato che è
rigido e impettito tra due fiori di loto nelle mani che si
ergono all’altezza del volto,
poi
Agni ed Indra quali successivi Lord protettori dell’Est e
Sud Est del tempio , Ganesha danzante rubicondo al centro della
parete Sud,
quindi Yama, Dio della morte,
come gli spetta data la posizione angolare,
Nirriti sull’altra
faccia del pilastrino,
Varaha nella proiezione
centrale della parete Ovest,
seguito da Saravasvati con
tanto di vina,
in perfetta corrispondenza
sulla parte opposta con la dea Laxmi.
Sovrastano gli dei una fascia
di oculi solari, i gavaksha, o chaitya, e due modanature in
guisa di kapota con un fregio intermedio di cerchi e rombi, alias
diamanti e rosette.
E’ una tale rarità
un simile tempietto nei domini Chandella, che abbia la
intraprendenza di osare di ripetere, con scolarità di
mezzi, ciò che dicono con assai più complessità
di intenti le sculture templari della capitale, in un
insieme di edifici di culto non meno numerosi di quelli che in
essa sopravvivono ancora, che al cuore detta di getto( l’assunto)
l'assunzione di Chandpur (come) a una piccola Khajuraho.
Basta, a esaltare l'assunto,
inoltrarsi di poco nella radura per raggiungere un altro
gruppo di templi, tre i superstiti,
tra altri di cui sopravvivono
solo i resti delle fondamenta.
E’ shivaita quello
principale, come non è difficile intendere,
visto il bravo e buon torello
Nandi che lo precede sotto una edicola, tra yoni e linga in
profusione. Di un certo interesse le yoni che recano cinque
sfere, in luogo dei quattro volti laterali e di quello superiore
del dio, come Isana, immanifesto e simbolizzato dallo stesso
lingam, che caratterizzano i lingam a quattro volti o chaturmukka.
Secondo la pianta unanime dei
templi superstiti di Chandpur, anche questo tempio è
costituito da portico d’accesso con copertura piatta e
santuario del Dio, sovrastato un tempo da un sikkara
caduto in rovina, esso reca ancora i resti di un
davanzale svasato, che possono ritrovarsi nello loro interezza,
nel tempio Ranchhoreji di Dhaujari,
distante una decina di
chilometri,
per altri snervanti o
riposanti passaggi ferroviari,oltre Dawra e la giungla collinare,
in un luogo di pellegrinaggio in prossimità delle rive del
fiume Betwa.
E' del tutto
consigliabile inoltrare con piacere il nostro itinerario fino al
suo sito, magari per dilungarlo sino alle grotte del Santo
Muchkund ,
ed esserne di ritorno in un
percorso circolare lungo un’agevole pista nel folto della
giungla, di piante di tek, dove, pur se le ha lasciate da tempo
Lord Khrishna, è possibile ritrovare in loro povertà
lieta alcuni sadhu, tra miriadi di scimmie che ne condividono la
scelta di vita
.
Qui invece nel nostro tempio
in Chandpur, portico e balaustra ripetono i motivi a noi ben
conosciuti del rilievo a T maiuscola, tra coppe con volute di
foglie, le trabeazioni presentano palmette, fregi
triangolari, rombi e dardi,
mentre sono delle variazione
interessanti Shiva danzante al centro dell’architrave del
portale d’accesso al garbagriha,
il deambulatorio che corre al
suo interno.
La successiva puntata ci
conduce, poco distante, a un tempio rimasto in tutta solitudine.
E’ shivaita, sviluppato
secondo la solita pianta, ma in tutta lunghezza più che in
larghezza, ein tutta piattitudine della sovrastruttura del mandap
(o sala) del portico , e nell’architrave d’accesso al
garbagriha, tra la Trimurti esibisce le nove divinità
planetarie
.
Il registro di viaggio che
tenni quel giorno, annota pilastri con statue di guardiani,
volute stampigliate nelle
mensole che sormontano i capitelli
, motivi decorativi di
chaityia e di rombi diamantini ai lati
,
prima di rilevare i dati più
significativi, un richiamo, ch’è una citazione, dello
stile gupta fiorito ai massimi livelli nella regione circostante,
attestato dalla decorazione di colonne e pilastri, per come le
coppe dell’abbondanza e il fogliame che ne tracima vi hanno
un risalto naturale, e non vi sono piattamente stilizzati in
profili geometrici..
E quindi vi si pongono in
risalto e musici, e danzatori nella trabeazione interna del
portico d’accesso , nonché, per chi se ne compiaccia,
scene di accoppiamenti più o meno amorosi sul suo
lato destro, il che, se finisce per venire finanche a noia in
Khajuraho, è così infrequente nei templi Chandella
fuori del suo ambito, da giustificare, una volta di più,
che sia avvenuto un ammaliante ritrovamento di Khajuraho in
Chandpur.
Ed è tutta altro che
finita.
Si seguiti tra la boscaglia,
ed ad una distanza di centinaia di metri apparirà il
gruppo di rovine più vasto, di non meno di una decina
di templi, stando alle piattaforme e ai basamenti di cui restano
le immense rovine,
mentre ancora si sopraelevano
il tempio più grande che ancora sopravvive dell’antica
Chandpur, il Laxmi Narayan, e anch'esso su piattaforma, quello
accanto di cui rimangono solo il portico e il portale.
E non fosse che sono solo
ammassi di resti franati, altri gruppi ancora di rovine templari
resterebbero da visitare, stando a quel che diranno gli
immancabili accompagnatori locali del visitatore
alieno che qui mai capiti un giorno.
Il tempio Laxmi Narayan,
con le immagini di Varaha,
Vamana, Narashima nelle proiezioni centrali delle pareti del
prasad, il corpo murario della cella del tempio,
pur nella
sua brevità dimensione non
monumentale è sviluppato in altezza ed in lunghezza,
secondo la coesione verticalizzata “sattvica”che
richiede l’ideazione statuaria dei templi Chandela,
pena una dispersione centrifuga della loro concezione
iconografica, se prevale l’ampiezza, tanto più se non
vi successione lineare di componenti, portici e sale e
celle, secondo un’unica entrata, ma si danno accessi
laterali, pluralità di garbagriha.
Esso consiste come al solito,
in Chandpur, come i vicini templi Pratihara nel distretto di
Tikanghar, di portico d’ingresso con copertura piatta e
garbagriha, su piattaforma rilevante e con sikkara, e conserva una
vistosa antefissa, da cui due volti divini fissano l’osservante.
Nel portale d’accesso
al sanctum,
Ganga e Yamuna appaiono sotto
un torana, come nel tempietto accanto due attendenti con chaura
scacciamosche, il che fa di Chandpur un trait-d’union tra la
ricorrenza del motivo nel Tempio Javari di Khajuraho, e nei templi
non remoti di Udaypur, o nel circondario di Gwalior.
Non più che un
reportage degli appunti presi, il rilievo del motivo delle coppe
con esubero di foglie nei pilastri, delle nove divinità
planetarie tra la Trimurti del portale d’accesso al
santuario, l’annotazione per quanto attiene a ciò che
resta del tempio accanto,
del richiamo allo stile gupta
che evidenzia il fogliame in vivido rilievo dei pilastri interni
del portico d’accesso.
Resta ancora uno sforzo, che
è richiesto dalla ripidità della scarpata
ferroviaria da affrontare, per pervenire alla ragione ulteriore
che fa di Chandpur la nostra piccola Khajuraho, a tutti gli
effetti ed affetti.
Occorre infatti ritrovarsi di
là dalla linea ferroviaria, rispetto all'area archeologica
che si è concluso di visitare, ossia nell’al di qua
della Chandpur di oggi e di questo mondo da cui siamo
pervenuti, nell’imminenza, che fatalmente incombe, di un
altro treno merci o passeggeri in arrivo, per una tranciante
mancanza di riguardo tutta indo-britannica nei confronti
delle vestigia che si dovrebbero tutelare, che ha il suo più
illustre esempio di scempio nella linea ferroviaria che
divide in Agra il Forte Rosso dalla Jama Masjd , se
trafelati si vuole pervenire ai resti di due templi
Jain, che in Chandpur, come in Khajuraho, attestano la
promozione del loro culto assicurata dai sovrani Chandella.
Nel primo,
sottostanno ugualmente
a dei torana, le figure di profeti Tirthinkhara, o attendenti
Jain, che ricorrono in luogo delle dee del fiume Ganga e del
confluente Yamuna, così come dei Tirtinkara
sostituiscono la trimurti hindu nell’architrave, che pur non
manca di onorare le nove divinità planetarie.
Come è
consuetudine nei templi Jain, ristretta e bassa è la
soglia ch'è la porta e la via del cielo della liberazione,
ma su di essa, a rendere già sensibile conforto alla
vista, è scolpita una dea con un piccolo in
braccio,
sotto
cespi di mango, e reca uno di tali frutti deliziosi in una mano.
Le mie note non mancano di
annotare gli omaggi all’arte gupta nel portico d'accesso,
anch'esso piatto, i reticoli di scacchi sulle pareti ai lati.
Conclusa la visita, detta la
mia, non resta che l’abbondanza delle scelta tra le
restanti opzioni possibili , se il sole è ancora alto nel
cielo dell India: il rientro in Lalitpur, o nei conforts di una
diversa città di partenza, Jhansi, Orcha, tanto più
se si è d’estate e già stremati dal
caldo torrido, oppure Deogarh, di nuovo, per visitare i suoi
templi Jain, e le incisioni rupestri lungo i bordi rocciosi tra
cui decorre il fiume Betwa, o , sempre in tema, il tempio
Chandella Ranchhoreji di Dhaujari e le grotte Mukund, di cui
si già detto. E per l ‘indomani, se non ci si
ancora recati, Pali e le meraviglie di Dudhai. Un' emula rivale
possibile, nel fregiarsi della nomea di essere una seconda
Khajuraho .
28
maggio 2013
L'avventura di un viaggio
così suggestivo non potrebbe avere esordio più
prosaico e confortevole, fin dall'inizio non richiede percorsi
proibitivi , anzi, ci offre tutto l'agio di intraprendere da
Lalitpur la high road per Sagar, e di uscirne sulla destra
in direzione di Pali, per ritrovarci, al di là del
villaggio, dove i coltivi e gli addensamenti delle piante tra i
campi- mahua, neem, choeula-, cedono alla boscaglia che
precede i bordi dell'altopiano incipiente, finchè si
finisce ai piedi di una scalinata che risale il pendio.
Cento scalini, ancora, è
si è alla radura in cui appare il muro di cinta del
tempio di Shiva Neelkanteshwara.
Il biancore calcinato della
muraglia e del santuario lasciano presagire che il luogo di
culto sia antico quanto ripetutamente rifatto nel suo nucleo
persistente originario. Il tempio che ci appare, entro la
recinzione, dopo che anche le calze si sono dovute togliere
all'entrata, consiste della sola cella, con un vestibolo d'accesso
assicurato da una rientranza, e sopra un cornicione il suo tetto è
assolutamente piatto: è una delle forme originarie dei
templi Gupta, la cui sopravvivenza è tenace, nel cuore
dell'India, nei luoghi di culto appartati e solitari.
Sulle pareti di fondo e
laterali, una nicchia campeggia vuota tra pilastri con un
rilievo a T tra coppe fogliacee, sormontando un un fregio di
kirtimukka, i leoni che spalancano la voragine della vita e della
morte, in cui ha termine il profilo elegante del basamento.
Superato il portale
d'accesso, che di rilevante ha l'incorniciatura sotto di un
torana delle divinità fluviali Ganga e Yamuna, ci attende
la preziosissima reliquia del tempio. E' il bassorilievo Gupta che
mostra Shiva in tre dei quattro volti che assume abitualmente nei
lingam,
al centro nel sembiante
meditante della sua potenza di Tatpurusha, o “ Spirito
supremo”, ai lati nei suoi opposti estremi che
così ci affrontano, sulla destra in quello dolcemente
femmineo di Vamadeva, poichè Shiva vi è tutt'uno
con la soavità femminile della consorte Parvati, alla
nostra sinistra nel suo volto stravolto di Shiva
Neelkanteshwara, ossia di Signore dalla gola azzurra. Come appare
nel rilievo, la gola gli fu atrocizzata per avere ingerito
l'amaro veleno residuo della frullamento mitico dell'Oceano di
latte, ossia la rimanenza negativa dell'ambrosia, od amrita,
che ne fu estratta da demoni e dei, ingurgitando la quale Shiva
evitò che il mondo ne fosse distrutto.
A nulla sarebbe altrimenti
valso che dei e demoni, o asura, usando come zangola
il monte Mandara, e il serpente Vasuki come fune per frullare, non
che lo stesso Vishnu, nella sua incarnazione in una provvida
tartaruga, come perno della montagna messa in
rotazione, proprio grazie a Vishnu avessero così reinfuso
nei tre mondi l'energia che in essi e nel dio Indra era
andata perduta, a seguito di una maledizione di Durvashas,
illustre rishi shivaita, per un'offesa
arrecatagli che non poteva restare senza conseguenze..
Quanto
a vicende di natura che si presume storica, potrà accadervi
che qualcuno degli attendenti del tempio vi narri di come il re
moghul Aurangzeb, odioso più dei suoi innegabili meriti,
che detestava ed aveva in gran dispetto ogni forma di religione
che non fosse la propria di devotissimo muslim sunnita,
vedasi quanto capitò per suo volere agli stessi
sciiti di Hyderabad, le cui moschee furono ridotte a delle stalle,
qui giunto per sfregiare ciò che non avesse tempo di
abbattere, e fare integralmente a pezzi, dei templi e delle
immagini religiose hindu del circondario, avesse sparato un colpo
di pistola al volto sacro di Shiva Neelkanteshwara: e come ne
fosse sgorgato del latte dell'oceano primordiale. In concomitanza
franava rovinosamente il tempio della dea Kaligath in Kolkata.
Aurangzeb, turbato,
nonostante tutta la sua coriacità fanatica, avrebbe allora
rivolto una sommessa preghiera al dio, allontanandosi senza più
infierire.
Quanto il tempio sia dunque
ancora vivente, ve lo attesteranno i devoti che assiduamente
salgono al tempio per ottenere ogni sorte di fortuna, insieme con
i custodi e gli addetti intenti ai riti ed alla manutenzione, ai
loro lavori artigianali che assicurano attrezzi e sostentamento,
come ricavare a colpi d'accetta il profilo di una zappa da un
pezzo di legno, o scerpere i rami che intrecceranno il capanno di
una puja. Tali fedeli li potrete vedere tra le loro offerte
composte in forme di yantra, sotto addobbi che li porranno
più in intimità con il favore del dio.
Discesi e di ritorno nel
villaggio di Pali, tra i coltivi circostanti di betel, lo si
lascia per un arteria che corre più a sud, costeggiando i
bordi dell'altopiano che insistono sulla destra, fin
che non li raggiunge e li risale svoltando per alcuni tornanti. Ci
attende una distesa più arida del fondovalle, tra dimore e
recinti di pietrisco. E quando già si preanuncia
Dudhai, d'improvviso tra la sterpaglia compaiono le prime
testimonianze del suo illustre passato, una trafila di tempietti,
che prefigurarono, come in Mamallapuram, o replicarono su scala
più ridotta, quelli di grande mole dislocati in un'area
diametralmente opposta.
I tempietti, cubicolari, con
una lastra per tetto piatto, hanno la sola apertura del
portale d'accesso,
ove
fasce puramente ornamentali - a scacchiera, a fiori di
loto pienamente schiusi intorno al loro pericarpo, o a fiori
diamantacei e rosette,
-
si
alternano a delle fasce in cui la decorazione a chaitya, è
il coronamento di statue,
, e consistono del basamento
e del muro del jangha
Altri
recano nella loro nudità parietale il solo intaglio in
una rientranza delle statue delle deità celebrate- Ganesha
danzante,
Kartikkeya con il veicolo del
pavone, GayaLaxmi irrorata da elefanti celesti dell'acqua
celestiale del Ganga.
Il
villaggio di Dudhai cui la strada perveniene serpetinando
nell'arido incolto, è così scabro e minimale nella
sua dispersione di case, che nemmeno riesce ad avvivare,
nostalgicamente, l'immagine rovinosa e romantica del contrasto tra
la sua realtà presente e il suo grandioso passato, quando
Abu Rihan Alberuni nell'XI secolo ebbe a parlarne come di una
grande capitale. Ma basta superarne l'abitato,
inoltrandosi per la vasta aspra distesa che si apre oltre le sue
case, forse .il bacino prosciugatosi di un antico talab, per
vedere concretarsi tale fantasma che non vi aveva preso corpo
della sua perduta grandezza, nell'alto sikkara che si profila dal
rialzo della depressione incolta.
E' ridotto al suo
periclitante e riassestato cuore di pietra, sopra ciò che
il restauro ha ricomposto del tempio vishnuita di cui è
la sovrastruttura.
la
doppia entrata che da accesso sulla sommità della
piattaforma al deambulatorio,ora
tamponato, che volge intorno a due oppos(i)te celle
contigue, o garbagriha, con in comune il muro di fondo,
dedicate entrambe a Vishnu. Il mandir precede
la magnificenza residua del tempio ulteriore, che immette con un
accesso unico alla sala, o mandapa, il cui splendore è
tutt'uno con quello dei garbagriha dei tre santuari che vi si
affacciano nei loro portali, ognuna per ognuno degli dei
della Trimurti hindu, Brahma multicefalo,
Shiva danzante Nataraja,
Vishnu.
.
Nei domini dei Chandella un tempio similare, con tre santuari in
onore di tre manifestazioni diverse del dio Vishnu, ricorre a
Makarbai, nei pressi dell'ulteriore loro capitale, Mahoba,
confinata ora nellUttar Pradesh, e può essere il suggello
di un richiamo innegabile il diamante macroscopizzato che ricorre
in entrambi i templi
( immagine del tempio di
Makarbai)
Portali,
trabeazioni, pilastri, sono uno sfarzosa ostentazione di motivi
ornamentali hindu come li stilizzarono le maestranze Chandella,
volute serpentinanti e ondulate, architravi reticolate a
scacchiere,
,- come ricorrono nelle
trabeazioni del mandap e portico d'accesso del più grazioso
dei templi di Chandpur, l'altra vicina capitale dei
Chandella-, o altresì impreziosite con rilievi di
corolle di loto dai larghi petali, o di fiori cuspidati
nell'intradosso, o aggettanti con acuzie nella fascia sottostante,
come si dà nella trabeazione del portale d'accesso alla
cella brahmanica, mentre sono ovunque sovrastanti musici e
danzatori, tra colonnette che incastonano diamanti.
Kirtimukka figurano nel
rilievo a T maiuscola, dei pilastri, che riconnette vasi fogliacei
dell'abbondanza, secondo una variazione presente già nei
portali dei tempietti sulla via di Dudhai, in cui riaffiora
un naturalismo non ancora geometricamente stampigliato secondo il
diktat degli standard di Khajuraho, ch'è tipico dell'arte
Gupta fiorita nelle vicinanze di Deogarh e Behati.
Di
particolare bellezza sono le colonne laterali del portale del
Garbagriha del dio Brahma, un dado dal design di eleganti
volute rinserra le spirali ascensionali del fusto, prima del suo
concludersi campaniforme, come campaniforme ne è il
capitello.
E ancora due tempi jain,
una statua di Varaha,
l'incarnazione in forma di cinghiale del Dio Vishnu,
con
tutto il complesso delle deità hindu arricciate
addosso come ne fossero i peli,
in una simbiosi di
naturalismo e simbolismo, che ritroviamo identica nella scultura
più grandiosa che fronteggia il tempio Laksmana di
Khajuraho.
Sulla via poi del rientro,
infine la si lasci, Dudhai, per il rilievo dirupato sulla
sinistra della piana che ne fu d'ingresso, e si badi bene,
nell'aggirarne il profilo, di non discostarsene, tra le piste che
insabbiano. Solo così si raggiungerà,ora tra
un'orribile ingabbiatura di cemento, l'alta scultura rupestre
della incarnazione di Vishnu nel leone-uomo Narashima:
Spettacolare e
impressionante, più di quanto si possa oramai dire che sia
bella, talmente la superficie ne stata erosa, al punto che
le venature della pietra sembrano fibre legnose.
Un horror a cielo aperto, il
dio digrignante nella sua ferinità appagata, non senza che
ne trapeli il gusto dell'eleganza, nei resti rupestri dei diamanti
che lo ornamentavano. Poco più o poco meno che la propria
sagoma di malcapitato tra le sue grinfie, ciò che resta,
invece, della presunzione di inattaccabilità di
Hiraniakashipu. . il Ricoperto d'oro, nemico impenitente del
proprio figlio adoratore di Vishnu. Né di giorno, né
di notte, né da un uomo né da un dio, né da
un animale, né dentro né fuori il suo palazzo,
avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva
accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo leonino, né
vero uomo né vero animale, sortito istantaneamente
dalle colonne del palazzo, dunque né da dentro né da
fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli,
ineccepibilmente.
Ed il crepuscolo è
l'ora ambigua del distacco e del nostro rientro, felice e
dolente, nella quotidianità di Lalitpur festosa di frutti.
che
nel circondario, quasi fosse vernacolare, sarà
ripresa nella Chandpur dei Chandella, nell'assicurare un tetto ai
portici d'entrata dei templi sviluppati longitudinalmente, prima
del sopraelevarsi in un sikkara del santuario della cella, o
all'intero tempio se sia inscrivibile nel quadrato.
giugno
2013
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