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9
maggio 2011
Intermittenze
dei lavori in corso
Era
da Khajuraho, non dal villaggio natio, com’io mi aspettavo,
che Kailash mi rispondeva al telefono. Vi aveva fatto rientro
perché suo padre gli aveva detto al cellulare che Chandu
aveva il raffreddore e la tosse, ma non c'era di che temere, non
doveva trattarsi di niente di grave. “E' che gioca con
l’acqua ed è bagnato tutto il giorno, e sempre fa, e
fa, e fa, “ he works, works, works,” è proprio
come Sumit”. Sumit che voglio credere che sia con
Kailash, in Kailash, con il fratellino che gli è
sopraggiunto, come con ogni altro ed in ogni altro di noi. Intanto
le intermittenze del cuore angosciato del mio amico, che non vuole
per un altro presunto errore perdere anche Chandu, stavano
causando un’interruzione ulteriore dei lavori al nostro
dukan, al nostro negozio, dopo gli arresti dovuti alla mietitura
del proprie coltivazioni e di quelle delle padre, alla cura che si
era preso dei bufali in assenza dei genitori, quando essi si sono
posti in viaggio per Allahabad ,ad andarvi a disperdere nel Gange
le ceneri della nonna materna, all’errore del padre nella
commissione della serranda nel negozio, al malore alla gola
accusato la settimana scorsa da Chandu, il cui rigetto di ogni
cibo solido ha distolto Kailash da ogni altra considerazione che
non fosse la sua salute, finché con il miglioramento del
bambino non gli è stato possibile lasciarlo per la
continuazione dei lavori nel villaggio, sin che dopo settimane e
settimane di riprese interrotte è stato portato a
compimento anche il muro frontale, in cui la saracinesca non è
ancora stata impiantata. Kailash con l’aiuto di alcuni
masdur, oltre al capomastro, il karighar, passandosi di mano in
mano un secchio dopo l'altro attinti a una pompa del villaggio,
per sollevarli sino all’altezza raggiunta dai muri, sta
fronteggiando la penuria dell'acqua di cui il fiume e il talab
sono in secca, e della cui irrorazione i muri, i diwar,
necessiteranno anche domani, e fors’ anche dopodomani,
mercoledì, quando ritornerà al villaggio
proprio a questo scopo, oltre che per accudire nuovamente i bufali
nella stalletta attigua, in luogo del padre, che nelle sue
vesti di barbiere dovrà allestire un matrimonio ulteriore-
“ marriages. marriages, marriages”, sbuffa
Kailash, è ora la stagione dei matrimoni in India: e
soltanto dopo, che così irrorati, i muri saranno diventati
paripakv, egli potrà iniziare la copertura del terrazzo,
per poi passare al palastar, all’intonacatura, alla
tinteggiatura ed ai rangoli. C'è il rischio, altrimenti,
che nei muri si aprano crepe, come nella casa in cui vive il
fratello. Dopo che a lungo si è parlato di cricket,
delle ragioni per le quali lo appassionano soltanto gli incontri
delle nazionali, “ il vero gioco", a differenza dei
tornei tra i club privati, che sono soltanto un occasione per i
loro finanziatori per fare affari, - ho sollecitato Kailash a
iniziare a fare di conto su quali forniture servano al negozio, a
partire dall’elencazione che mi ha inviato dall’India
e dal mio completamento che gli ho trasmesso in seguito. Ma i suoi
sbadigli leonini e la mia avversione a forzare modi e tempi , mi
inducevano a non insistere oltre alcuni generi, citati ad esempio,
quali i beni di consumo più comuni come il riso e lo
zucchero. Ne riprenderemo a parlare domani, come della
uccisione di Osama Bin Laden.
15
maggio 2011
For
Sumit
Sen, my son Per Sumit Sen, mio figlio ( 2007-2009) * Che
ancora parole, la musica e il canto oltre la tua morte
*
Senza
più acqua
di vita
Alla tua morta imago anche la rosellina già
è reclina
*
20
maggio 2005
Notti
di luna
Ieri
notte Kailash era sul tetto della stanza sopraelevata sul terrazzo
della casa paterna, da cui poteva vedere finanche le luci in
lontananza di Chandnagar", la “città della
Luna". Vi stava da solo, poiché il padre, nelle
sue mansioni di barbiere, era distolto da un matrimonio in cui
doveva fare da cerimoniere, ed egli era intenzionato a restare per
più giorni nella casa paterna, pur di mandare avanti i
lavori di edificazione del negozio, poco distante. Intanto,
lassù in alto, da solo, cercava un po’ di sollievo
alla fersa della temperatura, che durante la giornata aveva
raggiunto i quarantotto gradi in Khajuraho. A causa della siccità
era stato costretto anche ieri ad irrorare d'acqua le pareti del
suo "dukan", rivestendole ancora di stuoie impregnate
d'acqua, perché non si screpolino e fessurino, in attesa
che domani arrivi il capomastro che edifichi il muro interno
spartitorio,(- e) prima ancora che la settimana prossima, o chissà
quando mai, quelle quattro mura possano conoscere la copertura di
un tetto, poi l' intonacatura, la tinteggiatura, l'ornamentazione
dei "rangoli "dipinti dal piccolo Ashesh... Sabato
sera Kailash l’avevo lasciato insolitamente esaltato, era
appena di ritorno da un matrimonio fastoso tra sposi di casta
ksatrya, ch'era stato imbandito in un dharamsala di Khajuraho, una
cerimonia, mi ricordava divertito dal raffronto, ben diversa
da quella delle nozze del fratello della moglie, ch'erano avvenute
in assoluta miseria nella giungla. Accomiatandomi io mi
avviavo a visitare nel plenilunio la reggia della mia città,
che sarebbe rimasta aperta fino nel cuore della notte,
ma senza che poi l’ incanto delle sue gallerie e delle sue
sale, le musiche che di sala in sala vi ricorrevano,
potessero fascinare l’anima a magnificarvi la
vita, a sopraelevarsi nella loro bellezza oltre la morte di
Sumit. Nel frattempo sono intercorse via internet le
liste delle spese per le forniture del negozio, nella loro
compilazione si è contemplato tutto ciò che
potessero richiedere l’alimentazione della gente del
villaggio, la loro cura del corpo e della casa, lo svago degli
uomini e la vanità anche delle più povere donne,
il diletto e la istruzione dei bambini, prima che da parte
mia passassi a richiedere a Kailash di contribuire ad un
lavoro di potatura dei quantitativi stilati. Certo, si potevano
dimezzare la "zero zero atta", la farina zero zero, dato
che non è più stagione di festival, o il colore per
tinteggiare le case, che verranno dipinte di nuovo per Deepavali,
oppure la "face cream", in quanto che la si usa solo per
i matrimoni, non certo la “body cream “o l’olio
per capelli, cui si fa ricorso quotidianamente, mentre si
poteva fare a meno di comperare le lenticchie nere, oltre a quelle
gialle, le urid oltre le moong dhal, i contadini del
villaggio conservano ancora in casa le scorte del raccolto
dell‘estate scorsa, era il caso di limitarsi
all’acquisto di pochi chili di lenticchie della qualità
più pregiata, l'ahar dhal,lo stesso discorso era da farsi
per l’olio, bastava acquistare quelli di girasoli e di
soia per i fritti di vegetali e di carne, insieme al "brown
oil," l'olio di senape, che invece si usa per friggere gli
impasti delle farine, talmente nel villaggio si ricorre all’olio
ottenuto dalla spremitura del sesamo che si è mietuto dopo
la stagione delle piogge, - un olio sacro e prezioso secondo l’
induismo, buono a tutti gli usi, ma che tuttavia nelle città
dell' India oramai si ricusa di usare. Ineliminabili erano invece
i fiammiferi e le sottili sigarette di foglie
arrotolate, le cosiddette "bidhi",- e dov'era finito nei
miei elenchi tutto il " rastri",- non lo
"shree"-"gutka", che Kailash mi aveva
precisamente e insistentemente prescritto, il tobacco chewingum di
foglie di betel che costituisce l’imprescindibile consumo
voluttuario maschile, come il croccante kurkurè lo è
per i più piccoli. Quando dunque siamo rientrati
in contatto per decurtare le spese,“ No less… no
possible…" Kailash ha ripetutamente opposto,
irremovibile, ad ogni mia richiesta di tagli ulteriori, nella
difesa strenua di tale estremo avamposto di ciò che ha
intrapreso (edificando il negozio). Il mio sorriso rassegnato
ad ogni suo diniego era il sentimento divertito in cui si era
rarefatto il monsone della esasperazione che mi aveva oscurato la
mente, i giorni avanti, di fronte alla inutilità di ogni
mio tentativo di introdurre dei ripensamenti nella mente di
Kailash, sulla ragionevolezza economica di aprire un general store
per della così povera gente, dei dalit pressoché
privi di potere d’acquisto, sfinito dalla insistenza, che mi
è occorsa, per ottenerne l'assenso alla mia richiesta che
non siano solo miei i costi e i sacrifici, che anch'egli
contribuisca all’acquisto delle forniture con il ricavato
della vendita del raccolto di grano, riservando quella del sesamo
al rinnovo dell‘affitto del campo dei dalit, mentre solo mia
resta, e deve restare, la consapevolezza della vanità
fallimentare anche di questo sforzo. Ma che importa, mi
conforto,se l'utile sarà insussistente, quando il
crederci gli rinnova un futuro.
20
maggio 2011
Il
peccato oltre ogni peccato
Il
peccato oltre ogni peccato è la presunzione che insorge in
ogni nostro ritenerci il principio originario sostanziale
della nostra esistenza, nel mancato distacco conseguente
dall'appropriatività dell'Io, in ogni disconnessione dalla
interdipendenza in cui tutto è in relazione con tutto nello
Spirito. Il peccato oltre ogni peccato procede dalla separazione e
dalla dualità tra sé e Dio, tra Dio ed il mondo,
tra uomo e uomo, disconoscendone la reciproca inerenza. Se
così noi presumiamo, crediamo di poter essere e vogliamo
essere la fonte del bene, riteniamo di poterci appoggiare a noi
soli e di essere in grado di risollevarci da soli, animati da un
orgoglio che si insinuerà nella stessa donazione di sé,
nella oblazione della nostra stessa vita, volgendola ad
autoaffermazione, elargitiva, che non sa sentire il respiro
dell’altro, che l’altro non riesce a vederlo e a
recepirlo nel suo differire, a nutrirsene prima ancora di
farsi svuotamento per dargli la vita, nel portare con lui a
compimento ciò che viene a maturazione in comunione,
non già un proprio disegno intenzionale prefigurato. è
il male in cui così si commuta anche il fare il bene, il
male che converte anche la sequela più zelante nella fede
dei diavoli, .
22
maggio 2011
Al
turbine del vento
Dopo
avere appena ritirato nell'ufficio postale di Khajuraho il pacco
che gli avevo inviato, in cui con dei miei libri erano contenuti
degli altri capi di abbigliamento estivo per Porti, Ajay,
Chandu, Kailash ieri era già smanioso di raggiungere
il villaggio in motocicletta, pur di finirvi di costruire il suo
negozio, “ I ll go to make my dukan”.perché
(dovevo) dunque darmi pena che il mio sostegno economico
all'impresa fosse un tale dispendio senza alcuna possibile
riuscita, se Kailash ne è preso talmente tanto, se in
esso vi si rinvigorisce nel corpo e nell'animo, se lo persegue con
tale tenacia, a dispetto di ogni evidenza fallimentare e di ogni
contrarietà che subentra, e persevera
nell’intento a costo di tali e tanta fatiche, del distacco
crescente da Vimala e dai bambini, per accudire se stesso in
solitudine, come richiede, giorno dopo giorno, il distanziarsi dai
suoi cari per edificare quelle benedette quattro pareti. Mi aveva
detto, il giorno avanti, che sarebbe andato nel villaggio
natio a mezzanotte, a prelevare l'acqua per irrorare i
muri, allorché intorno alla pompa del villaggio non vi
fosse stata più gente in fila con i secchi , e che avrebbe
sovrinteso ai lavori del muratore dal primo mattino fino a
mezzogiorno, quando la canicola avrebbe imposto la sospensione dei
lavori, il cui decorso al rientro nel villaggio aveva già
fretta di riprendere nel tardo pomeriggio. Ma poi è
sopraggiunto un vento devastante, che nel turbinio dei suoi
vortici ha sollevato la polvere sino a soffocare il respiro e ad
(accecare)oscurare la vista. Ciononostante i suoi genitori hanno
insistito a che il muratore seguitasse a lavorare, per non
sprecare il denaro che lo retribuiva, come se le mie elargizioni
fossero cosa loro, e il muratore nello scendere dai muri,
ostacolato nella vista, ha messo un piede in fallo e si è
infortunato. Mentre mi stava parlando, Kailash era nella stalla
dei bufali accanto al suo dukan ancora senza copertura, seguitando
a restare in disparte dai suoi genitori, con i quali si era fatto
talmente rabbioso che non aveva voluto incrociarli durante
l'intera giornata. Gli stava accanto il ragazzo di sedici anni cui
sarà affidato il negozio, in sua assenza, il quale con voce
mite mi ha salutato al telefono quando Kailash gli ha passato il
cellulare. Senza la sua silenziosa compagnia il mio
amico avrebbe avuto paura a restarsene da solo nella "
buffalo house", quando erano già trascorse le nove di
sera. Forse domani il muratore potrà già riprendere
i lavori, ma chissà se un giorno è
bastato perché possa rimettersi al lavoro.A Chandnagar, e
poi in Bamitha, i dottori hanno assicurato che non ha nulla di
rotto. Intanto Kailash poteva comunque fare buon viso al
“bom bom bom dei tuoni”, alle gocce di pioggia
che cadevano dal cielo oscuratosi, e di cui era contento che
traesse beneficio la cementificazione dei muri del negozio,
mentre dalla stalletta si stava dirigendo a casa, dove di lì
a poco sarebbe sopraggiunto, senza fare alcuna parola con i suoi,
al rivederli, per andare e distendersi nel sonno sul terrazzo. Vi
si è ben involtato in una coperta, quando ancora l'altra
notte era salito fin sul tetto più alto per propiziarsi un
alito di fresco, talmente nel villaggio, come nell'intero Nord
dell'India, col mutare del tempo il sopraggiungere del vento ha
raffreddato la calura afosa, facendo precipitare le temperature.
Addormentandosi sotto un cielo da cui erano scomparse le stelle.
24
maggio 2011
La
caduta reale
E
ieri
è stata la volta della caduta di Kailash dai muri del
nostro “ dukan”, del negozio pervenuto al soffitto.
Una pietra sconnessa, il piede posto in fallo, e si è
ritrovato al suolo, con un labbro rotto e il volto che si è
tumefatto. Bluastro come Shiva Nilakanteshvara, mi verrebbe ora da
sorriderne...Stamane ha dovuto recarsi dal medico, che gli ha
praticato un'iniezione per la quale ha pianto, come Chandu.
Ma ha salvato gli occhi, nella caduta, di cui Kailash
mi mostrerà i postumi con una videochiamata ...Il mio cuore
è sempre talmente in apprensione per ciò che può
capitare ai bambini, che il suo stato d’ansia ha sorvolato
sull’incidente capitato al mio amico, ed io ho seguitato a
chiedergli altro, a sollecitarlo e a raccomandargli che proceda
oltre nei lavori, che contatti il falegname del villaggio per la
scaffalatura del negozio, che assicuri che domani abbia inizio la
soffittatura, quando invece la cosa da dirgli era che tutto va già
bene, così, e, quanto egli sia bravo e sulla buona strada,
(quando) mentre un'altra, la mia, è la tragica caduta
incombente da evitare. Mancando lo stesso mio compimento umano,
tradendo il dono di grazia per cui Kailash a me è stato
affidato insieme alla moglie e ai suoi figli, il “ pensaci
tu”, emesso dal cielo, tale mia caduta avverrebbe se mosso
dalla volontà di salvaguardare i miei margini di sicurezza
economica e la libertà di muovermi in autonomia viaggiando
il più possibile quando sarò in India, inseminassi
in Kailash i miei dubbi sulla (inanità e ) l')inutilità
anche di questo nostro sforzo, la mia consapevolezza dell'
impotenza dei nostri destini terreni, del fallimento a cui è
votato, in questo mondo, anche questo tentativo ulteriore di dare
un futuro che non sia un avvenire di miseria ai nostri bambini.
Guai se gli inoculassi il mio timore, pregiudiziale, che la sua
famiglia rifluendo nel villaggio soccomba ( dada preda di) a ogni
limitazione di vita che vi sussiste, ed egli finisca sempre più
succube di un padre padrone che gli insinua (detta )il da farsi a
mie spese, spendendosi solo per l'altro fratello.... Lo facessi
così recedere a rientrare a lavorare in hotel, in seno ad
ogni incapacità, della moglie, e dei figli, di fare a meno
di ricorrere a lui in ogni evenienza, “pa papa de do, de
do", come nei suoi riguardi sa già esigere Chandu,
Kailash perderebbe a sua volta ogni fiducia nella benedizione dei
suoi giorni, la speranza che ci sia per lui una risollevazione
possibile dal karma negativo che è la dannazione dei suoi
passi in questa e in ogni altra vita futura, ed io, vincolandolo
al mio stesso fallimento,- nella sottomissione al mio
inadempimento umano del suo libero destino di uomo, in cui ogni
mia donazione avrebbe pervertito la sua fragilità
succube,- assumerei il volto elargitivo di questa sua condanna,
nei secoli dei secoli di ogni reincarnazione futura. Caro
Kallu, possa io essere all'altezza di esserti invece amico per
davvero, soccorso dalla consapevolezza che non saranno i
soldi persi, o inutilmente spesi nel nostro dukan, la miseria che
pesa, e che pregiudica la vita che ci resta davanti, illuminato
dal dolore persistente che un'altra è la perdita senza
scampo che grava sui nostri giorni e li svuota di senso, dalla
luce di grazia che mi sei stato affidato in dono, con i tuoi
cari, perché ci asciugassimo l'un l'altro le lacrime che
per questo versiamo, nel vincolo d'amore del nostro Sumit.
26
maggio 2011
Per una
teologia minima
Se
la teologia è discorso e conoscenza di Dio, per chi
è prigioniero di Cristo la teologia non è una
teosofia, un sapere mentale di concetti divini, è
conoscenza per partecipazione di ciò che nel Cristo si è
rivelato come l’essere di Dio, il suo essere Amore divino
trinitario, ed è dunque intelletto d’amore,
conoscenza del suo essere amore divenendone per amore partecipi,
amando, dunque, di un amore che sia lo stesso amore che è
l’origine continua della continua creazione del mondo,
kenosi divina dello svuotarsi di sé per farsi un mondo la
cui vita sia trasmissione di sé per donazione, a immagine e
somiglianza della donazione di sé che è la vita
divina trinitaria, e farsi, nel Suo ascolto( nell’ascolto
del Suo amore,(in noi presente al fondo dell‘anima),
l’ascolto dei bisogni di chi ci è affidato come
il nostro prossimo, in conformità con la capacità
d’amare che è l’unicità del nostro
nome che declina il Suo. Come accade a chi è
buddista, nella pratica del distacco e della compassione, in tale
sequela a imitazione di Gesù avverrà che Dio,
che nessuno ha mai visto, -con gli occhi della mente-, in
obbedienza d’amore si farà visibile e sempre più
presente,( purchè l’apertura di sé ci ponga in
ascolto della sua voce di grazia), se più ameremo e
ci saremo amati l un l’altro, come lui gratuitamente ci ha
amato e ci ama preventivamente.. Sempre più
percettibilmente, nell’esercizio del suo amore si
disveleranno la personalità e l impersonalità del
suo agire, la fisica soprannaturale della sua uniforme azione di
grazia, com’Egli in essa sempre provveda, come non
faccia mai mancare all’anima nulla di quel che le occorre
in ogni sua sorte, pur nel Suo riguardo al libero accadere
naturale cui il suo amore "deve" assoluto rispetto,
senza che compia alcun miracolo di sorta privilegiante. Si
accerterà com' egli così consenta anche la
sventura più tremenda, ma rendendone sempre possibile il
compenso con un bene più grande, e sempre consenta la
trasformazione della perdizione del male in una prova
santificante,- il suo volto di misericordia essendo la stessa
accessibilità perenne del bene, sempre che l’anima
sia capace del distacco da ogni appropriatività e
distruttività di brama e di odio, dal geloso possesso di
ogni tenere soltanto per se, dell'abbandono del suo medesimo
anelito di salvezza. Quanto più il nostro Amore
nei suoi atti e nella sua intelligenza si sarà fatto in noi
talmente profondo, tanto più Dio si sarà in noi
ingenerato e sarà venuto a pienezza di luce, si sarà
a noi rivelato e in noi si rivelerà agli altri. Ciò
che tale conoscenza dell’essere Amore del Dio trinitario
presuppone, e che in in Giovanni è la condizione
stessa del suo rivelarsi Amore, è l’unità
spirituale di umano e divino, l'unità che consente che
anche per noi sia misticamente possibile ciò che avvenne in
Gesù, che come Gesù di Nazaret possiamo anche
noi essere in Cristo, farci Cristo che vive in noi, alla stregua
di come Cristo, il Verbo, si fece carne e visse in Gesù,
visse tra noi come Gesù, Colui che per la sua stessa
divinizzazione adempiutasi fu vero uomo, pienamente uomo. Deve
poter avvenire pertanto che il Cristo anche in noi riveli il
Padre, e che lo riveli perché il Padre è in lui
immanente, come nel Padre è immanente il Cristo, il
Verbo ordinatore del mondo, e in entrambi è lo Spirito del
loro mutuo amore, al pari di come sono entrambi nello Spirito,
traboccante dalla vita intradivina nella sua trasfusione nel
mondo, che ne è la gloria che cantano i cieli e la
terra. E’ quanto fu detta la perichoresi della vita
intradivina, in cui consiste la ragione primaria per la quale
nulla è duale, e panenteisticamente tutto è in Dio e
Dio è in tutte le cose, perche Dio possa essere tutto in
tutte le cose, e di tutte le cose fare uno, " Chi vede me,
vede il Padre"- pur se nel rivelarsi del Padre nel
Figlio, l’Immanifesto permane distinto e
trascendente rispetto al Manifesto, l'essere Divino essendo "il
Nascosto e il Rivelato, il Primo e l‘Ultimo". E così
come Dio è nel mondo e il mondo è nel suo afflato
cosmico,- Dio è in noi e noi siamo in Dio, noi siamo nel
mondo e il mondo è in noi, e tra noi viventi siamo l’uno
nell’altro, compenetrantici, nell’interconnessione e
nell’interdipendenza di tutto nel Suo Spirito,- in cui il
futuro, la seconda venuta , il giudizio è già, ora,
il discernimento che si fa consapevolezza e pienezza di vita nel
tempo presente, nell’ora in cui l’amore è già
la sua eternità. E'nello Spirito che Gesù
risorge in ogni credente, lo Spirito che ci rigenera e che
in noi si rigenera, la stessa vita eterna che è già
in noi, e che in noi si manifesta. In intelletto e in
immaginazione, in empatia e creatività, nella nostra
energia in cui si ricrea la sua energia, nel cui fuoco la
fede rivelataci si fa sua rivelazione, il suo venire di nuovo in
noi alla luce, nella nostra luce che del suo ardore si fa ardente
per gli altri, a che la nostra teologia si adempia come una
sua teofania. Ma è una teofania che è luce nelle
tenebre, che è gravida di tutto il dolore e la
negatività del mondo che non lo ha riconosciuto, e che
liberamente non lo riconoscerà mai, di tutto il dolore per
il dolore del mondo della Sua compassione esistenziatrice, il
risveglio ad una pace che non è eudemonia mistica, ma la
beatitudine vera che da Gesù ci è stata promessa, la
beatitudine nelle lacrime. La preghiera è la
parola della voce del suo Spirito, in noi, che
conformandoci al Figlio nel cospetto del Padre, se non può
farsi la Sua volontà, unità compiuta con la Sua
assolutezza d’amore, amore che è assenso alla
necessità del tutto in quanto è già perfetto,
così com'è, adesione ad esso nel presente eterno,
soffre il travaglio dell’adempimento della promessa che ci è
stato formulata dall’umanità cosmica di Dio, e anela,
che come da Egli ci è stato assicurato, nessuna pecora del
gregge vada perduta, e come il Suo figlio diletto ogni nostro
figlio sia reso al padre. Come crediamo sia la resurrezione
della carne
*
4
giugno 2011
Nota
Spinoziana
Il
Dio di Spinoza, che da concetto della mente si fa l'Essere del
Pensiero di cui la mente è partecipe come una Sua idea,-in
quanto è l'idea del corpo che noi siamo,(1)- è,
panenteisticamente,sia l'Essere Assoluto in cui sono tutte le
cose, seppure ancora pensato nei termini della Sostanza del
pensiero metafisico di origine ellenica, che il Dio
teo-en-paneistico della mistica intellettuale, essendo Tutto
in tutte le cose, indivisibilmente, come loro causa immanente,
l'Essere in cui tutto è uno. Come l'Essere divino di
Paolo. Spinoza pur non essendo cristiano, pur non credendo
nella incarnazione di Dio in Gesù e in una
resurrezione di Gesù che non sia quella spirituale, ritiene
che Gesù nella sua natura umana sia stato pienamente
partecipe di Cristo, del Verbo del modo infinito immediato
dell'attributo del Pensiero divino, il vero eterno figlio di
Dio, che abbia comunicato con l'intelletto infinito di Dio, a
differenza di Mosè e dei Profeti. Ma come la mistica
razionale che identifica lo Spirito nel Logos, il pensiero di
Spinoza afferma un amor dei che è meramente
intellettuale, sicché l'unità uomo-Dio per
Spinoza può sussistere nelle sole forme
dell'intuizione intellettuale della conoscenza di terzo grado,
egli non riteneva pertanto che l'uomo si eterni nella creatività
della sua immaginazione, la quale, al decesso del
corpo, secondo l'Ethica muore integralmente con la memoria
personale. E nonostante l'Ethica sia volta alla gioia, di cui
Spinoza vuole renderci partecipi, di essere in Dio nel suo amore
di se stesso che si esprime nella sua idea adeguata che
costituisce la nostra mente, resta un suggello terrificante
della beatitudine intellettuale in cui la Mente si
eterna, quanto a conclusione dell Ethica Spinoza ha da dire
dell'infelicità del cadavere bambino, nello Scolio della
quart'ultima Proposizione dell'Ethica "Poiché i
corpi umani sono atti a moltissime cose, non c'è dubbio che
essi possono essere di natura tale da esser riferiti a menti che
hanno una grande conoscenza di sé e di Dio e la cui parte
maggiore e principale è eterna, e perciò tali da
temere difficilmente la morte. Ma affinché ciò si
intenda più chiaramente, si deve qui notare che noi viviamo
in continuo mutamento e che, a seconda che mutiamo in meglio o in
peggio. siamo detti felici o infelici. Chi, infatti, da bambino o
da fanciullo, passa allo stato di cadavere, è detto
infelice, e al contrario si considera felice aver potuto
percorrere tutto lo spazio della vita con mente sana in corpo
sano. E invero chi possiede un corpo atto a pochissime cose, e
sommamente dipendente dalle cause esterne, come il bambino o il
fanciullo, possiede una mente la quale, considerata in sé
sola, non è quasi per nulla consapevole né di sé
né di Dio né delle cose; e, al contrario, chi
possiede un corpo atto a moltissime cose possiede una mente la
quale, considerata in sé sola, è assai consapevole
di sé e di Dio e delle cose."
1)L’uomo
diventa partecipe di come Dio si rivela a se stesso, e si ama,
attraverso l’attività mentale e l’amore di sé
e di Dio della sua stessa mente umana, che in ognuno di noi è
l’amore stesso di Dio per se medesimo, non in quanto è
infinito, ma per come, determinando l’essenza
della nostra individualità eterna, è tutto se
stesso in ognuno di noi , come lo è in ciascuna
manifestazione della sua identica natura e del suo identico amore,
immanenti in tutte le cose, in ogni altra forma
microcosmica diversa da ogni altra dell’Essere divino, per
cui in lui siamo uno, indivisibilmente, e tutto è in
relazione con tutto. Si confronti in Ibn Arabi, come Dio si
manifesti ad ogni fedele non già nella sua unità
indifferenziata, ma in quel Volto divino, o "Forma di Dio",
che è l'Idea o Angelo della sua Persona, la sua Natura
Perfetta ( Henry Corbin L'immaginazione creatrice, pgg. 238-247,
ad esempio).
*
giugno
2011
Dukan
Prima
di decidere se aprire il negozio nel suo villaggio acquistando le
merci , Kailash sabato l’altro - il 4 di giugno- ha chiesto
che ne pensino alla moglie, Porti ed Ajay. Tutti hanno detto di
si. E quali erano state le loro ragioni, gli ho chiesto? "
Vimala sa capire le cose, anche se a volte è matta. Se tu
stai sempre con la tua famiglia, mi ha detto, non concluderai
niente, non avrai mai niente.” Ogni famiglia che è
in miseria, nel circondario, cerca fortuna lontano, nell’
edilizia dei cantieri di Delhi. Kailash ne era convinto al 99%,
e non lo aveva dissuaso che lo avessi messo di fronte a quanto
sacrificio, nel viavai ogni giorno tra la casa ed villaggio,
avrebbe dovuto sottoporsi nella prospettiva di guadagni pressoché
insussistenti, avendo come clienti per lo più dei dalit che
potevano pagare solo con le loro sementi, né che gli avessi
ribadito che da me non avrebbe ricevuto alcun mio ulteriore
finanziamento, che per completare l’acquisto delle mercanzie
dovrà vendere tutto il grano, se non anche il tilli con il
ricavato della cui vendita conta di poter rinnovare l’affitto
del campo che ha coltivato questo inverno, essendo io persuaso che
solo se vi impegna tali proventi, vi si impegnerà con
tenacia perseverante, e il dukan non subirà la sorte del
negozio di barbiere, di cui si è disinteressato di fatto in
capo a una stagione, rimettendolo al suoi socio, così come
un bambino accantona ogni successivo giocattolo che ha ricevuto in
dono, non appena scema l’entusiasmo del gioco. Il mio
astio e la mia sfiducia in ogni ulteriore sua iniziativa,
originati dalla incuria in cui tiene un’attività la
cui intrapresa dovrebbe essergli sacra, poiché il negozio
di barbiere fu acquisito per fronteggiare la nascita di Sumit, la
settimana precedente si erano esacerbati alle sue parole di
soddisfazione che se i lavori procedevano a rilento, almeno si era
fatto un’idea, a mie spese, sottaciute, di quanto
potesse costare un dukan, come sempre a mie spese, sempre
sottaciute, almeno si era fatto un’idea dei proventi del
lavoro dei campi, o di quanto poco fosse il ricavato del latte e
dei latticini delle sue bufale, sempre preventivandomi costi
inferiori al reale e guadagni di gran lunga superiori a quelli
effettivi, che solo per il fatto che mie fossero le spese e suoi i
ricavati delle vendite, egli poteva ritenere che
presentassero il margine di un minimo utile .E il giorno seguente
non avevo voluto rovinargli la festa nella dabha in cui si era
recato a cibarsi di chilly panir, per avere ultimato il tetto del
negozio, finalmente, avevo preservato la sua illusione che ogni
lavoro duro fosse così finito, quando alla mia
preoccupazione per come si potesse fare fronte a costi superiori a
quelli previsti, “your money is my money” mi aveva
sordidamente sussurrato al telefono, come è uso dire
qualsiasi giovane serpente indiano nell’adescare lo
straniero L’indomani quando avrei voluto riprenderlo, ed al
contempo ero ansioso di contattarlo, tanto più che
condividevo l’allarme suo e dei suoi genitori, per la sorte
che poteva riservare a Chandu il fatto che Vimala l’avesse
condotto al suo seguito per delle feste di nozze in un villaggio
nella giungla, l’amico non si era fatto sentire e aveva
staccato il telefono. "Sorry
Kallu,-avevo intrapreso a scrivergli-, but yesterday I suffered
too much waiting that you were calling me about the rentry of your
family from the marriage, No more… No more… I
cannot more keep my contact with you.. Every month I ll send
you 150 rupees You have to ceeck your e-mail, at the end of
every month for the number account. God
bless
you and your family” Ma non appena il sabato egli si è
rifatto vivo, la catena del mio soggiogamento è stata
riassunta .
Ho
ritrovato in facebook quersta lettera di Fabio Capuano ”Caro
Odorico, è da tanto che non ci sentiamo, avrei voluto
contattarti per poterti scrivere di me e del mio trasferimento a
Salerno, ma temporeggiavo preso dal trasloco e da altri impegni
familiari. Bazzicando su facebook, mi sono imbattuto nelle
parole di profondo sconforto dei tuoi messaggi. Penso che tu sia
troppo severo e con te stesso e soprattutto ingiusto nei giudizi
che ti rivolgi. Sappi che io ho stima di te, della tua
sensibilità e della tua cultura. Ma soprattutto penso che
tua sia una persona di luce, perché hai il coraggio di
amare, sacrificando tutto te stesso per aiutare chi ha bisogno,
nonostante il tuo sia un amore senza gloria, che forse ai più
appare come follia. Ma la dedizione gratuita non è follia,
è luce di speranza.
Non perderla proprio tu quella
speranza che sai donare.
Le pagine seguenti
che ho scritto l'anno scorso, possono riassumere il nichilismo
della mia fede, della mia speranza e del mio amore senza gloria
che secondo Fabio mi illumina.
“Come
sei lontano, eppure neanche mio padre mi ha dato quanto te... Sono
stati gli dei, è stato il Dio cristiano, a volere questo,
che noi siamo con te una sola famiglia,...Qui tutti, anche Chandu,
ti chiamano "Baba", mi chiedono quando Baba arriverà,
.... così mi ha detto Kailash, quando ho cercato di
addentrarlo nelle ragioni della infelicità di fondo della
mia vita, perché non debbano farci confliggere in futuro,
cercando di renderlo consapevole che è radicata nel
sentimento che nemmeno così tanto amore che ci ha
consentito di sopravvivere alla nostra sventura, in virtù
della grazia che conservo della capacità d'amare, nemmeno
il distacco da ogni attrattiva terrena causata dalla morte di
Sumit, con la perdita (conseguente) di ogni gusto nell'ascolto di
poesia e canto, tanto meno la vocazione a purificarmi di tutto nel
deserto della monacazione buddista, nessuna sequela di beatitudini
cristiane, mi hanno estirpato l'odio e il disprezzo di me
medesimo, per non avere tradotto in alcuna fama la mia vocazione
artistica, essendomi rivelato talmente inetto che non sono stato
capace di pubblicare un solo scritto o un minimo verso, facendo
scempio di tutto il mio talento, e della mia vita, nella vanità
annichilente dell' insegnamento in cui di me si fa scempio,- nel
cui adempimento sento, al di la di tutto, a dispetto di ogni
favola consolatoria, di avere perso con la mia vita "la mente
mia e l ingegno", nel farmi favola e dileggio di innumerevoli
scolaresche persecutorie, straziatovi visceralmente, nella mia
fragilità vulnerabile, perché io vi ero per me
medesimo, più che per ogni altro, la tragedia indifendibile
dello spreco ridicolo del mio talento. " Se non l'hai
ancora avuto, lo avrai poi, il "good karma, di avere successo
" mi ha detto Kailash con voce piana, credendo che fosse quel
che veramente sentivo, e credevo, la difesa che gli adducevo delle
mia vita come di una buona vita, come se fosse tale perché
sarebbe una buona vita quella che il mio aiuto gli consente di
vivere, ora che può lavorare e riposare, " to take
rest", e concepire un futuro tranquillo in virtù del
lavoro dei campi per sè e i suoi cari, dando ai bambini"
buon cibo e buoni vestiti". Come, se per questo, non fosse
la cosa più sovrannaturale che la sua vita, e quella dei
suoi cari, diventi tutta la mia, la (mia) sola vita residua, tra
le tante davanti, in cui possa adempiere di essere un uomo”
*
Il
colpo di grazia ( Racconto incompiuto)
“Mi
hanno detto che nessuno di loro è rimasto in classe, dei
miei ragazzi”, diceva commossa alle colleghe che erano
venute a darle il conforto delle condoglianze, di un abbraccio
amichevole, quando era riapparsa in sala insegnanti, passati pochi
giorni dalle esequie del fratello. In realtà nessuna di
loro aveva voluto disilluderla, dicendole che erano stati veduti
in piccoli gruppi addentrarsi nei bar tra la scuola e le camere
ardenti del vicino ospedale, approfittando della concomitanza del
funerale con le ore di lezione, per stare fuori di scuola durante
tutta la mattinata.
E
non
erano passati che alcuni giorni, che già avevano ripreso a
farsene beffe, dileggiandone lo stesso lutto.
Due
di loro le avevano inviato un post sul sito di facebook, con
taggati lei ed il fratello in una bara.
E
una volta che le era sfuggito di dire amaramente a un‘altra
insegnante, all’uscita dalla sala insegnanti, con tono duro
ed aspro, “ le prostitute fanno ben poca fatica a precedere
certe mie studentesse nel regno dei cieli, talmente sono volgari
nell’infierire sui miei sentimenti , “ quando si
sarebbe attesa che avessero rispetto almeno come donne per la sua
sofferenza, di donna che solo nel fratello aveva trovato un uomo
che fosse l’amore nella sua vita, e d invece ancor più
di prima rumoreggiavano in classe, non le era stato perdonato, ed
aveva dovuto risponderne con una sanzione durissima.
Era
così, da anni, che procedeva per lei l’insegnamento,
in quello ed in altri Istituti.
Procedeva
un tempo, con il fare note, ammonizioni, poi aveva capito che per
i colleghi e l’autorità era lei il vero problema, il
solo problema, che per questa stessa ragione non avevano peso e
rilievo, d‘intervento, le situazioni adolescenziali e le
insorgenze critiche, nelle dinamiche della vita di classe, di cui
la sua vulnerabilità umana si faceva rilevatrice, aveva
inteso dolentemente che le sue note non avevano credibilità
alcuna, che come le aveva detto una sua dirigente, in realtà
erano note che infliggeva a se stessa, ed aveva smesso di
sanzionare alcunchè, aveva compreso, e cercato di
accettare, che le restava soltanto il subire e l’affliggersi,
di essere, cristianamente, il sacrificio perenne di una vittima
immolata, l’avviarsi ogni mattina verso le sue classi come
un agnello al macello, il subire pur anche, che studenti che
nemmeno erano suoi, scambiando la sua avvenenza sensuale per
dissolutezza accessibile, le dicessero parolacce non appena nei
corridoi erano alle sue spalle, o dal vano di qualche finestra di
qualche classe al piano superiore, da cui si ritiravano come
girava in su lo sguardo, senza che nessuno degli altri insegnanti,
che pure la stimavano e le volevano bene, che sapevano e sentivano
tutto, intervenissero minimamente. in sua difesa
Eppure
gli studenti che più abusavano di tutti i riguardi che
aveva nei loro confronti, approfittando del suo farsi scrupolo di
tutto, più di quanto intendessero avvalersi della sua
cultura, del suo mettere in discussione che potesse essere vero
anche ciò che vedeva e sentiva, incapace di accettare che
potessero spingersi a tanto, erano gli stessi che con lei soltanto
si confidavano, che lei soltanto avevano in amicizia, salutavano
all uscita dalla scuola quando lei non si era nemmeno avveduta del
loro passaggio, come era accaduto con quelle due studentesse che
le avevano lanciato un richiamo di passaggio , mentre si stava
allontanando a causa loro dal centro psicologico sociale dove a
causa loro l’avevano in cura.
“
Dove
va, profe” le avevano chieste nel dileguarsi con allegria
“
Vengo
da dove mi avete fatto finire, avrebbe voluto dire loro, se le
fosse stato possibile.
Finchè
non
era pervenuta in quella scuola, dove si era illusa che la
formazione umanistica che vi si impartiva le evitassero attriti e
tensioni e con le sue allieve, e dunque di potersi esprimere e
donare nel suo essere umano, nel farsi intendere da loro nella sua
parola, nel farsi accogliere, in essa, per quanto riusciva a porsi
in loro ascolto. Ma il loro volersi fare ascoltare senza stare
neanche ad udirla, quando lei faticava anche a sentirne le parole,
per il loro rumoreggiare, il volere imporre le regole preliminari
del rispetto e dell‘altrui ascolto, come condizioni del loro
rapporto, aveva di nuovo precipitato le cose negli stessi esiti
tristi, lei ad avercela con loro, supponendo che con lei si
consentissero ciò che con gli altri non osavano compiere,
le altre istanze della scuola a sopportare e ad alleviare il danno
che costituiva per il prestigio dell'Istituto, che lei non sapesse
farsi valere e imporre il rispetto dovuto a un adulto, sicchè
era venuta a ritrovarsi tra il loro incudine e il martello della
dirigenza, nella fucina accaldata dalle rimostranze delle
famiglie, nello stato di cose per cui , non più credibile ,
sfiduciata umanamente, e professionalmente, era tenuta a doverli
affrontare senza nemmeno più la dissuasione dei brutti
voti, che se inflitti da lei, avrebbe reso insostenibile la sua
permanenza ulteriore, indotto a una sua rimozione, prefigurando
come un approdo irraggiungibile il suo pensionamento in capo a
qualche anno. senza che avesse più nemmeno diritto di
replica e di difesa presso la dirigente, perché anche ogni
suo accenno di giustificazione era per lei a priori
vittimismo. Indifendibile, comunque la attacchino.
“
Devo
dimenticarmi di essere vero uomo e non vero Dio, quando in classe
tornano a crocifiggermi per pura malizia...” è la
giaculatoria che si ripete al rientro tra loro, dopo la lunga
supplenza cui è stata. costretta o “ spinta”,
come si è mormorato
“
Se
solo sapessero, loro che si prendono gioco, come ho in avversione
anche il solo fatto che esistano,, come mi disgusta tutto del loro
essere.giovani...Mio Dio, pietà di me, dello scempio che
faccio...”
Esse
seguitano a parlare, volgendo lo sguardo sorprese che le disturbi
nel loro chiacchierio per fare lezione.
Oh
, ma se solo alzasse la voce con sdegno, se solo desse voce alla
collera che le sale di dentro, le si accanirebbero contro, come
sia uscita la denuncerebbero alla dirigente perché ce l'ha
con loro,...
Dunque
ripete
l'invito-ordine con calma, col fare remissivo di chi è
soccombente in quel che richieda.
“
Forse
un'insegnante ebrea viveva così, torna a ripetersi, la sua
sottomissione alle brave ragazze ariane delle scuole del Reich”.
Certo,
se le vede così, almeno non si esaspera sino a soffrirne
tanto. Ritrova la dolcezza che serve. Riesce a rispettarle come
richiede l'insegnamento.
“Pensa, che
hanno in canna il colpo di grazia che può finirti”.
13
giugno 2011
La
giovane bufala
Ieri,
di domenica, la giovane bufala di Kailash non aveva fatto
rientro nella stalla con il resto della famiglia, se ne
erano perse le tracce nella giungla, presso il fiume, nelle
vicinanze dello specchio d’acqua lacustre dove invano la si
è cercata, si era smarrita, secondo il mio amico, forse
perché nella siccità generale i campi e i coltivi
sono diventati un’uniforme distesa brulla. Il mio amico, con
il padre, si stava recando nel villaggio ch’è
presso l’aeroporto di Khajuraho, dove un branco di bufali
era stato avvistato. Avrebbe usato la motorbike, mi ha
enfatizzato, richiamandosi esplicitamente al
monito di cui così non teneva conto, del sadu che in un
tempio gli aveva detto domenica scorsa di guardarsi dal dio
Shani, il Saturno indiano, che in odio alle iniziali
del suo nome per almeno otto mesi avrebbe fatto fallire ogni suo
intento economico, stesse attento soprattutto a non fare uso
di motociclette, si era raccomandato-, che le guidasse
personalmente, o che lo facesse salire in sella qualche guidatore
suo amico che gli desse un passaggio. Sulle prime
Kailash era intenzionato a non salire più che su degli
autobus, dove il dio Shani non poteva, per colpirlo, mettere
a repentaglio la vita degli altri passeggeri, poi aveva consultato
anche il pandit del villaggio, ed aveva dovuto risolversi a
lasciar perdere anche le predizioni infauste di costui,
risolvendo così lo stesso mio
sconforto in cui al telefono ero precipitato erompendo in
lacrime, nell’avvertire che i sant’uomini a cui lo
avevo indirizzato perché ne sanassero la mente, gliela
stavano paralizzando in una letargia d’intenti
disperante.“Non sono che uomini, i pandit e i sadhu,
non sono Dio, mi aveva detto l’altro ieri, stanno bene
attenti a non predire ciò in cui possono sbagliarsi, non ti
dicono se il bimbo che nascerà sarà maschio o
femmina, quando parlano hanno in mente soltanto il tuo
denaro.” “La mia bufala l’anno prossima - ha
soggiunto stamane-, potrà avere dei piccoli, e da allora
varrà venti. venticinquemila rupie, che perderò se
non la ritrovo” Kailash ed i suoi genitori avevano già
smarriti altri bufali, ma ogni volta erano stati ritrovati. Ciò
lo rincuorava, anche se di questi tempi, in cui non c’è
il lavoro nei campi, imperversano i "cior", coloro
che si fanno ladri anche di bestiame. Il mio solo
timore, quando l’ho lasciato per recarmi a mia volta a uno
scrutinio scolastico, era che nella battuta in corso potesse
venire a diverbio con il padre, contro il quale, l’ultima
volta che ci eravamo sentiti, aveva inveito sino a volere da lui
la separazione totale nella vita e negli averi, talmente gli
serbava rancore, e un odio letale, perché per il fratello
Manoi, che non gli recava alcun aiuto, era disposto a prelevare
ventimila rupie in banca, che gli sarebbero serviti a farsi le
prime stanze di una casa, laddove non si era mai prodigato in
alcuna elargizione ed aiuto per il mio amico, che presumeva
di esserne il figlio meritevole. Aveva
inveito al contempo contro il fratello, contro il proprietario
della casa di questi, contro il padre della moglie,
contrapponendomi a costoro come se io fossi il suo dio, dicendomi
che non aspettava che la mia venuta in India, Ma nel frattempo
avrebbero visto, coloro, chi fosse il vero Kailash… Non
ero alcun dio, gli ho gridato, ringraziasse i miei familiari, che
accettavano che recassi a lui ed alla sua famiglia l’aiuto
che a loro non ho concesso, forse suo padre veniva incontro al
fratello perché in me che Kailash aveva trovato chi ne
faceva le veci… A Kailash ho taciuto quanto avessi
sofferto nell’averne perso i contatti dopo tali
vaneggiamenti, che mi facevano temere qualche suo
sproposito, ho comunque ho chiesto la ragione di tali
invettive parossistiche. La sua acredine per il padre era forse
dovuta solo al favore “indebito” fatto al fratello, o
non risaliva a qualche altro motivo, al fatto che come gli altri
contro i quali aveva inveito, avessero profittato di Kailash
per risalire al mio denaro. Si, era vero che aveva prestato
denaro, senza richiedere "extramoney", ma gli era stato
restituito, non aveva dilapidato il mio aiuto. Solo a tal
punto il mio caro amico mi confidava di non essere più
quello di un tempo, che gli era capitato di arrivare a
dire finanche che voleva uccidere suo padre, da che era avvenuta
la morte di Sumit. Gli tacevo del mio corrispettivo
disastro interiore, per cui nella mia vita non esiste più
l’arte, non sopporto più alcuna forma di musica e
canto, raccomandandogli, prima che ci congedassimo,
che se si fosse profilata qualche situazione in cui potesse
entrare in alterco con il padre, l’affrontasse per
telefono. Quanto al dukan, il nostro negozio, vi aveva
continuato i lavori ultimi di intonacatura, ieri e l‘altro
ieri? “Impossible“, talmente era stato preso da
angoscia per la scomparsa della piccola bufala, per la perdita di
rupie che poteva rappresentare la sua sottrazione. Al mio
rientro, via via che le ore passavano e che Kailash non si
rifaceva vivo, l’assillo è diventata ansia,
angoscia rabbiosa, costernazione di ciò che poteva
significare il fatto che non mi richiamasse, se corrispondeva al
mancato ritrovamento della bufala, all’accadimento di un
incidente in motocicletta nella sua vana ricerca. Sarebbe
stato dunque verificato dai fatti che era sotto attacco del dio
Shani, che ogni suo sforzo ed intento era maledetto
all’origine dal suo bad kharma, che non restava più
niente da fare, per cui potessi intenzionarlo, che solo la sua
rapida fine era il suo destino auspicabile. Che bisogno ci sarebbe
stato ancora di conferme, dopo la perdita della bufala e
l’incidente occorsogli?... Ma quando in uno stato di
agitazione febbrile, rientrato a casa dal secondo scrutinio, ho
riudito finalmente la sua voce, ciò che aveva da dirmi era
la più confortante della notizie. Mentre lui e suo padre
erano intenti invano a ricercare la piccola bufala, sua madre
aveva loro telefonato dal villaggio che poco prima la bufala era
rientrata da sola nella stalla insieme a tutta la famiglia. Che
dolce, dolce lenimento delle mie angosce, mi era poi sentire
Kailash parlarmi con tale soavità infantile del mondo
animale, alle mie domande che lo intrattenevano in linea , che lo
trattenevano dal sonno quando in India era già prossima la
mezzanotte. Egli esprimeva la stessa tenerezza spietata
che aveva messo in conto, la settimana scorsa, che Lalosha, il
bufalino maschio a cui tutti vogliono così tanto bene, a
cui tutti si affezionano subito perché da tutti si lascia
avvicinare, che come un bambino è talmente
intelligente, come dà prova di esserlo nell’ottenere
dalla madre tutto il latte che le può succhiare, tra
due anni possa essere venduto a un muslim che lo faccia a pezzi
per cucinarlo. Ha saputo anni addietro di come gli hotel
del Madhya Pradesh imbandiscano carne di bufalo(,) invece di
quella di montone, indicata nei menù, per
servire magari “Lalosha byriani”. Ma aveva convenuto
che Lalosha era meglio venderlo a chi ne facesse un animale da
traino, magari nelle risaie del Chhatisgarh dove dei bufali si fa
un largo uso. E per fare festa alla bufala ritrovata,
egli non conveniva che fosse il caso di darle un nome, ad esempio
poteva andare bene “ Ananda”? Non serviva più
a niente darle un nome, mi replicava, si sarebbe dovuto
attribuirglielo fin dalla nascita, allora anche un cucciolo di
tigre, se lo sottrai alla madre e alla giungla “ he fellow
you”, ti segue ed impara ogni cosa che tu gli
insegni, ma in seguito no , con nessun animale non è
più possibile ottenere niente. E lui, il caro amico, era
disposto domani a riprendere l’intonacatura del nostro
dukan? “ I take rest”mi ha risposto, finalmente
voleva godersi il sonno che gli sarebbe stato altrimenti
impossibile, se non avesse ritrovato la giovane bufala e le
venticinque mila rupie che significava la sua vendita. Poteva
pur sempre incaricare il padre di far eseguire il lavoro ad un
masdur o ad un karigar, gli ho suggerito. Buona idea, ha
apprezzato, a quanto pare farà così procedere
i lavori, mi ha assicurato, dicendosi “ very happy”,
prima di lasciarmi per il sollievo mentale del sonno. Ed al
Monkey god, che gliela aveva fatta ritrovare, domani non mancherà
di offrire una prasad.
*
15
giugno 2011
Raffronti
“Quando
la mattina Chandu si sveglia come …, anche lui alle
sei, e anche lui ci dà una piccola sberla sul viso, non
posso non pensare a Sumit" O per Kailash sono una
dolorosa commemorazione di Sumit le parole di Vimala, quando
insiste sull’età che egli ora avrebbe, su come ora
egli potrebbe, e non potrà mai più essere. Kailash
si è quindi protratto nei più dolorosi e ingiusti
confronti. Anche Chandu non ha paura dei sadu, o degli animali,
è anche più intelligente," mi porta ogni cosa
che gli chiedo a parole, ma non mangia di tutto come Sumit” Ma
tutto lo strazio che provavo per la memoria che mi feriva di
Sumit, per come Kailash infieriva sul suo stesso dolore, non ha
evitato che alle parole seguenti egli mi alterasse, quando è
giunto al punto da riferirmi, senza alcun sconcerto,
che il padre ieri gli aveva proposto di fare del nostro dukan una
stalla a proprio tornaconto, senza curarsi di che cosa
potessi io pensarne, benché io ne abbia sostenuto
ogni spesa, e senza alcun riguardo per gli sforzi che vi ha
sostenuto il figlio nell'edificarla il meglio che fosse possibile.
Mi ha poi intimamente incollerito che ogni mia sollecitazione a
considerare come cosa non sua, ma in condivisione, tutto il
denaro che seguito a trasmettergli, affinché lo spenda e lo
conceda con oculatezza, e non venga a mancare quando potrebbe
occorrere per attività più proficue di quelle che
adesso si perseguono, l’abbia vanificata semplicemente
dicendomi che ero un suo fratello. Sempre di più
lasciandomi ogni cosa da sgrovigliare al mio arrivo in India.
, *
15
giugno 2011
Chandra
grahan
Stasera,
avventurandomi a digitare il suo numero , certo che fosse
disattivato, ho sorpreso Kailash ancora sveglio nel cuore
della notte. Era a causa del chandra grahan, dell’eclisse di
luna che seguiva per televisione, ove apparivano le scene delle
puja e delle immersioni che in concomitanza con la scomparsa della
luna si compivano nel Gange ad Haridvar, Varanasi, Calcutta. Per
timore delle tenebre il mio amico non si voleva inoltrare nemmeno
sul terrazzo di casa, per accertare dalla sua spianata se si
poteva ancora o già avvistare di nuovo la luna. Tutto
intorno in Khajuraho regnava il silenzio, nessuno che fosse
accorso ad immergersi nei talab del villaggio, nel qual caso egli
si sarebbe unito alle immersioni rituali. E nel cortile di
casa? “ Io non vi vedo nulla in cielo. E nella tua città,
in Italia? "Se attendi qualche minuto scenderò nel
cortile, per le strade dintorno. Sarebbe meglio che potessi
raggiungere i laghi dove il cielo è più aperto” Ma
oltre il cortile, tra i tetti delle case, sulle strade e gli
slarghi delle piazze , nessuna luna appariva nei cieli. Era
solo un’illusione, ho appreso dai notiziari, al mio rientro,
che l’altezza di tetti e palazzi ne imprigionasse o
segregasse la vista, dove il chiarore sembrava diffonderne il
plenilunio. “ No more moon,” anche in India, da
Khajuraho mi accertava Kailash, che nel frattempo aveva
trovato il coraggio di salire e ridiscendere dal terrazzo. Ma
quando la luna fosse riapparsa anche nei miei cieli, mi si è
raccomandato che facessi una doccia. Mi ha inoltre pregato che
recitassi il mantra eccelso di Shiva “ Om namah Shivaya”
“ Om Namah Shivaya” “Om namah Shivaya” “
Sia fatta la tua volontà, mi arrendo a te , Shiva, mi
arrendo a te Shiva” E domattina Vimala, Chandu, Ajay,
Poorti, nessuno di casa potrà toccare cibo senza aver prima
fatto la doccia.
*
19
giugno 2011
Amico fragile
“Il
corpo è stato bruciato ieri a mezzogiorno”, presso la
dimora nel villaggio di Srinagar , vicino a Mahoba, dove lo zio di
Ashesh viveva poveramente. E’ deceduto improvvisamente la
notte dell’ eclisse, a poco più di quarant’anni
di età, in prossimità di Rajnagar, mentre era in
viaggio. Dei conati di vomito, e di li a poco la sua
vita è finita. Kailash l’altro giorno ha
presenziato in Rajnagar alle scene di cordoglio , ieri
nella casa del morto alle esequie e alla cremazione, senza che
nessuno lo distogliesse da tale ufficio, per salvaguardarlo
dal trauma che i funerali hanno inevitabilmente originato in
lui. Si era astenuto dal vedere il cadavere, per non esserne
turbato nei sogni, gli era di sollievo pensare che l’uomo
fosse morto pur giovane senza lasciare figli, ma lo strazio del
cordoglio, del pianto della moglie e delle donne, l’aveva
fatto ritornare a quei giorni, nella sua casa. “ C’erano
molti che piangevano, piangevano, o che restavano in silenzio,
come nella mia casa, quando è successo ciò che sai
che è successo, o alla morte di mio nonno “. Mi
aveva telefonato non appena si era ritrovato a casa, al rientro,
perché lo aiutassi a pensare ad altro, parlandogli del
nostro dukan, del mio ritorno in India, di dove avremmo potuto
recarci in viaggio. “ Mentre do l’intonaco,
e mi preoccupo dei lavori, la mia mente ha da fare e pensa ad
altro…” Abbiamo così discorso di Sanchi, di
Bimbekta e Pachmari, dove potremmo andare con
Poorti ed Ajay, gli ho prospettato Hyderabad, Bijapur, Bidar,
quali località in cui recarci nel Sud dell’India, per
poi rientrare via Hampi e Goa, o Kolkata e Darjieling, oppure il
Rajashtan e il Gujarat, o di risalire il Gange
nell’Uttaranchal. Nell’attesa che mi ricontattasse,
da che, giovedì sera, mi aveva chiamato solo dopo che era
rientrato da Rajnagar, perché non restassi sconvolto
al sentire le grida di pianto di chi vegliava la salma, la mia
apprensione per la sua sorte mentale si era tramutata nella
desolazione dell’attesa di risentire squillare il telefono,
a una sua chiamata, nell’esasperazione di non poterlo
chiamare a mia volta, della consapevolezza che il risparmio
del costo di una telefonata, o della sua recezione, da un altro
stato dell’India che il madhya Pradesh, contasse per lui più
del risparmio della sofferenza in cui aveva trasformato la durata
dei giorni, al punto che meditavo di recedere da tutto, da
tutto, finchè, come l ho risentito farsi vivo, ogni
malumore si è dissolto all’ istante nella compassione
per il suo stato mentale, per la sua fragilità
vulnerabile che tornava a cercare il mio soccorso. Ajay ora è
già nel villaggio natio, dove Kailash lo raggiungerà
domani, di domenica, per seguitare l’ intonacatura delle
pareti del dukan, in attesa che a giorni sopraggiunga
anche Ashesh, per i rangoli, i disegni parietali di cui
ornamenterà il negozio, una volta che gli sia stata
praticata una seconda rasatura dei capelli, dopo quella per
la morte della nonna.. Meglio distoglierlo dall’afflizione
in cui è ricaduto nel suo ambiente famigliare, da un
villaggio, quello di Srinagar, in cui i suoi coetanei si ritrovano
presso le pompe d’acqua per consumare marijuana con pipe di
creta. Quanto alle nostre attività in corso
d’interruzione costante, che Kailash provveda almeno a
finire i lavori di intonacatura e di tinteggiatura delle pareti,
che provveda alla vendita del grano, per poter disporre già
al mio arrivo delle migliaia di rupie che potrebbe spendere per le
forniture del negozio, e depositi il ricavato in banca, insieme al
mio acconto che è già accreditato, potrebbe così
disporre di un bancomat per pagare gli acquisti delle merci
che occorrono in negozio senza impiegare e rischiare di perdere
contante. Comunque sia, comunque si decida, devo
accettare il mio amico in ciò che è capace e in
grado di fare, in ciò che ritiene o teme di fare,
quali che siano le inavvedutezze, gli stati di soggezione o le
paure che dettano le sue scelte, devo aprirmi con i sensi del
cuore a tutto ciò che ha da darmi, per contraccambiarmi,
scongiurando che si tramuti in una tortura per entrambi, quando
sarò in India, il mio rifiuto del suo modo di essere e di
fare, in ragione del principio che così non si
attiene a ciò che reputo il suo bene, non farei che
alimentare la mia autocondanna, in odio a me stesso, che l’aiuto
fallimentare del mio attaccamento sia la sua distruzione
umana.
*
Arnaud
Corbic Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer Due visioni
dell' uomo “ senza Dio” a confronto. Introduzione
di Ugo Sartorio Edizioni Messaggero Padova 2011, pagine 91, 8
euro.
Nel suo ammirevole scritto
breve “Albert
Camus et Dietrich Bonhoeffer,
Due visioni
dell’uomo senza Dio a confronto”,
risalente al 2002 e tradotto e pubblicato in Italia da Edizioni
messaggero, Padova, nel 2011, con introduzione di Ugo Sartorio,
Arnaud Corbic, ancor giovane filosofo e teologo francese,- è
nato nel 1969-, già professore di filosofia contemporanea
alla Pontificia Università Antonianum di Roma, pone a
raffronto l’umanesimo dell’ateismo dello scrittore
esistenzialista francese e l’umanesimo della fede del grande
pastore protestante, morto impiccato dai nazisti nel 1945, e per
illuminazione reciproca perviene ad un incontro inatteso - (
“Rencontres de deux humanismes” è il
sottotitolo originario in francese ),- almeno per chi non è
persuaso, o non ha presente, che l'ateismo moderno possa essere
un'eresia cristiana1
L'incontro
tra due pensatori, “che, per più motivi, taluni
potrebbero ritenere opposti a priori”, ha in radice che
l’ateismo dell'uno e la fede cristiana dell’altro sono
originati dal rifiuto e dalla ricusazione di una concezione
“religiosa”di Dio che, per lo stesso Corbic, non è
l’ interpretazione autentica della fede cristiana confessata
nel Credo.
Secondo
Camus il cristianesimo è la fede in un Dio il cui Essere è
al di fuori di questo mondo, in un “retro-mondo” che è
radicalmente altro rispetto ad esso, è la speranza in
un’altra vita, la vera vita , cui si ha accesso solo alla
fine di quella terrena, per meritare la quale occorre negare la
vita presente e disistimarne i beni, fuggire il mondo e
disprezzarlo
Per
Camus l’affermazione della dignità dell’uomo,
della giustizia e della “fedeltà alla terra”
che è insegnata dallo Zarathustra di Nietzsche, l'adesione
alla realtà concreta e finita di uomini e cose, significa
necessariamente il rifiuto del Dio del Cristianesimo, che è
la negazione e la svalutazione assoluta di questa vita, in cui
consiste per Camus la nostra realtà originaria ed ultima
Per
Bonhoeffer, invece, lo stesso Dio dell’ Antico Testamento
benedice questo mondo, ha pronunciato “un sì profondo
“ nei suoi confronti, e chiunque “ fugge il mondo non
trova Dio, un altro mondo, cioè il proprio mondo, migliore,
più bello, più tranquillo, un “retro-mondo”.
Chi fugge la terra per trovare Dio troverà solo se stesso”
(pg 27), “ è al centro della nostra vita che Dio è
al di là” (pg. 28, in nota).
Dio e Mondo, amore di Dio e
della sua eternità e amore terreno, ancor più in
virtù del vincolo dell’Incarnazione sono “
indivisi eppure distinti”, come lo sono in Cristo natura
umana e natura divina , sono cantus firmus e contrappunto di una
unica polifonia, asserisce Bonhoeffer mirabilmente( vedi a pg
35)2.
“ La terra rimane la nostra madre, come Dio rimane il nostro
Padre, e soltanto colui che rimane fedele alla propria madre,
verrà da questa riconsegnato nelle braccia del Padre”
( pg.27).
“Già
nell’al di quà si vive l’al di là e la
vittoria sulla morte , (pg,26) , si impara a credere quanto si è
più fedeli alla terra, e agli esseri terreni, (vedi anche a
pg 62: “ Più tardi ho appreso - e continuo ad
apprenderlo anche ora- che si impara a credere solo nel pieno
essere-aldiquà della vità”), appunto come
esige l’umanesimo di Camus.
Al credente è richiesto
di amare e trovare Dio “precisamente in ciò che egli
ci dà,3”
( pg.35), nelle cose penultime cui ci rinvia sempre la realtà
ultima di Dio4,
grazie alle quali soltanto si accede alla vita eterna e al Regno
di Dio.
“Solo
quando si amano la vita e la terra, al punto tale che sembra che
con esse tutto sia perduto e finito, si può credere alla
resurrezione dei morti e a un mondo nuovo…”( pg. 29).
L’uomo,
secondo l’ateo Camus, nella sua fedeltà alla terra
tuttavia non va riconciliato con l’assurdo del’esistenza
terrena, tanto meno si può fare dell’assurdo “il
trampolino per l’eternità,” nella conversione
che è il salto- kierkegaardiano- della fede che sacrifica
la ragione e la rivolta umana contro l’assurdo, contro il
male del dolore innocente.
Ma
anche per Bonhoeffer non è l’assurdo , la sventura,
il luogo obbligato dell’incontro con Dio, come se soltanto e
soprattutto aprendosi una via nella fragilità dell‘uomo,
in relazione alla morte e alla colpa, Dio potesse essere
introdotto nell’esistenza umana, piegandola all’
incomprensibilità consolatoria dei suoi disegni
imperscrutabili.
“
Io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro,
non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla
morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell'uomo. Giunti ai
limiti mi pare meglio tacere e lasciare risolto
l'irrisolvibile”(pg.45)
C’è
una via positiva che conduce a Dio, se Dio donatore di vita è
al centro della realtà creata pur essendone al di là.
“
Io voglio però arrivare a questo, che Dio non
venga relegato di contrabbando in qualche ultimo spazio segreto,
ma che si riconosca semplicemente la maggior età del mondo
e dell'uomo, che non “si taglino i panni addosso “
all'uomo nella sua mondanità, ma che lo si metta a
confronto con Dio nelle sue posizioni più forti,....”(pg
47).
Il
Dio che è chiamato a rispondere e a risolvere l’assurdità
del mondo, nella concezione ateistica di Camus è il Dio che
è chiamato in causa perché è ritenuto
onnipotente, responsabile inevitabilmente del male nella sua
onnipotenza. Ma il Dio che è amore trinitario, onnipotente
creatore del mondo e resuscitatore, secondo la rivelazione
cristiana disvelata da Bonhoeffer è l’onnipotenza
dell’amore, e l’onnipotenza del suo amore, perché
l’uomo possa amare Dio gratuitamente, dello stesso amore con
cui preventivamente è amato da Dio, rispondendo “
liberamente con amore al proprio amore”, e non sia costretto
a riamarlo, assume liberamente l’impotenza nel Figlio, e
lascia libero il mondo e l’ uomo di non riconoscerlo, lascia
che a immagine e somiglianza del Figlio l’uomo ne patisca
anche lo stesso dolore innocente, che conosca l’abbandono
del Padre, e grazie a questo Suo ritiro dal mondo diventi così
capace dell’amore gratuito divino,che vince la morte e in
cui dal Padre siamo resuscitati
“
Dio si lascia scacciare fuori dal mondo sulla croce,
Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così
egli sta al nostro fianco e ci aiuta. E' assolutamente evidente in
Matteo 8,17, che Cristo non aiuta nella forza della sua
onnipotenza, ma in forza della debolezza della sua sofferenza!
...solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si
può dire che la descritta evoluzione verso la maggior età
del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine
di Dio, apre lo sguardo dell'uomo verso il Dio della Bibbia, che
ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza”(pg
56). “Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come
persone che senza Dio fanno fronte alla vita. Il Dio che è
con noi è il Dio che ci abbandona.... Il Dio che ci fa
vivere nel mondo senza l'ipotesi Dio è il Dio davanti al
quale permanentemente stiamo” (pgg.57-58).
Ma
così siamo chiamati a vivere come secondo l’umanesimo
ateistico di Camus deve vivere l’uomo restituito a se
stesso, di quell’amore gratuito, e disinteressato, che nella
sua prospettiva senza fede e disperatamente solidale contro
l’assurdo, secondo lo scrittore esistenzialista francese è
garantito solo dall’inesistenza di qualsiasi Dio giudice e
castigatore, per il timore dei cui castighi o per la speranza
della cui ricompensa, in vista della propria salvezza i cristiani
si presterebbero per interesse a praticare opere di carità.
Ma per Bonhoeffer tale
religiosità, che finalizza individualisticamente alla
salvezza dell’anima le opere di carità, non è
conforme alla fede nella rivelazione attestata dalle Scritture,
che raccomanda invece la gratuità disinteressata dell’amore
verso il prossimo, cui è analoga la solidarietà
fraterna degli uomini propugnata da Camus, come in Matteo 10, 8 “
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (o in
Matteo 25, 31-40, ove solo perchè gratuitamente abbiamo
fatto ciò che abbiamo fatto per i fratelli più
piccoli, senza cercare la nostra salvezza, inconsapevoli di farlo
a Cristo, Egli può dire che salvificamente: “ ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”).5
Tale
servizio disinteressato del prossimo secondo Camus deve essere
assunto unicamente perchè è il solo atteggiamento
autenticamente umano, per sola simpatia, semplicemente per essere
un uomo, non già per realizzare la figura ideale, del tutto
speciale, di un santo o di un eroe.
E'
forse in opposizione al cristianesimo tale ripulsa del
perseguimento di modelli di santità e di eroismo?
Non
è così, secondo la ripresa di Bonhoeffer della fede
cristiana: come il Cristo non si è rivelato in un
sacerdote, ma si è fatto semplicemente uomo, pienamente
uomo, secondo Bonhoeffer essere cristiani allora significa essere
come Gesù non un tipo d’uomo religioso particolare,
distaccato dagli altri nell’ambito del sacro, ma
semplicemente uomini, pienamente uomini, “ con “ e
“per gli altri“, anche nelle situazioni più
inumane, così come in Gesù. Dio stesso si è
rivelato in un uomo “con” e “per gli altri.”,
svuotandosi di se stesso e prendendo forma di servo, in aspetto di
uomo umiliando se stesso e facendosi obbediente al Padre fino alla
morte, “ anzi alla morte di Croce”, come proclama
l'inno cristologico della Lettera di Paolo ai Filippesi.
“Essere
cristiano non significa essere religioso in un determinato modo,
fare qualcosa di se stessi ( un peccatore, un penitente o un
santo) in base a una certa metodica, ma significa essere uomini:
Cristo crea in noi non un tipo d'uomo, ma l'uomo. Non è
l'atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla
sofferenza di Dio nella vita del mondo. Questa è la
metanoia: non pensare anzitutto alle proprie tribolazioni, ai
propri problemi, ai propri peccati, alle propre angosce, ma
lasciarsi trascinare con Gesù Cristo sulla strada
dell'evento messianico” (pg 61).
“
Così il nostro diventar adulti ci conduce a
riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione
davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere
come persone che senza Dio fanno fronte alla vita...Davanti a Dio
e con Dio noi viviamo senza Dio” (pg.64).
Non
già dunque Dio o l’uomo, ma Dio e l’uomo, in
Cristo, e con Cristo, senza separazione e confusione, indivisi, ma
distinti. Come atei, o credenti, con gli uomini e per gli altri
uomini, comunque.
1Con
la solita perentorietà così sostiene Fabrice
Hadjadi” L'ateismo moderno non è che uno slittamento
dal Dio trascendente al dio inesistente; è anche la deriva
di una devozione centrata sull'umanità di Cristo verso una
religione dell'umanità tout
court.
” ( La fede dei demoni ovvero il superamento dell'ateismo,
Marietti, Torino, 2011, pg.230).
2(
“indivisi eppure distinti”, senza separazione né
confusione ( cfr.a pg. pg 36), secondo la formula del concilio di
Calcedonia del 451, cui Bonhoeffer esorta ad attenersi, e come lo
sono uomo, mondo e Dio nella concezione cosmo-teandrica di R.
Panikkar )
3“
se a Dio piace di farci
provare una travolgente felicità terrena non bisogna essere
più pii di lui e guastare questa felicità con idee
tracotanti e pretese provocatorie e con una falsa fantasia
religiosa incontrollata incapace di accontentarsi di ciò
che Dio dà. Dio non farà mancare a chi lo trova e lo
ringrazia nella propria felicità terrena, i momenti in cui
gli sarà ricordato che tutte le cose terrene sono qualcosa
di provvisorio, e che è bene abituare il proprio cuore
all'eternità” ( pgg. 3 5-36)
4
Va così nello
spirito di Bonhoeffer è da intendersi lo stesso amore del
prossimo, il detto evangelico”in verità vi dico: Ogni
volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”
5E
in tal senso Raimon Panikkar confidò a Raffaele Luise di
avere bonariamente provocato le suore di madre Teresa “
Tutto quello che fate per amore di Cristo non vale niente”
dicevo loro. “ Signore, quando ti abbiamo visto nel povero e
nell'affamato? Se ti avessimo visto, li avremmo soccorsi.!”
No. Se non lo fai per amore di quella persona precisa che
incontri” dice emozionandosi” non vale”. (
Raimon
Panikkar, profeta del posdomani, Edizioni Paoline, 2011, pg.40).
Raimon
Panikkar, Vita e Parola La mia opera, Jaca Book 2010
Vita
e parola La
mia opera,
raccoglie tutte le varie introduzioni scritte espressamente da
Raimon Panikkar, per i vari volumi e tomi della sua Opera Omnia in
corso di pubblicazione presso Jaca Book, poco prima della sua
recente scomparsa nell’agosto del 2010, e può
rappresentare la migliore introduzione al pensiero del grande
teologo, o una sua preziosa sintesi, anche per chi intenda
riprenderne i lineamenti e l’ispirazione di fondo.
Coloro,
poi, che attenendosi al principio “ Esaminate ogni cosa,
tenete ciò che è buono”, (1 TS, 5, 21),
nell’accesso primario all’opera di Panikkar, o ad essa
di ritorno, muovano dai testi spirituali di quei pensatori
religiosi che per innovare il pensiero cristiano, in sintonia con
lo spirito dei tempi, si sono contrapposti polemicamente ai
magisteri ecclesiastici, vi troverà il frutto di una
mirabile saggezza che tutto ha anticipatamente pensato, recepito e
ricondotto nell’alveo, di quanto nell’alveo poteva
essere recepito e raccolto, trasformandone le “ tensioni
distruttive in polarità creative”(pg.36).
Raimon
Panikkar, al contempo cristiano, induista e buddista per
tradizione familiare, essendo figlio di madre cattolica, della
borghesia catalana, e di padre aristocratico indiano, nel saggio
Filosofia e teologia, di questa raccolta, rivela che è
la tensione originaria tra le polarità di tali diverse
vocazioni religiose che l’intera sua esistenza ha cercato di
rendere creativa anziché distruttiva, assumendo tali
polarità come complementari invece che esclusive l’una
dell’altra, nel tentativo di pervenire a comprenderle
insieme e di realizzarne la comunione nella sua spiritualità
personale, in un raccordo tra cristianesimo, induismo, e buddismo,
che procedesse così come all’interno dei loro
orizzonti di fede cristiani, induisti e buddisti, comprendono le
proprie credenze.
Tale
esperienza intrareligiosa è stata intrapresa da Raimon
Panikkar in spirito di fedeltà al Cristo del cristianesimo
e nel rispetto dell’assunto, al contempo, di non violare
altre tradizioni religiose, perseguendo alla loro luce l’esame
critico della cultura contemporanea (pg. 102)
“
E una volta chiesi a Paolo VI, con il quale ho avuto
più libertà di rapporti, se per essere cristiano uno
deve essere spiritualmente semita e intellettualmente cristiano,”
ebbe a confidare a Raffaele Luise, come questi rivela in Raimon
Panikkar, profeta del pisdomani, Edizioni Paoline 2011, pgg.
67-68).
Se
è il Dio evangelico trinitario il Dio in cui si è
consolidata consequenzialmente la sua fede, è perchè
in esso Panikkar è pervenuto alla comprensione reciproca
delle sue religioni di appartenenza, in quanto in esso, poiché
è Trinità, Spirito, nella suo essere Amore
relazionale, e non solo Logos razionale,- a differenza del Dio dei
greci e della generalità dei filosofi occidentali-, può
essere condotto ad unione tutto ciò, che se si è
distaccati dalla sua rivelazione interiore, si tende invece a
pensare che sia separato, integrandolo in un’unione di
polarità che permangono distinte ma che non sono separate,
innanzitutto nell’“unione, con distinzione, ma senza
separazione, tra umano e divino” nell’”evento
cristico”.
“
L’evento cristico unisce la trascendenza (
divina) con l’immanenza (umana), ma senza cadere in alcun
monismo- spirituale o materiale-, né in alcun dualismo
metafisico. Non solo Cristo è totalmente divino e
totalmente umano; anche l’uomo è chiamato ad essere
pienamente umano e pienamente divino”( pg.32).
Oltre
ogni dualismo, secondo lo spirito indiano advaita-adualistico-, la
spiritualità religiosa è l’esperienza
integrale della vita nella sua totalità, ossia è
l’esperienza dell’interpenetrazione reciproca di Dio e
uomo e mondo, (secondo la concezione cosmoteandrica di cui Raimon
Panikkar si fa continuatore), in cui l’uomo è
coinvolto nella sua pienezza, nella trinitarietà umana di
corpo, mente razionale e spirito,- o nell’essere
egli,altrimenti, inseparabilmente, corpo, ( soma), psiché,
(spirito), polis ( società), e cosmo, una quaternità
in cui in noi si trova e si incontra il divino, tanto immanente
quanto trascendente.
“Dio-
in tal senso- non è altro, un altro, per quanto grandioso
lo si possa immaginare. Dio è tanto trascendente quanto
immanente” (pg.24). Nell’essere tutto in tutte le cose
“Dio non sta au dessus de la melée
fuori da tutto, separato. Anche Dio sta all’interno di
questa interpenetrazione del tutto con tutto”( pg.64)-
dell’eterno con il tempo, nel presente della escatologia
realizzata della “tempiternità”
L’esperienza
integrale in cui l’uomo, in quanto spirito incarnato, gode
la pienezza della vita in cui si interpenetrano reciprocamente
uomo, mondo, e Dio, come in Dio, in sé, sono
perichoreticamente interpenetrate le persone del Padre, del Figlio
e dello Spirito-, è la mistica, nel senso proprio del
termine, in cui è riposto per Panikkar il futuro del
cristianesimo, è l’ espressione della fede che
proviene dalla stessa vita e di cui ogni uomo è capace,
quando in lui pervengono ad un’unione trinitaria il corpo,
nel piacere sensibile, la mente, come esperienza intellettuale, e
lo spirito. Lo Spirito è il divino del cuore che in noi, in
quanto amore, come identità relazionale, sente di essere il
tutto che è tutto se stesso in tutte le cose ( sulla
purezza del cuore che presso tutte le culture porta all’azione
giusta, Panikkar scrive a pg 86 in particolare), e che nell’amore
del prossimo perviene ad amare il prossimo come un’altra
parte di se stesso (pg.23).
Il
Dio che è Spirito, in quanto è Amore, come Amore non
è soltanto Logos, Verità razionale noetica, e dunque
non è soltanto Essere intelligibile, un Essere totalmente
intelligibile, che si rispecchia nella sola coscienza logica
(pg.80), lo Spirito, Sorgente apofatica, “ non inferiore né
differente dal logos, ma neppure riducibile ad esso”( pg.83)
né ad esso subordinato, in tale sua irriducibilità
alla logica razionale è la ragione d’essere stessa
della incommensurabilità del reale e della sua non
trasparenza, della rivelazione della pluralità del reale
nei veli di una pluralità di credenze e religioni,( pgg.
78-80), dell’impossibilità, dunque, di una teologia,
o religione generale, che sia universalmente compresa ed
abbracciata, come è inattuabile qualsiasi corrispettivo
pensiero unico,- Ma lo stesso Dio che è Spirito, poiché
in esso tutto è in relazione con tutto, è la
scaturigine stessa della possibilità nello spirito
medesimo, e non già nella ragione soltanto, di una mutua
fecondazione fra le diverse saggezze dell’umanità”,
di cui il pensiero di Panikkar è così alta
espressione. interculturale e interreligiosa”, in seno al
vincolo che nella tradizione cristiana “è lo Spirito,
in quella hindu brahman”, in quanto simbolo, mito, culto,
“saggezza dell’amore”1
1
In scritti
in cui la lucidità critica si fa a volte aridità di
tono, è mirabile tale illustrazione esemplare della
superiore saggezza spirituale di Salomone “ Le nostre molte
soluzioni vogliono tagliare il bambino in due quando non possiamo
averlo per noi. La verità è nostra, come lo è
il bambino. Ma per mantenere vivo il bambino, per mantenere viva
l’umanità, per mantenere viva la polarità
delle realtà umane, per mantenere viva la buona fede delle
persone, per mantenere viva la libertà come la dignità
più elevata, non possiamo giudicare con la Ragione
soltanto.
Salomone ci ha fatto vedere che il suo giudizio finale era quello
corretto, perché quando interviene l’amore, quando il
bambino è tuo, tu preferisci perdere, tu preferisci perfino
essere battuto, ma il bambino deve vivere”(pg.82).
Enzo Bianchi
Una lotta per la vita
Edizioni Paoline 2011
La
lotta per la vita di cui Enzo Bianchi affronta la decisività
nella recente opera omonima, è la lotta spirituale della
vita cristiana contro i peccati e le tentazioni capitali che
contrastano il compimento del nostro essere uomini.
Ogni
personalità umana deve sostenere e vincere tale lotta per
realizzarsi pienamente, ma può sostenerla e vincerla solo
se lascia fare alla grazia di Dio che agisce nel suo “cuore”.
Nell'accezione
che il termine assume per la Bibbia e per i padri della Chiesa, il
cuore è la vita umana nella sua totalità, di cui è
la spiritualità mistica che esprime l'esperienza integrale:
“ sede della vita sensibile, della vita affettiva e della
vita intellettuale, il cuore contiene gli elementi costitutivi di
ciò che noi chiamiamo” persona “ ( citazione da
A. Guillaumont, “ Le sens des noms du coeur dans
l'antiquité”, pg.33).
L'uomo,
nel suo spirito, in virtù di ciò che diventa grazie
all'ascolto della Parola e alla vittoria sulla potenza del male
che consegue con il concorso dello spirito di Dio, può
pervenire allo “stesso sentire che fu in Cristo Gesù,”
al punto di poter dire, come Paolo, “Non sono più io
che vivo, ma è Cristo che vive in me”( Galati 2, 20),
che lo stesso “ vivere è Cristo” ( Filippesi,
1, 21). “ Nella mia lotta sii tu a lottare” invocando
come l’autore del Salmi ( Salmi 43,1; 119,54).
In
tal senso Enzo Bianchi afferma ciò che della lotta
spirituale sostiene Mastro Eckhart, allorché ci avverte che
“non è attraverso le vostre azioni che sarete
salvati, ma attraverso il vostro essere. Non è per il
vostro fare, ma per ciò che siete che sarete giudicati”.
Solo l’assimilazione del nostro essere a quello di Cristo,
infatti, solo l'assimilazione al suo amore nell’incessante
arte di riprendere la conformità a Cristo”( pg.62),
il consentire alla misericordia di Dio confidando nella costante
accessibilità del bene ad ogni nostra ricaduta nel peccato,
può dettarci il vero agire salvifico che salva con noi il
nostro prossimo.
Poiché
la lotta per la vita è la predisposizione del nostro essere
spirituale alla “grazia di Dio che, attraverso la morte
dell'uomo a sé stesso, agisce in lui e lo vivifica”
(pg 57), tra le otto tentazioni peccaminose capitali della
tradizione cristiana risultano particolarmente gravi quelle che
precludono l'apertura dell'uomo alla grazia, l'orgoglio,
innanzitutto, la vanagloria e l' avarizia che gli sono affini.
L'orgoglio,
che è la “radice di ogni male”, secondo le
parole di Gregorio Magno, presuppone la convinzione dell'uomo di
essere l'origine primaria di se stesso, la fonte del bene di cui
ha il senso ed è capace, e consiste, pertanto,
nell'“autocostituirsi dell'io come signore di tutto e di
tutti”(pg 223), che ne alimenta la presunzione di potersi
fare autosufficiente rispetto a Dio, al mondo e agli uomini.
Come
afferma Evagrio Pontico, nel passo che Enzo Bianchi premette alla
disamina dell'orgoglio, “ Il demone dell'orgoglio è
quello che conduce l'anima alla caduta più grave. La
incita, infatti, a non riconoscere l'aiuto di Dio, ma a credere
che è lei stessa la causa delle proprie buone azioni, e a
guardare dall'alto i fratelli, ritenendoli degli stupidi, dato che
nessuno di loro sa quanto lei”(pg.219).
La
vanagloria, a sua volta, è la ricerca della propria
affermazione orgogliosa in ciò che si fa “ per
piacere agli uomini” ( Efesini 6, 6), anziché in ciò
che si è agli occhi di Dio. “ Come potete credere,
Voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la
gloria che viene solo da Dio?”( Giovanni 5, 44.).
L'avarizia
è per parte sua imparentata con la vanagloria, e
l'orgoglio, in quanto l'avaro “ si isola, non solo perché
non condivide, ma perché accumula nella volontà di
non dipendere da nessuno. L'avarizia è ricerca di un domani
egoistico e garantito, un domani in cui bastare a se stessi, in
cui gli altri sono esclusi di fatto dal nostro orizzonte”
(pg.148).
In
una sorta di demoniasi, di perichoresi e di controcreazione
antitrinitaria, non c'è tentazione o peccato che non si
ingeneri e che non proceda l'uno dall'altro, che l'uno all'altro
non inerisca, ma lo snaturamento nella Legione delle Persone
dell'Amore trinitario, e della loro creazione continua., opera
sempre contro la creatività divina, nel separare ciò
che essa pone in comunione, e nel confondere ciò che in
essa di indiviso permane distinto, a iniziare dall'unione in
Cristo di umano e divino, per originare mimeticamente le comunioni
e le condivisioni apparenti, del male che distruttivamente oppone
ed oscura.
Radicato
nell'orgoglio, soggiacente all'individuazione di tre passioni
madri – la libido amandi, possidendi, dominandi,- madri
delle otto tentazioni o loghismoi che ne derivano, - ingordigia,
lussuria, avarizia, collera, tristezza, acedia, vanagloria,
orgoglio- su cui nell'economia di questa presentazione non ci
soffermiamo-, secondo l'analisi di Enzo Bianchi sussiste dunque un
peccato che è presente in ogni peccato (abbarbicato al
quale l'anima resiste al dono di Dio e all’azione di
grazia), la secessione da Dio e dagli uomini inoculata dall'amore
di sé della carne (sarx ) paolina, la brama che ci “
oppone al desiderio profondo di Dio, quello della comunione tra sé
e l’umanità, e degli uomini tra loro”(pg. 71).
L’affermazione di sé viene allora snaturata nella
negazione degli altri, nell'agire a proprio danno contro gli
altri, anziché con gli altri e per gli altri, (cfr pg 23).
1
(nota 1)
A
tale comune, grande peccato,2
(nota 2) portando a consequenzialità ulteriore il discorso
di Enzo Bianchi, può essere ricondotta la stessa acedia,
che ha i caratteri dello stato di perdita del senso che la vita è
amore come donazione, quando si diventa inani perché si è
divenuti incapaci di condivisione con gli altri del proprio bene.
La tristezza, che è invidia e gelosia, può
complementariamente essere interpretata come l' incapacità
di condividere e di ricevere il bene degli altri, mentre la
vanagloria appare la cattiva condivisione, assoggettata e
assoggettante, che procede dall'affermazione di sé per
imporsi agli altri, dei cui giudizi e pregiudizi si è
succubi nel proprio fare ed apparire. Tale vanità si
configura anche come peccato di omissione, quando per trarne più
fama ci si ritrae dal mondo ( secondo l' acuta analisi di Cassiano
a pg. 209 dell'opera in esame ).
Secondo
l'esegesi spirituale di Enzo Bianchi così essenzializzata,
il peccato originale è il prototipo esemplare del peccato
d'orgoglio che figlia il peccato che è in ogni peccato.
Adamo nel suo peccato non ha accettato i propri limiti, ha voluto
farsi come Dio in un atto di affermazione appropriativa del suo
Io, in cui ha disobbedito a Dio perché ciò che ha
compiuto lo ha reso antitetico alla vita e alla creatività
divina, al farsi dono di sé della Sua natura di Amore
trinitario. Il peccato di Adamo, mosso dal desiderio di
immortalità, di onnipotenza e di onniscienza, allorché
in noi si riproduce è l'amore di sé, del nostro Io,
che per la paura della morte ci sollecita alla ricerca della vita
in ciò che è peccato e che infonde invece sempre più
morte, il peccato originale si riproduce consequenzialmente nella
nostra volontà di salvarci il cui anelito ci fa invece
sempre più perdere la nostra vera vita, nell'appropriazione
e nel geloso possesso delle cose di questo mondo di cui si diventa
idolatri.
Nelle
varie forme di idolatria, alla realtà subentra la
falsificazione dell'immaginario,3
(nota 3) che induce l'uomo a sentirsi tanto più illimitato
e permanente, quanto più ha e quanto più domina, in
realtà quanto più si fa mortale e caduco,
assimilandosi all'impermanenza delle cose di questo mondo di cui
si va appropriando e da cui va dipendendo (pg. 72).
L'orgoglio
adamitico di farsi come Dio nella divinizzazione dell'Ego, ci pone
in antitesi al nostro vero essere, il Cristo che vive in noi, al
nostro diventare sempre più umani diventando sempre più
a sua somiglianza. La nostra vera divinizzazione, l'entrare in
comunione con la gioia di Dio nella vita eterna, esige al
contrario il morire al proprio Io ed ai suoi attaccamenti, alle
sue identificazioni appropriative, il perderlo, l'Io, con la
propria vita, nella donazione gratuita dell'essere che
gratuitamente ci è stato donato, in obbedienza d'amore
all'essere Amore della creazione divina.4
()
(nota 4
E'
quanto, in un contrappunto mirabilmente tracciato da Bianchi nella
sua trama analitica, ci insegnano la lotta vittoriosa di Gesù
contro le tentazioni di Satana, in virtù della Sua
obbedienza al Padre e dell'accettazione della finitezza della
propria incarnazione, e l'inno cristologico sublime della Lettera
di Paolo ai Filippesi. In tale contrappasso, all'impossessamento
esclusivo tramite il quale Adamo suppone di farsi come Dio, alla
sua divinizzazione dell'Io che presume di scongiurare la morte,
mentre proprio così ne diventa la preda perduta, è
contrapposto l'autosvuotamento in Gesù del suo essere
divino, la perdita della vita che la salva in virtù
dell'amore gratuito, che solo può vincere la morte, la
kenosis di patire la rinuncia ad ogni geloso possesso della
propria forma divina per abbassarsi ad essere pienamente uomo, sin
nella forma di servo, sino all'umiliazione ed alla vergogna della
croce, in conformità con le volontà del Padre, che
per questo l'ha fatto risorgere e sovraesaltato. E sulla fede
nell'evento pasquale, che in ognuno di noi vivere possa essere
Cristo risorto, “la lotta invisibile si fonda in radice”
(pg.56)
Enzo
Bianchi Una lotta per la vita San Paolo 2011, pg 244, 16 euro.
Note
1
con
gli altri, e per gli altri, che dall'amore di se, o philoautia,
possono essere ignorati oppure sentiti come indifferenti,
disprezzati, o avversati in quanto rivali, lasciati da noi
separati e distanti, oppure vissuti in conflitto antagonistico, ed
essere rimossi o sottomessi sino all'estremo della loro
mortificazione o distruzione reale, ( invece di pensarli e di
realizzarli come un altro polo di noi stessi, a noi complementare
nella realtà totale in cui tutto è in relazione con
tutto).
2)Come
attesta la superbia , il peccato ch'è in ogni peccato è
in incubazione in ogni forma di dualismo tra Dio e il mondo e
l’uomo, tra l'eternità e il tempo, in ogni processo
ideale e reale che li separa in luogo di mantenerli indivisi e
distinti, interconnessi e reciprocamente inerenti, e induce a
credere che ciò che vale per un ordine di realtà non
debba valere per l’altro.
3
Nell’analisi di Bianchi l 'immaginazione è una
facoltà mentale dal tremendo potere devastante, quando
alimenta il peccato, la lussuria e la collera , particolarmente,
secondo un potenziale malefico che ha indotto altri teologi
contemporanei a sostenere che la più grande delle attività
diaboliche è l’uso della nostra immaginazione divina
per creare distruzione” (Matthew Fox, In principio era la
gioia pg286), trasformando in una potenza di morte la creatività
dell'immaginazione che è Spirito “Demoniaco e
diabolico sono molto vicini , li separa solo una linea sottile”(
Matthew Fox, ididem) E purtroppo le stesse parole e la stessa
dinamica, se non c’è carità, possono essere
espressione sia della autentica lotta spirituale che della
glorificazione dell’ego della fede del diavolo
4
Tale lotta della vita spirituale del credente che sia volto a
essere Cristo, ha innumerevoli analogie con la pratica del
risveglio alla propria buddhità del buddismo, ne condivide
il distacco dal proprio agire mediante l'acquisizione della
consapevolezza che ci incentra nel proprio Se interiore- che
corrisponde al cuore veterotestamentario, al Dio nel fondo
dell’anima della mistica cristiana. In un teste breve
dell' ” Arte della vita” Anselm Grun ha fatto
corrispondere alla disamina ad opera di Evagrio Pontico dell'uso
negativo delle anime concupiscibile, irascibile e razionale, i tre
inquinanti fondamentali del buddismo, la brama, l'ira,
l'ignoranza, le tre cose distruttive della vita secondo Maometto,
l'ira, l'avidità e la presunzione Parole come le
seguenti di Abba Antonio, riprese da Enzo Bianchi per insegnarci
come lottare contro le suggestioni delle tentazioni, potrebbero
ricorrere in qualsiasi breviario buddista “Quando appare
una visione non si ceda al panico, ma di qualunque cosa essa sia,
per prima cosa si domandi, pieni di coraggio: “ Chi sei e da
dove vieni?” ( pg.48). “Suggestione, dialogo,
acconsentimento, passione” , possono ugualmente indicare per
il cristiano le dinamiche della tentazione del peccato e
dell'attaccamento dell'errore per il buddhista, vigilanza e
attenzione, possono essere i comuni strumenti di lotta, Il
disarmarsi che invoca Athenagoras I nella “ guerra più
aspra, quella contro se stesso”(pg 237), richiama
vivissimamente l'abbandono di ogni resistenza difensiva, il
lasciare andare, la rinuncia alla separazione dalla vita della
meditazione buddhista. E nella conversione a Dio del
pentimento, dalla lotta spirituale cristiana certamente è
richiesta nei nostri confronti la stessa precisione attenta e
gentilezza amorevole della maitri buddhista, in luogo della
vergogna del senso di colpa Per il cristiano si tratta
indubbiamente, come per il buddista , di purificare la brama
dell’attaccamento e dell’avversione che è
alimentata dalla inconsapevolezza o ignoranza o nescienza del
reale, del fatto che come ogni altro essere non siamo il principio
originario della nostra esistenza, dalla mancata comprensione e
accettazione della realtà che ci limita (pg. 73), dalla
inconsapevolezza della impermanenza del tutto e della nostra
mancanza di sussistenza autonoma,, a causa dell'interdipendenza di
tutto da tutto, in cui consiste il vuoto- di essenzialità
in se sussistenti- del sunyata,- ma diversa è la forza
purificatrice che ci risolleva e ci edifica, perché solo
nel buddismo devozionale, quale è quello Amida, lo spirito
del Buddha può essere attinto aprendosi alla misericordia e
alla grazia di un datore di vita personale, come richiede la lotta
spirituale cristiana . Che con l'assiduità con la parola
delle Scrittura, che è parola di Dio, richiede la preghiera
e l'invocazione del Signore, la confidenza nella sua misericordia,
nella eucarestia come magistero spirituale, il fondarsi in radice
sulla fede della resurrezione di Gesù Cristo ( pgg.56-63)(
Confronta P. Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano,
Fazi Editore, 2011) .
(E'
dunque l’accettazione della realtà di noi stessi e
degli altri, nei limiti propri e altrui, l’obbedienza, per
amore, alla propria creaturalità e all’Amore
trinitario, il presupposto della propria attuazione autentica,
(pg77), del vero modo di essere a immagine e somiglianza di Dio.
23
giugno 2011
28
giugno 2011
Ma
non
c'era lui
La
pioggia ha concesso una tregua poc'anzi, quando in Khajuraho si
era già fatta sera. Kailash era presso il talab ed i
tempietti che vi sorgono accanto, e a lui dintorno c'era un
vocio di bambini intenti a giocare. Ad essi si mescolava Chandu,
vivace e intraprendente quanto non lo era stato il nostro stesso
Sumit. “ E’ pazzo, ti sarà difficile giocare
con lui. Vuole che gli porti tutto o si porta via tutto ciò
che gli interessa, Nel tempio tocca di tutto, vuole toccare tutte
le statue, e con tutte e due le mani” "E' quieta la
tua mente, Kailash?" “ E' quieta, è quieta.
Ma telefonami più tardi, o ti telefonerò io a
mezzanotte, se sarò ancora sveglio”. Era
come se fosse una stessa lama che ci trapassava, vedere e sentire
giocare i bambini felici e non ritrovarvi Sumit. e stessimo
consumando una sua seconda morte, la scomparsa di tutto quanto lui
fosse a differenza di Chandu, nell'infinita delicatezza
della sua gioia incessante. Ajay stava a giocare a cricket più
distante, anche Poorti era parte dei giochi. Domani Kailash
farà ritorno al villaggio, per un sopraluogo sui
campi. quanto al negozio, intanto, c'è ben poco che si
possa fare di quanto resta da ultimare. Dopo che la siccità
ha reso estenuante edificare le pareti che non si cementavano,
e che per la scarsità d'acqua Kailash si è
dovuto prodigare giorno dopo giorno, con il ricorso a dei secchi,
dalla pompa più vicina alla costruzione in corso per
irrorarne i muri e il terrazzo, da una settimana le piogge
monsoniche che sono sopraggiunte in anticipo di un mese, mentre
più non occorrevano per la cementificazione
impediscono invece che possa essiccarsi la sabbia di fiume a
disposizione, che nella sua impurità il mio amico deve
filtrare per impastarla nell'intonaco, e i lavori restano di nuovo
sospesi. Per non si sa quanto. Le previsioni del tempo
che gli leggevo l'altra notte dall'Hindustan Time, on line,
annunciavano pioggia fin oltre il mio arrivo. Davvero urta
contro ogni speranza la luce dei nostri sforzi, il dare di testa
contro l' avversità beffarda di una realtà in cui la
testa eppure dobbiamo addentrarla sempre di più,
prontamente risanandola ad ogni urto, con tenace pazienza,
perché non la spezzi il dolore che ci lancina appena ce ne
distacchiamo. Tutto va ripreso, niente di ogni sforzo che è
stato intrapreso deve andare perduto, quando per la mente
altrimenti non è più niente tutto quanto rimane.
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