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Neanche
al crocevia di M*. dove eravamo appena scesi dal bus diretto a
Mahoba, attardandoci per incrociare quello proveniente da
Chhattarpur in direzione di Lori, o Londi, o Laudi, sul cui
bisticcio nominale ero arrivato quasi a bisticciarmi di fatto con
Kailash, sapevano dirci alcunché di preciso su dove mai
fossero Vyas Badora o Hindora Vari. Di Badora ne esistevano due,
a quel che pareva, situate quanto mai vicine, o parecchio
distanti, a seconda dell'uno o dell'altro degli astanti, come di
Brijapur ne avevamo discoperte già almeno due nel
distretto di Chhattarpur, e non avevamo ritrovato Kishangarh
senza che ci fosse una Kishanpur a precederla, quanto nel Madhya
Pradesh non c’è Chanderi senza una sua opposta
Chandrei, una Narshimhapur senza una corrispettiva Narshinghgarh
. Anche solo limitandoci a Hindora Vari, in Lori si tramutava a
dire di alcuni in una Ellora Vari di indefinita collocazione, il
che ci frastornava ancor più di quanto già non lo
fossimo, all’arrivo nella sua polverosa animazione diurna,
di mercati e traffico, che si disarticolava in un complesso mal
connesso di strade, a dispetto della suggestione del sito,
diramantesi ai piedi dei dirupi tra cui la via che vi immetteva
si apriva il varco, e su cui si arroccavano dei santuari intorno.
Ma Lori non poteva essere più che un inquietante luogo di
sosta, a seguito dei recenti accadimenti che il penitenziario
locale evocava a Kailash: egli vi era di ritorno in capo a
pochi giorni, dopo che aveva dovuto mettervi piede con il
fratello, e lo zio materno, per ottenervi la scarcerazione del
padre grazie alla cauzione in terreni assicuratagli dal cognato,
a rimedio del guaio cui era servita per davvero tutta la
stupidità del padre per procurarselo. Di sua spontanea
iniziativa si era recato dalla stazione di polizia locale per
denunciare le percosse che alla moglie erano state inflitte dal
fratello sadhu, miserabilissimo, e che da tempo non c’è
più gran che con la testa, in combutta con la propria di
consorti, senza tenere conto che li aveva malmenati
entrambi a sua volta. Il tutto era stato originato dalle presunte
maldicenze della madre di Kailash sul conto della figlia
del sadhu, che sarebbe stata da poco malmaritata, secondo quanto
avrebbe detto, con una famiglia della stessa casta ancor più
povera della loro. Alla denuncia la polizia aveva convocato
anche l’accusato, e di fronte alle
opposte versioni cui si era trovata di fronte, aveva fatti trasferire entrambi
i fratelli nel centro
di polizia del tehsil, in Rajnagarh, da cui, essendo di domenica
e non potendo essere chiamati in causa avvocati e garanti delle
cauzioni, le autorità locali di polizia avevano pensato bene di
trasferire ambo i contro accusantisi nel carcere
mandamentale di Lori.“ Cosi
mio padre ha almeno imparato quel che si ricava in India a trarre
di mezzo la polizia, rovinando la reputazione dei propri figli”,
la morale dell’accaduto trattane quei giorni da Kailash
.Ora egli s’aggirava da un conducente all’altro, in
cerca di chiarimenti sulle nostre destinazioni che fortunatamente
erano invece al più turistiche, cercando insieme con me la
collimazione delle diverse dislocazioni forniteci di Vyas Badora,
una qualche concordanza sinottica tra quanto ce ne dicevano
i rivenditori di bibite e di somosa e di pokora a cui avevamo già
chiesto ragguagli. Dopo avere tergiversato con dei conducenti che
erano di Mahoba, e che alla vista della mia "white face"
prontamente avevano giocato al rialzo della tariffa richiesta,
prima ancora di chiedersi che ne sapessero di dove dovevano
portarci, il suo spirito di iniziativa ch'era al mio fedele
servizio non meno di un Garuda genuflesso riguardo al suo Vishnu,
si concretizzava ben presto nel predisporsi di un conducente
affidabile di un fuoristrada, che aveva ritrovato sospingendosi
al di là dei chioschi di banane e mango e fiori e altra
frutta, per una tariffa conveniente verso una destinazione di cui
ci convinceva che sapesse dov'era: oltre Chandla, a cui recava
l’arteria stradale su cui pochi minuti dopo eravamo già
avviati.
Vi iniziava
così una veloce corsa, che già in Moreri, dai
caseggiati suggestivi di malta, avrebbe dovuto arrestarsi al
posto di blocco di alcuni adepti della Maha Devi, che essendo
nell’imminenza di Navaratri intimavano l’alt alla
nostra ed alle altre autovetture, taglieggiando un contributo per
l’allestimento dei suoi festeggiamenti. Non ci restava che
arrendersi alla richiesta per poi sottostare al rallentamento,
ininterrotto, che imponeva l'infittirsi delle buche lungo il
percorso, un tormento continuo di soprassalti e sterzate, nei
tentativi, figli l'uno dell'altro, di eludere i crateri
interminabili del fondo stradale, dato che una schivata
ripresentava immediatamente la necessità di una ulteriore,
per evitare la nuova frana che la scansata proponeva
davanti. Ancor più che tra Rajnagarh e Lori, il
paesaggio intorno si faceva arido e sempre più spoglio di
piante e di alberi, tra i rilievi collinari che si diradavano
all’orizzonte. "No dams, less water”, la
ragione della siccità crescente che Kailash era
venuto sempre più sentenziando, da che, appena poco oltre
Rajnagarh, avevamo finito di costeggiare sbarramenti di dighe. La
strada che percorrevamo aveva finito intanto di conoscerla già,
da che avevamo superato la casa in cui viveva una sorella del
padre. Ancor più desolante sarebbe apparso lo stato
dell’arteria stradale lungo la quale Chandla si
snoda: tra la polvere dello sterrato dissetato in cui si
era scrostato il manto stradale, avvallandosi in scoscendimenti
pietrosi, i negozi e i chioschi circostanti
per chilometri e chilometri digradavano in
scoscendimenti , e chi
percorreva la strade vi procedeva in una foschia
solatia. Svoltavamo infine
a destra per Vyas Badora, e lo stato del percorso non
migliorava gran che ( migliorava solo
di poco), nei pochi chilometri ancora restanti,
fin che non chiedevamo
dell’abitato del villaggio ad un anziano che vi sostava ai
margini con altri coetanei, e costui ci diceva di svoltare a sinistra,
all’altezza di un albero di mahua. Il sentiero su cui così
ci immettevamo, tra dei filari di alberi riconducendoci
ad amenità di luoghi,
finalmente ci recava
in Vyas Badora: poco più che un villaggio sparuto, ma quanto
incantevolmente “ remote and lonely”, nelle sue case
smaltate di fango candido ed ocra, al limitare delle cui soglie
delle donne erano intente al trancio di canna da zucchero, presso
le ruote girevoli degli attrezzi ad uopo. Oltre i massi che
il residuo villaggio intorniava, gli abitanti ci confermavano la
sussistenza dei mandir di cui non avevamo ancora traccia, la loro
realtà sembrandoci ancora
quanto mai incredibile, fin che la
loro apparizione non si
materializzava in una visione che
mi lasciava d’incanto. Laddove, stando alle immagini che ne
avevo desunto in rete, mi aspettavo di vedere ergersi al più
degli ammassi di rovine templari, a dispetto della natura
incognita e remota del sito, sconosciuta ai più negli
stessi dintorni, tra i massi prospicienti che digradavano verso
un’ampia vallata nell’imminenza del Ken river,
percorsa da mandrie di bufali al pascolo, sullo sfondo del
profilarsi ameno di ulteriori rilievi a perdita d'occhio,
sovrastava i ponteggi di un cantiere la sopraelevazione in corso
di un grandioso tempio gemellare,
oltre
il quale le celle porticate di altri due templi si offrivano alla
vista.
Dal
corpo del tempio , pancharatha nellle proiezioni del
gaerbagriha, sorgeva il rudimento del pietrame interno
delle coperture dei due sikharas, ad assimilarli a monchi
altiforni.
Accedevamo
al santuario da una rampa laterale della sua piattaforma e ci
ritrovavamo nel mandapa della sala antecedente la cella di uno
dei due garbagriha.Tale sala era interconnessa con quella,
ad essa parallela, in cui un Nandi diruto /dirupato* sostava in
adorazione interminabile al suo dio.
La
copertura della sala che dava adito al tempio era a guisa di
volta, e la costituivano circoli di rilievi delicati, mentre
era quadrangolare la trabeazione su cui era impostata la
copertura dell’atrio, o ardhamandapa, del portico d'entrata
che la precedeva,
sostenuto
da corti pilastri, ed affiancato da un identico ingresso ad esso
parallelo, per chi avesse risalito i gradini di quello
che era l’accesso principale al loro sito gemino di culto.
I portali
del garbagriha recavano stipiti ornamentali secondo moduli
canonici, non fosse che il canopo delle divinità
fluviali, assecondate nelle loro flessuosità
tribhanga da attendenti naga, sortiva nelle sue volute da
kirtimukka leonini,
Lungo le
pareti esterne e le altre all'interno, la profusione decorativa
dei portali delle celle dei santuari era precorsa /
anticipata da profili continui di diamanti,
floreali, in una
decorazione geometrica contrappuntata da reticoli, o jalakas,
di
quadrettature di dadi.
Alle
estremità dei pilastri apparivano i tripudi di foglie di
vasi dell'abbondanza, desunti dalla loro germinazione ancora
fervidamente naturalistica nei templi Gupta, ma che le maestranze
del tempio avevano stilizzato in forme geometricamente assai più
astratte, che richiamavano la loro stampinatura lineare nei
tempi Chandella di Khajuraho. Le sforature in oculi di cielo
delle volte cadute delle sale di accesso alle celle di Shiva,
propiziavano l’eccesso estatico del percorso del tempio.
Più
a sud , digradante, era il Chausat Yogini mandir,
il
tempio delle 64 Yogini, costituito dall’incrocio di due
transetti, sviluppato in una galleria dall'inserto di
quattro corpi d'angolo)da
cui i quattro portici d’accesso
risalivano
al santuario centrale, mentre le edicole delle sessantaquattro
Yogini, con alcune forse in aggiunta, riservate come
in Khajuraho alle loro divinità alleate, erano disposte
all'interno e all’esterno del deambulatorio che sulla
piattaforma consentiva la pradakshina deambulatoriale intorno al
santuario.
Di rilievo il motivo nel basamento del portale d’ingresso
alla cella della Dea, una kalasa, tra due volute,
come
ad esempio nel tempio Lalguan di Khajuraho, che era dedicato a
Shiva ed è poco distante dal tempio delle 64 Yogini.
Già viene calando la
luminosità diurna, quando dai templi lo sguardo torna ad
allargarsi all’intera vallata, agli armenti che ancora vi
sostano al pascolo, ai ragazzi che li accudiscono attenti,
agli abitanti del villaggio che lungo i tracciati dei suoi
percorsi vi fanno ritorno, ed è già sera quando
siamo di nuovo all’ingresso del villaggio, e Kailash
intravede sulla nostra destra un altro tempio tra i campi. Chiedo
di fare una sosta e vi giungo da solo, dove tra i rovi non ne
sopravvive che la cella, che reca sulla soglia lo stesso motivo
ornamentale di quello d'accesso al santuario del tempio delle 64
Yogini.
Seguitavamo
il rientro per la diversione di un sentiero di campagna, ove nel
corso della stagione monsonica trattori e carri avevano lasciato
i
solchi di un rivolgimento talmente in profondo, che
sconquassava il pulmino e le nostre viscere mettendoci a
didentica dura prova, fintantoché
non ne uscivamo a pochi chilometri da Chandla.
Senza più la luce del
giorno e rare essendole lampade accese, lasciava sgomenti
l’attraversamento di Chandla lungo l’arteria stradale
principale, popolata di persone che avanzavano tra le
tenebre di negozi affacciati nel buio di un continuo dissesto
pulverulento, senza che se ne potesse trarre respiro che una
ventina di chilometri dopo, quando il fondo del percorso tornava
a farsi un ammanto stradale fino a Khajuraho.
23 ottobre 2012
(riveduto il 18-19 ottobre 2015)
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