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22 luglio 2005
Caro Mago,
Lahore è nel Punjab pakistano, ora mi trovo invece in
India, a Delhi, nella città vecchia.
Purtroppo non posso inviarti foto tramite gli internet
cafe cui posso accedere in questa area della capitale
indiana. Nella New Delhi tutto dovrebbe mutare. Cos[
credo. Cerco intanto di cogliere che cosa differenzi
davvero India e Pakistan, oltre la loro Separazione.
In realtà nel Pakistan io ero già dentro l' universo
materiale indiano.I
monumenti islamici.. di Delhi sono ragguardevoli, Ho
visto finora i più celebri, non i più mirabili,
presumo
Odorico...
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(Forse
è a cagione del fatto che) Il viaggio
che mi ha condotto nella capitale
dell' India da una stazione di sosta in Amritsar, è stata la traversata
di un tunnel notturno. Il suo
decorso, senza
che uscissi dal buio e dal sonno che all' arrivo nel primo mattino presso il
Forte rosso, dall' imbocco all' uscita dal Pakistan mi ha
fatto ritrovare nella Delhi islamica, (se)
in India così mi rivedo ancora nella stessa civiltà che ho lasciato nel Pakistan, e
nelle mie impressioni prevale la similarità tra le due società
nazionali, qualora mi affidi soltanto a ciò che è esteriore,
che è visibile e sensibile, eccettuata qualche vacca intravista per
strada, i turbanti e le barbe dei sik, le donne che per rinfrescarsi nella calura
afosa possono
consentirsi di andare a capo scoperto e di esporre la loro adipe tra
la gonna e il corpetto del sahri , i
risciò trascinati in bicicletta dagli uomini nella più grande democrazia
planetaria.
E stamattina, tra le grate
dell' attico dell' hotel in cui facevo colazione, anche ho visto
sveltirsi la corsa funambolica a uno degli stessi
scoiattoli grigi di uno scoiattolo grigio che ho visto sveltirsi
e dileguarsi, che mi ha rammemorato gli stessi
animaletti che correvano via per il parco archeologico di Mohenjio Darho,
per i bagh del forte Rosso di Lahore.
Già dentro le frontiere del Pakistan che
si oppongono all' India, in Karachi, Lahore, Peshawar, dunque avevo messo
piede nell'India a mia insaputa, ed ero già dentro lo stesso suo
traffico e commercio, le stesse consuetudini alimentari e di svago, le
stesse usanze e interdizioni, che escludono le donne dalle esercizio
delle attività pubbliche in negozi e ristoranti, le pongono in contatto
con gli uomini estranei solo come delle clienti o delle mendicanti.
A riprova che ciò che è più importante, e che
fa la differenza, è dell' ordine dell' invisibile, nelle cose umane e
divine
Nella vecchia Delhi, per le vie che attorniano la
moschea, e che fanno capo a Chandni Chowk, c'era più animazione di
colori che in Lahore, più fragranza di essenze aromatiche e
di spezie, -ma circolavano lo stesso fetore ed orrore che in Bahawapur,
che in Multhan, laddove, del pollame stipato nelle gabbie, avveniva la
stessa compravendita e macellazione all' istante,
In Multan |
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mentre ad ogni angolo di
via avveniva la stessa vendita di involtini di samosa ,
con una fontanella accanto per lavarsi la bocca e le mani , e si
diffondeva nelle strade il profumo del gelsomino e e dei boccioli di rosa
per onorare le divinità induiste, come nei pressi dei siti dei riti
sufi del Punjabi Pakistano.
In concomitanza,
mentre
nelle cartolerie, e tipografie, anche i profili grafici delle
onoranze e delle felicitazioni , in hindi, anzichè in urdu, erano
identici a quelli pakistani, nei negozi della
devozione rituale sono comparse le diverse icone delle diverse
religioni predominanti: di Ganesh, di Siva proteiforme.
Ieri mattina, prima di visitare il Forte
rosso, per ritrovare dunque nelle realtà religiose il
differenziarsi dell' India, ho fatto visita al tempio jainista che
è di fronte alla Lahore gate, all' estremità orientale di Chandni
Chawk, il
Digambara Jain Gudwara dei Vestiti di Cielo.
Ho salito le scale dell' ospedale per uccelli
malati,
fino all' ultimo piano , dove innumerevoli uccelli stavano accuditi in un unico
spazio reticolato.
Del sentore dei loro escrementi
a sera avevo
ancora addosso l 'odore. Successivamente, prima di
potermi addentrare nel tempietto jainista, ho dovuto levarmi anche
le calze, lavarmi ogni parte del corpo che fosse esposta all'aria
alla luce.
Da un'aula centrale sui aveva accesso per
il tramite di porticine alle sale di preghiera circostanti,
delle quali la più importante era quella frontale.
In ogni cella i fedeli ripetevano le
identiche forme di rito, ad ognuno degli altari dei tirthankara,
gli aiutanti nel superare il "guado" che si donano
all'uomo perfetto nella sua nudità ascetica.
Erano tutti identici l'uno all' altro,
come nella loro essenza le molteplici manifestazioni dell' uno divino.
Quindi i fedeli facevano risuonare il
batacchio di una campana, compivano la deambulazione in senso orario della
pradakshina intorno all' altare, ultimavano di fronte alla divinità le
loro preghiere,si spruzzavano il volto di acqua purificatrice, o passavano
le mani opra la fiamma della cera in consunzione.
Altri, in senso orario facevano ruotare
presso l'immagine una lampada votiva con un cero acceso, quindi ognuno
passava a ripetere la serie egli atti liturgici ad ogni altro
altare. Da due di essi, gli addetti spazzavano via il riso delle offerte
antecedenti.
non ho visto alcun monaco Digambara,
vestito solo di aria. Un giovane addetto mi ha invece sollecitato ad
entrare nel sotterraneo, dove era allestita una rappresentazione
cinestetica dell' aspirazione del jainismo a un ordine cosmico di
serenità armoniosa.: nel refrigerio climatizzato di una grotta,
attorno a un tirthankara scrosciavano le acque di ruscelletti
irradiati da luci, fiamme elettriche sprigionavano bagliori purificatori.
All' uscita, all' altro capo della
strada vedevo un primo altarino induista: le statuine di un bue e di altre
divinità erano intorno a una yona e ad un lingam, incoronati di fiori,
incerati di lumi colanti.
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