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Alla ricerca dello stupa perduto: in Bharuth, Maihar

 

 

 

dicembre 2013

 

 

E’ la strada per Umaria, quindi per il parco di Bandhavgarh, la stessa che da Satna  reca  prima a Barhut , poi a Maihar, e da Maihar a Marahi, lontanandosi da Satna per la sua periferia polverosa.

S’infoltano gli alberi come il viluppo stradale si sbroglia nella direttrice risolutiva, mentre  a manca e a destra  si disegnano rilievi , sin che un grande cartello segnaletico , dopo 15 km ,  in concomitanza con l’apparire di un monte di  altezza  imponente , sulla sinistra,  avvertono che svoltando nella sua direzione, a non più di 6 chilometri di distanza vi soggiace Bharhut,  il sito archeologico di uno degli stupa capitali del buddismo indiano,  insieme con quelle di Sanchi, di Sarnat, di Amaravati nel Sud dell'India, risalente nella notte dei tempi all epoca Shunga, nel secondo secolo prima di Cristo, forse fondata dallo stesso Ashoka,  e che nessun  testo di storia dell’arte indiana può consentirsi di ignorare. A onore del vero, il sito originario dello stupa è talmente  considerato irrilevante in ogni guida e manuale, rispetto ai resti mirabili delle sue vedika che si possono vedere nei musei di Kolkata, Delhi, Allahabad o in  pochi frammenti residui, della vicina Ram van,  che figurano tra i primi esemplari dell’arte indiana, inconfondibili nella forza icastica del taglio ligneo con cui sono stati scolpiti, che nel lasciare Khajuraho a meno o poco più di 150 chilometri di distanza, dubitavo della sua stessa esistenza , o ne figuravo mentalmente la ricerca come la romantica quest del ritrovamento immaginario  di un sito perduto, alle stesse parole di Tiziana Lorenzetti, che mi avvertiva che non c’era proprio nulla da vedere.  "No antiquities exist at Bharhut now" recita la stessa voce Wikipedia. Che in Satna ci fosse un hotel Bharhut del Mp tourism, avvalorava l’ipotesi che celebrasse in loco la perdita assoluta di ogni vestigia in materia, dopo che le autorità inglesi ne decisero il trafugamento in Kolkata ed altrove di ogni illustre vestigia, dopo gli scavi condottivi nel 1874 da Alexander Cunningham, che era stato in Bharhut già l’anno prima, e seguitati dall'assistente Beglar,  così  come in Firenze ogni hotel o casa o statua di Dante non fa che esaltare ancor più il reperimento solo altrove di lasciti e salma del sommo poeta.

Né certo poteva fugare il mio scetticismo sull'esistenza tuttora di una qualsiasi Bharhut, il fatto che l’addetto alla reception del mio modesto hotel in Satna, tenuto pur conto del fatto che foss’egli di  un ignoranza assoluta in materia di qualsiasi reperto monumentale, o del passato ne smentisse ogni esistenza, o alludesse a un Bharhutnagar ch’era un sobborgo attuale di Satna, nella cui denominazione soltanto, in memoria, dovevo rassegnarmi che consistesse ogni  rimanenza in loco del giacimento un tempo di una stupa gloriosa, senza più alcuna traccia del suo passato, un po' come solo il toponimo Virgilio rievoca nelle vicinanze della mia città di Mantova  che ci fu un luogo , nei suoi vaghi paraggi, che diede i natali al poeta massimo latino .

Non c' è da meravigliarsi che anche quando ho iniziato da umile pedonauta il percorso che sulla sinistra reca a una Bharhut così vistosamente indicata  dalla segnaletica stradale indiana, con una simbologia inequivocabile sulla giacenza di un sito monumentale circolare quanto uno stupa, per chi fosse tardo a comprendere,  mi ci sia inoltrato ancora agnostico del tutto, e che fosse un primo germoglio di una fede ancora scarsa, nel suo fioco lume, la conferma che si c’era alcunché corrispondente a una stupa, solo poco su, od oltre, rispetto al villaggio, di un lattaio in motocicletta che mi ragguagliava sulla effettiva distanza, scorciandola alquanto.

E uno dei luoghi più comuni che si presume sia un detto originale, che la strada  è la stessa meta, ma il percorso che reca a Bharhut si faceva e si presenta al  viaggiatore così  incantevole, che può essere una compensazione più che bastante del ritrovamento del nulla alla fine. E come un sussidiario che squadernava via via  l’abc del mondo rurale indiano del Madhya Pradesh, prima un villaggio le cui case i cui tetti ribassati declinavano sulle pareti di malta e le soglie fumiganti nel folto degli alberi, poi , deviando sulla destra,  per una scorciatoia,  il percorso che si  faceva la più rimarcata  delle cavedagne tra i campi insolitamente aperti,  senza recinzioni di sorta,  allora degli arativi o dei filari dei primi germogli di grano, mentre tra i fiori di * e le fronde degli alberi grandiosi, l’orizzonte appariva dominato dalla sagoma sempre più incombente del rilievo di Bharhut, la Montagna Rossa. Un rivo vi è traversabile da un ponticello su cui  può essere  dato di assistere al transito in bicicletta delle ragazze che vi si recano a scuola,  

 

 

quando si è oramai nelle vicinanze del villaggio (di Bharhut,) e nei campi che ancora si interpongono,  è possibile vedere all'opera tanto il trattore quanto l’aratro di legno sospinto da  buoi, o  nell’aia rifulgere i pani di sterco con le sementi di legumi e la pula pulverulenta, a seccarsi nel sole per  farsi il nutrimento degli animali.

Bharuth, come già ci addentra, si rivela subitaneamente pari ad ogni più illustre sito dell’India che corrisponda al suo glorioso passato,  poco più di un pugno di case,  una viottola che ne è la decorrenza  e a cui affluisce una ancora più esigua, prima di ritrovarsi nell’aperto di una radura che conduce a casolari sparsi, ad un altro raggruppamento di case, di cui alcune,  in numero di quattro, presentano un corpo centrale i cui tetti spiovono su quello che fa da bordo  sottostante, come più a Nord Est, nei distretti montani di Rewa prossimi oramai ai confini con l’Uttar Pradesh. Poco oltre è  dato di ritrovarsi tra i coltivi  in un un folto d’alberi, grandioso e ombroso, di un tale rigoglio di fronde e foglie che assorbe il respiro, tra cui fanno la loro comparsa  incantevole due tempietti o edicole remoti.  Poi il folto degli alberi si schiarisce in coltivi e radure,  in prossimità del manto stradale che si è lasciato per la scorciatoia, o da cui si giunge a sinistra in Barhut, oltre il quale il farsi declivio del suolo precede i cancelli e il filo spinato d’ingresso a ciò che oramai, indubitabilmente, al di la della stessa fede che fin qui ha guidato i nostri passi,  è la certezza assoluta che siamo prossimi al sito della stupa di Barhut, in virtù della sua presenza reale che così ci si manifesta,

Spero che il visitatore incallito trovi accompagnatori meno stolidi dei giovani  che si sono uniti al ragazzo che mi accolse all’ingresso del villaggio,  per i quali non fu certo un motivo di mia gloria il fatto stesso che a piedi, e in stato trasandato dal viatico, avessi raggiunto un sito così inusitato e sconosciuto a chi non sia del luogo o dello stretto circondario,  senza mostrare propensioni al fumo o all’alcool o a gutka di sorta,  e nonostante l’handicap dell’artrosi e il retaggio di un corpo appesantito dalla sua senilità,  che mi impediva di sforarlo insieme con gli abiti nel traversamento cui mi invitavano del filo spinato, in assenza del custode di turno. Ma anche nell'India più primordialmente al passo con la modernità dei tempi esistono  le anime gentili, e al mio appartarmi schifato ed autistico per diradarne il seguito, sopraggiungeva l’angelo provvidenziale di un giovinetto , forse avvertito dai miei stessi precedenti accompagnatori così ravvedutisi di quanto aveano inscenato, che si poneva in contatto telefonico con il custode del sito, il quale  sopraggiungeva alfine dopo quasi mezz’ora.  Avevo così accesso finalmente al sito della stupa di Bharhut, poco oltre sulla destra: un sito elisio, tra  gli alberi che facevano corona o serto al basamento circolare superstite del corpo circolare della stupa, ai brani del selciato del percorso intorno della pradakshina, a ciò che restava degli stipiti iniziali di uno dei torana,  al di qua di una recinzione che  isolava la sacralità o intangibilità dei reperti, sancita da una stele di uno Yaksha  convertito in un Hanuman dalla devozione locale, adiacente  all’area depressa dello stupa, dai pascoli d’armenti immediatamente contigui,  negli avvallamenti che preludevano al monte di li a poco sovrastante , a compimento della solennità naturale dell'amenità del sito. Ad avere il tempo e la voglia e le gambe buone sul monte sono ravvisabili rilievi rupestri, un’ iscrizione antica, concernente lo stupa, come mi informavano la guida inutilmente disposta a condurmici, il giovinetto che mi aveva accolto all'ingresso del villaggio, e che avrei ritrovato dopo l’ospitalità concessami da due anziani fratelli che vivono in uno dei casolari del raggruppamento di dimore e rustici e stalle nelle vicinanze,  e che sulla sua motocicletta sarebbe stato ben felice di condurmi all'incrocio di ripartenza per Maihar.

In Maihar,  si situa oltre l’intero centro abitato la prima destinazione del nostro peregrinarvi,  al di là della stessa stazione degli autobus che fanno capo a Satna, e vi ci avvia la stradicciola sterrata, sulla destra, che seguita il bordo di un talab, che occorre percorrere nei suoi miasmi per poi deviare sulla sinistra, volgendosi alla collina su cui biancheggia in lontananza il tempio della Sharada Devi. Ancora qualche centinaio di metri, e oltre le fronde degli alberi già appaiono l’amalaka scannellata ed il pinnacolo del Golamath, il purana mandir al dio Shiva eretto dai Kalachuri nel  960 ( o verso il  975  dopo Cristo), che figura tra i loro meglio preservati .

E' un tempio vivente ove accorrono ben più fedeli che semplici visitatori, e lo rimarcano la cinta muraria e l’arco d’ingresso tinteggiati di bianco e di rosso, in strenuo contrasto con la finezza, che ne è ancor più esaltata, della preziosità retrostante del decoro ornamentale del piccolo tempio che ne rifulge nel portale d’accesso al santuario

. Lo  precedono  un vestibolo e il portico d’entrata, enfatizzato dallo sporto della gronda , mentre lo sovrasta un armonioso e fulgido sikhara pancharatha della tipologia Latina , ossia senza repliche  miniaturizzate di sikharikas,  integralmente rivestito nei suoi dieci piani delle carenature di archi gavakshas.

I pilastri antistanti del portico d'entrata in quanto Miskraka, di ordine misto, iniziano con una sfaccettatura ottagonale, per poi raddoppiarla, prima di farsi lisci e circolari, mentre quelli retrostanti sono pilastri bhadrakas, in ragione della fascia centrale che li ornamenta, con volute vegetali defluenti da un gana, il cui rigoglio si conclude in un kirtimukka prima ancora che  in un vaso dell'abbondanza di cui è rigoglioso, trascendendo una surasundari di cui resta soltanto l'esemplare alla  destra del tempio. Coppie amorose, di sorvolanti vidyadharas, si compiacciono della propria compresenza avvenente al di sopra dei capitelli scannellati, come già al culmine di quelli delle misrakas esterni. Il soffitto del porticato, così compreso, incastona in un rombo l incorniciatura della triplice corolla dello schiudersi centrale di un fiore di loto, riservando gli angoli residui a kirtimukkas. Esso è replicato nella cella del garbagriha.

che ospita il lingam.

Il portale ulteriore d'accesso al suo santuario, cui prelude un nandi volto al lingam del suo dio in adorazione perpetua, presenta cinque bande, o sakhas, laterali, emergenti dai canopi degli immancabili rilievi statuari delle dee Ganga e  Yamuna,  rispetto alle quali è uno splendore la colonna  più esterna,

 

 

nella voluttuosità serpentinante dei suoi steli ascendenti tra il ricadere del fogliame che ne germina. Più d'ordinanza sono invece i cinque sakas del portale, in cui alle più interna, fregiata di volute, si susseguono quella decorata di fiori mandara, e le tre centrali di coppie amorose contornate da musici e danzanti gandharvas.

(Così ebbi già modo di descrivere  la meravigliosa apparizione del portale durante la mia prima e finora unica visita" La banda laterale principale incolonna mithuna di coppie amorose sulle divinità fluviali di Ganga e Yamuna, tra un’attendente ed un guardiano naga, mentre una mirabile colonna arriccia ed inflette ed inarca le sue spirali sinuose tutt’intorno al portale. Non meno incantevoli sono le ondulazioni fluttuanti nei pilastri che separano il vestibolo al di là del portale e la cella vera e propria, ornamentati nelle testate dai motivi dei ghata-pallava,  i vasi rigogliosi dell'abbondanza, e del kirtimukka che vi è subordinato , al pari delle fluttuazioni delle navigazioni celestiali delle coppie dei capitelli del portico").

 

Fregiano la trabeazione la serie superiore  delle saptamatrikas e quella sottostante dei nove pianeti, prevenuti da Brahma alla loro destra, e a cui fa seguito Vishnu alla loro estrema sinistra, mentre in posizione centrale si attesta la divinità di Shiva, quale destinatario del tempio.

Volgendoci ai lati,  lungo il jangha dei fianchi del tempio vediamo ricorrere due ordini di statue,

 

separate da un grasa pattika di kirtiumukkas, le inferiori di dimensioni maggiori rispetto a  quelle sovrastanti, nella loro natura individuale per lo più felicemente superstiti allo stucco devozionale di cui sono incrostate.

Un piedistallo conferisce alle sculture inferiori un certo distacco rispetto alle modanature del basamento, che consistono nei corsi di una pitha costituita da jadhya kumba, una laminare karnika  ed una grasa pattika di kirtimukkas, e nelle profilature accentuatamente tornite della  vedibhanda - Kura, kumbha -con le carenature di udgamas in corrispondenza di  ogni proiezione, ed all'altezza del badhra  un ben minuscolo rilievo statuario, soggiacente alla cornice di una chaddya e ad un frontoncino con udgamas-  quindi il kalasa di rito ed una pattika fregiata di takarikas superiori e gagarakas inferiori.  

 

L’apparato statuario che adorna le pareti laterali del tempio nelle loro proiezioni e nei loro recessi ,  all'altezza della fascia inferiore dispone, secondo copione, le divinità guardiane nei karnas dei  punti cardinali, i vyala leogrifi nelle rientranze e ninfe Surasundaris negli aggetti, mentre nelle nicchie dei badhras  principali , fiancheggiate, tali divinità, da gentili reggitrici di scacciamosche, si attestano Shiva uccisore del demone cieco Andaka,

   in direzione Sud Parvati volta verso Occidente, una Durga evacuata del corpo ma predita di diciotto braccia affacciata a Settentrione, ricomparendo Parvati nelle proiezioni vestibolari. Sovrasta le nicchie di tali proiezioni centrali un frontone fronzuto di udgamas.

Le figure statuarie di minori dimensioni del registro superiore sono quindi unanimemente delle coppie amorose.

Le modanature di due kapotas intervallate da un vasantapattika floreale costituiscono alfine la varandika che le intervalla dalla trascendenza superiore del sikhara nell'alto dei cieli.

Una volta lasciato il tempio, la via lungo la quale ci si incammini poco oltre l’autostazione, seguitando verso le alture conduce all’area di sosta e di parcheggio degli autoveicoli oltre la quale occorre procedere a piedi per raggiungere il Trikuta hill, dal 502 della nostra era il monticello del tempio sacerrimo della Sharada Devi..

Confluiscono nel culto della Devi quello di Saraswati, Sharada Mata, la dea bianca dell' intelligenza, sia essa quella della musica, delle arti, o della scienza, sposa di Brahma, -in Maihar splendidamente manifestatasi nella impareggiabile scuola di musica classica indiana di Baba Alauddin Khan, e di cui Pandit Ravi Shankar, recentemente scomparso, e Ustad Ali Akbar Khan sono stati i più illustri discepoli, - e la tradizione mitica che vuole che sulla collina Trikuta sia caduta la collana( “har” ) di Sati, ( “Mai”, la Madre Dea) , quando il suo cadavere portato in spalla dal Dio Shiva furente per la sua morte per autoimmolazione, in reazione all  ostilità del padre Daksha nei confronti del proprio coniuge divino, fu fatto a pezzi, 51, per l'esattezza, da Vishnu con il proprio chakra, pur di arrestare i passi della danza cosmica di Shiva, il Tandava, che stava annichilendo il mondo,  sicché il Trikuta è uno dei 51 Sakti Pitha dell’India, luogo sacerrimo di culto, pur se mai quanto il sito dell’Assam dove della Dea cadde la vulva, nei pressi di Guwahati.

Sarà una interminabile serie di bancarelle di oggetti liturgici e di offerte votive, noci di cocco, dolciumi, drappi o coloratissime polveri,  o souvenir della Dea, giocattoli e capi di abbigliamenti per ladies, un bazar religioso che per multicolore e fragrante che sia, ci estenuerà sino allo spiazzo ai piedi del colle, dove tertium datur solo se a tal punto si ritorna indietro, tra il  valicare la porta e iniziare la salita a piedi degli scalini dell'erta, o retrocedere fino alla stazione della funivia per ascendere in cabina. L’importo sarà minimo, ma una lunga coda stremante è assicurata, data il suo ammontare, di 70 rupie “only”, alla portata di un'infinità di pellegrini indiani. Chi si reca a omaggiare la Devi è comunque inserito in un pellegrinaggio tecnologicamente avanzato che ripudia le forme estreme di sacrificio cui si può ancora assistere nel perikrama di oltre  sei chilometri della collina di Citrakoot, dove trovarono la loro residenza Rama e Sita, in esilio da Ayodya, e che delle coppie terrene percorrono per l’intera lunghezza vicendevolmente distendendosi e protraendo per tutta la lunghezza del loro corpo la ciotola che si trasmettono l’uno l’altro. Solo la ressa e la calca di lunghe file spossanti è quanto si deve patire e a cui deve adattarsi, in Maihar anche chi claudica o è ricurvo e piegato in due sulla sua schiena, sempre che  non sia possibile eludere la sequela ed abbreviare il tragitto.

A chi sceglie di far prima a piedi vi sono invece da affrontare 1152 agevoli gradini - 1062 secondo un calcolo più accomodante-, al cui termine dovrà condividere con chi è salito in funivia la confluenza nell'accalcamento/ affollamento asfissiante di una serpentina tra le sbarre, che prelude salmodiante alla darshan della dea. La vista può intanto essere risollevata dalla profusione di ghirlande appese ovunque, dei filamenti votivi rossi e arancione che cingono i tronchi degli alberi dello spiazzo del tempio, dalle serie di campane donate dai devoti  cui si scorre di lato.

E giunti che si  è in cima della scalinata, la vista preveniente di ciò che è riservato a chi si fa astante alla dea, non può che diradare la maya di ogni illusione in proposito, giusto il tempo di depositare l’offerta, che sia raccolta senza il minimo garbo da uno dei pujari, cedendone una quota di prasad come ricevuta in cambio, che l’altro ti sospinge già via nei modi più spicci, attento a nient altro che a fare scorrere al più presto l'afflusso ed evitare incagli. Resta al postutto, di lassù, la gran vista della piana sottostante, delle anse  del fiume che vi scorre, degli specchi dei talab che rilucono nella vasta distesa  di filari di piante e di coltivi.

 

 

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E’ la strada per Umaria, per il parco di Bandhavgarh, la stessa che da Satna  reca  prima a Barhut , poi a Maihar, e da Maihar a Marahi, lontanandosi da Satna per la sua periferia polverosa.

S’infoltano gli alberi come il viluppo stradale si sbroglia nella direttrice risolutiva, mentre  a manca e a destra  si disegnano rilievi , sin che un grande cartello segnaletico , dopo 15 km ,  in concomitanza con l’apparire di un monte di  altezza  imponente , sulla sinistra,  avvertono che svoltando nella sua direzione, a non più di 6 chilometri di distanza vi soggiace Bharhut,  il sito archeologico di una della stupe capitali del buddismo indiano,  insieme con quelle di Sanchi, di Sarnat, di Amaravati nel Sud dell India, risalente nella notte dei tempi all epoca Shunga, nel secondo secolo prima di Cristo, forse fondata dallo stesso Ashoka,  e che nessun  testo di storia dell’arte indiana può consentirsi di ignorare. A onore del vero, il sito originario della stupa è talmente  considerato irrilevante in ogni guida e manuale, rispetto ai resti mirabili delle sue vedika che si possono vedere nei musei di Kolkata, Delhi, Allahabad o in  pochi frammenti residui, della vicina Ram van,  che figurano tra i primi esemplari dell’arte indiana, inconfondibili nella forza icastica del taglio ligneo con cui sono stati scolpiti, che nel lasciare Khajuraho a meno o poco più di 150 chilometri di distanza, dubitavo della sua stessa esistenza , o ne figuravo mentalmente la ricerca come la romantica quest del ritrovamento immaginario  di un sito perduto, alle stesse parole di Tiziana Lorenzetti, che mi avvertiva che non c’era proprio nulla da vedere.  "No antiquities exist at Bharhut now" recita la stessa voce Wikipedia. Che in Satna ci fosse un hotel Bharhut del Mp tourism, avvalorava l’ipotesi che celebrasse in loco la perdita assoluta di ogni vestigia in materia, dopo che le autorità inglesi ne decisero il trafugamento in Kolkata ed altrove di ogni illustre vestigia, dopo gli scavi condottivi nel 1874 da Alexander Cunningham, che era stato in Bharhut già l’anno prima, e seguitati dallassistente Beglar,  così  come in Firenze ogni hotel o casa o statua di Dante non fa che esaltare ancor più il reperimento solo altrove di lasciti e salma del sommo poeta.

Né certo poteva fugare il mio scetticismo sull'esistenza tuttora di una qualsiasi Bharhut, il fatto che l’addetto alla reception del mio modesto hotel in Satna, foss’egli pure di  un ignoranza assoluta in materia di qualsiasi reperto monumentale, o del passato , ne smentisse ogni esistenza, o alludesse a un Bharhutnagar ch’era un sobborgo attuale di Satna, nella cui denominazione soltanto, in memoria, dovevo rassegnarmi che consistesse ogni  rimanenza in loco del giacimento un tempo di una stupa gloriosa, senza più alcuna traccia del suo passato, un pò come solo il toponimo Virgilio rievoca nelle vicinanze della mia città di Mantova  che ci fu un luogo , nei suoi vaghi paraggi, che diede i natali al poeta massimolatino .

Non c' è da meravigliarsi che anche quando ho iniziato da umile pedonauta il percorso che sulla sinistra reca a una Bharhut così vistosamente indicata  dalla segnaletica stradale indiana, con una simbologia inequivocabile sulla giacenza di un sito monumentale circolare quanto uno stupa, per chi fosse tardo a comprendere,  mi ci sia inoltrato ancora agnostico del tutto, e che fosse un primo germoglio di una fede ancora scarsa, nel suo fioco lume, la conferma che si c’era alcunché corrispondente a una stupa, solo poco su, od oltre, rispetto al villaggio, di un lattaio in motocicletta che mi ragguagliava sulla effettiva distanza, scorciandola alquanto.

E uno dei luoghi più comuni che si presume sia un detto originale, che la strada  è la stessa meta, ma il percorso che reca a Bharhut si faceva e si presenta al  viaggiatore così  incantevole, che può essere una compensazione più che bastante del ritrovamento del nulla alla fine. E come un sussidiario che squadernava via via  l’abc del mondo rurale indiano del Madhya Pradesh, prima un villaggio le cui case i cui tetti ribassati declinavano sulle pareti di malta e le soglie fumiganti nel folto degli alberi, poi , deviando sulla destra,  per una scorciatoia,  il percorso che si  faceva la più rimarcata  delle cavedagne tra i campi insolitamente aperti,  senza recinzioni di sorta,  allora degli arativi o dei filari dei primi germogli di grano, mentre tra i fiori di * e le fronde degli alberi grandiosi, l’orizzonte appariva dominato dalla sagoma sempre più incombente del rilievo di Bharhut, la montagna rossa. Un rivo vi è traversabile da un pontile su cui  può essere  dato di assistere al transito in bicicletta delle ragazze che vi si recano a scuola,  quando si è oramai nelle vicinanze del villaggio (di Bharhut,) e nei campi che ancora si interpongono,  è possibile vedere all'opera tanto il trattore quanto l’aratro di legno sospinto da  buoi, o  nell’aia rifulgere i pani con le sementi di legumi - e la pula a riseccarsi nel sole .

Bharuth, come già ci addentra, si rivela subitaneamente pari ad ogni più illustre sito dell’India che corrisponda al suo glorioso passato,  poco più di un pugno di case,  una viottola che ne è la decorrennza  e a cui affluisce una ancora più esigua, prima di ritrovarsi nell’aperto di una radura che conduce a casolari sparsi, ad un altro raggruppamento di case, di cui alcune,  in numero di quattro, presentano un corpo centrale i cui tetti spiovono su quello circondario che fa da bordo  sottostante , come più a Nord Est, nei distretti montani di Rewa prossimi oramai ai confini con l’Uttar Pradesh. Poco oltre è  dato di ritrovarsi tra i coltivi  in un un folto d’alberi, grandioso e ombroso, di un tale rigoglio di fronde e foglie che assorbe il respiro, tra cui fanno la loro comparsa  incantevole due tempietti o edicole remoti.  Poi il folto degli alberi si schiarisce in coltivi e radure,  in prossimità del manto stradale che si è lasciato per la scorciatoia, o da cui si giunge a sinistra in Barhut, oltre il quale il farsi declivio del suolo precede i cancelli e il filo spinato d’ingresso a ciò che oramai, indubitabilmente, al di la della stessa fede che fin qui ha guidato i nostri passi,  è la certezza assoluta che siamo prossimi al sito della stupa di Barhut., in virtù della sua presenza reale che così ci si manifesta,

Spero che il visitatore incallito trovi accompagnatori meno stolidi dei giovani  quelli che si sono uniti al ragazzo che mi accolse all’ingresso del villaggio,  che non fecero certo un motivo di mia gloria il fatto stesso che a piedi e in stato trasandato dal viatico avessi raggiunto un sito così inusitato e sconosciuto a chi non sia del luogo o dello stretto circondario,  senza mostrare propensioni al fumo o all’alcool o a gutka di sorta,  e nonostante l’handicap dell’artrosi e il retaggio di un corpo appesantito dalla sua senilità,  che mi impediva di sforarlo insieme con gli abiti nel traversamento cui mi invitavano del filo spinato, in assenza del custode di turno. Ma anche nellIndia più primordialmente al passo con la modernità dei tempi, esistono  le anime gentili, e al mio appartarmi schifato e autistico per diradarne il seguito, sopraggiungeva l’angelo provvidenziale di un giovinetto , forse avvertito dai miei stessi precedenti accompagnatori così ravvedutisi di quanto aveano inscenato, che si poneva in contatto telefonico con il custode del sito, il quale  sopraggiungeva alfine dopo quasi mezz’ora.  Avevo così accesso finalmente al sito della stupa di Bharhut, poco oltre sulla destra: un sito elisio, tra  gli alberi che facevano corona o serto al basamento circolare superstite del corpo circolare della stupa, ai brani del selciato del percorso intorno della pradakshina, a ciò che restava degli stipiti iniziali di uno dei torana,  al di qua di una recinzione che  isolava la sacralità o intangibilità dei reperti, sancita da una stele di uno Yaksha  convertito in un Hanuman dalla devozione locale, adiacente  all’area depressa dello stupa, dai pascoli d’armenti immediatamente contigui,  negli avallamenti che preludevano al monte di li a poco sovrastante , a compimento della solennità naturale dell amenità del sito. Ad avere il tempo e la voglia e le gambe buone sul monte sono ravvisabili rilievi rupestri, un’ iscrizione antica, concernente lo stupa, come mi informavano la guida inutilmente disposta a condurmici, il giovinetto che mi aveva accolto all ingresso del villaggio, e che avrei ritrovato dopo l’ospitalità concessami da due anziani fratelli che vivono in uno dei casolari del raggruppamento di dimore e rustici e stalle nelle vicinanze,  e che sulla sua motocicletta sarebbe stato ben felice di condurmi all'incrocio di ripartenza per Maihar.

In Maihar  si situa oltre l’intero villaggio la prima destinazione del nostro recarvicisi,  al di là della stazione degli autobus, avviandovicisi per la stradicciola sterrrata, sulla destra, che seguita il bordo di un talab, per poi deviare sulla sinistra, volgendoci alla collina su cui biancheggia in lontananza il tempio della Sharada Devi. Ancora qualche centinaio di metri, e oltre le fronde degli alberi ci appariranno l’amalaka e il pinnacolo del Golamath, il purana mandir al dio Shiva eretto dai Kalachuri nel  960 dopo Cristo.

E un tempio vivente ove accorrono ben più fedeli che visitatori, e lo rimarcano la cinta muraria e il calcinati e tinteggiati di bianco e di rosso, in strenuo contrasto con la finezza, che ne è ancor più esaltata, della preziosità retrostante del decoro ornamentale irrinuciabile, a quei tempi,  del  piccolo tempio che ne rifulge nel portale d’accesso al santuario. Ne  precede la cella il portico d’entrata, enfatizzato dalla gronda ricorrente, lo sovrasta un’ armonioso e fulgido sikkara, che le modanature di due kapota intervallate da una pattika sopraelevano sul jangha dei fianchi del tempio, ove  su un basamento dai forti rilievi curvilinei ricorrono due ordini di statue, nella loro natura individua superstite alloo stucco di cui sono incrostate, alle tante ripassate sopra di esse di una devozione indifferente e indiscriminata.

Ritornando al portale d’accesso al garbagriha, cui nel portico  è innancabilmente antistante un Nandi in adorazione del lingam, ne fregiano la trabeazione la serie superiore  delle saptamatrika e quella sottostante dei nove planeti, prevenuti da Brama alla loro destra e ui fa seguito Vishnu alla loro estrema sinistra, mentre in posizione centrale si attesta la divinità di Shiva, quale destinatario del tempio.

La banda laterale principale incolonna mithuna di coipie amorose sulle divinità fluviali di Ganga e Yamuna, tra un’attendente e dun guardiano naga, mentre una mirabile cornice a volute arricccia ed inflette ed inarca le sue spirali sinuose tutt’intorno al portale. Non  meno incantevoli sono le ondulazioni fluttuanti nei pliastri che separano il vestibolo al di là del portale e la cella vera e propria, ornamenntati nelle testate daimotivi dei ghata-pallava e del kirtimukka,  al pari delle fluttuazioni delle navigazioni celestiali delle coppie dei capitelli del portico.

L’apparato statuario che nelle loro proiezioni e nei loro recessi adorna le pareti  laterali del tempio,  nella fascia inferiore dispone come secondo copione le divinità guardiane dei punti cardinali, i vyala leogrifi e le ninfe apsaras, .nelle nicchie delle  principali proiezioni solo Shiva uccisore del demone cieco Andaka è ravvisabile al suo posto dovuto,  le altre statue postevi risltandovi illeggibili e incongrue,  appaiono invece di minori dimensioni le figure statuarie del registro superiore, tuttecomposte di coppie amorose.

Una volta lasciato il tempio, la via lungo la quale ci siamo incamminati poco oltre l’autostazione, seguitando verso le alture ci conduce all’area di sosta e di parcheggio degli autoveicoli oltre la quale occorre procedere a piedi per raggiungere il Trikuta hill, il monticello del tempio della dea Sharada.

Confluiscono nel culto della Devi  quello di Saraswati, Sharda Mata, la dea bianca dell intelligenza, sia essa quella della musica, delle arti, o della scienza, sposa di Brahma, e  la tradizione mitica che vuole che sulla collina Trikuta sia caduta la collana( har ) di Sati, ( Mai, la Madre Dea) , quando il suo cadavere portato in spalla dal Dio Shiva furente per la sua morte per autoimmolazione, in reazione all  ostilità del padre Daksha nei confronti del proprio coniuge divino, fu fatto a pezzi, 51, da Vishnu con il proprio chakra, per arrestare i passi della danza cosmica di Siva, il Tandava, che stava annichilendoil mondo,  sicchè il Trikuta è uno dei 51 Sakti Pitha dell’India, luogo sacerrimo di culto, pur se mai quanto il sito dell’Assam dove della Dea cadde la vulva, nei pressi di Guwahati.

Sarà una interminabile serie di bancarelle di oggetti liturgici e di offerte votive,

noci di cocco, dolciumi, drappi o coloratissime polveri,  o souvenir della Dea, giocattoli e capi di abbigliamenti per ladies, un bazar religioso che per multicolore e fragrante che sia, ci estenuerà sino allo spiazzo ai piedi del colle, dove tertium datur solo se a tal punto si ritorna indietro, tra il  valicare la porta e iniziare la salita a piedi degli scalini dell erta, o retrocedere fino alla stazione della funivia per ascendere in cabina. L’importo sarà minimo, ma una lunga coda stremante è assicurata, data il suo ammontare, 70 rupie only, alla portata di uninfinità di pellegrini indiani. Chi si reca a omaggiare la Devi è comunque inserito in un pellegrinaggio tecnologicamente avanzato che ripudia le forme estreme di sacrificio cui si può ancora assistere nel perikrama di oltre  chilometri della collina di Citrakoot, dove trovarono la loro residenza Rama e Sita in esilio da Ayodya, che delle coppie terrene percorrono per l’intera lunghezza vicendevolmente distendendosi e protraendo per tutta la lunghezza del loro corpo la ciotola che si trasmettono l’uno l’altro. Solo la ressa e la calca di lunghe file spossanti è quanto si deve patire e a cui deve adattarsi, in Maihar anche chi claudica o è ricurvo e piegato in due sulla sua schiena, sempre che per pio dgolo non sia possibile eludere la sequela ed abbreviare il tragitto.

A chi sceglie di far prima a piedi vi sono invece da affrontare 1152 comodi gradini, al cui termine dovrà condividere con chi è salito in funivia la confluenza nell accalcamento/ affollamento asfissiante di una serpentina tra le sbarre, che prelude salmodiante alla darshan della dea. La vista può intanto essere risollevata dalla profusione di ghirlande appese ovunque, dei filamenti votivi rossi e arancione che cingono i tronchi degli alberi dello spiazzo del tempio, dalle serie di campane donate dai devoti  cui si scorre di lato.

E giunti che si  è in cima della scalinata , la vista preveniente di ciò che è riservato a chi si fa astante alla dea, non può che diradare la maya di ogni illusione in proposito, giusto il tempo di depositare l’offerta , che sia raccolta da uno dei pujari, cedendone una quota di prasad come ricevuta in cambio, che l’altro ti sospinge già via nei modi più spicci, per fare scorrere tutto al più presto. Resta, di lassù, la gran vista della piana sottostante, dellle anse  fiume che vi scorre, degli specchi dei talab che rilucono nella vasta distesa  di piante e coltivi.