Andando a Dewara, al Putara-Putaryon Ke Datta

In Brijpura

25  settembre

3 0ttobre

2012

INDEX

 

 

 

 


 

 

Oltre i villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, in motoricksaw con Ajay e Chandu , delizia di noi tutti, c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei lievi rilievi collinari che si profilavano oltre le ondulazioni dei  coltivi, nell’ulteriore splendore dei mattini settembrini ch’erano subentrati alla caligine monsonica che per intere settimane era gravata  tediosa, e già con Kailash erano insorti i miei senili malumori, per il solo futile motivo che aveva scelto di differire la sosta nell’ultima dabha che ancora restava lungo la strada di largo traffico tra Panna e Chhatarpur, senza che lungo l’arteria laterale accidentata che ora stavamo percorrendo, ancora si presentasse anche solo una chai-khanè, anche solo un negozietto sotto le cui  lamiere potessimo sorbirci un the, di sobbalzo in sobbalzo al tormentio del fondo continuamente disgregantesi nell’acciottolato dei rivoli d’acqua che ne frammentavano il corso. Nelle mie umoralità nervose avevo dovuto chinarmi alle superiori ragioni indiscutibili del mio amico, che non a torto era contrario ad ogni sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di qualche foto ai baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del quale si apriva lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi di una fiera di villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati finalmente  alla sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la lentezza del motorickshaw dilungava i tempi dell’arrivo in tale villaggio . Lo sovrasta una fortezza Bundela, ch’era il primo monumento interessante dell’itinerario di cui stavamo anticipando il percorso per i futuri visitatori di Khajuraho e dintorni, che  volessero avvalersi dei servigi del Bapuculturaltours.

Non di meno, a due ore, oramai, dalla partenza da Khajuraho, da cui eravamo ancora distanti una trentina  di  chilometri appena, una sosta si imponeva anche a Kailash, nelle due locande adiacenti, di pietrame e cannicciate, che precedono il villaggio in altura di Salaeya, di cui Kailash sapeva soltanto che ne era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e di fragranti pokora, non che per accertare se tale sosta fosse proponibile ai nostri ipotetici clienti.

Quindi seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al raduno di famigliole di scimmie, dove le radure erano schiuse da pozze d’acqua. Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio lacustre di un talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya nel varco ai piedi di un rilievo intorno al quale si era propagato,  prima che una deviazione ci costringesse a dilungare il percorso traverso Kishanpurah, quando già ci credevamo in dirittura di arrivo a Dewrah. 

L’abitato che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh, era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del corridoio interno,  uno sterrato di solchi di sterco.


 

Erano oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento dell’itinerario restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh, e il tempio Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash ad  esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle vicinanze, le caverne di graffiti,  con immagini di cervi e di cacciatori, di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto stesso che il Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno titolo della prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric paintings, come preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto stampare. Stando alla guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io il primo dei visitatori stranieri delle grotte di cui avesse memoria, una indicazione che mi esaltava più di quanto potesse significare un’avvertenza, dopo che le grotte ci erano state prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli prospicienti, che verdeggiavano di una giungla boschiva in cui era d’obbligo avventurarsi con chi si era offerto di scortarci come affidabile e indispensabile guida del luogo, dato che vi era segnalata la presenza di fiere. 

Giunti con il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto forestale, il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il veicolo, sicché io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente con i nostri bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di Ajay, e ci inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue insidie animali.

Tutta la stolidità dei miei presupposti che  si potesse essere di ritorno in poco più di un’ora dai tre chilometri di percorso che ci separavano dalle pitture rupestri,  secondo il sito in rete del direttorato di archeologia del Madhya Pradesh, dove non figurava alcun preavvertimento delle  difficoltà che comportava il cammino, mi si palesava appieno non appena iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il tormento delle mie sofferenze artrosiche agli arti inferiori, tutta la difficoltà anche solo a poggiare i miei piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della boscaglia.
 

L’ascesa era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”, sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più possibile, eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi la vista e l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate dal  nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità che raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che quelle dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati. Intanto, sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti, lasciavano solo presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua inaccessibilità, proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero in grado di affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto impedito nel bosco?


 

La guida, giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi, sembrava avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che proprio sulla loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte delle pitture preistoriche, ma potevamo pur sempre tentare di aggirarli. Solo che al termine penoso del percorso elusivo, mi ritrovavo a soggiacere a dei lastroni su cui mi era impossibile inerpicarmi. Che dunque vi balzasse con la guida il solo Kailash, per raggiungere il miraggio delle grotte preistoriche e trasmettermene le immagini. Lasciato solo, sotto i blocchi pietrosi, nella brezza fragrante lo spirito di sofferta rinuncia si  pacificava e mi quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità contro lo stesso  Kailash, per quanto si era fatto sempre più distante, ed estraneo, od insofferente della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola in continui lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare in ascolto delle mie richieste di aiuto, mentre si era prestato, con fervore, a salvare almeno attraverso le  immagini delle pitture preistoriche ritrovate la nostra esperienza. Ma i minuti passavano, troppi minuti, senza udire più voci, rispetto a quanti ne richiedevano un avvistamento e un sopralluogo nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano sempre più l’ansia, l’angoscia assillante, sulle sorti di Kailash  e della sua guida, su che cosa potesse essere accaduto, che ne spiegasse il persistente silenzio e il mancato ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da solo e nel timore, che in stato d’emergenza, non potessi farcela a ridiscendere con le mie sole forze.

Kallu, Kallu Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio?

Un mugolio udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di chi fosse caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole portate dal vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già nella morte “ Kailash there isn’t more..”

Atterrito, seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash, rispondimi da dove ti ritrovi, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è possibile…”

E se il silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me?

Che mai si stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la nostra vita, era forse rimasta senza più lui?

Ed era il solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi.

E Kailash, il mio amico?

Non una parola in risposta.

Si limitava solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo.

Ma dal folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un compito, senza che vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta.

L'amico aveva solo parole per sgridarmi: “Non fosse stato per le tue grida, forse avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte”

Si erano inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne per il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi quanto prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere richiamati dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri animali e di cacciatori, purtuttavia avevano rivenuto e fotorafato quelle di un profilo di Shiva con un cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto alla quale si interponeva lo spuntone di una roccia.

Di tanta istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran che al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume e vivo, che il suo cimento si riconoscesse a tal punto, come nel suo compito e lavoro vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito della licenza.

Lungo la discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini, color ocra, di animali e di un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia.

E addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito, delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho, e ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento dei graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a Kishangarh o a Bijpura.

Io, mi ripeteva sul tuk tuk , avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla. Ma la guida andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra”

Caro il nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul motoricksaw.

Avete avuto paura, su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso.

 

                                                         25 settembre 2012


 

In Brijpura

 


 


 

"Oh, forse un turista all’anno si farà vivo al Bapucultural tours”, queste parole di Kailash  mi stroncavano all’arrivo in Bijawar, provocandomi un sussulto di sconforto che non lasciavo trapelare, ma che accusavo nella voce affievolitasi,  mentre difendevo la scelta di seguitare in autobus sino a Kishangarh, anziché pervenirvi in jeep, da Bijawar, per 900 rupie che il conducente era disposto a ridurre solo a 800. La deviazione, su un fondo stradale accidentato, che una volta giunti a Kishangarh avremmo dovuto affrontare per recarci al tempio hindu di Brijpura, comportav un aggravio ulteriore che avrebbe fatto lievitare i costi oltre le mie disponibilità di spesa. Dunque, riconsideravo affranto, era con tale spirito che Kailash aveva rinunciato alla dabha per affidare alla nostra agenzia turistica ogni sua prospettiva di futuro, l'avvenire per sé e i suoi figli?

Il percorso, lasciata Bijawar e il suo forte rispecchiantesi nella luminosità serena del talab soggiacente, si faceva sempre più ameno tra il profilarsi di colli, mentre lasciavamo alla nostra destra il santuario di Jatashankar, e ci ritrovavamo di nuovo in Dawraa, ad aggirarne i bastioni della fortezza e i casolari che la attorniavano, per inoltrarci una prima volta verso Kishangarh..Il paesaggio seguente si faceva ancora più addentro a (era ancora più addentrato tra *)  rilievi collinari e foreste fragranti, dove nelle radure. divagavano sadu in prossimità di tempietti  Scollinato un passo,  alfine eravamo in dirittura d’arrivo a Kishangar verso le tre del pomeriggio. Il forte, che si profilava alla nostra destra, appariva sommerso dalle piantagioni abbarbicate dintorno, anch’esso, come quello di Bijawar, era assecondato nella sua cinta muraria dal dilatarsi intorno ad esso di un incantevole talab, a sua volta intorniato dai bianchi casolari del villaggio.

Kailash, con la sua intraprendenza, mentre percorrevo da solo la strada ai bordi del talab,  mi aveva intanto già assicurata la jeep che ci avrebbe condotto a Brijpura. Di cui, data l’ora già tarda, anticipavamo la visita rispetto all’entrata nella fortezza.

Il percorso era una pista dal fondo rossastro, pietroso e compatto, che si dilungava tra l’aperta campagna e l’infittirsi della boscaglia protetta del parco di Panna.

Era quindi Kailash, con la sua acutezza di sguardo, ad avvistare per primo il tempietto tra il folto degli alberi. Un incanto, la vista del curvilineo sikkara coronato di amalaka tra le cime degli alberi. Con Kailash e gli uomini al seguito del conducente della jeep, mi inoltravo tra i campi che ci separavano dal monumento remoto e solitario, con la palpitazione sognante di rivivere il ritrovamento originario di templi hindu, quando giacevano ancora ignoti ai più nella giungla impenetrata.

Che piccola meraviglia il suo fronteggiarmi, quando mi si è offerto a una vista ravvicinata, in fattezze armoniose, in cui comparivano ancora integri i costituenti fondamentali di un tempio hindu: una piattaforma – o jagati-, consentiva l' accesso alla saletta dell' ardhamandapa di un portichetto su quattro pilastri, che antecedeva, nel corpo del Prasada, il vestibolo interiore dell’antarala e la cella del sanctum del garbagriha.n In assenza del lingam, la yoni ricordava che il tempietto era la sacra dimora di Shiva, come attestava una minuscola effigie di Ganesha al centro del portale, mentre sui lati, in corrispondenza della risega della bhanda del sikkara, oculato di una trama di gavakhsha, tre proiezioni, uno per ogni lato, recavano le immagini della trimurti, Vishnu a sinistra rispetto all'entrata , , Shiva retrostante, Brahma sul fianco restante. Un’ immagine di una Chamunda emaciata e scheletrica concludeva le raffigurazioni, comprensive di piccole effigi dei dikpalas in ogni direzione angolare. Il fregio di un listello a forma di T, serrato alle due estremità dalla kalasha di un vaso fogliato dell'abbondanza, come nei tempietti sivaitici che in Dhubela sono correlati ai culti tantrici delle Yogini, o nel Lalguan Mahadeva di Khajuraho, correva su ogni pilastro del porticato, mentre reticoli di dadi, e rombi di diamanti, si interponevano tra i corpi del Prasada ed il shikkara,  preceduto dal fregio del frontoncino centrale dell’antefissa di una sukanasika.

Mi sa che dovrei portarti da Kishangarh un lettino e un materasso, perché tu possa dormire presso il tuo tempio”, commentava Kailash, consapevole, e contento ,di quanto ne fossi estasiato, distaccandosi, nel raggiungermi, dal gruppo degli uomini con cui si era appartato. Ma già il sole si faceva calante, e dopo le sei, ci era stato annunciato, non ci sarebbero più stati autobus da Kishangarh per Chhattarpur, correva dunque già l’ora del nostro rientro, per una perlustrazione breve dell’interno del forte.

Mentre vi indugiavo, Kailash mi anticipava all’uscita, per differire la partenza dell’ultimo autobus. Avremmo avuto ancora il tempo di osteggiarci, in Chhattarpur, per i suoi ordini impartitimi come a un secondo Chandu, quando per anticipare l’autobus che solo alle undici di sera sarebbe pervenuto a Bamitha, ha preso inutilmente un autorickshaw, per il punto di sosta terminale dei veicoli pubblici all’uscita della città, dove l’autobus che era già in partenza al nostro sopraggiungere, era troppo affollato, quando ci siamo affacciati al suo interno, perché avessi l’animo di restarvici sopra. Così facendo ci è rimasta solo la possibilità di prendere più tardi, a quella stessa fermata,  l’autobus che avevamo lasciato ancora vuoto alla stazione, e che quando anch’esso è sopraggiunto  era già gremito all’eccesso. Sono stato così costretto a quanto di più proibitivo ci poteva essere per il mio piede destro, ancora gonfio per la contusione dell’urto con una panca di ferro della All Saint’s School, una lunga degenza in piedi fino alla discesa in Bamitha. Strascichi tristi, anche in Khajuraho, di un infelice amore senza più speranze, che più non crede che Kailash si risollevi dalla sua ignavia per ritrovarsi in un lavoro reale, che io possa impormi al mio bisogno di lui, alla mia fragilità aggressiva ed ai miei crolli di schianto, che ne sono l’alibi ricorrente del farsi il mio career, invece di propendere a qualsiasi occupazione effettiva.


3 ottobre 2012

 

 

 

 

 

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