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 In Panna,  Brahaspatikund

 

 

 

 

 

 

Panna: i templi, il Museo.

 

 Panna,è situata nel Madhya Pradesh a 75 Km da Satna, e 45 chilometri da Khajuraho, da cui è raggiungibile ad un'altitudine di 410 metri sul livello del mare, scollinando oltre il Ken river le alture  che  un tempo fornirono l'arenaria ai templi hindu della capitale religiosa dei chandella, e secoli dopo, nel Settecento, riservarono miniere  diamantifere al Maharaja Chattrasal quando elesse Panna a capitale del regno costituito a seguito della sua rivolta contro l'impero moghul, a sensazionale conferma di quanto gli ebbe a predire il guru Swami Prannathji, sua guida spirituale,  prima di una sua battaglia contro i Moghul. "  lei sarà sempre vittorioso, miniere di diamanti saranno scoperte nel suo territorio, e diventerà un grande imperatore". Ora i suoi declivi ammantati di foreste ospitano  la riserva di tigri del National Park, al termine delle cui ultime propaggini si  perviene alla radure dei primi sobborghi di Panna

Tra le sue vie e vicoli di casamenti e casipole calcinati di bianco, renitenti ad ogni sopraelevazione moderna quanto a qualsiasi intensificazione in caos e traffico della sua quiete provinciale, insieme con i resti fatiscenti degli edifici dei Rajput Bundela si dislocano i suoi templi coevi, tredici e più, per lo più* in onore del dio Krishna, e visitabili soprattutto al mattino.

Li accomuna un'estraneità ad oltranza ad ogni eventuale ripresa di purana mandir nei territori circostanti, di antichi templi hindu cui era pur possibile rifarsi, un' hinduizzazione acclamata di forme integralmente islamiche e strabiliantemente occidentali, nell'attuazione architettonica di una medesima pianta ricorrente, una navata centrale che precede un vestibolo e il santuario, tra due gallerie laterali che sono concluse da un deambulatorio intorno alla cella del dio. Una recinzione muraria che è tutto un seguito di vani di culto, o al servizio delle celebrazioni, a delimitare l'area del tempio.

Si ritrovano tali caratteri già nel tempio Jagannath, bianco e bordeggiato di rosso e di giallo, attorniato da una cinta muraria gremita di edicole- tempietti.  Attorno al suo bengaldar frontale e alla sua cupola vistosamente soggiacente ad un fiore di loto rovesciato, sovrastato a sua volta da un pinnacolo con kalasha, di profilatura  islamica, oltre una cospicua gronda si stagliano i soli chattri di matrice hindu, in virtù della loro stessa recezione nell'arte moghul, all'atto della indianizzazione delle sue ascendenze persiane.

Fa seguito quindi lo stupefacente tempio Baldeoji, di forme assolutamente palladiane.

Capitelli corinzi, su paraste e colonne gemine all'esterno, a coronamento delle colonne della navata centrale all'interno, e timpani dorati, alla sommita di ogni entrata e finestra, gli elementi più esaltati e rimarcati del linguaggio della classicità occidentale che vi è stato ripreso in onore di Krishna.

Una cupola costolonata, con lanterna, su un tamburo circolare  si innalza al centro di una sopraelevazione cubica del santuario, assimilando  i chattri anch'essi costolonati e con una propria lanterna.

Analoghi sono nelle forme esteriori il tempio Govind ji e quello in onore al dio Rama, presentando entrambi un bengaldar raccordato da una balaustra a due chattri nella facciata, per quanto il secondo appaia ben più fastoso e festoso del precedente. Ribadisce tale maggiore grandiosità d'impianto il ricorso interno a colonne corinzie, in luogo di quelle ribassate con archeggiature moghul che ricorrono nel tempio Govind ji.

Sulle pareti interne del deambulatorio del tempio al dio Rama, le trascrizioni del testo del Ramayana che le gremiscono.

Maestosamente favoloso Favolosamente maestoso  è il tempio che  è la testimonianza monumentale del radicarsi in Panna della comunità dei seguaci Pranami della religione Nijanand Sampradaja, che ha il suo fondatore in sri Devchandra Maharaj ( 1581-165), nato nel Sind, e in Mahamati Prannathji (Mehraj Thakur) (1618–1694), cui il tempio è dedicato, il suo diffusore principale.

In Mau, nelle vicinanze di Panna, avvenne nel 1683 il suo incontro con Chhatrasal, che ne divenne discepolo e fautore, lasciandosi da lui guidare anche nelle sue scelte politiche.

Così si spiega come per i Pranami Panna sia il " param dham".

Ultimato nel 1692, nel luogo in cui si presume che Mahamati Prannathji sia vissuto e sia per sempre, essendo divenuto il Pranami tirtha come  Mahamati`s Punyasthali, il tempio è a pianta ottogonale, sormontato da cupola,  con tamburo e imponenti torri d'angolo anch'esse ottagonali , le coperture dei cui chattri replicano la cupola centrale in miniatura.

 

In luogo dell'idolo, un catafalco a ricopertura del corpo assente del guru, il cui cuore è esalato in Dio Conclude la nostra peregrinazione templare l'accesso che è  possibile solo a a iniziare da mezzogiorno al tempio Jugal Kishore ji, simile a quello in onore di Rama nella facciata, ma articolato su una cupola il cui impianto di sopraelevazione  pari solo a quello del Baldev ji,

del quale è non meno importante  come luogo di culto.

L'idolo che vi è adorato sarebbe pervenuto  via Orchha.da Vrindavan, dalla stessa terra natale del dio Krishna.

                                         

 

Prima di lasciare Panna per  aperte contrade, una visita al suo Museo archeologico può rivelarci magnifici reperti, provenienti per lo più da Panna e dintorni, dalle località di  Nan Chand e Mohendra, vi risaltano soprattutto splendidi reperti d'epoca gupta, un Tirtinkhara, del quinto secolo, dalle forme morbidamente armoniose non ancora irrigidite in una geometricità canonioca devitalizzata

 

, Uma e Maheshwari teneramente  abbracciati,

 

secondo un prototipo di cui nel museo di Ram van, oltre Satna, è rinvenibile una realizzazione proveniente da Nachna ancora più alta, Shiva (reperto 166) splendidamente naturale quanto formalmente composto, nella stessa disposizione lineare e fluente della sua crocchia di capelli , o jata, non raccolta in corona-mukuta.

All'entrata campeggia un grandioso Kartikkeya affettuosamente venerato dal suo intendente.

 

 

 

Da Panna la strada poi da affrontare è un ridotta  coltre asfaltata che seguita scorrevole per una trentina di chilometri in assenza di traffico, lungo tratti di viale alberato, tra coltivi  in altura addolciti in ondulazioni che si elevano nei lievi rilievi circostanti, finché sulla destra resta da intraprendere una pista che ci inoltra nella giungla,  discende nel  tratto cementato del fondale di un fiume, risale in una piatta distesa dove sembra vano chiedersi dove sia mai Brahaspatikund, nella prossimità che ci è stata  preannunciata dalla gente del luogo interpellata per strada, immaginandone la cascata discendere scrosciante da alture che si elevino dalla piana all’orizzonte, dirupandosi in gole di rocce  scoscese.  Brahaspitukund si rileva ancor più nelle vicinanze di quanto a tal punto si creda, basta, anziché perdersi tra i coltivi, svoltare sulla destra dove i campi finiscono in pietraie e biancheggia un mandir. E' lì, infatti, che nel plateau / nella piatta piana d’altura s’apre la voragine immensa del fondovalle scavato dal fiume che vi precipita in fondo. L’acqua del  salto della cascata è ridotto dalla siccità estiva ad alcuni altissimi gettiti, il cui flutto schiumante s’acquieta circolare in pozze d’acqua verdi rilucenti prima di riprendere il corso.

Per  raggiungere i bordi di quelle di esse sacra al dio Surya,  occorre discendere per i gradini incavati nel fianco della voragine canyon al di là del mandir. Essi recano a un cornicione vertiginoso , una scarpata sovrastata da un cornicione , nel cui incavo sono state rabberciate le mura di un luogo di culto shivaita, con sparsi frammenti di antiche statue,  di cui la più integra  è  un Nandi accostato alla soglia.

Seguitando per il gradone iniziano a comparire sulla sua parete interna emozionanti pitture rupestri, lì a portata di mano,  il loro colore è l’ocra, e rappresentano per lo più animali bovini e scene di caccia,  vi risalta un gruppo di fanciulle che sembrerebbero issate su un carro sotto un parasole, le figure sono tinteggiate per intero, con una tonalità più oscura che le profila, o delineate nei soli contorni,  in alcuni animali

il disegno interno alle sagome sembra rappresentarne la screziatura del manto,  diffuse immagini sono sovrapposte confusivamente, rari sembrano esserni i segni che siano ideogrammi o psicogrammi espressionistici.

Ma la passione archeologica deve commisurarsi con l’apprensione che ingenera il precipizio sottostante,  con l’ansia di ritrovarsi con margini più ampi  di sicurezza rispetto al precipizio della scarpata, dove il cornicione termina e ha inizio la discesa finale per dei gradini intagliati per lo più nella roccia. Giunti al Kund,  ci si ritrova a rimirare dal fondo l’acqua che vi precipita sottostante, nell'arcone incavato nella roccia poco distante, mentre tra i dirupi pendono sovrastanti le acque immote del kund, gli alberi che hanno attecchito  che si sono radicati/sono attecchiti tra i loro scaglioni rocciosi. Risaliti  alla pianura circostante, in un rovesciarsi di nuovo di prospettive si può pervenire al greto del fiume, che giunto al termine d’una sua biforcazione con una profondità d’acque che consente ai bufali di starvi in ammollo, o alle donne di andarvi a lavare,  nella stagione estiva si è ridotto tra i massi a flussi di rivoli prima del salto nel vuoto che ci fronteggia, oltre il quale riappare laggiù,  in fondo all’orrido,  già ricomposto in un suo corso.

Dove ha ceduto il suo letto al crescere dell’incolto tra i macigni,  un uomo del luogo ci dice che si sono costituiti appezzamenti per  scandagliare il greto del fiume in cerca di diamanti”.

Ma alcuna “auri sacra fames “ nessuna esecranda fame dell'oro può per ora contaminarci l’incanto del sito sulla via del ritorno.

“  

 

 

 

 

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