Egloghe indiane
Prima Ecloga Indiana ( 2012)
Riscrittura (2013)
Qui dove la tigre che ti fronteggia
è il pupazzo di stoffa di Chandu,
e nel dolce lume il gioco e il canto
sono la felicità di bimbi tra l’immondo,
che
lieve brezza ti riconduce,
trattiene i tuoi giorni tra sibili
e incanto,
prima che cedano al sonno ed ai
silenzi,
inquietati dai ladri ,
della luna sui terrazzi
e gli orti di Sevagram,
cum
complexa
sui corpus miserabile nati,
lo
stesso colpo di tosse nell'ultimo nato
e già è
il tremendo del sereno
di cui i muri sono assorti nei
giorni,
tu vi schiudi il cuore e le braccia
e quanta
delicatezza tenera
discopri nel morso
ch’è
il calore della schiusa di piccoli cobra,
mentre
non hai più altra vita, che questa,
che ti adempia o ti
smentisca per sempre,
tra gli strilli e il pianto o il crollo
di schianto
deus nobis haec otia fecit
dove
il villaggio riposa all’ombra dei neem,
nell’attesa
del rientro al tramonto
dalla giungla di bufali ed ox,
e
tutto, per la tua remissività ad ogni oltraggio,
da che
cedendo la gola per il taglio a Kali Bhairavi
potesti lasciare
il tormento delle aule
dove chi è rimasto rimarrà
ancora più a lungo
ed
altrove, qui in India,
eccoti di già sulla via del
ritorno
con l’amico sotto le stesse fronde ospitali
dell’himli,
quando di febbraio è già
estate
e la senape già ingiallisce i campi,
in
lontananza sfumando i declivi
dove alle acque del Ken
discendono i boschi,
“Vedi, come il fiume senza farne
uso e ricevere offerte
dona la sua acqua a pecore e
cervi,
così l’albero ci dà la sua
ombra”,
sotto la quale possiamo ancora
indugiare
disvelandoci che cosa sia tra noi paro upkar,
è
nelle vicinanze il tempio di Chattarbuja
che preannuncia la
nostra antica città,
poi conterà solo andare
avanti,
e sarà questo il nostro canto più alto
Seconda Egloga Indiana (2012)
(riscrittura 2014)
Nota preliminare
I pani di sterco che brillano nel primo mattino preannunciano l’imminenza della festa di Holi, durante la cui notte serviranno per bruciare i fantocci del demone femminile di Holika, il cui rogo celebra la vittoria del bene sul male. Holi è la festa indiana primaverile dei colori che si celebra soprattutto nei luoghi in cui che sia vissuto Krishna, tra Matura e Vrindavan, e dove scorre il fiume Yamuna.
In Delhi ho rievocato
il Life Insurance Center dell’Architetto Charles Correa
Brillano
i pani di sterco poi dei roghi di Holika
nella prima luce del
giorno sui muri e i terrazzi,
la mangusta riappare nei coltivi
degli orti,
si schiudono le membra dai giacigli terreni,
con
i lavacri delle stoviglie
iniziano nei cortili le abluzioni e
gli spurghi,
“ India was enslaved by the
British”
la lezione che ripete il
fanciullo
prima di andare a scuola,
ripetendola, ora
che l’India è indipendente,
nella lingua del
British che gli è ancora più d'obbligo, ora che è
senior,per non dovere cinque rupie
alle suore
se usa l'hindi.
“India was poor
and weak at that time”
ripete, ora che i
suoi stessi panni di ogni giorno
non sono più quelli di
quel paese, debole e povero,
“ Every man
will be thy friend
Whilst thou hast wherewith to
spend”,
quando il vero amico "he
stands by us
through thick and thin,"
lo è
nella buona e nella cattiva sorte,
“Hello,
rupees…hello, pens…”
nel mercato
dove cerchi il coriandolo fresco
puoi ritrovare più
ancora il maldicente di turno
“L’amico, che la fa
da padrone sull’uscio del negozio,
spende tutto nel bere
e gli trema la mano,
nessuno vuole lui come barbiere…
"
Ed ora chi mi riscatterà questo
corpo di morte,
dove/ il grano già si schiude al calore
di marzo,
se non, ancora di più,
la follia di un
docile cuore
lontanandoci con
l’amico
nelle valli dove ancora risuona il canto di
Krishna,
ed è il clamore della pioggia di fiori e
colori
che assorda il dolore che invasa la mente,
la
luna quel tocco di sandalo
sul volto vergine del cielo,
amore, giocando il
gioco della tigre,
sulla Yamuna tu, Yama, Dio di
morte,
quando di nuovo tra le
forme d’incanto
cade la mente con l’escremento,
ed accade
il distacco tra i cieli di Delhi,
non più, nella
lontananza, lo sguardo amato
ma con le
nuvole in disfacimento
tremulo liquido l’acciaio nelle
trame di vetro,
finché
il treno già ti riconduce tra i cortili e i terrazzi
cui
nello sfolgorarvi del giorno sei di ritorno,
di nuovo
dove chi ama non infinge soltanto,
e qualcosa comunque
succede.
“E’ troppo povero l’inglese di
Ashesh ed Ajay" -
il verdetto delle suore, come per
Poorti,
come pappagalli li hanno addestrati
solo a
ripetere quello che non capiscono.
Ripareremo, comunque,
ripartiremo.
Li abbevereremo, i piccoli, al nostro
soccorso,
come tra i campi, dalla riarsa giungla,
si
abbeverano gli armenti al Kuddhar,
aprendosi il varco dove il
fiume intesse le sue rive
delle canne che ora graticciano il
nostro avviato negozio.
E da queste sponde anche voi a
casa, ben pasciute capre
Ite domum saturae, venit Hesperum, ite capellae
Egloga terza
“Oracolo
del Signore.
Quanto il cielo si sopraeleva su tutta quanta la
Terra,
cosi le mie vie si sopraelevano
sulle vostre vie,
e i
miei pensieri sui vostri pensieri”
Isaia
Tra
le foglie riarse della fersa
d’aprile si fondevano
desolazione ed ardore
dove di giorno fulgevano i fiori di
chheola,
nel chiarore dei pleniluni le traversate notturne
tra le stregate mahua
che
al padre riconducevano il cuore dei piccoli
sulle biciclette, in
fila indiana,
al di là dei coltivi dove in cerca invano
dell’acqua della Devi
si perse il cammino delle donne con le
giare di javari
Era la domenica delle Palme e il Natale di
Rama,
e con che amorosa violenza io ed il padre
incamminavamo
i bambini alla menzogna educativa, cui i giorni seguenti
li
riallineavano in coro i testi scolastici,
“ Ministers,
Politicians, Judges
Occupy their posts because they studied hard
“
poi abbandonandoli per che intorti tormenti, come nodi
di rami,
nella megacity di ladri in cui stuprata per strada
la
vita vorrà appendersi ad un cavo in stanza,
chiederà
all’amico sgomento una qualsiasi morte,
senza che altri che
il Dio nostro
in Delhi possa anche di questo perdonarmi.-
“Ma
ora non farti più del male, siamo tutti qui”
cantavano
le loro anime di nuovo ad accogliermi,
nel loro sollievo che
alfine il Monkey God
sia stato placato dalla puja nel tempio,
che
non accadrà di Chandu ciò che ne fu di
Sumit,
come tra i raggi della ruota
lasciò
presagire il sanguinante piedino
Ed ora al distacco del
rientro
odora del basilico la fragranza nel vaso,
con
l'employment letter che nella nuova scuola dei bimbi
mi farà
maestro d’italiano
Né più dica
l’eunuco “ Ecco,
Che albero secco io sono”
da
che il patrio scarto ne ha fatto una pietra d'angolo
sotto questo sole ,
pur nel dolore, al poterli ancora carezzare,
che
ad ogni ora che passi l’indomani si faranno
a
cinquemila,
seimila, settemila chilometri distanti,
a che
la meta di ogni meta
sia il ritorno che feconda
nell’unità,
Sumit, dell’invisibile vivo più ancora tra noi.
"Cosi
dal retro del suo tempio la Sibilla di Cuma
Cantava
ambigue parole tremende nell'eco dell'antro",
e
volgi all'uscita, sul retro,
che
dà nel cortile che fu la tua aia di casa,
ne
ritrovi la distesa deserta
più
ancora arida invasata dal sole,
trasalendo,
sui tuoi passi,
ai
ragazzi che vi sopraggiungono,
sono
indiani e non ti occorre
che
nemmeno lo dicano,
l'uno
nell'attendamento al riparo dal sisma,
l'altro
con la madre accampato in giardino,
al
tuo timido accenno
si
scambiano un sorriso e già ti annientano,
sarà
così anche laggiù,
come
di nuovo entrerò in un'aula?,
la
madre resta in ombra
e
ricambia mesta il tuo namastè,
come
piccolo
è l'orbe del mondo,
e
l’intonaco grezzo ha raccorciato
i
muri dintorno,
quanto
più breve, senza più grida animali
il retro di rustici ed orti,
spiantata
la vigna
per
i ranghi infoltiti di steli di mais,
dove
quante tue anelanti corse,
quanti
tuoi sogni controvento,
scoloritesi
con le memorie porte e finestre,
rinserrata
ad ogni accesso ulteriore
la
tua casa ceduta e ora inagibile,
nel
refolo d'aria
tra
i vasi ascolti il silenzio,
erano
allora fragranti di gerani ed oleandri,
ed
ora è il conforto, con lo sgomento,
che
tutto sia cosi svanito e ammutolito,
lo
sciame che avverti
un
sopito tumulto di vergogna e lacrime,
inutile
cercare altri volti che quelli
che
già salutasti,
già
li ritrovasti
nelle
schiere sparse delle loro lapidi ,
“
And the bird, did it fly away again?
in
Khajuraho ti chiede l'amico
del
rondoncino, che ponesti in salvo,
quando,
al rientro in città,
tu
vuoi sapere di Ashesh come ha preso il volo,
“Sì,
ma solo dal campo vicino alla fattoria
dove
vive un uomo che cura gli animali,
è
un uccellino, “ the swift”,
(Omnia vincit
Amor: et nos cedamus Amori)
Ma ora per
Chandu, Kailash ed io,
lungo le strade dirupate di negozi deserti
che alcova di amore
è la cappotta
del ciclo-risciò sotto le piogge di Chhatarpur,
la delizia del
nostro bambino
il cuore giocoso del nostro bene,
tracimi
pure l’immondo monsonico,
cali la caligine più
tetra tra gli scrosci a dirotto,
il riso di Chandu è già la sfera
di sole
come la luce ripercorre la rigogliosa verzura,
nelle pozze lutulente
lustrando i bufali a ristorarsi
ammusando,
........................................................................................................
finché
invitto il sole ritorna
tra le foglie sfagliantesi del
saagaun in fiore
e s'intenebra nella disperazione il
nostro amore,
nel mio grembo l'amico reclino
di che dolorosa
madre eviscerante,
con egli ancora di nuovo,
dove
il cuore appena infranto per il nostro Sumit
incantava Vishnu
Ananta Shayana ,
l’ascesa a Shiva Bhairava,
dove
il Dio vinse il tempo e gli fu la gola bruciante,
alle rovine
dei templi di Ajaigarh invase dal sole,
di altri, ancora più
remoti ed ignoti,
alla riscoperta del loro abbandono,
e lasci i banchi dove di Darmendra , Pyush,
Pratap
sono i nuovi volti che stanno in ascolto,
è
pura menzogna il complain
che il principal ti chiede di
sottoscrivere
contro i suoi detrattori,
in che luce
di gioia, di Dusshera,
dalla Dea riattinta la vita per la Sua
morte per acqua,
prima della notte di
che freddi fuochi celesti
sul crepitio di lacrime di che doloroso Diwali,
reca la
mia testa mozza Nirriti l'atroce,
e nessuna frenesia di
danza
può sventare che sia il rullio della sentenza,
hai
maledetto i tuoi passi ulteriori nell'ingiuria del
dio,
funestando il tuo passato ogni nuovo inizio mancato,
eppure
non cede l'amico al veleno
che s'insinua nello strazio mentale
“E
perché mai lo tieni ancora in casa tua
se ti lascia lo
stesso così povero,
e non hai fatto tuo il suo
denaro…”
al che, credendo e
sperando,
al linga inesorabile si prosterna
la fronte segnata,
per Agni è
offerto lo sterco
fumante di ghee,
al passaggio aureo di
Laxmì
crepitando ciotole di luce
nella notte, ancora insonne,
chiedendo lenimento,
e
ancora cedendo al Dio che è Amore.
Cede il sole la sua luce di sangue al fiume che scorre,
cala l’ombra dei monti sui casolari fumanti,
di sterpi e sterco sui bracieri esalanti
s’annida la luna tra le mahua ritorte
la successione dei mesi volgendo alla fine dell’anno
anche il Natale,
la vigilia di quando nell’albero al limitare del colle
vedevi il ramo a cui appenderti al sole,
con la notte dell'amico scosso dal pianto,
per
la bufala morta cercando conforto
nel calore dei figli cui
s’accosta nel sonno,
e ora chi è stato ospite sverna già al Sud,
in Irlanda urla di nuovo contro i ritrovati snackers,
radica nel Bangladesh la coltura del neem,
in tutti con un curry speziato
infuso un nostro lascito di folli speranze,
quando è stato solo ieri che l’uccelletto Ashesh, di ritorno furtivo,
ci ha già lasciato e derubato di nuovo,
come se nulla fosse stato dell’incanto nel parco,
dell’ appostarci alla vista di antilopi e cervi,
del viaggio, di piccoli uomini,
intrapreso con Ajay al villaggio dei nonni
per le forniture del negozio e la riscossione dei crediti ,
seguitando, tra le nebbie,
la crescita dei germogli infestati di grano,
il confondersi , intenti ad apprendere,
dei bei volti amici con gli inquisitori di turno,
ogni fumido mattino Kailash infreddolendosi all’arrivo dei treni
per intercettare nel flusso l’occasionale turista,
Vimalan nel risospingere , l’infinitesima volta,
il riflusso d’acqua nel cortile,
tra i bambini che pettinati e rilavati
si avviano a scuola in tuktuk,
Chandu che intanto può dormire più a lungo sotto le coltri
ora che a tutti è provveduto un giaciglio.
Ma pur se il verde miglio delle suore ravviva la grotta,
è la nostra mangiatoia il pagliericcio di un morto bambino
al cui astringerci crepita il fuoco.
Ecloga indiana settima frammenti spersi
E quando le opere parevano morte,
che solo fosse protratta la resa,
un nuovo splendore illumina i giorni,
la vacca tra la pula che lecca il vitello,
e la sera non è tenebra di
sventura
quando cala dai colli sui fumi dei fuochi,
velami dell’aria che imbruna
le aie e i coltivi,
nel volgere a un nuovo mattino ch’ è di luce anche nell’ombra
agli armenti che vi pascono quieti,
solo l’ incanto benedicesse anche i letamai di maiali e bambini,
solo il canto degli uccelli sovrastasse
il pigolio degli “hello, rupees” dei piccoli
come esci per strada,
e non andasse perduto
quanto sia stato il dolore dei giorni,
ora che l’amico ha forse preso il passo
di chi sa essere e spezzarsi per gli altri,
prima che tutto s’intorbidi ancora nel gorgo,
e l’amarezza sia il flutto di quanto è trascorso,
ma come Vimala lascia le coltri
che dolce tepore
prenderne il posto accanto al mio Chàndu,
delicatamente accarezzarlo nel sonno,
presagendo nella fitta che il dono di grazia
sia il sopravvivere anche alla sua perdita,
mentre lente le nuvole gonfiano l’arco dei cieli,
altro di tremendo e risorto ancora ci attende
( 18 marzo 2013)
... ( gennaio febbraio 2013)
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ECLOGA VIII
Come potei, già una volta,
levare su di te la mano,
serrarti la gola,
dirti di volerti morto, anima mia,
quando tu sei la mia vita e l’amor mio,
e così di lontano
non so pensarti che con viscere trepide
al
tuo impigliarti ogni giorno nell’afflizione che stride,
mi squarcia il tuo “ bad Karma”
sentendo la tua vita senza scampo,
anche ora che con il tuo nuovo tuk tuk, alla sua guida sicura,
a prezzo che follia di lacrime e sangue
hai la dignità di un lavoro se non di un guadagno,
“Whats’ news? it s raining, raining, raining,
only raining..”
mi ripeti allora al mio ripetermi,
“ In Khajuraho everyday are the same things,
the same market, the same business with the tourists,…
You know, “lo sai,
(that )t hey don’t respect me, if I speak true,
paying money, money, money to the lapkas,
-a chi li accalappia -
and don’t see nothing, nothing, nothing,..”
finché, radura di luce,
trovi un po' di contento nel nuovo tran tran
“ I lose fuel, time, going every day slowly to the railway station
but I safe my life, my autoricksaw”
“And Chandu, my love?”
He’ s asking you cycle,..”
“ Cycle!”, come mi grida la sua voce al telefono,
prima di non volerne
già più sapere di me, che sono il suo baba che non fa ritorno,
alla terra dove straniero
oramai avrei ucciso un uomo per una scalfittura,
un ragazzo per un mio livido,
di nuovo da voi lontano, dove anche ogni mite ha voce di lupo,
all'arrivo per mare di chi cerca scampo tra resti cadaveri,
in infelici tempi di agonie di satrapi
che prima che le tasche svuotano l'anima.
Ma solo che risenta la tua voce accorata
e quanta vita ritrovo nella tua di stenti,
ed allora tu parlami ancora
di come al sesamo si apre la bocca che schiude il seme
nel tuo timore che si perda nel fango se la pioggia continua,
di come la luce si è spenta di nuovo sulle nostre parole,
sulla tua cena di solo mango pickle e un pò di chappati,
ch'io approdi ancora ai tuoi lidi d'amore
quando sento nei tuoi accenti inumidirsi la lingua
della tua bufala che lecca il suo nuovo Lalosha,
e lo sbadiglio lenisce la tua ruvidità di modi,
” For other things we speak more tomorrow,
“See you later, Kallu, “
“See you later”.
Egloga IX
Sulle rive del Brahmaputra,
in un gothul,
in quale India mai
sprofondare in un sogno,
dove non sia più,
tra la fangosa gente,
che fattomi io stesso pien di fango
settanta volte sette
per l’ammanco infertomi io ne sani il debito,
dal
fondo ancestrale
come da un’infanzia eppur viva
dove sopraggiunge chi vagheggia l’apsara che ad uno specchio
sembra usi a scrivere un pennello,
e pur intenta ella al bello gli rammemori
che vivere bene è più che scrivere meglio-
Come i sovrastanti picchi
ed è un’ascesa, un precipizio, una rinnovata ascesa,
sono i frantumi di un’impervia quiete,
sempre, mio Dio,
che la colluttazione tra le nostre follie non sia
la fine di tutto,
dove che squarci di luce infinita
al farmi il mastro Geppetto del mio incantevole Chandu,
“Tiger
! Tiger “ egli additandomi
nel gioco continuo di farmi paura,
a lui di ritorno, al loro conforto di voci,
dall'impeto del Gange alla schiusa dei monti,
non una delle aarti,
intrepide luci,
superstite al varco dei flutti,
alla loro fede nella mia luce del cuore
sentendo che l'amarli sino alla fine
e ciò che mi resta di cui sono ancora capace.