Odorico Bergamaschi Prima edizione digitale 2016 |
marzo 2016 |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
Nella luce nitente di un’alba di marzo incantevole, erano appena le sei quando io e Kailash scendevamo alla stazione di Anuppur, per la quale puntualmente eravamo partiti la sera avanti alle 10, 20 da Satna. Avevamo così deciso di attenerci alla destinazione del nostro biglietto ferroviario, benché sul treno, poco prima dell'arrivo in Anuppur, un viaggiatore ci avesse avvertito che alla seguente fermata di Pendra Road ci saremmo ritrovati ad una distanza ben più ravvicinata ad Amarkantak, cui gli avevamo detto che il nostro viaggio era rivolto. Ci eravamo infatti risolti, finalmente, a visitare una prima volta il gran "Teerthraj" alle sorgenti della Narmada, il fiume meraviglioso da cui trae Amarkantak la sua origine e la sua rilevanza, e di una tale sacralità che per molti Hindu è superiore a quella dello stesso Gange, al punto che valeva quanto il sacrificio regale dei dieci cavalli, l'ashvameda, una sola immersione ove sia il guado delle sue acque, e che la sola loro contemplazione può assicurare la moksha della liberazione dal ciclo delle reincarnazioni.( "Ganga snane, Yamuna paane, Narmada dhyane"). E' Per recarci ad Amarkantak discendendo ad Anuppur, confidavo in
realtà nel fatto, e Kailash concordava, che essendo Anuppur il capoluogo del distretto di appartenenza di Amarkantak, mantenesse con la località dei collegamenti
regolari di autobus anche in quel primo giorno della festa di Holi, nel corso della quale
abitualmente i pullman
seguitano ancora a procedere lungo le strade dell'India, prima di arrestarsi il dì seguente
per non essere coinvolti in schiamazzi, dal lancio di polveri e getti
liquidi di colori. Ma quando oltre il bazar su cui svettava un gran bel
minareto, raggiungevamo il semplice spiazzo in
cui consisteva l’autostazione, lo
trovavamo deserto.
Non ci restava che domandare del prossimo treno che in
direzione del Chattisgarh fosse in
partenza per Pendra Road,
facendo due general ticket di seconda classe. La nostra attesa non si sarebbe protratta che fino alle 7, 40,
quando, pressoché puntuale, è sopraggiunto il treno proveniente da Haridwar e diretto a Puri, via Bilaspur, che dopo poco più di
mezz’ora di viaggio ci avrebbe consentito di scendere alla stazione
ferroviaria della Gurela d'un passato ancora prossimo, che tale è il nome
storico di Pendra Road, il profilarsi del cui centro
ci si prospettava come una quinta scenica oltre un arco d’ingresso.
Ma vi si sarebbe rivelata ben presto una corsa a vuoto,
la nostra, in autorickshaw,
verso un’autostazione che ci si è presentata ancora più minuscola ed
ugualmente vuota d' autobus che quella di Anuppur. Kailash aveva la
prontezza di proporre all'istante allo stesso conducente
dell’autorickshaw, quanto gli prefiguravo ch’era la sola cosa che
ci restasse da fare, ossia chiedere a qualche auto- o rickshaw-wallah, nei
paraggi, di condurci in altura fino ad Amarkantak, e per non più di
500, 600 rupie, l’accordo con il guidatore era per davvero raggiunto in men che
non si dica. Intercettavamo un
altro viaggiatore, lungo le strada di ritorno alla
stazione ferroviaria, ugualmente intenzionato a raggiungere Amarkantak, ed eravamo già sulla sua
via nell'arioso mattino. Vi ci inoltravamo per una scorciatoia
che abbreviava il tragitto da Attraversavamo diversi piccoli villaggi le cui case
tradizionali rammemoravano ancora quelle del Bagelkand, nella sopraelevazione
di un piano centrale
e delle sue falde rispetto a quelle perimetrali, prima di ritrovarci nell'ammanto forestale,
non senza che un malaugurato infanticello mi desse modo di fare esperienza
che non ovunque in India la festa dei colori impazza dopo il rogo di Holika,
investendomi nel volto e nei vestiti di una secchiata di colorante rosaceo. La boscaglia che poi si addensava lungo le pendici che
risalivamo, sui fondali di un cielo di un blu smagliante immacolato di nubi,
trasmutava in primavera incipiente l'estate, che giù nei fondovalle, nelle piante
decidue, quali i mahua, della piana dei dintorni di
Khajuraho che il giorno avanti avevamo lasciato, e lungo i pendii,
rivestiti di teak-sagon, del parco di Panna che avevamo poi
risalito, volgeva oramai ad un autunno vegetativo polveroso ed arido.
Infatti, rispetto alla caduta delle foglie che colà rinsecchivano nelle
giungle spoglie e per i campi rimasti dissodati ed incolti a causa della gran
siccità, lungo le erte che l'autorickshaw intanto affrontava
veniva invece prevalendo, tra le nuove infiorescenze, la ricrescita
gemmea degli ammanti fogliari, viridiscenti o vividi di tinte sanguigne ed ocracee, avvivando la luce
del giorno del loro brillio smagliante. Era un permutarsi delle stagioni che
si manifestava lungo le pendici al subentrare in altura delle piante
di tendu, fino al farsi ovunque dominante del sal,
grazie allo scisto ed allo gneiss che vi
sovrastava le effusioni basaltiche del trap deccano,
Nei divallamenti, casolari sparsi tra radure di verde.
In Amarkantak, districandoci tra le vie multiverse del bazar
alla cui altezza il conducente ci lasciava, insolitamente ci
contentavamo del primo alloggio in cui ci imbattevamo, per la spaziosità
e la pulizia di camera e bagno mostratici, essendo nella guest house
l'unica sistemazione che vi fosse ancora disponibile con una latrina
occidentale, - altri visitatori e turisti indiani stavano intanto pervenendo
in Amarkantak per le festività di Holi. Dispostivi i bagagli bastava una
doccia a ritemprarci, ed a che Kailash mi
precedesse di un'alacrità insolita nel tratto di strada che avviava alla
discesa verso l'Udgama Narmada, il complesso di templi che
sorge intorno alla sorgente del fiume sacro. Ma il sito di culto era stato chiuso a mezzogiorno per essere
riaperto solo alle quattro, mentre erano ancora le due del pomeriggio, per cui oltre il suo calcinato biancore ci
incamminavamo verso i templi Kalachuri che si sopraelevano appresso. Nel parco archeologico li precedevano alcuni santuari postumi e prima ancora il Narmada kund,
cui si fa corrispondere il sito del soggiorno in Amarkantak di
Shankaracharya, l'esponente supremo del pensiero kevala-advaita-vedanta, la
dottrina del «puro non dualismo” tra l'Assoluto, il Brahman, e l'anima individuale o Sé, l' atman, il fondamento del nostro
esserci che secondo tale concezione metafisica va distinto dalla nostra
mutevole individualità empirica, Vi avvenne, tra la metà del VIIo
e gli inizi dell’VIII o secolo d. C., quando ancora fanciullo ed appena
orfano di padre, alla sola età di otto anni egli vi fu precocemente
iniziato alla vita rinunciante del samnyasin dal maestro Govinda.
La visita di quelli Kalachuri quindi esordiva da due templi contigui , in onore l'uno di Shiva e l'altro di Vishnu , entrambi con una sala mandapa, preliminare, racchiusa da balconi con bancale reclino kakshasana, e sormontata da un tetto piramidale phamsana. Ma se nel primo tempio essa dava accesso ad un singolo vestibolo-antarala e ad un solo santuario garbh.agriha, in quello vishnuita preludeva eccezionalmente a due vestiboli ed ai successivi santuari tra loro perpendicolari , cui corrispondevano due sikhara in luogo dell 'unico, per un'unica cella, allineato con il portale d'ingresso al mandapa nel primo dei due templi.
Erano essi pancharata quanto al novero, di cinque, delle
loro proiezioni parietali e di quelle laterali dei loro sikharas, del tipo semplice Latina, senza repliche di
sikharikas minori. Quindi era la volta di
un mandapika e di un tempio ad esso di fronte, il Johila, che
sorgevano all'altezza dei precedenti, entrambi con sovrastruzione
piramidale sovra la cella del santuario.
Poi poco più oltre, in discesa, verso l'affiorare delle
acque sorgive della Narmada in polle d'acqua, in un sito che la
tradizione vuole santificato anch'esso dallo stesso
Shancaracharya,
Più in altura si profilava alfine il tempio che di tutti
si sarebbe rivelato il più fascinoso, il
tempio Karna, dal nome del re Kalachuri da cui fu fatto
edificare in onore al dio Surya, un tempio che la descrizione di Krishna Deva
in Temples of North India ( 1969) prefigurava come comprensivo di tre
santuari, e sapta-ratha, con
sette proiezioni pertanto lungo i janghas di ognuna delle loro
pareti laterali , e di fondo, e lungo il corso dei lati dei loro rispettivi sikharas,
uni e trini benché la perdita integrale del mandapa, di
raccordo, e d'accesso, li facesse risultare l'uno separato oltre che distinto
dall'altro.
I primi due templi, il Pataleshwar e il Karna, li si faceva risalire a non prima del secolo XIo,
ovvero ai tempi del re Karna Deva, ( 1041-1073), a dispetto di quanto potevano
lasciare intendere la rudimentalità d'intaglio della pietra in cui erano
costruiti e l'ornamentazione che escludeva statue nelle stesse nicchie dei bhadra
centrali e delle kapili dei vestiboli, dove in loro vece era
scolpito un rombo diamantino floreale,
come nei templi dei centri minori
dei domini dei Chandella, eccezion fatta in Amarkantak per le edicole vuote del tempio shivaita, di uno dei due santuari
vishnuiti e di quello centrale del tempio Karna, .
Si trattava in realtà dell'umiltà architettonica di uno stile
"provinciale" che nell 'India
centrale, come si diede per quello occidentale pagano della romanità
imperiale lontana dall'Urbe e poi per quelli cristiani più devozionali,
ebbe a preesistere ed a coesistere con quello più sontuosamente raffinato
delle capitali religiose dei regni, fin anche sopravvivendogli. Al pari
del configurarsi in ruvidi accenti dello stile dei templi Chandella situati
nei dintorni di Dhubela o di Mahoba, in Makarbai od in Vyas Badhora, esso al contempo era di complicanze meno lineari,
ammettendo una pluralità di aditi o di esiti terminali, di scalinate
d'accesso e di santuari,-garbagriha, e si presentava ridotto ai
minimi termini statuari od ornamentali, -a) negli udumbaras
stessi delle soglie d'accesso al mandapa e al santuario, tra
loro similari, dove fluenze di volute la cui stenografia litica può
equivalere a vasi dell'abbondanza, florilegi di loto, o circonvoluzioni di
archi carenati, ricorrevano in luogo del mandaraka altrimenti
imperante a forma di steli e fiori di loto intrecciati, di devoti e dei
gajakranta-simha di cimenti leo-elefantini ai lati, e
quant'altro ancora, più ai bordi,
- b) nei sakas dei fregi degli stipiti laterali,
limitati a pochi lineamenti decorativi, assenti Ganga e Yamuna e qualsiasi
assistente delle divinità fluviali, o guardiano
dvarapala delle porte,
c) nel lalata bimba
della trabeazione, che in luogo della Trimurti o di Navagrahas planetari e Saptamatrikas
esibiva in Amarkantak l'abbozzo della sola divinità di Ganesha in quello
shivaita,
ostentando l' eleganza al più un fiore di loto
inciso,
( Si trattava di ) una penuria di
effigie statuarie che si riproponeva nelle nicchie dei bhadras
centrali e delle kapili vestibolari, o per ogni piedistallo di karna
agli angoli e di pratiratha intermedia,
che anziché alle manifestazioni
radianti del dio del tempio, alle grazie di ninfe apsaras
od alla propiziazione di dikpalas reggenti, nelle direzioni
cardinali, si offrivano solo a simbolizzazioni ornamentali.
Negli interni i pilastri dei mandapas
assumevano per lo più vaghe sembianze misrakas mistilinee, di
profili ottagonali evolventi in contorni circolari, al contempo in cui altri
pilastri e le lesene permanevano arcaicamente bhadrakas,
con due vasi dell'abbondanza ai termini dell'intaglio centrale.
Era un minimalismo che se risolveva il basamento dei templi a
valle nel solo vedibhanda di kura, kumba, kalasa e kapota,
nel tempio Karna lo rialzava possente su due spogli bhittas* , un kapota con i più sommari dei takarikas ed un karnika
accentuantivo,
ed ai balconi dei templi contigui
dedicati a Shiva e a Vishnu, e del Pataleshvar, non aveva fatto
mancare ogni ornamentazione di rito, un loro rajasena di rombi
diamantini, un vedika, l'asanapatta,
decorati di volute, e il kakshasana fregiato
di rilievi di lastre phalakas e di fusticini di
bambu abbinati.
Inoltre l'antefissa di un sukanasa, che si
evolveva nelle carenature di chaitya gavakshas solo nella sua
sommità, eppure su edicole-ratikas di rombi floreali profilava le
commessure delle sue tessere a fregiare ogni tempio di un frontone,
eccettuato il solo mandapika.
Del complesso era l'austerità sacrale del tempio Karna che più mi permeava, esaltata dalla sua pietra rossiccia muschiata di argenteo grigio verde, nelle sue pure forme ascendenti che trascendevano la loro matrice hindu.
Oltre la cancellata io e Kailash potevamo
intanto intravedere il volto radioso di Amarkantak, nella luminosità delle
acque degli invasi che ne fronteggiavano gli edifici cremisi scolastici e
religiosi, mentre sulla sommità dei rilievi circostanti ostentava la sua
apparizione la mole in costruzione di un grandioso tempio jain.
Amarkantak ci sarebbe apparsa ancora più luminosa, già al tramonto, nel candore dei tempietti multiformi dell' Udgama Narmada, tra le cui vestigia avremmo concluso la giornata, Nel visitarli ci univamo ai fedeli che convenivano per la puja alla dea Narmada, il cui compimento corrispondeva alle abluzioni della sua statua di basalto situata nel tempietto che si ergeva al capo opposto, nella successione dei vari mandir, di quello che racchiudeva la sorgente del fiume. E vi ci saremmo potuti intrattenere particolarmente a lungo perchè proprio quella sera vi si sarebbe svolta la cerimonia di una maha-arti, la cui devozione era soprattutto nei riguardi della divinità femminile del fiume. Tra tutti quei tempietti l’attesa ci intrigava nelle innumerevoli storie che si raccontano sulle origini
della Narmada,
L'indomani Amarkantak ci sarebbe riapparsa nella stessa luce
abbacinante, che sfolgorava splendida sulle sue radure assolate, traluceva
nelle foreste di sal, ove le piante spumavano efflorescenze tra
i brividii del verde delle foglie, non appena
le sommuovesse il più tenue vento.
Tra i loro ammanti forestali, dopo una sosta lungo la strada
al Karna Math mandir aka Maha Meru Sri
Yantra Mandir di Tripur surandari,
al cui ingresso una Dea Madre manifestava i profili di quattro
volti corrispettivi di quelli di Shiva Chaturmukka, preludendo ad un tempio
che al suo centro si elevava in un’ìcona rubescente del monte Meru,
circolarmente aggirato dalle edicole delle 64 Yogini come dalle spire di un
serpente che traeva le sue origini dal magma primordiale,
il conducente di un fuoristrada al
nostro servizio ci recava alle vicine
sorgenti del Sone, l'altro dei due fiumi, insieme al Johila, che con Secondo un'ulteriore versione, più romantica, raccolta dal quacchero inglese Geoffrey Maw, Johila sarebbe stata la figlia del barbiere di Narmada, e Sone, scambiandola per Narmada stessa, avvinto dalla sua bellezza le sarebbe corso incontro per maritarla. Narmada, mortalmente offesa, schiumò via di rabbia tra rocce e precipizi, volgendogli il dorso nel suo riversarsi ad occidente, in rapide e cascate che risuonano ancora degli accenti del suo dolore, mentre Sone, respinto, si scagliò a capofitto giù dall'alto di un dirupo, dando inizio ad una sua esistenza residua che volgendosi verso est, e quindi a nord est, si sarebbe risolta nell'andare a defluire nel remoto Gange, a che il suo empito maggiore la portasse a sfociare nel Golfo del Bengala. Del corso originario della Narmada seguivamo quindi l' inoltrarsi, dopo gli slarghi dei bacini lacustri di
alcuni sarova, in rivoli d'acqua tra massi
rocciosi,
fino alla prima sua cascata del Kapildhara, in cui ricadeva dall'alto delle rocce basaltiche dove si congiungevano le catene dei monti Satpura, Vindhya, Maikal. Trae essa il suo nome dal saggio Kapil, o Kapila, che avrebbe soggiornato meditativamente nei suoi paraggi per non meno di dodici anni, nel corso dei quali egli vi avrebbe scritto il suo trattato di matematica.
E' assecondando il salto delle acque, in uno scintillio evanescente, che un tempo i devoti estremi alla dea Narmada si precipitavano di schianto sulle rocce sottostanti della Kapildhara, soddisfacendo la voluttà di sangue, quale Manasvardani, di colei ch’eppure è per antonomasia " la dilettevole che dà felicità e gioia"- Alla Kapildhara faceva seguito poco oltre
la cascatella Dughdhara, cui per sentieri e gradoni discendevamo più in basso.
Il suo nome vorrebbe che schiumasse come latte, mentre
autentico latte avrebbero stillato nel primo mattino le scaturigini che
affioravano nei pressi del Kabir
Chabutara, tra l'immensità delle foreste di sal che sorgono
al limitare del distretto di Bilaspur, secondo il dire
che stentava ad esserne convinto, prima ancora che persuasivo, di
alcuni visitatori provenienti dal Chattisgarh
Al pari
dell'enorme banyan , o bargad, che poco oltre
protendeva verso i pendii le sue immani radici, il Chabutara
commemorava il luogo dove nel corso del XVo secolo d.C. il
grande mistico Kabir avrebbe sostato quanto mai a lungo, secondo alcune
tradizioni intrattenendovisi in meditazione con il guru Nanak, che con il proprio pensiero
egli avrebbe coadiuvato nella fondazione del movimento sikh. Se ne è ingenerato un sito che è sacro particolarmente per
Ciò che nell'aria spirava di meraviglioso era intanto l'unisono dei nostri animi, che si sarebbe ricreato anche nel May ky Bagya al cui ingresso il conducente del fuoristrada ci avrebbe lasciato, un boschetto di alberi di mango quale quelli che è dato di vedere crescere di frequente dove, come in quel sito, corsi d'acqua irrorano gli avvallamenti tra i monti, ma di una tale amenità che avrebbe indotto la dea Narmada, il condizionale è d'obbligo, a coglierne un giorno i frutti nel giardino che meravigliosamente componevano.
Una lenza al cui magnete abboccavano dei pesciolini di plastica, ed un pappagallo meccanico il cui sensore ne animava il canto e le ali al solo fischio o battito di mani, i regali per il nostro Chandu amatissimo che sulla via del rientro a piedi non avremmo mancato di acquistare nel bazar del villaggio che a poco a poco stava riaprendo, venuta meno oramai ogni riviviscenza possibile della festa di Holi, prima del nostro rientro già l'indomani da Amarkantak Di privativo, fino ad allora, di quanto Amarkantak ci aveva riservato, solo il rigorismo dell' alimentazione vegetariana di hotel e ristoranti, da jolies colonies de vacance o refezione dopolavoristica. L’autobus su cui l' indomani mattina, in un cielo ancora sfolgorante
d’azzurro, lasciavamo Amarkantak alla volta di Shahdol, cui era inizialmente
diretto, per visitarvi il tempio Kalachuri Virateshvara nella contigua Sohagpur, una volta giunti ad Anuppur assumeva tutt’altra destinazione, e
nell'autostazioncina dovevamo attendervi per quasi due ore l’arrivo di
una coincidenza per Shahdol, il primo treno che vi era diretto non essendo in
partenza che all’una del pomeriggio. Dopo un tragitto sonnolento io e Kailash ci ritrovavamo così
in Shahdol poco dopo le due. Ma prima di dirigerci a Sohagpur era d'obbligo fare sosta alla
stazione ferroviaria per
chiedere dei treni che fossero in partenza per Satna, o solo per Katni, non avendo avuto modo di prenotare tempestivamente alcuna sistemazione almeno
in sleepers class, data l'imprevedibilità dei tempi e dei modi in cui nel
corso di Holi avremmo potuto lasciare Amarkantak. Così facendo, non potevamo
ritrovarci entrambi che nella waiting list
di un treno, delle 20,20, che sarebbe giunto a Satna sette ore dopo, quando vi sarebbe
stata ancora notte fonda. Con lo stesso
conducente dell' autorickshaw con cui avevamo
raggiunto la stazione ferroviaria, ci avviavamo quindi alla volta di Sohaghpur, in una solarità ancora
abbagliante, nel blu più profondo, non senza avere fatto sosta lungo il
percorso in una piccolo bar attavolato all’aperto per uno spuntino che ci rifocillasse. Il tempio shivaita Virateshvara
di Sohagpur, da che in
capo a qualche decina di minuti l’avevamo intravisto, defilato di
qualche centinaio di metri dalla strada che recava a Rewa, ci è quindi apparso, di
primo acchito, ciò che si sarebbe confermato ad una disamina più attenta, una
magnifica replica postuma a tutti gli effetti di quelli di Khajuraho nirandhara, ovverosia
senza deambulatorio interno
“E' un tempio Duladeo”
avrebbe concluso liquidatoriamente Kailash, che sembrava non apprezzare gran che,
d'ambo i templi, nemmeno le peripezie cui sottoponevano le ladies in mithunas
acrobatici, se " she's used like one chair", poteva dirmi di
una partner in Shohagpur che figurava adibita sottoinsù a seggiola, in
una prestazione davvero scavezzacollo. In realtà, mentre i Kachchhapagata, nel Kakanmadh in
Sihonia, senza poi ripetersi nel tempio ugualmente emulativo Murayat
, in Kadwaha, si erano rifatti ai templi di Khajuraho
maggiori del tipo sandhara , ossia con deambulatorio, (- nel
tempio eretto in Sihonia, ai tempi di re
Kirttiraja (
1015-35 d. C.) , pur anche superandoli di gran lunga in grandiosità, ma
quando è da presumere che ancora non fosse sorto il Kandariya), i
Kalachuri avevano ripreso in Sohagpur i templi posteriori Chandella, di
dimensioni assai minori e senza alcun deambulatorio, che ottemperavano pur su
scala più ridotta al nuovo paradigma saptaratha,
e più compiutamente ancora di
com'era era invalso in Khajuraho solo ad iniziare dal tempio Kandariya, il
primo ad essere saptaratha dei templi deambulatoriali hindu in
grande stile. Nei templi sandhara hindu antecedenti,
il Lakshmana ed il Visvanatha, solo
sussidiariamente, nella parete interna del sanctum che volgeva sul
deambulatorio di cui i templi necessitavano appunto per l'occorrenza,
si era adempiuto ad un canone ancora pancharatha,
di cinque proiezioni, su ogni lato, per il jangha come per
il sikhara, per dare spazio piuttosto, sulle pareti esterne
dello stesso mula prasad, alla continuazione della galleria
iniziatasi lungo le pareti del primo mandapa , e svolta poi
pure lungo quelle del mahamandapa, delle nove immagini di sette
divinità planetarie e di Ganesha e
Durga, o delle saptamatrikas e dello stesso Ganesha corifeo e
Shiva Virabhadra. Il tempio di Sohagpur poteva quindi ritenersi una conclamazione imitativa della appagatività del nuovo canone saptaratha così invalso, nei modi in cui nel Devi Jagadambi, o nei templi hindu Chitragupta, Vamana, Chaturbhuja e Duladeo, di Khajuraho, non che in quello al tirthankara Adinath, jainista, era stato trasposto in un "formato" minore, ma con piena osservanza diretta del suo paradigma anche lungo le pareti esterne del santuario del tempio, sicché alle proiezioni lungo il corso dei lati del sikhara, del madhya lata centrale, di un anuratha, un pratiratha ed un karna , ad ambo i fianchi della proiezione mediana maggiore, venivano a corrispondere appieno, lungo il jangha parietale, il bhadra in cui era ripristinata esteriormente, nell'edicola del rathika, una manifestazione radiante del dio interno alla cella, due pratirathas, per parte, con apsaras, ed un karna d'angolo, sempre per parte, con i Reggenti dikpalas protettori del tempio, i salilantaras dei recessi ospitando vyalas rampanti ed erotici mithunas, quali controcanto terreno delle glorie celestiali ( rispetto all' antecedente inottemperanza esteriore della norma dei templi Lakshmana, Visvanatha, e solo per certi versi risolta nel Kandariya Mahadeva, per cui il jangha del mulaprasad, ossia del santuario, in tali templi sandhara precedenti non differisce in proiezioni e ordinamento statuario da quello del mahamandapa, cui è del tutto similare, e si uniforma allo stesso mandapa nell'albergare in subordine, dentro le edicole dell'adhishthana, le immagini in serie di divinità planetarie o di saptamatrikas, per quanto i balconi dei transetti e aggettanze sussidiarie, intermedie e terminali, in luogo di bhadhra, ed upabhadras, ed a fungere da karna esteriore, nella loro tensione ascendente si integrino appieno con quella superiore degli sringas del sikhara). Nel tempio di Sohagpur, come già nel Devi Jagadambha in Khajuraho, erano piuttosto rientrate le pretese sfarzose del Lakshmana, del Visvanatha, e del Kandariya, di sollevare su di un adhishthana mirabile di zoccolo e plinto e podio il tempio cui si risaliva ulteriormente al loro interno, elevandone il dio e le sue manifestazioni, che vi si rinvenivano, ad un livello superiore a quello delle divinità planetarie navagraha o delle saptamatrikas che cosmicamente vi procedevano intorno nelle nicchie ribassate dell'adhishthana per cui nel mandapa del Virateshvara, - che la rovinosità del tempo, ad opera di terremoti più che di devastazioni umane, aveva fatto si che finisse conglomerato con l'ardhmandapa che lo precedeva, - la balconata della finestra del transetto sorgeva allo stesso livello di kura, kumba e kalasa del podio dell'adhishthana,
Egualmente che nei templi posteriori di Khajuraho, pertanto il
balcone del Virathesvara si sopraelevava solo su bhitta
e pitha, di uno zoccolo e di un
plinto di ben modesto risalto, profilati in Sohagpur da una prima
modanatura con rilievi di petali di loto, da un pattika di
volute ondulate con takarikas, da un affilato karnika con
un fregio sottostante di ardharatnas triangolari, un pattika
di rosette.
Le balconate presentavano invece un rajasena
inferiore di rombi diamantini, un vedika
di apsaras alternate a vyalas, come a onore del
vero non in Khajuraho è dato di vedere, ma limitatamente alle sole apsaras
nel tempio a Shiva Nilkanteshwara di Udayapur,
un asanapatta di
più minuscoli rombi e coronata da dei kuthas a guisa di pidhas,
o ripiani di tetti piramidali, un kaksasana-
schienale decorato da un' alternanza di lastre phalakas
e di fusti di bambu abbinati, a memoria delle origini lignee della
balconizzazione di sale o transetti del tempio. Un fregio superiore di volute
intersecantesi ultimava il tutto.
Tre ordini di sculture si succedevano lungo la kapili del
vestibolo dell'antarala e le pareti del mulaprasad,
i loro corsi albergando statue di divinità, entro nicchie, nell'eminenza
visuale di badhra centrale e kapili vestibolare,
apsaras allocate sui
pilastri* dei pratirathas, ed i dikpalas e
gli astavasus su quelle di karnas , nella loro
terza serie guizzanti o posati vidyadharas
recanti ghirlande.
I recessi dei salilantaras erano invece alquanto miscellanei, ospitando effigie di Vishnu , o di altre divinità, insieme con vyalas e mithunas di coppie dedite eminentemente al sesso orale, in performances alcune delle quali figuravano di alto tenore acrobatico
Nelle nicchie principali dei bhadras campeggiavano
a sud un Shiva bellamente Tripurantaka, nell'atto con la sua
freccia di trafiggere d'un sol dardo le tre
fortezze, fusa in una sola, del demone Maya impadronitosi della terra, del
firmamento, dell'atmosfera di mezzo,
a occidente Shiva Nataraja,
a Nord una terrifica Chamunda.
Un verandika di due pattikas istoriate
di volute vegetali , che precedevano ratikhas,
di smaglianti rombi floreali, cui faceva seguito il loro
inserto in un frontoncino a guisa di sukanasa, era di
transizione al sikhara di stile sekhari, bello
più che nello slancio ascensionale del mulamanjari complessivo,
, fin anche troppo longilineo e snello, in quello dei suoi addendi di sikharikas.
Li costellavano i due urah-sringas o uromanjari
centrali, il maggiore dei quali era esso pure saptaratha,
affiancati nel loro primo anelito da quello di uno sringa per
ogni proiezione ad ascendere del jangha, per un totale saptaratha
di sette, per ogni lato che non fosse quello frontale, quanti i rathas del jangha ed i latas
del sikhara. Due tilakas,
a forma di edicole templari sormontate dai pidhas
dei ripiani di un tetto piramidale, e da chandrika e amalaka
ugualmente miniaturizzati, si stagliavano di lato alle istanze iniziali del
primo urah-sringa, mentre il penultimo dei sikharikas od
anga-sringas era duplicato da uno sringa di
grado superiore, tra vyalas e apsaras, e
schiuse floreali, ascendenti ancora finanche lassù.
Krishna Deva che del tempio Virateshvara di Sihagpur ebbe ad
occuparsi in Temples of North India, (1969), eludendone la
riconsiderazione nel più complessivo Temples of India, (1995) nella
sua impeccabile sintesi descrittiva del tempio, pur se di appena mezza
paginetta soltanto, ebbe l'acuzie di
rilevare come il sikhara sia così tall and slender,
alto e slanciato, che dei due livelli di sringas o sikarikas
" so attenuated in height and
bulk", " the upper attached spires hardly reach half the height of
the main spire " ( pg.50-51) Amalaka, chandrika, ancora due amalasarakas,
eccezionalmente, in luogo di una, kalasa
e il vijapuraka, a guisa di agrume, oltre il collo del greva
il coronamento finale.
L'interno riservava l' unica conferma
alla pre-dizione di Kailash che il tempio fosse un facsimile del Duladeo,
presentandosi come ottagonale e volto in una pseudo-cupola, con gli
sporti di resti di cariatidi apsaras , un tempo su mensole ad
ogni spigolo d'ottagono
Il portale d'ingresso al garbagriha mancava
della soglia originaria, non di certo di Ganga e Yamuna ai piedi degli
stipiti, che in flessuosa tribhanga si lasciavano affiancare da
attendenti e da tremendi dvaparala Bhairava, uno dei due
con katvanga teschiuto.
Esse fornivano il loro supporto a sei bande di sakas
tutt'altro che di sola ordinanza, se nello stambha sakha
centrale, nelle nicchie del suo rilievo in forma di pilastro, albergavano
divinità in luogo dei più consueti mithunas, come
è dato di riscontrare nello stesso Duladeo, a onore sempre del vero.
Fiancheggiavano lo stamba- sakha le corrispondenze di due
sakas, ai lati, entrambe festose di ganas
o gandharvas musici e danzanti, preceduti all' interno da una prima banda di eleganti roselline e da
una seconda di nagas intrecciati in guisa di nodi. Verso
l'esterno suonatori e ballerini erano attorniati da un sakha di
fiori mandara, cui faceva seguito un fregio
dalle forme più in rilievo di pelli rinsecchite di serpenti, nei templi di
Khajuraho quanto mai usuale. More insolito, al centro della trabeazione di un lalatabimba
niente affatto trimurtico, Shiva Nataraja era sfrenantesi nella danza
tra Saraswati e Ganesha,
Le loro immagini contrappuntavano ugualmente la
sua centralità anche all' esterno, nelle
kapili, -ove l' uno, Ganesha,
era sormontato da Kartikkeya,
l'altra, Saraswati,
da una ennesima replica di Shiva in un triplice ordine di edicole. In un' unica fascia superiore della trabeazione
d’ingresso al garbhagriha, sembravano sfilare delle Chausat
yogini , con Ganesha a condurne la processione, se era vera la sola
supposizione che mi sembrava di poter raccogliere come valida dal
guardiano del tempio, sempre che non si trattasse delle saptamatrikas e
dei navagrahas, con Ketu e Rahu nascosti da una rientranza
rispetto ai muri laterali.
Non senza avere
prima sostato ad acquistare frettolosamente anche una t-shirt, per Chandu, che al telefonino aveva
sapientemente chiesto a me un giocattolo, e a Kailash un capo di abbigliamento,
a me kilona, a Kailash kaprà, - senza entrambi
i quali e chi aveva l'animo di varcare la soglia di casa e di farsi rivedere
dal bimbo adorato?-, io ed il mio
amico, al ritorno alla stazione di Shahdol
, ci saremmo ritrovati ancora in waiting listing, il che pur ci consentiva di
salire sul treno, almeno nelle carrozze di seconda classe. Nemmeno il tempo di sistemarmicisi, che vi avrei
ritrovato un inquietante indiano, non ancora attempato, con cui mi ero già
imbattuto nel Mukunpur park, vicino a Govindgharh. Egli per prima mi aveva
riconosciuto, ma con uno sguardo allarmante che
avevo prontamente disconosciuto, fingendo di non sapere niente, degli
zoo-safari di tigri bianche di cui mi avesse visto partecipe. Le ragioni che avevo di eluderlo le avrei appurate di lì a poco, quando mi
sono ricreduto e l’ho
riavvicinato, dicendomi confuso dal suo riferimento ad un safari, mentre in Mukunpur mi ero recato a piedi alle gabbie
delle tigri. Era in realtà uno di quei
tizi inquisitori che tende a mostrare di
sapere tutto di tutti, e a individuare puntualmente negli altri proprio
qualcosa che non va. Poteva dirmi nome e cognome del mio
accompagnatore, l'ora esatta ed i minuti
primi, se non i secondi, del mio arrivo in Mukunpur,- e, poi, a proposito, perché mai, io
che ero uno straniero, mi trovavo a viaggiare solo in seconda classe con un general ticket? E davvero
io ero sulla direttrice più propria per arrivare a Khajuraho, dove dicevo di volermi
recare? Il mio passaporto, inoltre, ed il mio
visto, di sicuro erano in regola? Scendeva a Umaria, dopo che me n’ero
distaccato, mancando io
di tutta la virtù occorrente, nelle circostanze, per sostenere un indiano che
non sa chiedere di te senza condurre un’indagine, quant 'è vero che non reggo
senza un certo nervosismo gli indiani che non sanno chiedere senza dare
ordini, o chi di loro una ne dice, un’altra ne pensa, ed un’altra
ancora ne fa delle sue. Kailash, che avevo convocato invano perché confermasse al
cospetto dell'uomo quanto gli avevo detto sul mio
conto, dalla sua discesa in Umaria ne arguiva
che fosse una guida od una guardia forestale del vicino Bandhavgarh park. Dei
passeggeri circostanti avevano Non si sarebbe poi rivelato così penoso, come ci si prospettava alla
partenza, quel viaggio di oltre sette ore in seconda classe, - si trattava di un treno non sovraffollato, in quanto
quotidianamente collegava soltanto due stati dell'India, da Bilaspur a
Rewa,-, né sarebbe stata allucinante la sosta nella stazione ferroviaria di Satna , per quanto fosse infestata
all'esterno da moscerini e zanzare, tirandovi mattina fino a qualche decina
di minuti prima che gli autobus fossero in partenza per Chhatarpur, o solo più tardi per Khajuraho. Preferivo prendere quello per Chhatarpur che avrebbe richiesto una sosta in Bhamitha, dove mi ripromettevo di comperare kaprà, nuovi capi di abbigliamento, anche per Poorti e per Ajay. L’alba mattutina era di un chiarore
lattiginoso annuvolantesi, che ci preannunciava il ritorno nel grigiore
campestre di una Khajuraho riarsa dalla siccità, ove il verde cedeva
all’ocra dei terreni dissodati ed incolti, od alle stoppie ingiallite dei
lasciti dei coltivi già raccolti, come era stato possibile solo nei
campi che avevano potuto beneficiare dell’acqua di un pozzo, al pari di
quelli in cui fulgevano le distese
delle messi di grano non ancora mietute. “ Tutto in Amarkantak era luminoso, ed ora si è fatto così
fosco”, "All in Amarkantak was shining and now it's dark”, riassumeva Kailash il nostro rientro, al transito nella
foresta calcinata del pulverulento parco di Panna, dove l’estate era tornata a vestire i panni di un autunno
inoltrato, nell’ ammanto di foglie secche che ne ricopriva i
declivi, a spogliazione avvenuta degli
alberi di teak-sagon. Ritrovandoci in Khajuraho,
dopo Amarkantak, come al capo opposto del palo polare dell’Eden che
vi avevamo lasciato. Bibliografia Krishna Deva, Krishna Deva
Temples of Khajuraho, A.S.I, 1990 Si ringraziano per le informazioni attintevi il sito
dictionary.sensagent.com/Amarkantak/en-en
e la voce wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Sarvodaya_Digamber_Jain_Temple https://en.wikipedia.org/wiki/Amarkantak#Shri_Sarvodaya_Digamber_Jain_Temple e per le informazioni generali e le leggende sulla Narmada in esso raccolte e desuntevi Along the Discovering
Madhya Pradesh, |
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|