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 Da Khajuraho, a Bamnora, Beni Gangi

 

2014, febbraio 2016
 


Poco prima del sinuoso ingresso nell’intrico della vecchia Khajuraho,  così simile all'arroccamento tra le sue mura del suo riottoso* induismo, si apre sulla sinistra la stradicciola da intraprendere per iniziare il nostro itinerario, che costeggia l’acquitrino del Ninora Sagar. Nel suo breve tratto iniziale, un maialucolo nero che s'intrufoli nel vostro percorso lasciando le sue abituali immondizie od il liquame di scolo,  delle donne alla pompa dell'acqua con accanto il loro vasellame metallico da rilavarvi, od intente ad intrecciare con la paglia dei cesti, altre che sopraggiungono tra greggi ed armenti nel clangore dei loro campanacci,  con in testa un carico  di sterpi  o recando il loro fascio dell'erba stagionale, delle bambine che spalmino di sterco propiziatorio la soglia di casa,  tra lo strombazzare di autoricksaw e di motociclette, di trattori agricoli o vagoni di trasporto,  consentono di essere pienamente immersi nell' India anche a chi ci si ritrovava soltanto,  mentre ergentesi sull’arginatura del bacino del talab,  già si prospetta  il primo dei templi della nostra peregrinazione mirabile, il tempio al dio Brahma *, come erroneamente siamo indotti a denominarlo dalle supposizioni locali. indissociabile.

Dall’alto della scalinata, ultimata la visita del tempio con la circumambulazione esterna del chaturmukkha, il bacino lacustre del Ninora talab si offre alla nostra vista sino all’opposta sponda, in cui pascolano e vanno in ammollo bufali e circolano bambini.  Di fronte invece all'entrata del tempio,  il vecchio villaggio ci concede a sua volta un suo brano significativo che ci anticipa la fatiscenza, sino allo sgretolio estremo, in cui ritroveremo superstiti negli ulteriori  villaggi gli edifici di fango, in contrasto con  il rosso fulgore dei filari di mattoni cotti in cui  resistono all’usura del tempo le murature delle  altre costruzioni tradizionali, tra il sovraergersi, sopravanzante, dei fabbricati più recenti, e di piani aggiuntivi, con supporti in cemento e travature  metalliche.

Presentano, le case in mattoni, le forme grezze e solide che consentono le intese edilizie tra capomastri  e committenti , secondo  la logica architettonica, o Vastu vidya, che sovrintende il fabbricare hindu dalla notte dei tempi dei Silpashastra*, gli antichi trattati canonici che tali norme rielaborarono.  Sui dossi che si avvallano tra le rovine di alcuni edifici diroccati, se non è la stagione delle piogge ci apparirà l’ altra più alta nota di colore, ocra, del paesaggio rurale, dataci dai pani di sterco stesi al sole a seccare, nel brillio dei filamenti di paglia incorporati. Ci si offra a tutta la loro vista benefica, è il loro consumo energetico,  per la cottura dei cibi, il riscaldamento, o la messa in fuga degli insetti molesti, ad opera delle dense fumigazioni che ne emanano aromatiche, che salvaguarda gli alti fusti e il diramarsi degli splendidi alberi che vedremo frondeggiare tra i coltivi:

E già non c'è tregua alle nostre emozioni, Come cessano i caseggiati da cui si risalga in strada, oltre tutta  l’ immondizia e la verde pastura dell’ immensa radura successiva,  in cui pascono copiosi quanto stenti armenti, e bambini e ragazzi hanno la buona grazia di allestire oltre il rivolo di scolo un campo di cricket, alla vista si  dona tutta quanta la grazia del tempio Javari, sullo sfondo d'incanto dei rilievi *Vindhya, mentre sulla sinistra si profila la mole del tempio Vamana.

Tornati dalla sua visita a rivedere il cielo di questo mondo, solo poche centinaia di metri di aperta radura ci separano più oltre dalla cancellata che racchiude il tempio Vamana,** dedicato anch'esso al dio Vishnu, ma nella sua incarnazione,  in Vamana Trivikrama.

Lasciati alfine gli antichi templi Chandella, per disaffaticare la mente ci si può addentrare nel recinto calcinato, che  tra  edicole sparse,  sfusi yoni e lingam e devoti Nandi in adorazione di Shiva, ospita un tempietto di Durga* ed uno di Hanuman*, come anticipano le bandiere rosse e gialle all'ingresso, e sulla soglia del tempio di lato della Devi, due leoni in pietra colorata, che minacciosi ringhiano ai bordi  del cancello d'entrata. I templi riposano all'ombra eminente di piante sacrali d'alto fusto tra le quali , su un peepal ed un neem, -venerabilissime e venerate piante su cui rinvio il discorso ad una loro comparsa più fenomenale,- grandeggia un  banyan, o bargad*,  la cui chioma tracima la cinta muraria. E il banyan, a insegna dell India, pianta epifita che fino a farsi gigantesca cresce da un seme ch'è albergato da una pianta ospitante,  fino a tal suo grado di detrimento checon le radici che emette, a guisa di tronchi, la strangola  fino a farla morire. Cielo ed aria, od acqua piovana,  al banyan occorrono ma non bastano, per questo si protende al suolo con i grovigli delle sue radici aree e le loro barbe soffocanti, che  consentono di ravvisare i banyan  inconfondibilmente

Tra le foglie lustre, ovali, dal picciolo ghiandolare ove se ne diparte la nervatura della lamina fogliare , alle estremità dei rami ne crescono a coppie i fichi rossicci, senza invece alcun loro peduncolo , ospitando ciascuno finanche  ottanta vespe inoffensive . Ma tali parassiti non scoraggiano di certo a nutrirsene uccelli e scoiattoli, sicchè l'albero è preannunciato alla vista dai suoi ospiti canori che vi si affoltano, in primis i pappagalli dal piumaggio smeraldino..

(La cenere sparsa sotto il trisul, o tridente di Shiva, la quiete in cui tutto riposa all'interno del complesso, compresi il  custode e l'officiante  immersi nel sonno, mentre solo qualche refolo di vento può sommuovere le bandiere rosse e gialle, è la serenità del Dio  tremendo che soggiace immanifesto, nel tormento mentale che qui cerchi sollievo.)

Il seguito del percorso si addentra in un breve succedersi di casolari, e rustici e stalle, ch'è di conforto alla rianimazione spirituale del tempio Vamana cui gravitano intorno,quasi che senza il loro soccorso e degli alberi che gli frondeggiano appresso, esso già fosse poco più che un caro estinto monumentale, fino a che dal fondo sterrato emerge il profilarsi dell'asfalto che ci reca sollievo. Le sue anse lasciano sulla destra una spianata dai caldi colori, tutto un intrecciarsi di piste tra le radure che ospitano nei giorni di festa giocatori di cricket, con occasionali wicket, per inoltrarsi tra i coltivi e l'addensarsi delle grandiose piante che li recingono,  una moltitudine che si infittisce in lontananza, contro lo stagliarsi  all'orizzonte delle alture montuose, che appaiono più ancora alla vista quali dei  maestosi rilievi nelle loro alture dimesse-

Se invece si prosegue fronteggiando il tempio Vamana, ci si ritrova nella pulverulenza dello slargo di piste, che si dipartono l una dall altra per ricongiungersi insieme, nell’aridità di una vegetazione stenta ch’è di nutrimento solo a volatili saltabeccanti Spuntano massi qua e la disseminati, o singolarmente disposti circolarmente, di rocce di un colore rossastro che emergono da un suolo di una ferruginosità grigio-giallastra.  il cui fulgore è avvivato dai pani di sterco che vi sono a seccare al sole tra il luminìo di steli di paglia.

Al crocevia di raccordo dei tracciati alcune piante di nim ed un bargad adombrano bianche edicole templari che reiterano i culti di Durga e di shiva, come dispiegano alla cognizione del passante i vessilli che vi frusciano al vento. Gusci di noci di cocco, i residui delle offerte di passanti.

Poi, risalita la china, si aprono le distese dei campi ai lati della stradina asfaltata cui si accede.

Fili spinati recingono i coltivi e fanno barriera. Rare le piante che si interpongono, per lo più fasci di fusti di bambu, mentre li ingentiliscono gulciatar e besaram, dei fiori, questì ultimi, che crescono ovunque come ovunque attecchirebbero donne di facili costumi,. Che il nome in hindi dei fiori- campanule connota

 



Tali recinzioni ininterrotte di filo spinato. che ai bordi della strada marcano invalicabilmente  le proprietà terriere, precludendoci, come agli animali voraci e ai ladri endemici locali, ogni libero accesso alla fragranza di spighe e di steli, stanno a rammemorarci ad ogni istante che per quanto incantevole, nel nostro percorso non siamo felicemente regrediti o di ritorno ad alcuna età dell'oro, sia essa d' impronta greco- latina o il Krita Yuga favoloso della dottrina hindu dei cicli cosmici, in cui facile sia il sostentamento, e ignoti gli odi e gli inganni, come durante la crescita delle colture può illuderci l'incanto dei prati  tra gli alberi  di mahua o di neem, o il sopraggiungere nel loro clangore di lenti armenti di  pecore o di possenti bufali,

 

 di un carro agricolo trainato da buoi nella sua intelaiatura di legno,

 

 

Siamo anche qui, al più, in un'era bucolica segnata dalla storia, e ben di ferro, per quanto ciclico ne sia il decorso annuale, e più che il canto degli uccelli tra i rami, è più facile udire il pigolio dei bimbi che come per strada  vi avvistano quali stranieri, vi si accostano senza remore e riguardi e vi chiedono all'istante " money, pen, chocolate", senza tanti "hello sir", o " how are you", che ben saprebbero come dire, ma non si confanno al sentire che hanno di voi.

Provate allora  a ribattere che l'elemosina  va chiesta rivolgendosi a chiunque sia di passaggio, sia egli indiano o forestiero, accennate all'uomo che segnato dal lavoro dei campi ride alla scena sotto immancabili baffi,       " ma quello è mio padre", vi dirà schernendosi il bambinello ridanciano.

E tanto silenzio, che grava intorno, rotto solo da trattori e vagoni agricoli, da trebbiatrici o mietitrebbia che ostruiscono il passaggio,  o che nei villaggi e nella loro ruralità arcana ne rende metafisici i casolari, è dato dall'esodo dei campi e dallo spopolamento, per opera dei dalit, soprattutto, che in cerca di fortuna vanno in  città che qui dicono Delhi, che  proprio con il concorso delle loro tribolazioni  sollevano ora il capo tra le altre dell'India, quanto qui sogliono le mahua tra le piante di neem.

Ai dalit ed ai contadini sudra  non sono bastate le compensazioni del discrimine di out cast con terreni forzosamente sottratti,

l'accesso alle macchine agricole è di pochi, essendo per lo più di costoso noleggio, e insieme con le leggi di mercato, e gli oligopoli multinazionali, che impongono l'esosità di sementi e concimi, qui c'è chi fa la da padrone senza sorta di repliche, su affittuari e vigilanti, sui lavoranti nei campi, con richieste di canoni, e   remunerazioni minimali, che  non lasciano margini di sorta oltre la sola sussistenza.

E poi l'acqua decide di tutto, che sia disponibile solo quella piovana, che sia attingibile  nei pozzi o pervenga canalizzata, che arrivi a tempo o fuori stagione, con grandinate esiziali.


 

Ma l'occhio , così disincantato, può rimirare meglio lo splendore dei campi, della loro fertilità assicurata dalla ferrugine della terra , che non ha nulla del grigiore cinereo delle polveri di campi aridi o di cremazione, rossa come il  sangue delle divinità femminili qui ovunque onorate, specialmente per Dusshera, al termine dei nove giorni della festività della Devi, o per Shivaratri, quando nel tempio Matangesvara si celebra lo sposalizio di Shiva e di Parvati , o nel giorno primaverile o già estivo della nascita del dio Rama, omaggiandole di vasi di germogli di miglio, nelle loro manifestazioni di  yogini o di sacre spose del Dio, di cui sono la stessa energia operativa.

Ed oltre i fili spinati, se non è avvenuto appena il raccolto,  nei campi l'osservatore può assistere d'inverno al crescere   di grano e di senape, di ceci e di piselli , di lenticchie e di sesamo nella stagione monsonica, può incantarsi  al fervere del loro verde rigoglio, ingiallito dai fiori,  o al  compiersi della maturazione nel fulgore delle spighe, in un'aurea alonatura  che s'inargenta nei pleniluni estivi.

E se così è giunto il tempo della mietitura, vedrà i campi di grano farsi distese di mannelli per opera della falce, formarsi covoni tra gli steli recisi che inaridiscono a stoppie, sollevarsi la pulverulenza della trebbiatura che separa la granella da paglia e pula. Non immagini alcuna dispersione del tutto nel vento,  diventeranno aurei cumuli sospesi nelle aie e nei campi, destinati a ingrediente del sostentamento dei bufali, che se ne nutrirano lenti e placidi, al riparo dal gran sole,  sotto i tettucci di canne in cui è a loro ammannito come gusha*.

E per chi voglia farsi partecipe, basta familiarizzare con un  sorriso, per potersi attivare al ventilabro di un 'elica, nella separazione del seme di cece o di pisello dalla pula e dallo stelo, o nell'infornata nella trebbiatrice  dei mannelli di spighe di grano.

Senza che qui sia dato come altrove, nel Madhya Pradesh, per le lenticchie nere, di vederne il raccolto disteso per strada, perché la prima trebbiatura la facciano le ruote dei veicoli di passaggio.

Ma or ecco che mentre si è così intenti a pensare*, un serraglio di casipole rurali che si alzano a capanna sotto i coppi, costituite di rossi filari di mattoni imbiancati sulle soglie, tra cui spicca una parete tinteggiata di un celeste luminescente,  ci riconduce ben presto alle nostri peregrinazioni  archeologiche,  preannunciandoci oltre la curva, sull'altro lato della strada,oltre piante meravigliose di choeula, l'apparire, sullo sfondo dei monti, delle poche e fascinose rovine del tempio Cakramath rinserrato da una  cancellata.

 Per chi vi sia giunto in direzione opposta, dai villaggi del circondario, è il sepolcro di Bianore che preannuncia la città imminente dell'antica Kharjuravahaka, ed è ora possibile rallentare il passo, deporre il  capretto diradando le frasche. ( Virgilio, Ecloga IX).

Stanno su di un culmine roccioso i resti del Kakra Math, a seguito di un’edicola tra i campi al dio Hanuman, le asperità scabrose ergendosi a luogo di culto da che in essi sono impraticabili le coltivazioni






Lungo la via che s' intraprenda a sinistra per Bamnora, il terreno si fa ancora più ocra, sempre più rossastro, si ammanta in campi di terra coltivata a colza che li ravviva con le sue gialle infiorescenze e a grano di un verde smagliante, se lo consentono le piogge o l irrigazione. Altrimenti i campi deserti si fanno pastura di greggi ed armenti, come già nel tratto precedente, da cui abbiamo svoltato, o  suolo di prelievo e di forgiatura della malta di di laterizi, sconfinando con brulle e aride distese di arbusti, oppure in cui emergono massi e macigni e calotte rocciose, o si aprono voragini di scavo di rocce e terre rosse residuali friabili, terra della stessa terra di cui sono ignificati i mattoni dei casolari che compaiono lungo il percorso. Rari quelli imbiancati, più rustici, in cui i mattoni si combinarono con l argilla ed il fango, un aia minuscola fronteggiandoli immancabilmente con l immancabile tulsi del sacrario hindu domestico. Al di fuori di ogni orizzonte di aspettative le poche case cementizie che vi compaiono prima della svolta verso la dirittura che ci porta a fronteggiare i monti D.*, cosiddetti perchè evocano il profilo di una dentatura. ai lati una distesa arida arbustiva a perdita d’ occhio, prima che la giungla si addensi intorno ai declivi in arbusti collinari quali il teak- sagoon,  o nell'esplosione primaverile di colori delle piante delle fiamme della foresta , nei loro fiori roseo-arancio-, dette altrimenti l'albero dei pappagalli o in hindi chalcha,  mentre le rocce si fanno anche grigio-brunite.

Volgendosi indietro, apparirà il divallammento che si è percorso,  di cui i saliscendi del percorso hanno ripercorso le ondulazioni, sino al tratto di foresta che inizia a inerpicarsi oltre la radura arbustiva. In essa, se si è fortunati, quando l ora volge al tramonto potrànno essere avvistati pavoni che vi dispiegano la ruota, famiglie di antilopi che traversano di corsa il tratto in cui sono allo scoperto.

Ancora un complesso di templi in onore di Durga e di Shiva, preceduti da un sacello dedicato al dio Hanuman, in corrispondenza di religiosi sensi tinteggiati di bianco con il tempietto alla Devi una e trina che si intravede sommatale in altura, affiancato da un tempio più minuscolo in onore di Narashimah, e si apre nella roccia ora sanguigna , ora albescente , di feldspati, e cloriti di gneiss, luminescenti, il varco alfine per Bamnora, il villaggio gemellare minore di Beni Gangi. Lo ha aperto il corso del Kudar, che appare al fondo degli avvallamenti che concludono il loro moto ondulare contro le alture seguenti.

Mirabili i ghat che vi discendono vertiginosi sotto il fronteggiare di palme, ove i langur locali trovano la loro eletta dimora.

E' Bamnora un villaggio che si assiepa  in due direzioni opposte, lungo la via che ne è la dorsale ed ai lati delle viottole che se ne dipartono, assembrando case di cui poche sono quelle superstiti in terra battuta. Mista a paglia e ad erba, vi è stata conglomerata in strati successivi, seconda la tecnica costruttiva del pisé.

Caratterizza varie sue case una veranda antecedente, che poggia su pilastri o finanche colonne gemine secondo tradizione, ricorrendo il loro abbinamento nei pochi resti di edifici del passato  in stile Bundela che se ne conservano.

Il villaggio non presenta che uno slargo di raccordo, ove è dato di radunarsi e sedersi, sulla piattaforma del chabutri che ne attornia il fusto, intorno al neem  che in ogni villaggio indiano del circondario  è la pianta ricorrente nella circostanza.

Pianta medicinale e medicamentosa in ogni sua componente, lo contraddistinguono le pallide foglioline opposite, fino a nove paia lungo lo stesso ramicello, concluse al  termine da una loro consorella  solitaria. Ma è il neem  la farmacia oramai in disuso di ogni villaggio locale, la cui gente non stenta a vantarne  proprietà terapeutiche, di ogni sorta, cui non fa più ricorso. come un tempo. Efficace regolatore campestre dell'azoto del suolo,  è' in virtù dell' azadirachtin, che ne pervade i semi e che si ritrova nellì olio denominato margosa che se ne ricava, che il neem ha straordinarie virtù biopestidice ed antisettiche, antipiretiche, antistaminiche ed antifungiche, che ne spiegano l'impiego per ogni sorta di malattia epidermica e per la stessa labbra. Nei villaggi i più, oramai, soprattutto fra quanti sono più poveri,ne utilizzano solo i ramoscelli per la pulizia- interstiziale- dei denti ed in luogo del dentifricio.

Si esca sulla sinistra che si sia imboccata dal villaggiio, sul suo versante opposto rispetto a quello in cui si trova la scuola ed un tempio al dio Shiva.ed al centro della radura che ci si aprirà allo sguardo vedremo campire l orizzonte e diramarsi in tutta la sua magnificenza splendida la chioma di una pianta grandiosa di peepal.

Se Buddha ebbe l illuminazione della sua dottrina sotto una pianta di peepal, è  sotto un esemplare al pari  solo di questo, di questo, di questo, che senz' altro avvenne, non essendone immaginabile uno più magnifico, fu al pari di questa, di questa, di questa, di cui non è  immaginabile  una più magnifica arborrscenza, la consorella che poté propiziarla.

E'  l'eccelso Peepal  una pianta di fichi sacrale, che con il banyan cui è sovente coniugata naturalmente e religiosamente, non è confondibile per le foglie con una esile lingua terminale, e per l'aderenza al fusto centrale delle sue radici pensili, nelle parvenze di ssue scannellature o costolonature nerborute, mentre nel banyan calano aree e filamentose tra le fronde.

Ma laddove immagini e statue votive di divinità,  filamenti sacri avvolti intorno al fusto, bandiere e fasce del tronco tinteggiate elevano a dignità di tempio vegetale la generalità degli altri  peepal, questo esemplare, grandioso più di ogni altro, in Bamnora ne figura spoglio, proprio mentre due neem accanto  possono  accampare tale investitura sacra, adombrando un linga e la sua yoni stupefacente, in quanto appare essere una vestigia  della spogliazione residua dei templi di Khajuraho, come attesta il sua pattika fregiato di gagarakas.

E' più facile, però, che i giovinetti che per porsi al vostro seguito rinunciano a servirsi dello slargo per il gioco dell'hockey o del cricket, vi adducano piuttosto alla pianta di plum, o jamun, perchè siate l'occasione per un'abbacchiatura  dei suoi frutti, delle bacche simili a olive violacee dal sapore agrodolce. Meravigliosi ne sono innanzi i fiori, i cui stami si irradiano ai termine dei ramoscelli come grappoli di fuochi stellari artificiali

Poco oltre si  si staglia nella sua grazia dimessa un tempio all' Energia divina della  Sakti, in stile Bundhela, illegiadrito nella sua cella rettangolare da arcate lobate e dalla sovrastruzione di chattri cupolate intorno alla cupoletta centrale.

Ma bisogna usare circospezione nel deambularvi intorno, perchè si rischia di incorrere con le proprie calzature nefaste nell'area adiacente  che è sacra a Babbagiu , una variante di Hanuman, che vi è venerata in conformità all impilatura di pietre di un altare  quantomai celato alla vista profana dalla vegetazione ruderale.

Di ritorno al Cakra Math, oltre una cava dismessa, in cui ristà una pozza dove i bufali amano rinfrescarsi,  che precede altre più ridotte e recenti che danno luogo a fabbriche locali di mattoni d'argilla, inizia il tratto più lungo del percorso che ci reca a Beni Gangi,  quale meta imminente, costeggiato da idilliaci casolari ameni, i cui filari infuocati di pietre sono terra della stessa terra fulgida intorno. Essi appaiono talmente ribassati nel distendersi a schiera in una successione di soglie, da essere soverchiati  dai tettucci reclini  di tegole e coppi , quando sia pure di poco non si rialzano a capanna.

Accanto alle dimore si staccano i porticati raccorciati del fienilucolo e della stalletta, mentre gli accessi, tramite bancali ornati di motivi a croce, si dilatano o digradano nell'aia di raccolta degli arnesi e attrezzi e  di  bufali e capre, intenti a pascere all'ombra delle piante che la contornano D'inverno, al calare delle ombre dei monti, vi si vedono i fumi dei fuochi aleggiarvi sospesi nell'aria che imbruna. Via via che Beni Ganj si fa più vicino, tra fichi d'india e palme, compaiono coltivi di menta, di canna da zucchero, ed agli alberi di mahua e di nem si aggiungono l' himli, manghi, frondosi pipal. Intanto la strada s'inflette e risale lungo l'alveo del Kudhar, il cui lento decorso ristagna in uno specchio che pare immoto, si impigrisce sinuoso tra i massi del fondo senza che ne trapelino increspature.

Risalito il dosso, è già prossimo Beni Ganj, che  si apre alla vista come un'apparizione, nelle sue vivide case multicolori, accese di bianco e d'azzurro, disposte su più livelli  e  volte in più versi, tra il digradarvi dei rilievi nel cui varco s'incunea l'abitatoMeraviglioso  è il contrasto tra i rossi filari dei fianchi delle case , talmente lineari da non consentirsi che qualche profilatura  od una balza sporgente,  ed il bianco od il celeste luminosi di cui sono tinte le facciate,  a ridosso delle quali s'infoltano e diramano violacee  bougaivilles, un contrasto che si fa ancora più intenso mentre si risale la via d'accesso al centro dell'abitato. Su di essa si affacciano i portici delle case a pilastri binati, e i muri si alzano arcani sempre più a vista , finché il suo  percorso,  addentrandoci ove la breccia si sospinge fino all'altro pendio dei rilievi, (non) ci reca allo slargo terminale, ombreggiato da consueto neem, in cui convergono incantevolmente ben cinque tra vie e viottole del nostro  villaggio

A conclusione della via sta l'unica casa in argilla, finora intravedibile in Beni Gangi, morbidamente plasmata  sotto le sue bianche calcinature, mentre  se ci si volge a destra , ci si prospetta una via curva in cui i portici delle case si inarcano a loro volta, lasciandosi  sovrastare dalle sporgenze suggestive di davanzali e terrazzi, secondo modulazioni  che non potrebbero essere più difformi alle  rientranze d'obbligo di atri e balconi  in Chandigarh, secondo Le Corbusier,  così come Le Corbusier  in Chandigarh non avrebbe potuto di meno essere indiano

Sulla sinistra, due stradicciole confluiscono verso il villaggio adiacente di Bamnora, ch'è preceduto dal traversamento di un ponte sul lutulento Kudhar,  sulla destra la incantevole via principale , cui pervengono le confluenze di vari percorsi, e suggestivi slarghi,  tra case dai portici bassi ribassati anch'essi ad arco, si diparte verso i campi che digradano a valle, ed ha il suo seguito, oltre i  campi da gioco e di feste del villaggio, i suoi mela ground, in una strada sterrata che separa i coltivi successivi dai rilievi incipienti, e dai loro boschivi, situati nell'opposta direzione. Lungo il corso  della via principale è ancora possibile vedere i ruderi o i ripostigli cui sono ora ridotte le più antiche dimore di terra cruda  di Beni Gangi. Le loro murature furono costruite in pisè, con il getto di argilla, ghiaia, paglia e letame quale legante dentro delle casseforme , come è  ravvisabile dai filari di blocchi che si profilano lungo le loro pareti, quale tratto residuo del disarmo dellestesse casseforme.  L'affianca, più in alto, la via cui dobbiamo risalire per una traversa, se vogliamo pervenire per il suo tramite al tempio di Durga.

Sorge, come quello presso il Ninora talab, all'ombra di un bargad, entro un recinto, che la accomuna a un tempietto al dio Hanuman e ad un altro shivaita,  anticipato da un cippo  in cui il toro Nandi ne onora il linga .

Ma è in posizione più rialzata, al termine di una breve scalinata, ed a fianco di un pendio da cui i rilievi iniziano a  sopraelevarsi sul varco tra i monti Il  biancore calcinato dei rifacimenti dei muri ne attutisce l'antichità originaria nel nucleo interno, ch'è remoto quale quello dei templi di Choukha, o di Achatt,  nel distretto di Chattarpur, e quanto lo sono le sue proporzioni eleganti e la sua semplicità formale, costituita della sola cella senza altra copertura che una cupoletta su di un tetto piatto, mentre ne disvela l'origine  antica l'ornamentazione interna della saletta della dea,che è quasi un compendio primario ed elementare dei motivi che ricorreranno con più profusione elegante a Khajuraho, il soffitto a fiore di loto, fregi di  petali di loto, di triangoli , di angoli inversi listati, o "  renverse hald diamonds", seconda la dicitura inglese di tale motivo delle palmette. 

E la dea, sotto i bendaggi, non è un  idolo fantoccio, ma una Mahishasuramardini* in forme femminili naturalistiche), intenta ad accoppare a più non posso il demone Mahisha, ovviamente emblema del male, tra altre donne sue attendenti e primordiali leogrifi rampanti . 

Una coppia di giovani sposi, nelle circostanze in cui rivisito il tempio, ne effettua la pradakshina. Lui ha indosso il turbante ed i vestiti  sfarzosi della cerimonia nuziale, lei, tra delle sue compagne,   è condotta per mano con il volto nascosto dal sari. 

E' per avere figli, tale rituale?, chiedo a dei ragazzi che mi accompagnano, aiutandomi, per farmi capire, con il gesto che dilata il mio ventre in  quello di  una donna gravida. Confermano sorridendo. Lo sguardo, dall'altura lieve in cui mi ritrovo, oltre un tempietto alla dea Shanti e il breve muro di cinta  della deambulazione  intorno al tempio di Durga, si volge, per riposarsi,  alla valle sottostante in cui si è svolto il nostro percorso.

La distesa dei profili gialli dei campi, irti di steli, si perde nel folto degli alberi, che s'infittiscono fino alle alture di Rajnagar, sino all'orizzonte in cui cala il sole.

Tra di essi, invisibili, le case ed i covili in cui gli uomini e gli armenti sono di ritorno, o già al riposo, i limitari delle soglie accese, da cui le donne intente alla cena od al riordino della quiete domestica, usciranno a salutarmi(ci) sulla via del rientro.

 

Le parti testuali in carattere normale di dimensione 12 risalgono al 2016, 2-3 febbraio, le altre al 2014 e sono estratti dal mio testo sui templi orientali di khajuraho.

 

 
 

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