|
Con
Ajay ho lasciato Khajuraho in autorickshaw che non erano ancora le dieci
del mattino del 26 di dicembre, per raggiungere Bamitha e prendervi un
autobus per Panna e da Panna per Ajaiygarh.
La nebbia dei
giorni precedenti non era ricomparsa sul fare del giorno, e il sole
fin dalle prime ore mattutine era propizio al viaggio nel suo splendore
La sera precedente
alla presenza di papà Kailash gli avevo chiesto di ribadirmi se era
davvero intenzionato a venire al mio seguito, come gli avevo lasciato
intravedere che si rendeva possibile per l intercorrere delle sue
vacanze natalizie. Ed egli aveva confermato che non attendeva altro. Il
mio comportamento ora dolcemente amorevole ora aspramente irascibile
nei suoi riguardi non era valso a dissuaderlo dall’avventurarsi in mia
compagnia, esponendosi ai miei eccessi senili d’opposto tenore. Già in
Bamitha potevo avvertire le prime avvisaglie delle mie prevenzioni nei
suoi riguardi, quando mi anticipava preveniva nel rifiutare di
salire su di un autobus costipato di passeggeri, ricorrendo al quale
saremmo stati obbligati a rimanere in piedi fino a Panna. Non è che
avrebbe fatto di nuovo il signorino che in India si rifiuta di sostenere
ogni incomodo, come già era avvenuto in Allahabad, l’anno scorso, o già
due anni or sono, più non ricordo bene, quando non c’era stato verso di
farlo salire sull’autobus per Rewa ch’era sovraffollato già alla
partenza.
Poi tutto è
proceduto per il meglio sino all’arrivo in Ajaigarh, lungo il
meraviglioso percorso dei tornanti che traversano il Parco Nazionale di
Panna recando nel centro in altura della cittadina, ne discendono tra le
piante di tek delle boscaglie adiacenti, divallando nel verde smagliante
dei coltivi invernali. Nè ci riservava asperità la salita al forte che
affrontavo di nuovo a oltre due anni di distanza, dopo averla sostenuta
con Kailash in una radiosa domenica d’ottobre, rallentato nel cimento
dalla sua stessa refrattarietà a sostenerne lo sforzo. Certo Ajay aveva
più lena del padre, ma ugualmente gli rimaneva estranea ogni
sollecitudine ad alleviarmene lo sforzo, sgravandomi del mio bagaglio o
precedendomi avanti. Ricomparivano le porte del forte, le incisioni
rupestri, il Ganesha volante con ascia e dolci laddu sorbiti con la
proboscide, la coppia di divinità, che essendo fiancheggiata da Ganesha
e da un dio su un pavone in cui era ravvisabile l’altro loro figlio
Kartikkeya, insegnavo a Ajay ad identificare in Shiva e Parvati.
Entrati nel forte, si faceva una dura reminiscenza il tratto di pietraia
che dovevo ripercorrere prima che il cammino alleviasse le sue ruvidità
e si appianasse, inoltrandoci in una radura della foresta collinare.
Soccorrevano le indicazioni dei rari viandanti del luogo, donne e
giovinette e ragazzi gravati dai carichi di sterpi di legna che avevano
affastellato, le tracce segnaletiche del percorso da seguire, tenendo
la destra e poi verticalizzando, che insieme ai cippi di pietrisco erano
costituite dalle bustine di gutka di cui era disseminato il percorso
principale. Rieccoci così in vista del bacino lacustre scavato nella
roccia del talab di alcuni templi di culto di un passato prossimo, dell’amalaka
frammentata al suolo la cui immagine avevo appena eletta a
visualizzazione inaugurale del sito web del bapuculturaltours.
Avendo dimenticato
che la cancellata d’accesso al sito dei templi la si raggiungeva dall’
altezza sulla destra dei resti di una porta dirupata, vi pervenivo per
la stessa via da cui vi ero giunto la volta precedente con Kailash,
sempre sulla destra inoltrandomi di lato al talab nella boscaglia di
tek, fino a raggiungere la recinzione che anche per la mia mole
presentava un agevole varco.
La vista dei templi
, nel loro splendido isolamento nella giungla, era un’apparizione di
nuovo emozionante, la cui fascinazione era temperata dalle mie
accresciute capacità di indagine visiva, che mi consentivano di
rilevarne istantaneamente le peculiarità che già mi avevano strabiliato
la prima volta, per quanto li differenziavano dai templi Chandella di
Khajuraho: l’ammanto statuario ridotto ai minimi termini delle effigi
che figuravano nelle proiezioni superstiti delle pareti esterne del
santuario e nel portale che vi dà accesso, l’ornamentazione proliferante
in loro vece, con il motivo ricorrente e non rinvenibile in alcun tempio
in Khajuraho delle hamsas od oche allineate in fila, simbolo eminente
delle anime sospese tra la terra di questo mondo e il cielo della nostra
destinazione divina. I due templi che precedono quello di cui resta
solo il nucleo di pietra del santuario e del sikkara, insieme con il
portale soggiacente d’accesso alla cella, apparivano due variazioni di
una stessa tipologia, con la differenza nel secondo, che come non si dà
mai in Khajuraho, ma già nel tempio Rahila di Mahoba, od in quelli di
Vyas Badora, due ingressi laterali si sostituivano alle proiezioni dei
due balconi laterali della grande sala- o mandapa -del primo tempio,
che apparivano inusualmente privi dello schienale inclinato della
kakshasana, d’obbligo nella loro ricorrenza in Khajuraho. Solo quando
pervenivamo all ultimo tempio, e già erano le cinque pomeridiane, Ajay
che mi aveva quietamente assecondato , sollecitato dai quesiti e dalle
questioni interpretative che gli ponevo, mostrava le sue apprensioni
data l’ ora che si faceva tarda, per poter prendere un autobus di
rientro in Panna, tanto più che avremmo dovuto ripercorrere l’area del
forte e l intera discesa da esso, prima di ritrovarci nelle ultime
propaggini a valle dell’abitato di Ajaygar, ed ancor più se da Panna
avessimo ancora inteso essere di ritorno in Khajuraho sul far della
notte.
Ma negli ultimi
bagliori del tramonto erano troppo incantevoli le modanature in cui
erano integralmente tornite le costolature delle proiezioni del tempio,
per lasciarlo tempestivamente, e non celebrarvi l’agnizione grandiosa
che vi aveva compiuto Kailash, quando negli interni a più piani,
irrintracciabili nei templi di Khajuraho, aveva rinvenuto la stessa
compagine dei templi gemini Shas Bahu di Gwalior, la città dei
Kacchapagatha divenuti a loro tempo tributari feudali dei Chandella, cui
rinviavano come sua simbologia eponima le stesse hamsa dei primi due
purana mandir del forte, in un contraccambio reso alle signorie
sottomesse che ne sussumeva le forme templari.
Rinviavo Ajay
indietro sui nostri passi di ritorno dal cancello principale , a
sincerarsi presso il guardiano che stavano chiudendo l’ingresso che
tutti i templi fossero shivaiti, come avevo presunto, e come temevo
aveva per me inizio il tormentio della discesa, le ginocchia che era
come si disossassero ad ogni scoscendimento della pietraia, ai gradini
impervi che risalivano al vecchio forte, Ajay che ora mi precedeva
leggero , senza mai volgersi indietro, con il solo onere dei viveri
rimasti, di tanto in tanto con la luce del cellulare mostrandomi i
gradini lungo i quali arrancavo o ricercandone la numerazione che gli
richiedevo di indicarmi quale termine per me di sollievo, per poi
soffermarsi in attesa senza che gli passasse minimamente per la testa di
recarmi aiuto ed alleviare la mia sofferenza con il suo sostegno
corporeo o facendosi carico del mio zaino, esattamente come suo padre,
pronto finanche a raggiungermi in Delhi al mio arrivo, se gli
manifestavo le mie difficoltà di raggiungerlo in India con il mio carico
finanche sestuplo di bagagli, ma poi lasciando ogni volta che gravassero
sulle mie spalle i fardelli più immani
Ma non erano ancora
le 18,30 quanto aveva termine la discesa, e in mezz’ora, prima delle
sette, quando un autobus sarebbe stato in partenza per Panna, secondo
quanto Kailash ci aveva detto al cellulare di ricordarsi, c’era modo di
arrivare alla stazione degli autobus, grazie anche a una scorciatoia di
cui mi ricordavo, per uno spiazzo in cui immettevano alcuni gradini nel
buio che mi era faticoso discendere, mentre si perdeva nel vuoto il mio
grido ad Ajay, più che un richiamo, che indugiasse un poco in mia
attesa, essendo egli in ascolto solo del passante che ci stava
accompagnando.
La luna illuminava
un cobra che giaceva morto nella polvere del cortile , cui io soltanto
sembravo fare caso.
Giunti nello spiazzo
dell’autostazione, sollecitavo a Ajay a richiedere intanto in hindi
quale autobus fosse in partenza per Panna, mancando meno di una decina
di minuti alle sette, ed egli si accingeva certo a farlo, ma senza
trasmettermi le informazione ricevuta che su mia sollecitazione
nervosa, e in spezzoni frammentari, tanto meno ingrossare il suo filo di
voce in ragione della mia sordità, solo su mia istanza .
“ E quest’autobus?”
“ Non parte per
Panna”.
“ E dov’è l’autobus
in partenza per Panna?”
“ E’ quello”
“ Allora andiamoci.
E perché ora non ti dai da fare a salirci?
“ E in partenza alle
8, 10”.
Anche in questa era
consimile a suo padre, che quanto volte mi ha contrariato perché
riservava per se stesso per decidere per suo conto e di testa sua le
informazioni che per comodità chiedevo a lui di richiedere in hindi, per
agevolarmi presso le popolazioni locali che ignoravano l inglese o
avevano con esso scarsa dimestichezza..
Inoltre avevo modo
di contrariarmi ancora di più perchè stava iniziando a procedere per
disposizioni le poche volte che di sua iniziativa seguitava a dirmi
qualcosa, sempre in conformità agli usi paterni e alle costumanze degli
indiani in genere, con chi è altro da loro, di parlare solo per ordini
impartiti, anche chi è sudra o dalit sentendosi un bramino o un raja con
chi è null’altro di meno che uno straniero
Nell’attesa della
partenza chiedevo ad Ajay di aiutarmi a ricorrere al più affidabile
dei locali che servivano somosa e pokora, cercando di rifarci a
quelli più dissimili da un’antro fuligginoso preceduto da una fornace
infuocata tra la sporcizia antistante, seguisse quale criterio che li
imbandissero ancora caldi, o li stessero friggendo, solo che mi dava il
modo di riprenderlo con astio perché per sincerarsi aveva cominciato a
tastare con le mani gli involti sui tavolati, prima che mi precedesse
proprio presso il gestore di una di quelle cavità cavernose, che stava
soffriggendo la pastella che Ajay aveva già ordinato con il suo
ripieno e contorno . Erano buoni in verità gli snacks, e potevamo
sederci su una panca in attesa, mentre alla fucina annerita alle sue
spalle un giovane ci stava recando una tazza di the miscelato con il
latte, solo prima che indisturbate dalle grida di richiamo e di
allontanamento, una vacca, una seconda e poi una terza, avessero modo
di servirsi dei somosa che il friggitore si rassegnava a lasciare
esposti, dopo averne messo via un primo involto.
I miei intenti
sublimatori ne traevano ancor più lena ad esercitarsi, e ad Ajay
lasciavo la scelta risolutiva, a dispetto di ogni inavvertenza,
inosservanza, impertinenza, o inottemperanza, che avesse l ultima
parola, sulla decisione se restare a Panna in hotel, per ripartirne l
indomani verso Kalinjar, o se tentarvi il rientro in Khajuraho quella
notte stessa. E con mio dispetto decideva di ripiegare quanto prima
verso casa. Con la clausola, però. che l’autobus per Khajuraho fosse in
partenza al nostro stesso arrivo nell’autostazione di Panna. A onore
del vero non c’è partnership, o condivisione, che io non sostenga senza
remore e ritrosie se non fa proprio il mio punto di vista, così
avvertivo Kailash della volontà del figlio, per fargli presente quanto
fosse difficile dopo le 22, 30 trovare autorickshaw che dalla fermata
intermedia di Bamitha conducessero a quell’ora in Khajuraho.
Al nostro arrivo in
Pasnna con lo stesso autobus che avevo già preso con Kailash la volta
precedente, in direzione di Jabalpur, troncava ogni residua velleità di
questione che venissimo a sapere che solo alla mezzanotte restava ancora
in partenza un autobus diretto a Bamitha , Chhatarpur, per raggiungere
Indoore l indomani.
In hotel, occupata
la stanza, lasciavo che il caro Ajay trafficasse in bagno a simulare di
lavarsi almeno un poco nella sua straordinaria bellezza, contento che
si togliesse i guanti che usa d’inverno per ogni circostanza, e si
lavasse le mani in mia presenza.
Chicken curry,
muttar paneeer le nostre ordinazioni, prima di assopirci all’istante nei
nostri rispettivi letti, infreddoliti e bramosi di tepore.
Il mattino seguente
era brumoso e solatio, e nella sua radiosità avrei voluto attardarmi
nel Raja-Laxmi hotel, alla vista dei templi di Panna sovrastanti il suo
giardino alberato, assaporandovi la memoria delle mie precedenti soste
in cui vi avevo soggiornato da solo od in compagnia di Kailash, ed ogni
volta l’incanto del viaggio e del permanervi in India vi era risorto,
ma non avessi indotto Ajay a limitarsi solo a bere un the, avremmo perso
l auto che alle nove precise è partito per Ajaygarh, dove alle 10,30 ha
iniziato la sua corsa quello per Kalinjar, dove siamo arrivati solo a
mezzogiorno.
Pervenirvi è stato
lo stesso con il discendervi ad un grado di incivilimento materiale
inferiore, che in India sembra corrispondere infallibilmente alla
rilevanza nel passato di siti di stupa e templi prestigiosi o ancor
splendidi e inespugnabili forti, contro i quali condussero le loro
invincibili armate o persero la loro vita condottieri quali Mahamud
Gazhni o Sher shah Shur, una stato deprimente delle cose che vi rendeva
difficoltoso o proibitivo reperire anche acqua in bottiglia e pokora o
somosa, ed alimentava solo voci discordi o inattendibili sulle nostre
precarie prospettive itineranti lungo il dissesto stradale
Non circolavano
autorickshaw in Kalinjar, tanto meno per il forte, anzi si, ma non ci
sarebbe costato meno di 6.00 rupie, per una distanza che si dipanava
tra almeno sette o solo quattro chilometri , e quanto agli autobus di
ritorno in Ajaygarh, c’era chi sosteneva che l ultimo fosse alle 16, 00
chi ne differiva la partenza alle sedici e trenta, non più tardi,
comunque, il che, calcolato un tempo di ascesa forzata a piedi di non
meno di un’ora e mezza e una durata della discesa per il rientro non
inferiore, riduceva a poco più di mezzora il tempo che dovevamo
riservare alla sola visita del tempio a Shiva Nilakanteshwara.
E non v’erano
soluzioni di ripiego in Kalinjar, se non avessimo potuto fare rientro
con l’autobus in Ajaygarh, dato che non v’era alcuna possibilità di
alloggiarci in alcuna struttura ricettiva, che non fosse una rest house
dislocata nella fortezza, e che non mi restavano che poco più di mille
rupie per essere di ritorno in Khajuraho, confidavo quella sera stessa.
Nel passaporto avevo
ritrovato una mia carta di credito, ma nessuno sapeva di atm in
Kaklinjar, ed era dubbio se mi fosse stato possibile utilizzarla fuori
di un grande centro abitato, dove è difficile che affluiscano i darti
che ne autorizzano l impiego.
Cosi stando le cose
non mi restava in ogni caso che avviarmi subito con Ajay lungo l’erta
asfaltata che recava al forte, ch’era più lunga delle ascese per scalini
ma che ci evitava l’affaticamento lungo le loro rampe, sopendo ogni
tacita renitenza di Ajay, alla prospettiva di dovercisi avventurare
forse per non meno di sette chilometri all’andata e altrettanti al
ritorno. La speranza era che qualche motociclista o autista di passaggio
ci recasse soccorso, abbreviandoci i tempi di percorrenza.
Di nuovo mi stavo
frustrando nel frustrare la sua presunta tendenza al facile e comodo, e
quando un motociclista ci offriva un passaggio fino alla deviazione che
ascendeva alla qila, rifiutavo la sua offerta di condurci fino al suo
ingresso di li a poco, credendo di dovermene poi duramente pentire di li
a poco, quando mi sarei ritrovato ancora all’inizio dell’erta , dopo
oltre mezz’ora di cammino, spossato sotto lo zaino, con Ajay sempre e
soltanto al mio seguito, senza che il tornante superiore apparisse
risolutivo.
Imperterrito
seguitavo confidando comunque, in capo a una svolta ulteriore dei
giovani ciclisti che intercettavamo ci dicevano che non restavano più di
due chilometri, che si dilungavano a quattro secondo la diceria cui
cercavo di non prestare ascolto di un altro interpellato, pur se un
lungo tornante sembrava condurre all’altra estremità delle mura
sovrastanti, finché una svolta si faceva risolutiva e ci immetteva di lì
a poco dentro la cinta muraria del forte.
Chiedevo all’
imperterrito Ajay quanti chilometri di ascesa avessimo percorso secondo
i suoi calcoli, non più di quattro secondo il mio stesso calcolo, solo
che tutti i computi tornavamo a collimare per il protrarsi estenuante,
dati i tempi ridotti a nostra disposizione, del camminamento ripido
all’interno del forte che ci restava da compiere per raggiungere il
tempio, che sapevo posto sotto le mura all’altra estremità della sua
vasta estensione. Un uomo che intercettavamo mentre procedeva in
bicicletta sotto l suo fascio di sterpi ci riservava ancora due
chilometri a piedi per essere all’altezza del tempio, di cui era una
vana smentita, cui non prestavo credito, la riduzione a meno di un
chilometro del percorso restante, che ci forniva in altro passante in
bicicletta.
Era incantevole la
boscaglia circostante, di cui respiravo la stessa fragranza nel sole che
ne avevo recepito quando con Kailash vi ero pervenuto al termine della
ripida erta di scalini,
ma l’ansia di
pervenire quanto prima al tempio e quanto al destino conclusivo della
nostra escursione oscurava e precludeva ogni distensione mentale nella
sua contemplazione appagata.
Ed eccoci alfine
all’altezza del portale costituito di materiale di recupero e reintegri,
che sapevo condurre alla ripida discesa scalinare che recava al tempio,
un’ora e quaranta la durata della camminata, le due e dieci l ora del
nostro arrivo, ma nonostante fosse già tardi dato il rientro che
dovevamo anticipare, differivo di percorrere la scalinata per chiedere
conto dell’ora di partenza degli ultimi autobus per Ajaygarh, ad una
guardia giurata locale che supponevo per questo una fonte più autorevole
dei negozianti che avevo interpellato
Giù nel villaggio.
Ed egli alleviandomi l’ansia e consentendomi più agio nel rivisitare il
tempio, mi diceva che l’ultima corsa per Ajaygarh partiva alle 5,00, se
non alle 5,30, come confermava un suo collega. Ci indicavano anche un
percorso di discesa più rapido, la scalinata che si profilava al di
sotto delle mura d’accesso all’area sacra del tempio, che recava nel
sobborgo di katra, al termine del quale, laddove vedevamo profilarsi un
traliccio enorme, stava la stazione o la fermata di sosta degli autobus.
Un avanzo di pena la
discesa ulteriore per i 160 scalini, a contarli tutti, che ci separavano
dal tempio e dalle sue sculture rupestri non meno magnifiche, che
tornavano a impressionarmi e ad esaltarmi al contempo, nella loro
celebrazione dello sfrenarsi di Shiva il tremendo.
Mi prestavo ad
essere agevolato da una ulteriore guardia nella loro decifrazione, ma
quanti dei suoi dati erano attendibili?
Ed Ajay che faceva
da traduttore intermediario, alla mia sordità porgeva in un filo di voce
le sue informazioni.
A riunirle insieme,
rielaborandolo il tempio sarebbe risalito nel samvat 853 a un re Pandu
anteriore ai Chandella, che dopo la presa del forte nel samvat 2012, ne
avrebbe sfumato il tantrismo sfrenato shivaita sussumendolo alla
celebrazione degli sponsali di Shiva e Parvati, in conformità con la
rilevanza centrale delle loro festa nuziale per Shivaratri in Khajuraho.
Non vi era altro dio
che Shiva scolpito ovunque, eccetto Vishnu ai lati del portale del tempo
e la sua incarnazione più macabra Narashima, di fianco al pannello più
orrido, in cui una Chamunda più che mai emunta ed emaciata sfrenava
la sua danza dissolutoria tra un Shiva consimile ed uno Shiva nero, un
Manupero di cui mai non avevo sentito parlare, mi ripeteva la guida,
un suo avatar faticava a farmi intendere Ajay, Shiva aghora intendevo
io.
Le mie reiterate
insistenze perché Ayaj quando non capivo i termini usati dalla guida me
li traducesse a volte alta, e con sonorità comprensibili, erano state un
tale gemito vano, che stizzito ad un certo punto ho dovuto frenare l
impulso a scagliare verso qualche parete o piattaforma la macchina
fotografica, incollerito da tale sua assenza o indisponibilità mentale.
Estremamente
illuminante era il ravvisamento del mitico progenitore lunare dei
Chandella re Chandravarman che mi propiziava la guida, nel raja con la
Raniu al suo fianco che era reiterato in adorazione di Shiva, mentre in
un altro sovrano dall’acconciatura meno tondeggiante e rigonfia era
riconoscibile la figura storica di re Yasovarman.
Langur si
affollavano ovunque, tra le rocce del tempio la cui suggestione più
potente era l’essere ancora un tempio vivente, odorante d’incenso e di
sandalo nell’oscurità cavernosa del suo garbagrahiha, umido e trasudante
di fumi e fragranze e liquami oleosi di offerte, oltre i soli pilastri
e le trabeazioni che restavano del portale d’accesso, in cui il sole
sforava radiante l’assenza di sovrastruzioni sommatali.
Re stava l’enorme
Shiva Nataraja con il fallo in erezione e collane di teschi, in
compagnia di una Parvati o in essa trasfiguratesi, che stentavo a
individuare negli accertamenti della guida. Possibile, poi, che tra le
svariate immagini di un dio col turgore rigido del fallo snudato non una
corrispondesse a Lakulisha?
Comunque fosse, a
ognuno il suo, alla guida il suo emolumento, e d a me e ad Ajay il
conforto di una ricognizione esaltante, che per quanto affrettata, era
durata quasi un’ora e mezza, imponendoci di affrettarci all uscita verso
la scalinata che discendeva a Katra, secondo la scelta che aveva
condiviso di Ajay, per quanto si preannunciassero alle mie rotule ed
alle articolazioni delle ginocchia non meno di 450 scalini ad uno ad uno
dei quali sconocchiarsi.
Che ne pensi Ajay,
di Kalinjar? Chiedevo al ragazzo nel calzare di nuovo le scarpe, che
avevo dovuto levarmi per accedere al mandap e alla cella del santuario
“ E più bello anche
di Ajaygarh”
“ Peccato che la
foschia diffusa in cui si era schiarita la nebbia e la precipitazione
del rientro al più presto in Kalinjar ci precludessero tutta la
magnificità della vista della vallata e dei rilievi sottostanti
e di
indugiarvi, che Ajay non raccogliesse che furtivamente i miei inviti ad
ammirarla, nel rilucere pomeridiano del fiume che serpeggiava tra i
coltivi a perdita d’occhio, ora precedendomi in continuazione con
altrettanta leggiadria quanto io affrontavo di sbieco ogni gradino con
la grevità di un elefante, senza che nemmeno gli sfiorasse la mente di
venirmi incontro ad alleviarmi la pena.
E quando gli
chiedevo se fossero un peso per lui gravoso le bottiglie dell’acqua e i
biscotti e la fetta di torta e la frutta ancora rimastaci da consumare
nel sacco di plastica che recava in mano, non raccoglieva l’invito
indiretto a farsi carico almeno in parte del mio onere più gravoso. Si
cinto intanto il capo con la mia sciarpa bianca, a guisa di turbante,
il che lo rendeva ancora più bello e contrariante nel suo bellissimo
volto che ne traeva più ancora risalto nei suoi fini lineamenti oscuri.
Avevo smesso
frattanto di contare gli scalini che restavano, altro che quattrocento,
almeno settecento, secondo quanto mi sincerava un’altra guardia del
forte che incrociavamo, porgendomi con estrema gentilezza lo sterpo che
stava usando come bastone
Con i loro fasci di
legna, o le capre che riconducevano dal pascolo, avremmo ancora
incrociato donne e bambini, prima di ritrovarci a valle , all ultimo
scalino cui succedeva un percorso cementificato in ulteriore discesa.
La via che
traversava Katra ci offriva il più vario spettacolo al tramonto degli
aspetti della vita di un villaggio indiano, i bambini intenti nel gioco
con delle piastre di pietra, una cerimonia religiosa ed un
festeggiamento presso il porticato di una casa, il clangore del mulino e
la vista di macchinari di molitura o di cardatura, prima che ci
ritrovassimo
Alla fermata degli
autobus, quando non erano ancora le cinque di sera.
L’ultimo autobus che
era stato dato in partenza per Ajaygarh era partito quando erano ancora
le tre e trenta, e comunque non avremmo mai potuto prenderlo, e a poco
ci era valso che nonostante le mie difficoltà dolenti avessimo impiegato
non più di un’ora e dieci minuti per scendere dal tempio sino alla
stazione di sosta degli autobus.
“ Io ci avrei messo
solo mezz’ora” era il commento importuno di Ajay.
Lo mandavo in
avanscoperta per raccogliere dati utili su quale autobus ulteriore e a
che ora potesse ancora essere in partenza per Ajaygarh, e le risposte
raccolte dovevo carpirgliele ad una ad una.
“ Ajay, debbo fare
così perché non capiscono una parola d’iunglese”
“ Yes”
“ E tu perché non mi
traduci quello che ti hanno detto”
Muto silenzio.
Unautobus era appena
pervenuto dalla meta di destinazione.
“ Ajay chiedi se
riparte per Ayaigarh”
“ Yes”
“ E che cosa ti è
stato detto”
Ai suoi vaghi
accenni tutto e il contrario di tutto-
Come alla domanda
conseguente se ci fossero altri autobus per Ayaigarh e versio quasl
ora, prevalendo il diniego di ogni possibilità ulteriore, come restava
a me di intendere e di non voler credere.
E dovevamo ritornare
sui nostri passi dove si era arrestato, dopo avere svoltato, stando o
non era meglio, secondo i negozianti affacciati sulla strada nel loro
baracchino, ed il mio parere, seguitare dove la strada per Ayagarh
procedeva in direzione opposta verso Banda, dove era possibile che
sostassero altri autobus di passaggio, e dove già con Kailash avevo
trovato il modo di lasciare Kalinjar?
In mancanza della
sua trasmissione di dati forzavo le cose in tale direzione, ritrovandomi
oltre degli altri portali al incrocio viario che segna l ingresso in
kalinjar e già l’avviamento alla sua conclusione in direzione di Banda,
dove verso la capitale del distretto dell’Uttar Pradesh in cui rientrano
il suo abitato ed il forte, avviava una strada dal dissesto
pulverulento.
Un’inquietudine
crescente si stava in me insinuando nella sua vaga apprensione, che
dissimulavo ad Ajay sotto un’aria svagata, cercando l’appiglio di ogni
possibile dato rassicurante, mentre faticavo a tacergli la mia
insofferenza che Kailash non ci avesse ancora telefonato per chiederci
dove ci ritrovassimo ed in quale situazione. Pazienza che per
risparmiare lo facesse quand’io ero in viaggio da solo, ma ora, che alla
mia responsabilità era affidata la sorte del figlio…
“ tuo papà deve
avere una gran fiducia in me, se non mi ha ancora telefonato una
volta..”
“ Yes”
Al punto dove oltre
l incrocio fermavano ulteriormente gli autobus vedevo un uomo, poi più
donne che sostavano.
Chiedevo ad Ajay di
domandare loro se fossero diretti anch’essi ad Ajaygarh.
Li interpellava, ma
dovevo carpirgli la risposta affermativa che gli avevano dato.
“ E perché non me l
hai detto ed ho dovuto cavartelo di bocca? Capisci , Ajay, l importanza
della cosa? Se c’è della gente locale che è in attesa di un autobus per
Ajaygarh, è quasi certo che c’è anche un autobus che prima o poi passerà
e vi ci porterà.”
Capiva, solo che
restava sulle sue, sempre più infreddolito, mentre la sera calava sempre
più oscura e inospitale.
Che non fosse il
caso di procedere invece in direzione di Banda, con il primo autobus che
ci consentisse di lasciare comunque Kalinjar dove non avevamo di
restare, e tentare il rientro in Khajuraho con il treno notturno che vi
passa provenendovi da Varanasi?
Era un po’ in senso
inverso come il buscar il levante por el ponente, ci eravamo mossi da
Khajuraho verso nord est e ci saremmo rientrati da nord ovest, ma
comunque vi avremmo potuto fare ritorno la mattina seguente, per quanto
il treno fosse “ normally late”un cumulo di ore, secondo il comunicato
delle ferrovie indiane che proprio lyngo quella tratta ferroviaria mi
era divenuto familiare in Allahabad.
Mi confermava in
tale avventurarmi, che il solo autobus che sostava in partenza fosse
quello in direzione di Banda, e iniziavo a fare menzione di tale
opportunità ad Ajay, a parlarne al telefono con un laconico Kailash,
che si limitava a prenderne atto e a informarmi che il treno che da
Varanasi reca a Khajuraho vi era in arrivo alle due notte.
Fino a punto era il
caso di attendere un autobus sempre più improbabile per Ajaygarh, mentre
i soli che nella sua aspettativa intanto effettivamente partivano e che
rinunciavamo a prendere per lasciare a qualunque costo Kalinjar, erano
prima l uno, dopo l’altro, quelli che se allontanavano verso la più
distante Banda?
Confabulavamo
facevo Ajay sempre più convinto dell’opportunità di muovere in tale
direzione oppota, solo, che convenivamo, era il caso di attendere che
fosse definitivamente trascorsa l’ora di un eventuale partenza di un
autobus per Ajaygarh, in tempo utile per la coincidenza per Panna, dove
si faceva impossibile non dover permanere un’altra notte, mentre le
rupie non bastavano più per il pernottamento, e occorreva confidare nell
utilizzabilità del bancomat.
Ma di li a poco
veniva meno anche l ultimo appiglio della mia ostinazione a credere che
un autobus per Ajaygarh potesse ancora sbucare o profilarsi in arrivo da
una qualsiasi parte, un furgone di passaggio caricavo tutti coloro che
sostavano lungo la strada che vi recava, e che in realtà erano diretti
ad un villaggio a dieci chilometri di distanza.
“ Saliamo anche noi,
Ajay?” sono stato tentato a chiedergli?
“ No” mi ha risposto
con prontezza, con tutta la sensatezza del caso.
Ci saremmo
ritrovati senza possibilità di alloggio, a sera più inoltrata, ancora
più impossibilitati a muovercene che da Kalinjar
Facevo appello a
Kailash, ancora per telefono, che si limitava a propormi di chiedere
informazioni ulteriori ad altra gente locale.
Erano oramai le sei
di sera, nessun autobus sarebbe più partito per Ajaygarh, ed ora che
anche Ajay era dell’idea di tentare la soluzione di Banda, nessun
autobus sarebbe più partito anche per tale destinazione, a quanto ci si
ribadiva da più di uno, compreso il gestore dio uno spaccio di card e
ricariche della telefonia mobile, che sembrava avere più prontezza
mentale della generalità degli altri nostri interlocutori precedenti.
A tal punto, con una
fiducia interiore che sormontava tutte le difficoltà e le ansie del
caso, prospettavo ad ajay la soluzione estrema e a me più invisa,
quella di ricorrere a un taxi.
Che altro ci restava
da fare?
Il guadagno
conseguente avrebbe di certo reso reperibile anche in Kalinjar un
qualsiasi conducente privato, confidavo, come mi confermava l uomo dello
spaccio di ricariche, per il tramite di Ajay.
Solo che per
Ajaygarh il trasporto ci sarebbe costato non meno di mille rupie, ed
ancora di più per Banda, a oltre 50 km di distanza, troppi per le mie
disponibilità effettive, a prescindere dalla mia carta di credito.
La sola opportunità
che ci restava e che l uomo individuava con una tempestività che si
rivelava il nostro appiglio imperdibile, era quella di tentare di
accordarci con un conducente di un furgoncino a più posti alla guida del
quale era in procinto di partire per Naraini, un grosso villaggio sulla
strada per banda e Citrakoot, dove era possibile comunque alloggiare,
forse ancora prendere un autobus per banda, verificare l utilizzo della
carta di debito, secondo le assicurazioni dell uomo dello spaccio
Dovevo chiedere più
volte ad Ajay della effettiva località d’arrivo, e di quanto distasse,
come era venuto a sapere, e ricorrere alla sua mediazione perché il
conducente dell’autoveicolo si accordasse per 300 rupie in luogo delle
4.00 che richiedeva inizialmente, per un percorso che sarebbe stato di
una ventina di chilometri.
Nel cuore oramai di
una notte stellata rischiarata dalla luna, l’autoveicolo,l come vi
salivamo alla partenza, si rivelava una autentica carcassa , mancava di
ogni vetro che non fosse quello frontale, e il freddo più acre ci
raggiungeva dovunque, intirizzendovici tra i passeggeri amici che erano
stati fatti salire a mie spese.
Porgevo ad Ajay un
lembo dello scialle di cui mi ammantavo, ma egli se ne discostava,
dicendo di patire quel gran freddo solo un po’. Ed io avevo la
sconsideratezza di credergli e ritirare la mia copertura
Il fondo stradale
integralmente dissestato rendeva intanto il tragitto interminabile,
allontanando da noi Kalinjar irrevocabilmente, a una distanza tanto più
remota quanto più era impensabile che potessimo ripercorrerla di nuovo,
per ritrovarcisi in tale avamposto di ogni abbandono del mondo.
“ The road is very
bad”era la considerazione d’obbligo in cui usciva Ajay dal suo riserbo.
Nel volto mi
appariva eccitato dalla situazione in cui eravamo avventurati, gli
occhi spalancati sulla tenebre notturna, come se le circostanze che ci
avevano coinvolti nella loro smisuratezza lo sospingessero a sentirsi e
a farsi più grande del piccolo Chotan che si era ritrovato ad essere.
La mia ansia, in
apprensione soprattutto per la sua sorte apprensivamente responsabile
della sua sorte, a sua volta si lasciava immergere nella
immensità della notte indiana , in ciò che il corso assunto dagli
eventi ci rivelava di così bello e inatteso, la vastità dei campi e
la grandiosità degli alberi rischiarata dalla luna , il biancore dei
casolari e delle casipole ai lati ghiaiosi delle strade, dove balenavano
e sparivano alla vista le vampe crepitanti dei fuochi accesi dagli
uomini che vi si riscaldavano e radunavano intorno
in capo a un’ora e
quaranta eravamo finalmente a Naraini, illuminata da cosi poche luci
nella animazione residua nei suoi percorsi stradali, da lasciare ben
poco sperare su che cosa potesse riservarci.
Il conducente del
furgoncino smentiva che ci fossero alloggi in cui pernottare, coloro che
contattavamo non ne sapevamo di atm, e le varie alternative cui dare la
precedenza all’arrivo, su cui mi ero intrattenuto con Ajay,
si riducevano alla
sola possibilità di trovare ancora un autobus in partenza per Banda.
Kailash con cui si
erano persi i miei contatti, avendo esaurita la mia ricarica del
cellulare, mi contattava in mia vece mostrandosi oramai fortemente
preoccupato, in narerenj in cui potevo dirgli che eravamo arrivati
avrebbe voluto che cercassimo un alloggio per la notte, temendo per la
nostra salute esposta al gran freddo notturno più di quanto volesse un
nostro ritorno a casa nei tempi più brevi, essendo rimasto
impressionato dalle notizie di quanti erano già morti in india per il
rigore notturno dell’inverno indiano, ma data l irreperibilità di
qualsiasi albergo in Naraini, che lo cercassimo in Banda, sempre che mi
restassero rupie abbastanza per consentircelo e pagare l indomani i
biglietti del treno o degli autobus su cui fare ritorno a casa.
Commutavo le sue
esortazioni in disposizioni, visto che ne avevo affidata la sorte del
figlio, e ad Ajay chiedevo di farci condurre dove fosse la stazione
degli autobus.
Con il conducente
del furgoncino scendeva in strada e si arrestava poco distante, senza
darmi spiegazioni, nemmeno dopo essere disceso a mia volta e d essermi
affiancato a lui.
“E qui che ci stiamo
a fare?”gli chiedevo stizzito. Ti ho chiesto di farci condurre quanto
prima all’autostazione di cui si è parlato”.
“E’ tutta qui
l’autostazione. E’ qui che fermano gli autobus per Banda”
Ed io come posso
venirlo a sapere da solo, se non c’è niente di niente “.
Per il tramite del
conducente che li interpellava, sopraggiungeva un gruppo di uomini che
ci attorniavano, che si rivelavano dei conducenti di autorickshaw.
Dopo che tutto era
stato convenuto tra loro ed Ajay, dovevo alzare la voce nei suoi
confronti, perché mio dicesse che restava possibile recarci su una loro
vettura ad Atarra, a una diecina di chilometri di distanza, dove c’era
pur anche la stazione ferroviaria, era utilizzabile l’atm, e in un
albergo sarebbe stato possibile trovare alloggio.
Cominciavo così a
intravedere la luce . Pervenire ad una stazione ferroviaria nodale, era
già ritrovarsi fuori della situazione più critica, dell’arresto
all’addiaccio con Ajay durante tutto il corso della notte, in una
località che non offrisse alcun alloggio ed alcuna possibilità di
ripartirne che a nottata passata…
“ Ajay va bene
così, ma ti devo ripetere ancora che devi dirmi ogni cosa prima di
decidere? Che mi sei stato affidato da tuo padre e che devo prendermi in
cura di te? E debbo tener conto di tutto, come tu non fai: va bene così,
ma solo se non viaggiamo su un’altra vettura senza vetri che ci riparino
dal freddo!Capito? Capito?”
“ E’ un
autorickshaw”
Solo una volta che
l’autorickshaw è stato avviato ed era in corsa, mi sarei reso conto che
non aveva teli protettivi ai lati, e che insieme con me avrei esposto
Ajay all’infreddolimento di altri dieci chilometri almeno di percorso
stradale.
Dovevo sollecitare
Ajay più di una volta a chiedere se Atarra, di cui sentivo parlare per
la prima volta fosse tra Banda e Mahoba, verso la quale nel qual caso
avremmo potuto inoltrarci direttamente. Restava invece tra Citrakoot e
Banda, e Banda restava un’ulteriore tappa obbligata procedendo con
l’autobus. Il conducente dell’autorickshaw ci ripeteva che un treno per
Mahoba ripartiva dalla stazione di Atarra dopo la mezzanotte, ma vi
fermava il treno che da Varanasi recava in seguito a Khajuraho?
In Atarra ci
ritrovavamo ad essere risaliti di un altro livello di civiltà materiale
rispetto a Kalinjar, strade luminose, trafficate, palazzi ed edifici
moderni, con vetrature metalliche, uffici e filiali , non solo negozi,
sovrappassi e sottopassaggi, vie affollate ancora di vita quando
erano già passate le otto di sera. Ma quando l’autorickshaw sostava al
principale atm ma vi andava delusa la possibilità di prelevare rupie.
Poco distante era un locale ove ed io ci riprendevamo dal gran freddo
sorbendoci un the, mentre chiedevo se a quell’ora vi fosse ancora un
autobus in partenza per Banda. Si, e di li a poco, verso le nove,
sostando proprio lì davanti. La fiducia nel decorso favorevole della
scelta intrapresa conosceva il battito d’ali d’una schiarita ulteriore…
Mentre Ajay capiva all’istante l opportuniutà di eludere la stazione
ferroviaria di Atarra e di procedere verso Banda dove il treno per
Khajuraho avrebbe senz’altro fatto sosta , in una tappa di
ravvicinamento, tanto più che l’atm non mi aveva erogato il contante
utile per rimanere in Atarra al riparo dal freddo in un alloggio,
dovevo ripetermi più di una volta con il conducente premurosissimo
dell’autorickshaw per fargli intendere la vantaggiosità che ci lasciasse
a quel punto senza
condurci alla
stazione ferroviaria.
Sferragliante e
puntuale arrivava l ‘autobus per banda su cui salivamo, tra il suo
carico di lavoratori pendolari involtati in coperte, nel suo interno
senza riscaldamento.
Solo ora, ravveduto
dalle sollecitazioni di Kailash, vedevo che Ajay aveva affrontato quel
viaggio sprovvisto di giubbino e di abiti pesanti, traendone
l’avveertenza a scostarlo dal finestrino cui s’era accostato da cui
provenivano spifferi, e se rifiutava di trarre lo scarso riiaro che
offriva il mio scialle, che almeno gli facesse da coperta l’asciugamano
che traevo dallo zaino e in cui si invboltolava.
Le luci di Banda e
le sue contrade notturne apparivano oltre i vetri quando da poco erano
le dieci.
La confidenza che
sempre più riponevo nel decorso della nostra avventura mi induceva a
fare partecipe Ajay del mio intento di tentare di avvicinarci
ulteriormente a Khajuraho su di un autobus ulteriore che fosse in
partenza per Mahoba, sempre che il freddo vi fosse sopportabile, pur se
attenendomi alle volontà di Kailash restava da perseguire l’intento di
trovare riparo e dove dormire in Banda, sempre che un atm mi erogasse
rupie, o di attendervi altrimenti il treno da varanasi, all’interno
accogliente della stazione ferroviaria. In Mahoba avrebbe potuto
prendere anche il treno che vi proveniva da Delhi per khajuraho , se non
quello che vi recava che muove dalla stazione di Jhansi
All’autostazione di
Banda Ajay provava a chiedere se per mahoba cerano ancora autobus in
partenza, ci si additava quello rossastro che oltre lo spiazzo d’arrivo
stava avviandosi proprio in quel momento, irraggiungibile anche dalle
nostre segnalazioni che ritardasse ad attenderci.
L’ultimo autobus per
Mahoba, ci si diceva,..
Venivo allora
elaborando il mio disappunto, quando Ajay mi mostrava un autorickshaw
navetta su cui salire.
Per dove mai?
Per raggiungere
l’autobus ch’era già partito. Glielo avevano messo a disposizione coloro
che aveva già interpellato alla sua partenza
Salivo, malmostoso,
non senza ribattergli che non dovevo essere io a chiederne la
destinazione. Se si fosse fermato invece per la stazione ferroviaria, o
lo sportello di un atm, dove sarebbe stato ugualmente sensato
indirizzarci.
E perché mai, senza
che egli o nessuno mi dicesse il perché, ora nell’algore notturno la
vetturetta si arrestava in quel punto stradale , dove le auto sollevano
con le ventate di freddo solo un gran polverio. Era
per arrestarvi chissà fino a quando l’arrivo chissà mai di un altro
autobus per mahoba, chiedevo sempre più alterato ad un Ajay da cui mi
sentivo scavalcato, nelle mie responsabilità e nei miei compiti, non
immaginandomi che potessimo intercettare quell’autobus che
sopravanzandolo al nostro sopraggiungere e chiedendo al conducente di
arrestarsi per farci salire.
E qui, da parte sua
e del conducente si aveva modo di dirmi solo quando era già trasceso,
che l’autobus deve ancora arrivare per farvi una sosta.
Il mio sfogo si
faceva un’ eruzione incontenibile, conscio che potevo consentirmela
anche perché la situazione non metteva più ansia, od angoscia, per la
tempestività dello stesso Ajay , su cui mi scatenavo, nel dare
attuazione alle soluzioni che gli venivo comunicando.
“ E come posso io
anche solo pensarlo , se non mi dici niente, e mi taci tutto, in questo
punto della strada come ogni altro? Come faccio a sapere, se non mi dici
niente, che l’autobus che abbiamo visto partire è quello che chi deve
ancora arrivare, o se siamo qui in attesa di un altro, e fino a quando,
con questo freddo? Io devo pensare a più cose di quello che credi, alla
tua salute , e non solo ad arrivare, devo considerare quello che vuole
tuo padre., oh no, caro mio, anche andare alla stazione ferroviaria,
o ad un atm, se c’è qui da aspettare, poteva essere una soluzione buona,
ma tu sai già tutto, eh, sei tu che pensiu di stare decidendo e di di
dover decidere anche per me, vero, e non pensi di dovermi dire tutto di
quello che vieni a sapere in hindi che mi serve a decidere… sei un
ragazzino di quattordici quindici anni, te lo ricordo, mentre sono io
che debbo provvedere per te, alla tua salute e sicurezza prima di tutto!
E copriti come devi, una buona volta … “
E così urlandogli,
più che dicendogli, lo strapazzavo avvoltolandolo nell’asciugamano che
lasciava cadere sui fianchi.
Con ciò il nostro
capitano coraggioso era da me sventuratamente ridotto alla sua
remissione forzata di ogni giorno senza più neanche l’aire di
fiatare.
Né mi placavo quando
eravamo già seduti sull’autobus che era sopraggiunto e ci conduceva a
mahoba
“ Se pensi che sia
un baba murk, stupido, non è proprio il caso che viaggiamo insieme
ancora un’altra volta! Ma che cosa anche solo ne sapevi di Banda e
Mahoba, in kalinjar, eh, tu che credidi stare decidendo tutto e di
stare facendo tutto di testa tua… Chi l’ha trovata questa via d’uscita…
tu, in tutto, come tuo padre, come voi indiani, a pensare e parlare
solo per ordini, mai che siate capaci di decidere insieme, o di fare
insieme con gli altri… di pensare per loro… sempre e solo a tenervi
tutto per i fatti vostri… e la lista del conto si allungava ad includere
ambo le salite e le discese in cui non mi aveva dato una sola volta la
mano o sollevato dello sforzo, che era rimasto indietro o mi aveva
proceduto in avanti…”
“ You decide all”
era quanto non poteva più che dirmi all’arrivo in Mahoba, quando gli ho
fatto presente l’alternativa ulteriore che ci si prospettava,o farci
condurre in autorickshaw direttamente alla stazione ferroviaria, ad
aspettarvi almeno fino alle tre, se non tardava, il treno per Khajuraho
in arrivo da Varanasi, o in autorickshaw avviarci a cercare un atm, e se
ci avesse riconosciuto l’autorizzazione della carta di credito e
rilasciato contante, sistemarci in un alberghetto vicino, e ripartire l
indomani mattina, con il primo treno che fosse fino a tal punto in
ritardo, o con l’autobus.
Era ovvio nella mia
mente che anche solo un briciolo di saggezza non lasciava spazio a
un’alternativa reale, che s’imponeva quanto imponevo al mio Ajay
derelitto, così , dopo avere disseminato con un’aria stupida e svagata i
conducenti di autorickshaw che ci si appressavano intorno, gli ordinavo
di chiedere a due ragazzi che ancora andavano su e giù in autorickshaw
alla autostazione di portarci al più vicino atm, che non era quello
della State bank of India richiesto, ma che forse proprio per questo mi
accreditava a viva voce le credenziali da gran signore per ottenere le
rupie più che bastanti ad assicurarmi qualsiasi soggiorno notturno in
Mahoba e rientro mattutino in Khajuraho.
I due giovani
compari non avevano nessun discernimento di scelta negli hotels, così
non restava che sistemarmi con Ajay nel primo che fosse utile a
posarcisi su un letto e a fare meno di entrambi, per il loro
atteggiamento profittatorio, visto anche che per avere scorazzato in su
ed in giù per qualche chilometro chiedevano quanto ci era stato
richiesto da Naraini ad Atarra.
La stanza ed il
bagno sono veramente brutti, Ajay, e le lenzuola ed i cuscini lo vedi
quanto sono sporchi, ma avevamo a che fare con due “madarchor”, e qui
ci serve soltanto un letto dove dormire vestiti al riparo dal freddo
fino a domattina. Se vuoi possiamo lasciare l hotel alle tre di notte,
quando è in arrivo il treno per Khajuraho. Tik-e?”
Conveniva il
ragazzo, “ very good” era il commento di sollievo di Kailash quando
veniva a sapere del nostro pernottamento in stanza a Mahoba, grazie alla
ricarica che Ajay era stato in grado di effettuare in Atarra poco prima
dell’arrivo dell’autobus per Banda” Ora sono tranquillo e posso dormire
fino a domattina. Non cìè più problema, voi potete anche fare ritorno
anche domani sera, viaggiando di giorno”.
Di li a poco le
coperte che ci serviva l’addetto alla reception, il cui loculo per
dormire era dietro una serranda da garage, ci hanno offerto una tale
tiepida alcova nel freddo della stanza che il sonno è piombato
istantaneo e non ci siamo risvegliati solo dopo le sette del mattino.
La giornata sii
preannunciava magnifica, con l ultimo dilemma ancora da sciogliere, lo
stesso tutte le volte che da Mahoba si deve fare rientro in Khajuraho-
se sia meglio prendere un treno che impiega solo un’ora ma che non si sa
mai con che ritardo parta provenendo da altrove , o un’autocorsa che di
ore che impiega non meno di tre e mezza, abitualmente quattro, ma di cui
basta recarsi all autostazione per verificare l ora certa di partenza.
Se uno dei due treni da Varanasi e da Delhi fosse arrivato in ritardo
proprio al contempo quell’ora alla stazione, un’ora dopo soltanto
ci saremmo ritrovati in Khajuraho,
La sensatezza
condivisa ci induceva a verificare come stessero innanzitutto le cose
all’autostazione, un autobus vi era immediatamente in partenza per la
nostra destinazione, e su di esso ci era giocoforza salire.
Avessimo tentato
l’azzardo irragionevole, alle nove del mattino avremmo potuto
ritrovarci in Khajuraho tre ore prima,apprendevamo all’arrivo, con il
treno che nel frattempo sta raggiungendo la stazione di Mahoba con
cinque ore di ritardo, le stesse di quanto si sarebbe prolungata la
degenza notturna di me ed Ajay in una delle stazioni ferroviarie lungo
la tratta, se l’avessimo scelta in Atarra, Banda o Mahoba appena dopo il
nostro arrivo.
Ma Khajuraho non ci
sarebbe apparsa così bella come si è rivelata arrivandovi in pullman da
Mahoba, pur nel dissesto dell’accesso mediante la sua circonvallazione,
nello snodarsi sotto il sole prima di Vidhya Colony, poi dei villaggi
turistici e di serre e giardini, tra le radure e gli armenti del
pascolo, dell’estendersi ultimo di Sewagram, nei fortilizi squadrati
delle sue case su cui si sopraelevavano i sikkara dei templi, nella
plaga del Ninora talab prospiciente i templi di Brama, Javari e Vamana,
l’incrocio da cui iniziava l’intrico di case di Khajuraho vecchia,
quello dell’ ulteriore chowk alle sue estremità, da cui aveva inizio l’addentramento
lungo il viale alberato nell’area verde dei servizi civici –l’ ospedale,
la polizia, le poste-, che preludeva nei suoi viali al dispiegarsi dei
parchi degli hotel di lusso, prima dei quali un’ampia curvatura
dell’autobus poneva felice termine al nostro viaggio nella autostazione
di quanti miei arrivi e partenze tra la felicità ed il pianto.
……………………………
top
|
|