Agosto 2012 Dicembre 2012- marzo 2013 Andando a
Dewara, al Putara-Putaryon Ke Datta
Oltre i
villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, in motoricksaw con Ajay e Chandu ,
delizia di noi tutti, c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei
lievi rilievi collinari che si profilavano oltre le ondulazioni dei
coltivi, nell’ulteriore splendore dei mattini settembrini ch’erano subentrati
alla caligine monsonica che per intere settimane era gravata tediosa, e
già con Kailash erano insorti i miei senili malumori, per il solo futile
motivo che aveva scelto di differire la sosta nell’ultima dabha che ancora
restava lungo la strada di largo traffico tra Panna e Chhatarpur, senza che
lungo l’arteria laterale accidentata che ora stavamo percorrendo, ancora si
presentasse anche solo una chai-khanè, anche solo un negozietto sotto le cui
lamiere potessimo sorbirci un the, di sobbalzo in sobbalzo al tormentio
del fondo continuamente disgregantesi nell’acciottolato dei rivoli d’acqua
che ne frammentavano il corso. Nelle mie umoralità nervose avevo dovuto
chinarmi alle superiori ragioni indiscutibili del mio amico, che non a torto
era contrario ad ogni sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di
qualche foto ai baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del
quale si apriva lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi
di una fiera di villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati
finalmente alla sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la
lentezza del motorickshaw dilungava i tempi dell’arrivo in tale villaggio . Lo
sovrasta una fortezza Bundela, ch’era il primo monumento interessante
dell’itinerario di cui stavamo anticipando il percorso per i futuri
visitatori di Khajuraho e dintorni, che volessero avvalersi dei servigi
del Bapuculturaltours. Non di
meno, a due ore, oramai, dalla partenza da Khajuraho, da cui eravamo ancora
distanti una trentina di chilometri appena, una sosta si imponeva
anche a Kailash, nelle due locande adiacenti, di pietrame e cannicciate, che
precedono il villaggio in altura di Salaeya, di cui Kailash sapeva soltanto
che ne era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e
di fragranti pokora, non che per accertare se tale sosta fosse
proponibile ai nostri ipotetici clienti. Quindi
seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità
meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci
addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al
raduno di famigliole di scimmie, dove le radure erano schiuse da pozze
d’acqua. Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio
lacustre di un talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya nel varco ai
piedi di un rilievo intorno al quale si era propagato, prima che una
deviazione ci costringesse a dilungare il percorso traverso Kishanpurah,
quando già ci credevamo in dirittura di arrivo a Dewrah. L’abitato
che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato
quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un
piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte
intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e
il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava
presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che
figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh,
era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e
malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci
restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza
dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche
perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi
oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del
corridoio interno, uno sterrato di solchi di sterco.
Erano
oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento
dell’itinerario restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh,
e il tempio Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash
ad esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle
vicinanze, le caverne di graffiti, con immagini di cervi e di
cacciatori, di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto stesso che il
Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno titolo della
prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric paintings, come
preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto stampare. Stando
alla guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io il primo dei
visitatori stranieri delle grotte di cui avesse memoria, una indicazione che
mi esaltava più di quanto potesse significare un’avvertenza, dopo che le
grotte ci erano state prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli prospicienti,
che verdeggiavano di una giungla boschiva in cui era d’obbligo avventurarsi
con chi si era offerto di scortarci come affidabile e indispensabile guida
del luogo, dato che vi era segnalata la presenza di fiere. Giunti
con il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto
forestale, il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il
veicolo, sicché io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente
con i nostri bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di
Ajay, e ci inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue
insidie animali. Tutta la
stolidità dei miei presupposti che si potesse essere di ritorno in poco
più di un’ora dai tre chilometri di percorso che ci separavano dalle pitture
rupestri, secondo il sito in rete del direttorato di archeologia del
Madhya Pradesh, dove non figurava alcun preavvertimento delle
difficoltà che comportava il cammino, mi si palesava appieno non appena
iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il tormento delle mie sofferenze
artrosiche agli arti inferiori, tutta la difficoltà anche solo a poggiare i
miei piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della boscaglia. L’ascesa
era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si
attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti
oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”,
sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma
ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo
sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più
possibile, eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi
la vista e l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate
dal nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità
che raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che
quelle dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati. Intanto,
sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti, lasciavano solo
presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua inaccessibilità,
proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero in grado di
affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto impedito nel bosco?
La guida,
giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi,
sembrava avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che
proprio sulla loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte delle
pitture preistoriche, ma potevamo pur sempre tentare di aggirarli. Solo che
al termine penoso del percorso elusivo, mi ritrovavo a soggiacere a dei
lastroni su cui mi era impossibile inerpicarmi. Che dunque vi balzasse con la
guida il solo Kailash, per raggiungere il miraggio delle grotte preistoriche
e trasmettermene le immagini. Lasciato solo, sotto i blocchi pietrosi, nella
brezza fragrante lo spirito di sofferta rinuncia si pacificava e mi
quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità contro lo stesso Kailash,
per quanto si era fatto sempre più distante, ed estraneo, od insofferente
della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola in continui
lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare in ascolto
delle mie richieste di aiuto, mentre si era prestato, con fervore, a salvare
almeno attraverso le immagini delle pitture preistoriche ritrovate la
nostra esperienza. Ma i minuti passavano, troppi minuti, senza udire più
voci, rispetto a quanti ne richiedevano un avvistamento e un sopralluogo
nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano sempre più l’ansia, l’angoscia
assillante, sulle sorti di Kailash e della sua guida, su che cosa
potesse essere accaduto, che ne spiegasse il persistente silenzio e il mancato
ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da solo e nel timore, che in stato
d’emergenza, non potessi farcela a ridiscendere con le mie sole forze. “ Kallu, Kallu
Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio? Un mugolio
udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di chi
fosse caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole
portate dal vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già
nella morte “ Kailash there isn’t more..” Atterrito,
seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash,
rispondimi da dove ti ritrovi, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è
possibile…” E se il
silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la
guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me? Che mai
si stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo
partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la
nostra vita, era forse rimasta senza più lui? Ed era il
solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello
scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi. “ E Kailash, il mio
amico? Non una
parola in risposta. Si
limitava solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo. Ma dal
folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente
intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un
compito, senza che vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta. L'amico
aveva solo parole per sgridarmi: “Non fosse stato per le tue grida, forse
avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte” Si erano
inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne
per il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi
quanto prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere
richiamati dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri
animali e di cacciatori, purtuttavia avevano rivenuto e fotorafato quelle di
un profilo di Shiva con un cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto
alla quale si interponeva lo spuntone di una roccia. Di tanta
istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran
che al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume
e vivo, che il suo cimento si riconoscesse a tal punto, come nel suo compito
e lavoro vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito
della licenza. Lungo la
discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur
arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini, color ocra, di animali e
di un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia. E
addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito,
delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho,
e ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento
dei graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a
Kishangarh o a Bijpura. “ Io, mi ripeteva
sul tuk tuk , avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla.
Ma la guida andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra” Caro il
nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza
essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul
motoricksaw. “ Avete avuto
paura, su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso. 25 settembre 2012
In Brijpura
"Oh,
forse un turista all’anno si farà vivo al Bapucultural tours”, queste parole
di Kailash mi stroncavano all’arrivo in Bijawar, provocandomi un
sussulto di sconforto che non lasciavo trapelare, ma che accusavo nella voce
affievolitasi, mentre difendevo la scelta di seguitare in autobus sino
a Kishangarh, anziché pervenirvi in jeep, da Bijawar, per 900 rupie che il
conducente era disposto a ridurre solo a 800. La deviazione, su un fondo
stradale accidentato, che una volta giunti a Kishangarh avremmo dovuto
affrontare per recarci al tempio hindu di Brijpura, comportav un
aggravio ulteriore che avrebbe fatto lievitare i costi oltre le mie
disponibilità di spesa. Dunque, riconsideravo affranto, era con tale spirito
che Kailash aveva rinunciato alla dabha per affidare alla nostra agenzia
turistica ogni sua prospettiva di futuro, l'avvenire per sé e i suoi figli? Il
percorso, lasciata Bijawar e il suo forte rispecchiantesi nella luminosità
serena del talab soggiacente, si faceva sempre più ameno tra il profilarsi di
colli, mentre lasciavamo alla nostra destra il santuario di Jatashankar, e ci
ritrovavamo di nuovo in Dawraa, ad aggirarne i bastioni della fortezza e i
casolari che la attorniavano, per inoltrarci una prima volta verso Kishangarh..Il
paesaggio seguente si faceva ancora più addentro a (era ancora più addentrato
tra *) rilievi collinari e foreste fragranti, dove nelle radure.
divagavano sadu in prossimità di tempietti Scollinato un passo,
alfine eravamo in dirittura d’arrivo a Kishangar verso le tre del pomeriggio.
Il forte, che si profilava alla nostra destra, appariva sommerso dalle
piantagioni abbarbicate dintorno, anch’esso, come quello di Bijawar, era
assecondato nella sua cinta muraria dal dilatarsi intorno ad esso di un incantevole
talab, a sua volta intorniato dai bianchi casolari del villaggio. Kailash,
con la sua intraprendenza, mentre percorrevo da solo la strada ai bordi del
talab, mi aveva intanto già assicurata la jeep che ci avrebbe condotto
a Brijpura. Di cui, data l’ora già tarda, anticipavamo la visita rispetto
all’entrata nella fortezza. Il
percorso era una pista dal fondo rossastro, pietroso e compatto, che si
dilungava tra l’aperta campagna e l’infittirsi della boscaglia protetta del
parco di Panna. Era quindi
Kailash, con la sua acutezza di sguardo, ad avvistare per primo il tempietto
tra il folto degli alberi. Un incanto, la vista del curvilineo sikkara
coronato di amalaka tra le cime degli alberi. Con Kailash e gli uomini al
seguito del conducente della jeep, mi inoltravo tra i campi che ci separavano
dal monumento remoto e solitario, con la palpitazione sognante di rivivere il
ritrovamento originario di templi hindu, quando giacevano ancora ignoti ai
più nella giungla impenetrata. Che
piccola meraviglia il suo fronteggiarmi, quando mi si è
offerto a una vista ravvicinata, in fattezze
armoniose, in cui comparivano ancora integri i costituenti fondamentali di
un tempio hindu: una piattaforma – o jagati-, consentiva l' accesso alla
saletta dell' ardhamandapa di un portichetto su quattro pilastri, che antecedeva, nel
corpo del Prasada, il vestibolo interiore dell’antarala e la cella del sanctum
del garbagriha.n In assenza del lingam, la yoni
ricordava che il tempietto era la sacra dimora di Shiva, come
attestava una minuscola effigie di Ganesha al centro del portale, mentre
sui lati, in corrispondenza della risega della bhanda del sikkara, oculato di
una trama di gavakhsha, tre proiezioni, uno per ogni lato, recavano le immagini della trimurti,
Vishnu a sinistra rispetto all'entrata , , Shiva retrostante, Brahma
sul fianco restante. Un’ immagine di una Chamunda emaciata e
scheletrica concludeva le raffigurazioni,
comprensive di piccole effigi dei dikpalas in ogni direzione angolare. Il
fregio di un listello a forma di T, serrato alle due
estremità dalla kalasha di un vaso fogliato dell'abbondanza, come nei
tempietti sivaitici che in Dhubela sono correlati ai culti tantrici delle
Yogini, o nel Lalguan Mahadeva di Khajuraho, correva su ogni pilastro del
porticato, mentre reticoli di dadi, e rombi di diamanti, si
interponevano tra i corpi del Prasada ed il shikkara, preceduto dal
fregio del frontoncino centrale dell’antefissa di una sukanasika. “ Mi sa che dovrei
portarti da Kishangarh un lettino e un materasso, perché tu possa dormire
presso il tuo tempio”, commentava Kailash, consapevole, e
contento ,di quanto ne fossi estasiato, distaccandosi, nel raggiungermi, dal
gruppo degli uomini con cui si era appartato. Ma già il sole si faceva
calante, e dopo le sei, ci era stato annunciato,
non ci sarebbero più stati autobus da Kishangarh per Chhattarpur, correva
dunque già l’ora del nostro rientro, per una perlustrazione breve
dell’interno del forte. Mentre vi
indugiavo, Kailash mi anticipava all’uscita, per differire la partenza
dell’ultimo autobus. Avremmo avuto ancora il tempo di osteggiarci, in
Chhattarpur, per i suoi ordini impartitimi come a un secondo Chandu, quando
per anticipare l’autobus che solo alle undici di sera sarebbe pervenuto a Bamitha, ha
preso inutilmente un autorickshaw, per il punto di sosta terminale dei
veicoli pubblici all’uscita della città, dove l’autobus che era già in
partenza al nostro sopraggiungere, era troppo affollato, quando ci siamo affacciati al suo interno,
perché avessi l’animo di restarvici sopra. Così facendo ci è rimasta solo la
possibilità di prendere più tardi, a quella stessa fermata, l’autobus
che avevamo lasciato ancora vuoto alla stazione, e che quando anch’esso è
sopraggiunto era già
gremito all’eccesso. Sono stato così costretto a quanto di più proibitivo ci
poteva essere per il mio piede destro, ancora gonfio per la contusione
dell’urto con una panca di ferro della All Saint’s School, una lunga degenza
in piedi fino alla discesa in Bamitha.
Neanche
al crocevia di M*. dove eravamo appena scesi dal bus diretto a Mahoba,
attardandoci per incrociare quello proveniente da Chhattarpur in direzione di
Lori, o Londi, o Laudi, sul cui bisticcio nominale ero arrivato quasi a
bisticciarmi di fatto con Kailash, sapevano dirci alcunché di preciso su dove
mai fossero Vyas Badora o Hindora Vari. Di Badora ne esistevano due, a quel
che pareva, situate quanto mai vicine, o parecchio distanti, a seconda
dell'uno o dell'altro degli astanti, come di Brijapur ne avevamo discoperte
già almeno due nel distretto di Chhattarpur, e non avevamo ritrovato Kishangarh
senza che ci fosse una Kishanpur a precederla, quanto nel Madhya Pradesh non
c’è Chanderi senza una sua opposta Chandrei, una Narshimhapur senza una
corrispettiva Narshinghgarh . Anche solo limitandoci a Hindora Vari, in Lori
si tramutava a dire di alcuni in una Ellora Vari di indefinita
collocazione, il che ci frastornava ancor più di quanto già non lo
fossimo, all’arrivo nella sua polverosa animazione diurna, di mercati e
traffico, che si disarticolava in un complesso mal connnesso di strade, a dispetto
della suggestione del sito, diramantesi ai piedi dei dirupi tra cui la via
che vi immetteva si apriva il varco, e su cui si arroccavano dei santuari
intorno. Ma Lori non poteva essere più che un inquietante luogo di sosta, a
seguito dei recenti accadimenti che il penitenziario locale evocava a
Kailash: egli vi era di ritorno in capo a pochi giorni, dopo che aveva
dovuto mettervi piede con il fratello, e lo zio materno, per ottenervi la
scarcerazione del padre grazie alla cauzione in terreni assicuratagli dal
cognato, a rimedio del guaio cui era servita per davvero tutta la stupidità
del padre per procurarselo. Di sua spontanea iniziativa si era recato dalla
stazione di polizia locale per denunciare le percosse che alla moglie erano
state inflitte dal fratello sadhu, miserabilissimo, e che da tempo non c’è
più gran che con la testa, in combutta con la propria di consorti, senza
tenere conto che li aveva malmenati entrambi a sua volta. Il tutto era
stato originato dalle presunte maldicenze della madre di Kailash sul
conto della figlia del sadhu, che sarebbe stata da poco malmaritata,
secondo quanto avrebbe detto, con una famiglia della stessa casta ancor più
povera della loro. Alla denuncia la polizia aveva convocato l’accusato, e di
fronte alle opposte versioni cui si era trovata di fronte, li aveva fatti
trasferire entrambi nel centro di polizia del tehsil, in Rajnagarh, da cui,
essendo di domenica e non potendo essere chiamati in causa avvocati e garanti
delle cauzioni, le autorità locali di polizia avevano pensato bene di
trasferire entrambi i contro accusantisi nel carcere mandamentale di Lori.“ Cosi mio padre ha almeno imparato
quel che si ricava in India a trarre di mezzo la polizia, rovinando la
reputazione dei propri figli”, la morale dell’accaduto trattane quei giorni
da Kailash .Ora egli s’aggirava da un conducente all’altro, in cerca di
chiarimenti sulle nostre destinazioni che fortunatamente erano invece al più
turistiche, cercando insieme con me la collimazione delle diverse
dislocazioni forniteci di Vyas Badora, una qualche concordanza sinottica tra
quanto ce ne dicevano i rivenditori di bibite e di somosa e di pokora a cui
avevamo già chiesto ragguagli. Dopo avere tergiversato con dei conducenti che
erano di Mahoba, e che alla vista della mia "white face"
prontamente avevano giocato al rialzo della tariffa richiesta, prima ancora
di chiedersi che ne sapessero di dove dovevano portarci, il suo spirito di
iniziativa ch'era al mio fedele servizio non meno di un Garuda genuflesso
riguardo al suo Vishnu, si concretizzava ben presto nel predisporsi di un
conducente affidabile di un fuoristrada, che aveva ritrovato sospingendosi al
di là dei chioschi di banane e mango e fiori e altra frutta, per una tariffa
conveniente verso una destinazione di cui ci convinceva che sapesse dov'era:
oltre Chandla, a cui recava l’arteria stradale su cui pochi minuti dopo
eravamo già avviati. Vi iniziava così
una veloce corsa, che già in Moreri, dai caseggiati suggestivi di malta,
avrebbe dovuto arrestarsi al posto di blocco di alcuni adepti della Maha Devi,
che essendo nell’imminenza di Navaratri intimavano l’alt alla nostra ed alle
altre autovetture, taglieggiando un contributo per l’allestimento dei suoi
festeggiamenti. Non ci restava che arrendersi alla richiesta per poi
sottostare al rallentamento, ininterrotto, che imponeva l'infittirsi delle
buche lungo il percorso, un tormento continuo di soprassalti e sterzate, nei
tentativi, figli l'uno dell'altro, di eludere i crateri interminabili del fondo
stradale, dato che una schivata ripresentava immediatamente la
necessità di una ulteriore, per evitare la nuova frana che la scansata
proponeva davanti. Ancor più che tra Rajnagarh e Lori, il
paesaggio intorno si faceva arido e sempre più spoglio di piante e di alberi,
tra i rilievi collinari che si diradavano all’orizzonte. "No dams,
less water”, la ragione della siccità crescente che Kailash era venuto
sempre più sentenziando, da che, appena poco oltre Rajnagarh, avevamo finito
di costeggiare sbarramenti di dighe. La strada che percorrevamo aveva finito
intanto di conoscerla già, da che avevamo superato la casa in cui viveva una
sorella del padre. Ancor più desolante sarrebbe apparso lo stato dell’arteria
stradale lungo la quale Chandla si snoda: tra la polvere dello
sterrato dissetato in cui si era scrostato il manto stradale, avvallandosi in
scoscendimenti pietrosi, per chilometri e chilometri digradavano in
scoscendimenti i negozi e i chioschi circostanti , e chi percorreva la strade procedeva in una
foschia
. Svoltavamo infine a destra per Vyas Badora,
e lo stato del percorso migliorava solo di poco, nei pochi chilometri ancora
restanti, chiedevamo dell’abitato del villaggio a un anziano che vi sostava
ai margini con altri coetanei, e ci diceva di svoltare a sinistra, all’altezza
di un albero di mahua. Il sentiero su cui così ci immettevamo, tra dei filari
di alberi finalmente ci riconduceva ad amenità di luoghi recandociin Vyas Badora, poco più che un villaggio sparuto, ma quanto incantevolmente
“ remote and lonely”, nelle sue case smaltate di fango candido ed ocra, al
limitare delle cui soglie delle donne erano intente al trancio di canna da
zucchero, presso le ruote girevoli degli attrezzi ad uopo. Oltre i massi
che il residuo villaggio intorniava, gli abitanti ci confermavano la
sussistenza dei mandir di cui non avevamo ancora traccia, la loro realtà ci
sembrava ancora del tutto incredibile, quando la loro apparizione si
materializzava in una visione che stupefatto mi lasciava d’incanto. Laddove,
stando alle immagini che ne avevo desunto in rete, mi aspettavo di vedere
ergersi al più degli ammassi di rovine templari, a dispetto della natura
incognita e remota del sito, sconosciuta ai più negli stessi dintorni, tra i
massi prospicienti che digradavano verso un’ampia vallata nell’imminenza del
Ken river, percorsa da mandrie di bufali al pascolo, sullo sfondo del
profilarsi ameno di ulteriori rilievi a perdita d'occhio, sovrastava i
ponteggi di un cantiere la sopraelevazione in corso di un grandioso tempio
gemellare, oltre il quale le celle porticate di
altri due templi si offrivano alla vista. Dal corpo
del tempio sorgeva il rudimento del pietrame interno delle coperture
dei due sikkara, ad assimilarli a monchi altiforni. Accedevamo
al santuario da una rampa laterale della sua piattaforma e ci ritrovavamo nel
mandapa della sala antecedente la cella di uno dei due garbagriha.Tale sala
era interconnessa con quella, ad essa parallela, in cui un Nandi diruto
/dirupato* sostava in adorazione interminabile al suo dio. La copertura della sala che dava adito al tempio era a
guisa di volta, e la costituivano circoli di rilievi delicati, mentre
era quadrangolare la trabeazione su cui era impostata la copertura
dell’atrio, o ardhamandapa, del portico d'entrata che la precedeva, sostenuto
da corti pilastri, ed affiancato da un identico ingresso ad esso
parallelo, per chi avesse risalito i gradini di quello che era
l’accesso principale al loro sito gemino di culto. I portali del garbagriha recavano stipiti ornamentali
secondo moduli canonici, non fosse che il canopo delle divinità fluviali,
assecondate nelle loro flessuosità tribhanga da attendenti naga, sortiva
nelle sue volute da kirtimukka leonini, Lungo le pareti esterne e le altre all'interno, la
profusione decorativa dei portali delle celle dei santuari era precorsa
/ anticipata da profili continui di diamanti, in una decorazione
geometrica contrappuntata da reticoli, o jali,di quadrettature di dadi. Alle
estremità dei pilastri apparivano i tripudi di foglie di vasi
dell'abbondanza, desunti dalla loro germinazione ancora fervidamente
naturalistica nei templi Gupta, ma che le maestranze del tempio avevano
stilizzato in forme geometricamente assai più astratte, che preludevano
alla loro stampinatura lineare nei tempi Chandella di Khajuraho. Le sforature
in oculi di cielo delle volte cadute delle sale di accesso alle celle di
Shiva, propiziavano l’eccesso estatico del percorso del tempio. Più a sud
, digradante, era il Chausat Yogini mandir, il tempio delle 64
Yogini, costituito
dall’incrocio di due transetti, sviluppato in una galleria <dall'inserto
di quattro corpi d'angolo)da cui i quattro portici d’accesso
risalivano al santuario centrale, mentre le edicole delle sessantaquattro
Yogini, con alcune forse in aggiunta, riservate come in Khajuraho
alle loro divinità alleate, erano disposte all'interno e all’esterno del
deambulatorio che sulla piattaforma consentiva la pradakshina deambulatoria intorno al
santuario. Di rilievo il motivo nel basamento del
portale d’ingresso alla cella della Dea, una kalasha, tra due volute, come ad esempio
nel tempio Lalguan di Khajuraho, che era dedicato a Shiva ed è poco distante
dal tempio delle 64 Yogini.
Già viene
calando la fumosità diurna, quando dai templi lo sguardo torna ad allargarsi
all’intera vallata, agli armenti che ancora vi sostano al pascolo, ai ragazzi
che li accudiscono attenti, agli abitanti del villaggio che lungo i
tracciati dei suoi percorsi vi fanno ritorno, ed è già sera quando siamo di
nuovo all’ingresso del villaggio, e Kailash intravede sulla nostra destra un
altro tempio tra i campi, chiedo di fare una sosta e vi giungo da solo, tra i
rovi non ne sopravvive che la cella, che reca sulla soglia lo stesso motivo
ornamentale di quello d'accesso al sanctum del tempio delle 64 Yogini.
Seguitavamo
il rientro per la diversione di un sentiero di campagna, ove nel corso della
stagione monsonica trattori e carri avevano lasciato i solchi di un
rivolgimento talmente in profondo, che sconquassava il pulmino e
le nostre viscere mettendoci con l'autoveicolo a identica dura prova,
fintantoché non ne uscivamo a pochi chilometri da Chandla.
Senza più
la luce del giorno e rare essendole lampade accese, lasciava sgomenti
l’attraversamento di Chandla lungo l’arteria stradale principale,
popolata di persone che avanzavano tra le tenebre di negozi affacciati nel
buio di un continuo dissesto pulverulento, senza che se ne potesse trarre
respiro che una ventina di chilometri dopo, quando il fondo del percorso
tornava a farsi un ammanto stradale fino a Khajuraho. 23 ottobre 2012
I templi Pratihara nel distretto di Tikamgarh
Una volta
in Tikamgarh, la mattina seguente il nostro arrivo, il compito primario per
me e Kailash era di rintracciare l’ubicazione dei villaggi dei templi
antichi, due dei quali risalivano alle dinastie Pratihara , cercando di dare
credito in ciò che avevano di vero a tutte le indicazioni raccolte, che di
primo acchito sembravano solo contraddittorie, - occorreva solo lasciare che si
sovrapponessero, di informatore in informatore, presso gli hotels, nei negozi
o nelle rivendite, nelle piazzole in cui stazionavano i conducenti di taxi presso i quali ci attestavamo, in virtù del loro
tasso di credibilità maggiore. Madhkera, prima di tutto, com’era possibile
che fosse sulla strada per Jhansi e su quella in direzione di Mohangarh? E
che Umri fosse la stessa Umari di altre mappe, - entrambe, o lo stesso villaggio,
con toponimi diversi, situandosi invece
in direzione univoca di Sagar, e come ritenere che ivi fosse il tempio di Surya
che ricercavamo, se il
tempio che vi era accreditato come la nostra possibile meta, a dire
unanime era dedicato invece ad Hanuman? E di
nuovo, nella ricerca del tempio di Badagaon, ci trovavamo di fronte a due
villaggi dalla denominazione identica, ma in ubicazioni opposte, una Badagaon
in prossimità di Tikamgarh, ma dove per gli interpellati era certa l’assenza
di qualsiasi “purana mandir”, o “ tempio antico”, una Badagaon che
precedeva l'Umri o Umari delle nostre mappe distrettuali, a seconda che
fossero redatte in hindi, o in inglese, a proposito della quale nessuno
sapeva nulla di nulla, della eventuale presenza in situ di
qualsiasi “purana mandir”. Tanto più per il fatto, come mi informava Kailash,
che per la gente locale valeva il termine mar in luogo di mandir. Se
dovevamo dare credito alla voce che la vicinissima Badgaon non ci riservasse
alcunché, in virtù della conoscenza più certa che potevano averne i nostri
interlocutori, soprattutto per la vicinanza stessa della località, facendo il punto della
situazione la conclusione che ne traevo con Kailash era che forse ci ritrovavamo , nel caldo lume di fine estate che alonava
Tikamgarh, - sotto il profilo urbano uno spezzone continuo di città mancata-,
a doverci muovere da Tikamgarh in due opposte direzioni, successivamente, con la meta principale e più rinomata della nostra ricerca dislocata in
Madhkera più a nord, a poco più di una ventina di chilometri dal capoluogo di
distretto, benché figurasse già nel tehsil di Jatkhara, e con le altre due
mete presumibilmente situate più a sud, l’una nell’Umri che vi
è dislocata, e l'ulteriore nella Badgaon ch'è sulla stessa strada che vi
reca. E tutti i pullman diretti a Sagar portavano comodamente a
Badgaon, a non più di ventotto chilometri di distanza più a Sud, da cui per
giungere ad Umri occorreva distaccarsene per una diramazione secondaria
sulla destra. Quanto alla presunta incoerenza delle voci sulla strada da
intraprendere per giungere a Madhkera, la si risolveva all’atto stesso di
darci da fare per avviarcisi. Per andare a Madhkera occorreva in effetti
prendere la strada per Jhansi, ma deviando sulla sinistra per l’arteria
secondaria che recava a Mohangarh, da cui si distaccava quella ulteriore per
la località del tempio. Si decideva dunque per Madhkera, accogliendo come più
conveniente la soluzione, che ci era stata caldeggiata, di anticipare i tempi
recandovicisi in autoricksaw direttamente da Tikamgarh: lunghi,
infatti, si prospettavano i tempi di attesa di un autobus per
Mohangarh, ed alla sua fermata nel centro abitato maggiore in
prossimità del villaggio di Madhkera, avremmo dovuto fare ricorso comunque ad
un autoricksaw, o ad una camionetta locale, per un importo non minore di rupie. Lunga e
diritta, e fiancheggiata di piante frondose, correva ora la strada verso
Jhansi, su cui procedevamo allegramente con un conducente di tuk tuk quanto
mai caloroso e coinvolto nell'impresa, fino a che, poco oltre un Palazzo
Bundela, del più vivo fascino ed interesse anche nelle stesse adiacenze
ruderali e nei rustici sull’altro lato della strada, non si svoltava appunto a sinistra, e
poi per una stradicciola sulla sua ulteriore sinistra. Ma che stavano mai
facendo, chiedevo imbizzarrito a Kailash. i contadini e le loro donne che
stendevano i loro raccolti sul manto stradale, lasciando
o addirittura favorendo che le vetture di passaggio facessero di tutto per
passarvi sopra? Si trattava di coltivatori di lenticchie nere, mi informava
prontamente, che così ottenevano che le ruote dei veicoli spaccassero
l’involucro del seme lasciando integro quest’ ultimo; in tal modo, senza
bisogno di noleggiare trattori che passassero sopra il raccolto, bastava
raccogliere la semente così sgusciata sul fondo stradale per poi impilarla ,
come brillava nei cumuli ai margini della strada. Ancora
pochi chilometri, ed ecco, poco prima del villaggio contiguo, l’apparizione
dello splendore fulgente del pur piccolo tempio Pratihara, la rivelazione
istantanea di tutto il suo incanto, che a Kailash faceva dire
immediatamente,nel suo giudizio di sintesi folgorante, che già tutto aveva
percepito e raccolto “ Ma è tutt'altro, ancora di più, di tutto quello che di
più bello abbiamo visto ultimamente”. Eretto su
una piattaforma, constava semplicemente di un porticato d'accesso e
della cella del santuario del Dio Surya, che si sopraelevava armoniosamente
nel luminoso sikkara, su cui si erge al culmine l’amalaka, in
una preziosità di forme che ne faceva uno scrigno sublime del
Divino. La
grandiosità dell'impatto visivo frontale era originata dalla profusione
centrale del'antefissa della sukanasa, o sukanasika, che quasi dall'altezza del collare
della greva da cui si espande l' amalaka, defluisce sino
all'edicoletta che sovrasta al centro la gronda del portico, in una
ricaduta luminescente di cordonature perlinate dalla bocca del volto di
gloria del kirtimukka. Gli è soprastante un elefantino , mentre
due scimmie stanno in posa d'attesa sulla risalita in alto della perlinatura,
a loro volta due pavoni si attestano all'interno delle sue due anse
superiori, ed una dea grandeggia dentro una sua replica ovulare. Essa
sovrastà ad una riproduzione miniata dell'intera antefissa, con identico duo
inferiore di scimmiette, e tale replica è posta a sua volta al di
sopra di un’edicoletta templare, con tetto embricato ed ugualmente (essa pure
)) con una propria mini-antefissa, a cui soggiace la jali reticolata
della gronda del portico del tempio. La frattalità del santuario, volta a
esprimere che lo stesso ordine divino si ripete ad ogni livello del
reale, richiede per sovrappiù che due edicole ancora più piccole
riproducano ai lati quella centrale, soggiacendo ciascuna ad una riproduzione
ugualmente su scala più ridotta dell'antefissa inferiore , mentre, più sopra,
i festoni terminali della grande antefissa replicano altre due due scimmiette
aquattate in cima. Le
splendide colonne del porticato, tutto quanto intagliato, recano dei vasi fogliati dell'abbondanza
all'estremità del fusto centrale, profilato ottagonalmente,- da esso ricadono
esili campane pendenti e si stacca , risolutivo, l'intaglio di un
triplice collarino superiore difformemente variegato . Trabeazioni
e mensole recano geni o demoni da cui circonvolvono festoni vegetali, tra
piccoli principi naga adoranti nei recessi, grandiose corolle di fiori di
loto si espandono scolpite nei soffitti Il portale d'accesso alla cella, dove risiede ancora la statua del Dio Surya, è istoriato in cinque bande negli stipiti, edoltre l'architrave che accampa al centro l'immagine fulgente del dio, reca fregi di adoranti ed officianti, in cui tra cavalieri di corsa risaltano due sikkara e un tempio coronato da una cupola ch’è coronata a sua volta da un amalaka.
Altri sikkara miniaturizzati sormontano le edicole dei guardiani o dikpalas dei pilastri laterali, sormontati a loro volta da kirtimukka, o demoni fogliati che siano, su cui stanno in bella vista vasi dell'abbondanza ulteriormente tracimanti vegetazione.
In tutto il portale si assiste così ad un
tripudio naturalistico di foglie e racemi, e di fiori di loto, di ascendenze
meravigliosamente Gupta. Volgendoci
quindi ai lati, il basamento appare costituito solo dal plinto, ma
sulle sue modanature convesse, costituite da una successione di kumba e di
kalasha, fasce linguiformi di kudhu o gavaskha, in una trama di oculi di luce
carenati, promanano da miniedicole trilitiche e fanno del basamento già la
prima fase saliente delle 5 ratha o bande delle proiezioni del(lo) sikkara, in cui lo innestano.Le fasce del(lo) sikkara annettono nella
loro tensione ascendente l'intero corpo dell'edificio, sicchè la jangha o
muro dei fianchi laterali ne è l' impostazione su edicole colonnate di
immagini divine, che affiancano sardula rampanti. La loro grazia di
minitempli è supportata da pattikas la cui gagaraka è un'orlatura di foglie
cuoriformi di peepal, ed è puntualmente ricoperta di tetti
embricati. E nella replica incessante, di cui si è già detto tutto il bene
possibile, della medesima trama e del medesimo ordine divino del reale, su
scala maggiore che via via si fa ascendente, nuove lingue di gavaksha , come
in una sorta di stiramento ascensionale che le allarga o le prolunga, si
elevano in minisikkaras verso le loro riproposizioni superiori
costituite dalle badhra e proiezioni a latere dello sikkara complessivo ed
esaustivo, in una tensione dell'ardore - tapas-. spirituale che ci
comprende, con l'intero edificio, entro uno slancio unanime verso l' uno celestiale che in
sé ci consumi e ci ravvivi. Della
statuaria esterna, più che le icone di dei e di divinità guardiane delle
direzioni templari, memorabili restano i cubi dei basamenti in cui, come nelle trabeazioni dei portali, demoni eruttano fogliame, in esso s'involvono, o defluiscono, o
altrimenti s'accampano complementari, cavalcandone il flusso o
fronteggiandolo pingui. Sulla via
del rientro da Madhkera , una volta che se ne è saputo consentire al
distacco, giunti all’altezza di nuovo del palazzo che già ci aveva
ammaliati lungo l'andata, è stato possibile farsi aprire l'ingresso,
poiché il
custode rispose al richiamo della bakseesh: e l'
edificio si è a noi rivelato la
residenza delle regine hindu trasferitesi in Tikamgarh da Orchha, e alla vista
è stato concesso di divagare nel piacevole e più facile incanto
di bagni e baoli, dei
relativi sollazzi adombrati nel verde del parco, in cui si situano dei tempietti accanto ancora
integri nei loro affreschi, delineati nel medesimo stile di quelli del Raj Mahal di
Orchha.
Badagaon
ci accoglie nell’animazione di mercato e traffico del suo centro paesano, a
poco meno di 30 km di distanza lungo un tragitto veloce e piacevole, ma il
minibus o l'autorisciò che si prende per Umri, ci farà retrocedere alla
strada che si dipartiva sulla nostra destra, venendo da Tikamgarh, a ridosso
dei massi rocciosi fra i quali è situata Badagaon. Diletti lettori al seguito della nostra
esperienza, qualora nonostante ogni traversia vi risulti esemplare, se avrete in Badagaon
chiesto del mar o mandir che vi risulta situato, nessuno
saprà dirvene nulla, e così non vi resterà che procedere nella sola
speranza di ritrovarlo chissà mai come, se sollevate la vista , lungo
la strada laterale che avete intrapreso per Umri , il cui decorso alla vostra
destra vi apparirà sovrastato dalla mole possente della fortezza rajput
di Badagaon, prima che seguitando a prestare attenzione, sullo
sfondo di un rilucente talab il tempio fatidico non vi appaia di sfuggita,
poco prima di lasciare il villaggio. Tu fai cenno all'amico, alla vista del tempio, è dunque pur vera la sua esistenza, sospiri sollevato, prima che un laonico assenso infiori le labbra dei viaggiatori locali, che seguitavano fino a un istante prima a negare che esso vi fosse. "
Ah, questo?- è tutto quel che consentiranno, tanto la sua irrilevanza
confina per loro con il negazionismo che un purana mar, o mandir, sia mai stato
edificato in Badagaon. Resta da
svoltare a destra dopo una decina di chilometri, per ritrovarsi alla buon’ora
infine in Umri, dove il villaggio cede alla radura del tempio. .Le
fattezze sono una variazione magnifica rispetto a quelle del tempio di
Madhkera, ma esse appaiono spoglie del suo incanto, per la stessa spogliazione
della sua magnificenza ch'è stata perpetrata dagli uomini. Ne è andata distrutta l' antefissa
frontale, è finita perduta anche la statua del Dio, nell'impatto frontale
risulta intatto e meglio preservata solo la
trabeazione del portale del garbagriha., mentre le colonne del porticato, più brevi e più ad ampio raggio, ci invitano a considerare il resettaggio
delle proporzioni armoniche. La mole
del Prasada, volgendo ad essa intorno , appare minore perché é più slanciata e meno
convessa , e determinante, nel marcare la differenza, è lo stacco
aggraziatissimo tra il jangha e il sikkara, marcato dal ricorso, della più
fine eleganza , di un reticolo di quadrettature di minuscoli dadi, una
jali che allenta e distingue in due successioni lo stesso slancio che rilancia.
Demoni e
viluppi vegetali vi sono più linearmente stilizzati e meno rigogliosi e
Nella
sera in cui si è di ritorno a Badagaon, un'alta gradinata ci conduce al
tempio conclusivo del nostro itinerario: l’indomani si sarà di ritorno, ma
basta , nella sua massa compatta e granitica culminante nel sikkara, vedere
quante mini-sikkara si addensano ed urgono ad ascendere, come aggrappandosi
a quello principale, per intendere che non siamo più nel dominio templare dei
Pratihara, ma che si parla lo stesso linguaggio architettonico dei templi in
Khajuraho dei nuovi signori Chandella. Nel sole,
l'indomani, con il custode ed i curiosi, in vena di facezie o di
molestie, e gli uomini e i ragazzi davvero interessati alla rarità assoluta
di un turista colà capitato, desiderosi di saperne di più e volenterosi di
aiutarlo, mentre
con il calore diurno sale un tanfo ammorbante dal tabalab, le sembianze del
tempio appariranno quanto mai familiari, a chi ha lunga consuetudine con
quelle dei santuari di Khajuraho: L'antarala di un vestibolo vi si differenzia dal portico d'accesso, i cui pilastri profilano nel granito un'ornamentazione più geometricamente standardizzata di quella dei templi Pratihara di Madhkera e Umri, una serie di rombi tra i due vasi dell'abbondanza, tracciati nel più rude dettato, o dettame granitico, che prelude grezzamente a quelli diamantini che si susseguono, lungo la jangha del tempio, in alternanza con le edicole dei templi,.e che si susseguono più in alto dello stesso portico.
Nella parte inferiore degli stipiti
de portale, come già in Madhkera ed Umri,ricorrono le dee fluviali Ganga e Yamuna, ma alla sommità è la Trimurti
che si impone con Shiva al centro, Brahma e Vishnu alle due ali.
Delle
cornici interposte tra i profili del basamento e la janhgha, rimarcata
in due bande di statue e rilievi ornamentali, e delle modanature ulteriori
tra la jangha e il sikkara , riconducono in una sua variante,
scandita in un sermone ben più rustico, alla scansione tripartita- in
basamento, jhangha, sikkara-, degli illustri templi Chandella, di cui con la
grammatica nei suoi rudimenti semplificati al massimo , - l'ornamentazione in
rombi diamantini, reticoli di cubettini, volute confluenti- è l'incanto
architettonico che ci viene rievocato in tale umiltà di materia, nel
concorso di slancio, verso l'alto dei cieli , di sringas o mini-sikkara, a
grappoli, insieme con le proiezioni maggiori del sikkara maggiore,
volte al ruotare orbitante dell’amalaka, d'accesso al regno della
liberazione unanime. I Templi Jain vicino a Tikamgarh
24
ottobre 2012 --------------------------------------------------------------------- Dopo il viaggio in Allahabad
E dove
mai l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale
perdizione idolatrica, meritevole solo di ogni più devoto
accanimento di resezione dell’ impuro. “ Loro non
taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho
replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla
richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa. “ Non è affatto
cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi
risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo
di Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché
erano Hindu. Quasi che
Cristo, anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato
per la sua dannazione generale, come accadrebbe, fatalmente, se per salvarsi
invece che il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico
e nella sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed
attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita. Essere
indiani, per i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho,
piuttosto che il convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o
muslims, sembra che
significhi il farsi compartecipe della idolatria per il cricket dei
propri connazionali, o che per le sorelle sia il condividere l'adorazione infantile per i mortaretti o quella alimentare del dahl,
inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per ogni ordine ecclesiastico riconoscersi
nei sacri proventi e privilegi secolari che assicurano loro gli ordinamenti
civili indiani. Ne sono
stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi
nella loro imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in
cui i cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e
Allahabad, dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto
religioso, che si rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di
nuovo e lungamente alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale
dalle Civiles Lines, dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola
sezione statuaria del grande museo. Dunque
era vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di
Bharuth, quali quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano
di una jataka in cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre
ad innumerevoli splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh,
di epoca Gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta
ancora rammemorava il naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha
risalenti alla scuola di Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali
sponsali, che sono state asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine
religiosa provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e
le gavaksha degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha
Suramardini, del tempio che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara,
sicchè, in un itinerario nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho,
raggiungendo Buhmara da Nachna Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo
la strada per Rewa, ai luoghi ed ai siti del museo di Ramvan e della stupa di
Bharuth, seguitando sulla via per Allahabad che conduce agli stupa di Dor
Khotar, prima di pervenire alle sole fondamenta di quelli che furono eretti
dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è dato di visitare i resti dei
monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose l' Itivuttaka, l’approdo al
museo di Allahabad avrebbe significato il ritrovamento figurativo incantevole
delle superstiti vestigia figurative di quei templi e stupa che si siano già
visitati, od evocati nel sito medesimo in cui sorsero. Un’esperienza
estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del
giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato
pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le infinitudini
dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso
dal vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le
travature dei ponti galleggianti ( che erano ) sospesi sulle acque poco più che
reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche
ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di
alcune pedane di vasi sanitari. Da altre
maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che
aprivano voragini nel letto in secca del fiume, mentre le passerelle di
ferro dei vari percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad
essere schiodate e rimosse ad una ad una. Ad ondate
salienti risaliva in me il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento,
fallendolo una prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da
Khajuraho, talmente la mente vi era stravolta per avere subito i clamori
notturni delle feste nuziali e la lettura avvenuta a tutto volume del
Ramayana, in una casa accanto, al punto che incapace di ritrovarmi nei carnai hindu della
Maha Khumb Mela, mi sono arenato in Chitrakoot, prima di
Allahabad, e che oltre la sua stazione ferroviaria, vessata dalla pioggia,
mi sono rifugiato nell’approdo illusoriamente consolatorio, in Sarnath, delle parole
misticamente disincantate con cui Valentino si ritraeva da ogni
coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo superstizione. Prendono
tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente con le acque dello
spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più merda che acqua, per
poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di prima…” Ed io
stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia
frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua
deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine seguenti del Sarvatirthamahatmya
del Garuda Purana: "Ma il santuario più alto è la
meditazione sul Brahman; il controllo dei sensi è un altro
luogo santo; la disciplina interiore è un supremo tirtha e la purezza
del cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione in un tirtha spirituale,
nello stagno della conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che
distrugge l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si avvia
alla meta suprema.”. La frustrazione irreparabile della mia
aspirazione a dare coronamento, nelle mie ecloghe,
alla trasposizione immaginativo-letteraria di un anno di vita indiana con la
espressione poetica della mia esperienza del massimo evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato
alla sua rabbia furente, nell'uno o nell’altro dei passi, a mia libera
scelta, della Gangamahatmya del Naradapurana: " Chi uccide
un brahman, il proprio guru o una vacca, il ladro e
colui che viola il talamo del guru, tutti costoro sono purificati
dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su questo”.
Mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti
per il giorno seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad, per recarmi a Kaushambi,
e visitare in Allahabad di nuovo le tombe del Khusro bagh. Le ho
riviste solo nel corso di un accesso
furtivo, a sera inoltrata, alcune ore prima della partenza, tra le presenze
fantasmatiche degli omosessuali che vi cercavano incontri, ombre umane tra
quelle dimore ultraterrene, che a distanza di anni,
rispetto a quando le visitai in concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi
ricomparivano
solo come
magnificenti residenze celesti(ali) di principi e regine madri, senza
trascendere o trasfigurarsi nella sublimità del trono di gloria dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il
Taj Mahal “The train one,
one, one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe
poi risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di
Allahabad. E' l'India, bellezza, intanto mi ripetevo per adattarmi al
ritardo, a causa del quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio
anziché alle sette del mattino Marzo 2013
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