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 Antichi templi orientali di Khajuraho



Poco prima del sinuoso ingresso nell’intrico della vecchia Khajuraho,  così simile all'arroccamento tra le sue mura del suo riottoso* induismo, si apre sulla sinistra la stradicciola da intraprendere per iniziare il nostro itinerario, che costeggia l’acquitrino del Ninora Sagar. Nel suo breve tratto iniziale, un maialucolo nero che s'intrufoli nel vostro percorso lasciando le sue abituali immondizie od il liquame di scolo,  delle donne alla pompa dell'acqua con accanto il loro vasellame metallico da rilavarvi, od intente ad intrecciare con la paglia dei cesti, altre che sopraggiungono tra greggi ed armenti nel clangore dei loro campanacci,  con in testa un carico  di sterpi  o recando il loro fascio dell'erba stagionale, delle bambine che spalmino di sterco propiziatorio la soglia di casa,  tra lo strombazzare di autoricksaw e di motociclette, di trattori agricoli o vagoni di trasporto,  consentono di essere pienamente immersi nell' India anche a chi ci si ritrovava soltanto,  mentre ergentesi sull’arginatura del bacino del talab,  già si prospetta  il primo dei templi della nostra peregrinazione mirabile, il tempio al dio Brahma *, come erroneamente siamo indotti a denominarlo dalle supposizioni invalse.

E’ invece dedicato al dio Vishnu, il dio della forza di coesione onnipervasiva che conserva l'universo, preservandone integra la legge sacra del dharma, o bene, secondo quanto attestano, indubitabilmente, l'immagine scultorea del dio sulla trabeazione dei portali d'accesso e retrostante, od il il servente Garuda, suo veicolo animale, metà uomo-metà uccello, che prono in perenne devozione, sulla sua fronte di ingresso principale onora il proprio dio della sua cavalcatura aquilina.


 


 

 Nelle sue  quattro mani, quattro quanti sono per l induismo gli stadi e gli scopi della vita,- piacere, ricchezza, rettitudine, liberazione finale, ( kama, artha, dharma, moksha)- il dio reca la mazza ( gada) ed il disco, ( chakra),  insieme alla conchiglia ( shanka), mentre non è presente l'ulteriore suo  attributo classico del fiore di loto, invece di serbare il quale la sua mano inferiore destra è atteggiata nella varada mudra, il gesto di concedere ogni bene al proprio devoto, che è assunto dal dio volgendo  il palmo della mano verso il basso.

 

Tali attributi, come l'animale che del dio è il veicolo, non sono semplici suoi  tratti identificativi,  pur se  tale compito assolvono, e facilitano, nell'individuazione delle miriadi di effigie del pantheon induista.

Ad ogni  attributo, o ayuda*, in ciò che rappresenta, corrisponde infatti uno degli elementi della realtà, - terra, acqua, aria, fuoco, spazio immateriale, o akasha* -, una delle qualità o guna cui essa soggiace, sattva, ascensionale, rajas espansiva, tamas, inerziale e dissolutoria  -,  una delle  direzioni spaziali, una facoltà sensoriale.

La mazza, o gada,  simboleggia l’energia vitale ed è in rapporto con l’aria, mentre  il disco, o chakra, ordigno micidiale d’attacco, significa ogni ruotare ciclico nello spazio e nel tempo della vita cosmica, l’orbitare dei pianeti o l’alternarsi delle stagioni, ed è in relazione con il fuoco, con l’espansione, con la  nostra dimensione percettiva sottile, affinata  dalla combustione di ciò che  è grossolano.

Per quanto attiene agli attributi del loto e della conchiglia, il loto, fiore della purezza, pur se ha le sue radici nel fango, simboleggia la tensione centripeta sattvica verso la luce, quale qualità essenziale, ed  è in relazione con l'elemento dell'acqua, generatrice di vita, mentre la conchiglia, o sankha, la buccina che dà il segnale d'inizio delle battaglie, è in relazione con l'etere spaziale e con la tendenza centrifuga tamas alla dissoluzione, al ritorno all'origine e al suono primario, cui è dato di risalire, in virtù del proprio risveglio interiore, attraverso il suo andamento spiraliforme.

Mutando la disposizione degli attributi di Vishnu, con il loro rapporto muta l'equilibro degli elementi, delle qualità e degli organi di senso cui si rifanno, e dunque la realtà di cui il Dio  è espressione

Si danno di conseguenza  ventiquattro differenti manifestazioni e icone e denominazioni del Dio, per le ventiquattro differenti disposizioni possibili dei suoi quattro attributi in rapporto l'uno all'altro.

 

Rifacendoci senza più indugi digressivi ora al tempio del dio, va rilevato innanzitutto che nelle spoglie vesti rudimentali di  granito ed arenaria di cui consiste, esso era forse un memoriale, così come presumibilmente lo era anche il Matanghesvara*, che  sorge accanto ai grandi templi del gruppo occidentale e tuttora è l' edificio principale di culto  in Khajuraho. Di primo acchito esso mostra quale vi fosse ancora lo stato  dell’arte sotto i sovrani Chandella, ai tempi della sua costruzione che si fa risalire al 925-950 dopo  Cristo, quando essi erano essi ancora dei feudatari tributari dei  Pratihara di Kanauj.

Dei templi tuttora superstiti, vi era stato fino ad allora eretto il solo Chausat yogini mandir, cosi possente quanto primordiale, nel fornire a tutte quante le sessantaquattro deità della fertilità in cui si manifesta la sakti dell'energia divina, altrettanti  tempietti minimali più tre altri, non meno essenziali, per le divinità femminili loro alleate, al riparo ciclopico delle muraglie di un’autentica fortezza templare, ed era prossimo a sorgere, o da poco era stato eretto, in tutta la modestia delle sue pretese, il tempio shivaita ora a perdersi tra i campi di Lalguan.

Il  nostro tempio vishnuita ritenuto per errore in onore al dio Brahma, come tutti i templi hindu di Khajuraho sorge su di una piattaforma, o jaghata, differenziandosene perchè consta solo di una cella. Ma pur in tali termini contratti, del tempio hindu riproduce in elevazione la ripartizione in un basamento, o adhishthana, le cui modanature vi raggiungono metà dell'altezza delle aperture della cella, in una porzione centrale muraria, o jhanga, termine  che in sanscrito significa "coscia", in una serie ulteriore di modanature e rientranze ornamentate, la varandika, nella soprastruttura che se stacca, che nel tempio brahma è una sovrastruzione  di forma piramidale , la phamsana, e alfine nel suo culmine che la corona,

Tale culmine fa seguito a diciassette piani del phamsana,,

dopo un collo, o griva, cilindrico,  che al pari della denominazione dei muri laterali ci fa intendere come il tempio hindu  non solo sia la dimora del dio, ma ne simboleggi il corpo, nel suo manifestarsi nell'ordine cosmico. 

Tale sommità presenta una prima conformazione a guisa di campana, costolata, cui fa seguito una successione di coronature scanalate costituite da pietre circolare dentate, dette amalakas,  dal nome del frutto, l'amala, di cui evocano le forme rotondeggianti  striate di solchi ( rigate rotondeggianti). Tra questi amalakas  si interpone la chandrika, conformata come una campana appiattita, di cui una replica minore è a sua volta sovrastata da un vaso, o kalasa, su cui il tempio si conclude nel pinnacolo terminale, o vijapuraka, a forma di agrume.

 L'amalaka vi è il simbolo di come l'orbitare del mondo e del divenire, il samsara  nel cui oceano di sofferenza  vengono alla luce e muoiono tutte le esistenze individuali,  s’imperni sul'asse dell'eternità, che vi ascende dalla statua del dio riposta nel santuario sottostante. E'  assecondando l’essere cosmico in tale  sua pienezza ruotante, che si accede al divino che vi si manifesta in tutto ciò che è generato,  nasce e muore, permanendo immutato,  E’ un’ immortalità  del cui nettare, o amrita, che dei e demoni si contesero nella frullatura dell’oceano primordiale, -avremo modo di parlare più oltre-, il kalasa sovrastante è il recipiente mitico.

 

Con l'arte hindu  non si eccede mai in sottigliezze, ed anche quando come nel caso del nostro tempio le sue parvenze sembrano grevi , vi rivela ricercatezze inusitate o insospettate: così il jangha vi è diviso in due sezioni da una fascia mediana, e nel decorso del verandika che lo sormonta, oltre una cornice, o kapota ed una modanatura rettilinea piatta, o pattika, che lo separano dalla sovrastruzione del tetto, nella rientranza seguente ricorrono dei rombi floreali ognuno dei quali è incorniciato da due pilastrini . Nel lato nord , volto al seguito del nostro itinerario, essi  sono sostituiti dalle prime due coppie erotiche in cui abbiamo modo di imbatterci, che al più possono solo intenerirci nella loro foga che non ha tregua nel tempo erosivo,

e nell'angolo opposto da un barbuto asceta che ne smorza l'ardore visivo.

Ma scendendo ancor più nel dettaglio, noteremo che le nicchie delle losanghe sono sormontate da frontoncini, o udgamas, costituiti di archi carenati, o chaitya-gavakshas,   non solo, ma che li affiancano degli elefantini, davvero minuscoli.

Come se non bastasse affatto,  ad essi si accompagnano delle repliche miniaturizzate del tetto piramidale,  a cui si è trovato il modo di non far mancare un proprio amalaka e un successivo kalasa.

E' un primo assaggio della frattalità dell'arte hindu di cui avremo modo di riparlare, ove è più flagrante, per cui un determinato elemento del tempio viene replicato in diversi ordini di grandezza.

Come  si sia così giunti ai piedi del nostro tempio, che abbiamo imparato a non sottovalutare benché sia di parvenze ancora così umili e rudi, numerato oggidì in ogni sua scabra pietra, è sufficiente risalirne la scalinata  per scoprirne  all’interno a che cosa risale la ragione duplicemente erronea della sua denominazione, per cui esso è ritenuto dedicato al dio Brahma.

 Del resto, la dedica di un  tempio al Dio Brahma, pur se è il Principio o Sorgente di ogni realtà-, è in India altrettanto inusuale quale lo è nella cristianità occidentale quella di una chiesa a Dio Padre.

 

Gli stipiti del portale cui siamo pervenuti al cospetto, consentono nel frattempo una chiara lettura di quale fosse l’iconologia statuaria imprescindibile fin dagli albori Gupta del tempio hindu dell India del Nord, di ogni accesso alla cella del  santuario: all’altezza del devoto, sulla sua sinistra la dea fluviale Ganga in posizione centrale, eretta ma flessa in tribhanga, ossia  con tre curvature, all'altezza del collo, delle spalle e delle anche,  con ai suoi piedi  un coccodrillo rimasto intatto, quale sua cavalcatura, alla sua destra, in perfetta corrispondenza,  la dea confluente Yamuna, anche essa in tribangha, con invece una tartaruga quale suo caratteristico veicolo animale. Le affiancano verso l’interno, a significare la valenza purificatrice delle due Dee, due assistenti  con un vaso di acqua rigeneratrice diruto, sovrastate da una  volta di cobra anch’essa erosa. Sono nel regime protettivo delle divinità acquatiche serpentiniformi, o Naga, mortifere quanto propiziatrici di prolifica vita, in relazione di subordinata inimicizia con  lo stesso Garuda.  Lo abbiamo infatti già ritrovato solo a debita distanza,  soggiacente al dio Vishnu, al centro dell’architrave del portale, nella posizione d’onore che al dio  è dovuta essendogli dedicato il tempio, mentre alla sua destra ed alla sua sinistra  si stagliano complementari e distinti Brahma e Shiva,  per quanto si interpenetrino e siano coinvolti insieme con Vishnu  nella vita dinamica della Trimurti hindu, poiché rappresentano con Vishnu la triplice natura -creativa, conservativa, dissolutiva- di ogni divinità, o forma del divino, e coestensivamente sono presenti nella loro interezza in tutte le cose.

Brahma, autogenerantesi origine creante,  ci appare barbuto e tricefalo, come lo sarà, solitamente, nella sua abituale ricomparsa, alla nostra  sinistra, nelle trabeazioni degli altri templi hindu dei nostri itinerari.

In realtà sono quattro i suoi volti, dei cinque originari quanti erano quelli di Shiva, essendogli  stata recisa una testa da Shiva stesso," linga di luce" infinito, incollerito del fatto che levandosi Brahma in volo sull’oca bianca che ne è la cavalcatura, avesse negato la sua immensità, con il dire di averne raggiunto il culmine.

Sempre come Shiva, e al pari di Vishnu, vi figura  munito di quattro braccia, quattro, al pari dei volti, quanti - secondo un'ulteriore corrispondenza simbolica della quaternarietà hindu del divino, sono i sacri testi vedici ( Rig, Yaiur, Sama, Atharva), le caste (o varna), e le  ere cosmiche (krita, treta, dwapara, kali) , il cui succedersi è un volgersi al declino di forza, pace, saggezza e felicità, dell'infinità sterminata dei cicli  immensi di creazione e distruzione di  universi infiniti, ognuno dei quali è solo un "giorno di Brahma", secondo l'abissalità della cosmovisione hindu . Di tali braccia e mani le sottostanti in ambo gli dei sono in abhaya* mudra, invitano cioè a confidare nel divino ed a non averne  paura, e recano l’attributo di un vaso d'acqua lustrale,o kamandalu, mentre più emblematicamente specifiche sono le attribuzioni che recano le braccia sovrastanti, uno sruk, o mestolo, per versare le offerte nel fuoco durante il rito vedico, ed un libro o pustaka,  quelle di  Brahma, il trisul ed un serpente quelle invece di Shiva

E' il caso già a tale loro prima ricorrenza  di soffermarsi su tali attributi  di Shiva, il dio che tutto porta a compimento ed a distruzione, rigenerando la vita.

Tre sono le  punte del trisul, lo strumento che è pure di punizione del dio, come è ovvio ed è lecito attendersi che sia,  tre quante sono le qualità della natura, o guna, di cui si è detto, -sattva, rajas, e tamas-, e qual'è la triplice natura di Shiva, come creatore, preservatore e distruttore,  nelle modalità secondo le quali in lui si manifesta l'interconnessione della trimurti divina, nel correlarsi con Shiva di Brahma e di Vishnu.

Corrisponde il trisul, in contesti tantrici*, anche alle tre arterie sottili , ida, pingala e sushumna, dell'energia spirituale corporea, a sua volta simboleggiata, nel suo stato latente, dall'altro attributo del serpente, quale kundalini arrotolata alla base della colonna vertebrale. E l'animale , nella sua ambivalenza, è simbolo altresì della mortalità di cui Shiva si permea signoreggiandola.

E' motivato l'essersi diffusi proprio a tal punto sulle prerogative di Shiva,  perchè oltre il cancello che ci preclude l'accesso, è desso/egli che al centro del santuario del tempio ne è il gran Signore, ossia il Mahadeva, a seguito di un'incongrua traslocazione in esso di un suo linga a quattro volti, o chaturmukka,

che fu inteso come un cippo quadricefalo brahmanico, per una concatenazione di errori in cui si è così disvelata la ragione  dell’ erronea denominazione del tempio. Shiva ci appare ora  nei quattro volti che affiorano dal suo linga,  il suo simbolo più alto perchè più astratto da ogni determinazione concreta, quali e quante che siano le connotazioni falliche lecitamente attribuitegli, come  alla yoni che gli soggiace quelle  di significare i genitali femminili .

Dei volti del dio nel chaturmukka, sono "dolci come la luna" , o benigni ( saumya), quelli orientati a est, nord, ovest, mentre orrido, ( "rudra"), è quello orientato a sud, dove il suo spirito sereno si rivela il tremendo che annienta. Nelle quattro direzioni cardinali essi sono rivolti a presiedere i quattro elementi della terra, dell’acqua, del fuoco, dell’aria, mentre il quinto elemento, la spazialità originaria dell’etere, o akasha, è da Shiva sovrinteso, quale Ishana, in un sua quinta attribuzione,  che per la sua realtà primaria im-manifesta, senza forme, è  qui simboleggiata dal linga stesso, essendo il simbolo supremo e più puro di Shiva nella sua natura non figurativa. Insieme,  reggono anche i cinque organi di senso o le cinque razze umane.

 ( Qualora si visiti il  Museo Archeologico di Khajuraho, si potrà ammirare una traduzione inversa, delle manifestazioni di  Shiva, che all’attribuzione al dio di un suo viso personale come Ishana,   in un rovesciamento delle parti fa corrispondere una resa astratta, in forma di sfere, delle sue manifestazioni che  nel nostro chaturmukka assumono invece la personalità di un volto. Si confronti in merito di Devangana Desai The religious Imagery of the Temples of Khajuraho, alla pagina 60)

Nei suoi quattro volti inferiori, il  primo sembiante che ci appare, volto a est,  è quello  meditante che il dio  assume nella sua potenza di Tat-purusha, o “ Spirito supremo”, una sua manifestazione, in  relazione con la terra, cui se procediamo  in senso orario lungo le pareti, come vuole la pradakshina, o deambulazione rituale, oltre le griglie, in posizione intermedia, fa seguito uno degli opposti estremi del dio, che vediamo affrontarci a sud nel  suo volto spaventoso di Shiva dissolutorio, Aghora, secondo una denominazione che vorrebbe indurci ciononostante a non temerlo,   al quale subentra, in relazione con l’acqua,  la sua retrostante visualizzazione quale Sadyojata, la cui incarnazione in un figlio di Brahma ne assume invece i poteri complementari creativi, prima che ci compaia   in quello soavemente femmineo di Vamadeva, o Umamurti, poichè (Shiva) vi è tutt'uno con  la delicatezza gentile della consorte Parvati*, sua controparte femminile indissociabile.

Dall’alto della scalinata, ultimata la visita del tempio con la circumambulazione esterna del chaturmukkha, il bacino lacustre del Ninora talab si offre alla nostra vista sino all’opposta sponda, in cui pascolano e vanno in ammollo bufali e circolano bambini.  Di fronte invece all'entrata del tempio,  il vecchio villaggio ci concede a sua volta un suo brano significativo,

che ci anticipa la fatiscenza, sino allo sgretolio estremo, in cui ritroveremo superstiti negli ulteriori  villaggi gli edifici di fango, in contrasto con  il rosso fulgore dei filari di mattoni cotti in cui  resistono all’usura del tempo le murature delle  altre costruzioni tradizionali, tra il sovraergersi, sopravanzante, dei fabbricati più recenti, e di piani aggiuntivi, con supporti in cemento e travature  metalliche.

Presentano, le case in mattoni, le forme grezze e solide che consentono le intese edilizie tra capomastri  e committenti , secondo  la logica architettonica, o Vastu vidya, che sovrintende il fabbricare hindu dalla notte dei tempi dei Silpashastra*, gli antichi trattati canonici che tali norme rielaborarono.  Sui dossi che si avvallano tra le rovine di alcuni edifici diroccati, se non è la stagione delle piogge ci apparirà l’ altra più alta nota di colore, ocra, del paesaggio rurale, dataci dai pani di sterco stesi al sole a seccare, nel brillio dei filamenti di paglia incorporati. Ci si offra a tutta la loro vista benefica, è il loro consumo energetico,  per la cottura dei cibi, il riscaldamento, o la messa in fuga degli insetti molesti, ad opera delle dense fumigazioni che ne emanano aromatiche, che salvaguarda gli alti fusti e il diramarsi degli splendidi alberi che vedremo frondeggiare tra i coltivi:

E già non c'è tregua alle nostre emozioni, Come cessano i caseggiati da cui si risalga in strada, oltre tutta  l’ immondizia e la verde pastura dell’ immensa radura successiva,  in cui pascono copiosi quanto stenti armenti, alla vista si  dona tutta quanta la grazia del tempio Javari, sullo sfondo d'incanto dei rilievi *Vindhya, mentre sulla sinistra si profila la mole del tempio Vamana.

Ci tragga pure in inganno l' apparenza dei monti, che li fa  sembrare alti e distanti nei loro dirupi sommitali, quando sono invece ravvicinati e di altura modesta, lasciamo pure che ne tragga ancora più slancio ascendente il sikhara a copertura del tempio, il raccogliersi in armonia degli ulteriori  suoi picchi ascendenti  di forme al contempo così compiute e ridotte, prima di  accertare  che tale è la bellezza ideatrice di questo gioiello tardivo*dei Chandella, che sopravvive al restauro di tanta sua parte ed alla scalfittura più rovinosa del suo complesso statuario, a trasfigurazione di una denominazione che ha a che vedere solo con il miglio che si coltiva intorno, - pianta eppure simboleggiante la fertilità germinale femminile, nei riti attuali di Khajuraho e dintorni, in onore di ogni manifestazione della Dea madre di ogni forma di vita*.

Costituiscono la pianta del tempio, secondo la forma più concisa dei templi Chandella di Khajuraho, realizzati quale variante dello stile " urbano" nagara dell' India del Nord, un portico di accesso e la sua sala ridotta, o ardhamandapa, una sala interna, il mandapa, un vestibolo contratto, l'antarala, e il santuario della cella del dio, o garbagriha, ovverosia l'utero germinale del mondo, per la divinità di cui racchiude l'immagine ed il principio originante, Nella morfogenesi plurima del tempio hindu, esso è erede delle cavità delle grotte che costituivano il santuario primario, - è il caso della grotta-santuario 1di Udaigiri in prossimità   di Vidisha, nei dintorni di Bhopal, come della capanna vedica di iniziazione, in legno e di stuoie, con un tetto spiovente. ( Si veda in merito di Stella Kramrisch Il tempio hindu, alla pg 170* dell'edizione italiana). In elevazione lo caratterizzano come più elementarmente il tempio di Brahma, sempre  la piattaforma della jaghati, il basamento dell'adhishthana, il jangha dei muri parietali,  l’ulteriore serie di modanature che lo elevano, il varandika, *** che nel tempio Javari  presenta una pesante gronda, la kuta-chhadya,- tra due kapota  di cui quella inferiore sovrasta uno splendido capitellov variegato., ,  che è  caratteristica dei coevi templi Paramara sorti più a sud, sempre nell'attuale Madhya Pradesh, prima che sia la volta del sikhara  che ne trae ancor più slancio nel suo distacco.

 

Se il  tempio Javari  in tale* sua semplicità è di tale e tanta bellezza, avvivata, in virtù della permeabilità alle cangescenze atmosferiche dell'arenaria in cui fu edificato. dalla luce che ne fa risaltare ogni rilievo e dall'ombra che ne intensifica ogni recesso,  specialmente se lo si ravvisa di fronte dal  giardino circostante,

- lo è  per  come  vi è armoniosamente raccolta, in  erte distinte, la tensione ascensionale prima piramidale, e poi curvilinea, delle sue sommità  sovrastrutturali che lo ragguagliano al Monte Meru,  celestiale dimora degli Dei hindu ed Asse del mondo, che è simboleggiato da ogni tempio hindu così concepito.(Tale luogo di riunione e di piacere degli dèi è la montagna più elevata, la montagna polare del Nord, talvolta identificata con la cima più alta dell’Himalaya, tra il Malayavat e il Gandhamadana ( Mahabharata 1, 1098 e 114; XII, 12, 986). Secondo il Mahabharata ( XIII, 4862) questa montagna, il Meru, è  rotonda come il sole al mattino e somiglia a una fiamma senza fumo. E’ alta 84.000 yojana ( 350.000 miglia) e ha la stessa profondità....Il sole, la luna e il vento ( Vayu) girano senza sosta attorno a questo monte. I suoi giardini sono pieni di fiori e di frutti. Dappertutto si vedono palazzi risplendenti d’oro. Coorti di dèi, musici celesti ( gandharvas), anti-dèi (asura), e demoni ( raksasa) giocano con le ninfe ( apsara)s. La parte superiore del monte Meru è coperta di foreste. Tra gli alberi  di fiori profumati e giganteschi jambu risuonano le voci melodiose delle cantanti del cielo, le kinnari (da Alain  Danielou, Miti e dei dell’India, pg.170 dell’edizione italiana)).

E' un'ascesa cosmica che si sospinge a risalire fino all'Uno nel pinnacolo,che  secondo il profilo terminale del sikhara, rivestito delle intermittenze luministiche del reticolato di archi carenati dei chaitya.gavakshas, gli occhi di luce da cui trapela il divino, simboleggia il punto, o bhindu, non spaziale, in cui in Dio tutto ritorna per esservi riassorbito ed emanarne di nuovo, in ulteriori manifestazioni.

Ad esso, con l'anelito del tempio tutto, fronteggiato nell'antefissa del sukanasika dall’ emblema dinastico del leone- Chandella, tendono a risalire lungo il corpo del sikhara le sue riproduzioni in miniatura che vi sono aggettanti, come tante balze addossate al monte che ne è la mole, ciò in conformità  con un'idea frattale della divinità del reale, di cui si  è detto, secondo la quale le stesse forme si ripetono ad ogni suo diverso livello, ed in un diverso ordine di grandezza temporale di eoni divini e di epoche umane.

E' cosi anche per  le sovrastrutture piramidali delle sale del tempio,  che nelle direzioni cardinali sono replicate da tante loro miniature  isomorfe, a guisa di tempietti, ugualmente concluse da chandrika, amalaka, kalasha, e pinnacolo o vijapuraka,  o per le aperture dei balconi, miniaturizzate in sporti in cui si intravedono statuine di astanti. 

 

,                             al top delle nicchie principali.* Il tempio inoltre incanta per la prolusione alla sua grazia del torana,*

, l'arco festonato del portale d'accesso, così come s'inflette in una quadruplice falcatura dai dorsi di coccodrilli-  i makara, irroranti l’acqua della  vita spirituale in cui  ci si trasfigura con l’ingresso nel  tempio: ogni falcatura è sormontata da musici e danzatori celesti, i gandharvas, e fra l'una e l'altra si interpone un Kirttimukka*, un essere dal volti leonino, privo della mandibola. che erutta festoni. Negli innumerevoli fregi  in cui  ricorrono nei templi di Khajuraho, - ( li ritroveremo  anche all'esterno dello stesso tempio Javari,  nella duplice ricorrenza della fascia che li contempla, detta grasapattika) - i kirtimukka sal pari dei makaras  costituiscono  l' apertura di bocca della "luce del mondo",  da cui esce questa vita e in cui se ne rientra , per ciò che può rivelarsi la porta della liberazione o le mascelle della morte ( si veda di  Guenon, in tal senso,  La scienza sacra, alla pagina 319 dell'edizione italiana).

Le inarcature del torana, come l'inflessione del sikhara, ci rammemorano le origini lignee ed arboree del tempio hindu, già esplicitate per il garbagriha*, quando le sue coperture erano la curvature di un tabernacolo di bambu, costituite da foglie di banano, di palma.  o da rami curvati. Ugualmente ne è una reminiscenza  la svasatura dei bancali del portico e della sala interna, o mandapa, a guisa di schienali, ed è tale evocazione della loro origine comune, che costituisce  la ragione segreta dell'accordarsi della loro eleganza.

 

Ne sono una ulteriore  rammemorazione miniaturizzata  i fusti di colonnine del fregio esterno dello schienale dei balconi, la kakshasana, che rappresentano due canne affiancate di bambu.

L'intero balcone in realtà è realizzato in osservanza canonica perfetta dell'ordine di successione di  fregi e  modanature che  invalse nei templi di Khajuraho e che fece scuola (rajasena, vedika, asana patta,  kakshasana) . E' un' attinenza  esemplare a  regole codificatesi, che si ritrova non meno  significativamente nella sequela sottostante delle modanature della vedibandha ( khura, kumba, Kalasa,  il fregio recessivo dell'antarapatta, kapota). 

ossia nell'elevazione del basamento alla stessa altezza dei balconi, e che soggiace ai muri, o jangha della cella seguente del santuario, - con al proprio centro, nel khumba, nicchie con immagini di divinità o con dei  rombi floreali.

 Tale vedibhanda rappresenta  le modanature cui si riduceva l'intera adhishthana del basamento nei templi Pratihara antecedenti, cosicchè la sottostruttura su cui si eleva, insieme con i balconi,  ci visualizza il surplus ornamentativo canonizzatosi con i templi Chandella di Khajuraho ( nei maggiori dei quali il  vedibhanda diventerà l'intero podio* su cui saranno ulteriormente e magnificamente rialzati gli stessi balconi).                   Caratterizzano tale zoccolo e plinto dell' ahishthana, nella prima sezione,  un bhitta piatto, un chippika, l'affilatura di un karnika, un corso con volute fogliari, perlinature e petali di loto ornamentali. Si susseguono quindi una jadhya kumbha con fregi carenati di takarikas, ulteriore karnika con i pendenti di gagarakas, una grasa pattika di kirtimukka beneauguranti, e una kapota terminale decorata tanto di takarikas quanto di gagarakas ).

 

 

 

ordine di successione di  fregi e  modanature in pdf

1 2 3 4 5

 

Nel tempio Javari è così impreziosito dalle modanature perfette tutto un concorso, di festoni *ed aperture*, del cui consentire al devoto l'accesso alla supernità divina, concordemente tutto il corpo dell'edificio e l'apparato scultoreo di deità e creature celesti  si fanno luminosamente partecipi, per il tramite di un adito ch'è lo stesso transito del passaggio dal tempo all'eterno che dà la  morte alla nostra individualità terrena, nei suoi attaccamenti cupidi e nelle sue immedesimazioni ad essi inerenti, al fine di una  nostra rinascita in una dimensione ulteriore, di cui i coccodrilli sono i guardiani. simbolici.

Chi, prima di  accogliere tale invito, inizi il percorso di rito intorno al tempio in senso orario, la pradakshina*, come si è detto, che visualizza la coesione con cui il divino si espande in ogni verso del mondo, vedrà succedersi, separate da pattikas di rombi o di rosette, quella inferiore sovrastata da un karnika, le effigie di tre ordini di statue, nei cui due registri inferiori ricorrono le  proiezioni di divinità amorose e ninfe celesti,  le celeberrime apsaras, in cui si manifesta tutta la bellezza femminile dell'energia divina, che crea semplicemente essendo e desiderando se stessa, nelle proprie manifestazioni, Nei recessi inferiori gli compariranno le figurazioni belluine della nocività dei desideri illusori della nostra natura animale , rappresentate dai leogrifi o sardulas,  detti altrimenti vyalas,* presi per la coda o sormontati dai combattenti della virtuosità pugnace. Nei recessi  mediani  subentreranno ad essi le immagini di coppie erotiche umane, dagli intenti propiziatori di fertilità agreste e femminile,  laddove nel registro superiore  ricorreranno  in volo  celestiali  vidyadarhas , con ghirlande , armi, o strumenti musicali. Ma in tale consesso celestiale e terreno le statue che vedrà comparire di maggior risalto, per il loro  stato di conservazione, sono quelle ulteriori degli otto dikpalas, o divinità guardiane delle direzioni spaziali,  duplicate, e ben individuabili, perchè ognuna di esse  è sovrastata dalla divinità ugualmente vedica, risalente anch’essa alla religione originaria dei grandi testi della religione brahmanica, di  un corrispettivo dio (ashta)vasus, con la facies bovina, e un bue Nandi quale veicolo, signore e principio di una delle otto sfere dell'esistenza- terra, fuoco, spazio, vento, cielo, sole, costellazioni, luna-, da cui trae origine il mondo fisico.

Nel tempio Javari i dikpalas sono ben identificabili anche per la collocazione di riguardo che a loro è riservata, entro nicchie impreziosite da colonnette sovrastate da un fregio a losanghe e raccordate da un torana flessuoso, così come è dato di vedere, altrimenti, non in Khajuraho, ma nel grande tempio dedicato a Shiva Neelkanteshwara di Udayapur. A iniziare, a Sud, da Yama il dio della morte, che tutti gli esseri viventi cattura con il suo laccio, o pasha,- un suo attributo che simboleggia i limiti stessi che ci irretiscono nella nostra individualità concretamente determinata e nella sua sorte-, a tale compito tutelare appaiono retrocesse  le grandi divinità vediche di  Nirriti*, il dio dei virtuosi sfortunati che volge a Sud Ovest, ignudo e con il trofeo di una testa mozza, ad Occidente di Varuna, dio dei cieli e delle loro acque superiori, di cui nel tempio Javari figura ben superstite il veicolo del coccodrillo,  a Nord Ovest di Vayus, dio del vento e del soffio psichico vitale, a Nord di Khubera, dio di ogni fortuna tesaurizzatrice, a Nord Est di Ishana, dio della spiritualità trascendente, commutatosi* in una manifestazone di Shiva, ad Est di Indra, dio delle piogge e del fuoco celeste della folgore che risiede nelle nuvole, di cui l'elefante bianco Airavata è il veicolo, a Sud Est di Agni, dio del fuoco del mondo terrestre, del focolare e dell'altare, luce rivelatrice di ogni grande evento sacramentale, splendore vivido dell'illuminazione dell' intelligenza e della vigoria corporea, il cui veicolo animale è  l'ariete.

Lungo la parete volta a sud, oltre il balcone della sala del mandapa, nella proiezione della Kapili cui corrisponde all'interno il breve vestibolo dell'antarala, come si è detto, entro la nicchia che sovrasta quella di una dea non meglio identificabile, in una postura eretta allentata ma senza inflessioni, la samabhanga, che le conferisce l'equilibrio della eguale distribuzione del peso su entrambi gli arti inferiori, compare tricefalo Kartikeya*, il casto adolescente, o Kumara,  generato per combattere l’anti-dio Taraka* dall’ardente seme di Shiva, per cui a dispetto della sua delicatezza egli divenne  il dio della guerra, deputato anche all'istruzione. Detto altrimenti Skanda,emissione (getto) di seme”, per le sue origini impartecipi di un essere femminile,  dato che solo le acque della dea Ganga, il sacro fiume Gange, poterono accoglierne in grembo il seme infuocato, trae il proprio nome, Kartikeya*, dalle sei stelle Pleiadi da cui fu allevato,  ed è identificabile inequivocabilmente per i resti dell'animale che ne è il veicolo che gli soggiace, il pavone Anno, di cui sono ravvisabili il petto e il collo piumato.

Procedendo da sinistra, in senso orario, ossia da sud, si succedono quindi cinque proiezioni per ogni parete, quante sono le fasce dei reticolati di archi chaytia gavaksha del sikhara, secondo l ordinamento del tempio paradigmatico, capitale, che è detto per questo panch-ratha: le due angolari dove sono situati i dikpalas, i karnas, le due intermedie su cui sono allocate le ninfe apsraras, i prati-rathas, non che quella centrale, del bhadra, che a guisa di carro cerimoniale irradia le manifestazioniu statuarie eminenti della divinità del tempio, Nella nicchia inferiore del bhadra della proiezione centrale,della parete meridionale, campeggia ad esempio l'incarnazione vishnuita di Narashima,* il primo degli avatar salvifici  di Vishnu che ci è dato di vedere in questo percorso,  ma così ammalorata, da indurci a dire di Narashima non appena ricorrerà più integro.

E' sormontata da Vishnu-Narayana  e da Laxmi*, sua consorte, la  ricchissima  dea della fortuna e della bellezza, con cui  è assorto  nell’edicola dei loro amori. Essa è gremita dalle raffigurazioni dei loro veicoli animali , Garuda ed un elefante*, delle personificazioni laterali degli attributi vishnuiti, quella della conchiglia, la sankha, rappresentata da un Sankha-purusha, e quello del disco, o chakra, rappresentato invece da un Chakra-purusha, non che dalle divintà Brahma e Shiva ai lati dell'aureola.

Prima di seguitare nella selva statuaria templare, un' indicazione fondamentale va data: nei templi hindu le immagini degli dei erano ordinate e disposte secondo quanto prescrivevano i manuali architettonici hindu, i Shilpa o Vastu Sastra, purtroppo attestati più per i templi del Gujarat  e dell'Orissa che per quelli dell'attuale Madhya Pradesh, e che rifacendosi ad essi,,richiedevano le maestranze al tempo stesso architettoniche e religiose, che per conto dei sovrani presiedevano all'edificazione dei templi. Secondo tali manuali, od in conformità con le tradizioni dell’edificazione dei templi tramandate oralmente, la statuaria del tempio era codificata quanto lo erano la scelta del sito, la sua fondazione, ogni sua fase costruttiva. Tali modalità erano iscritte in diagrammi cosmici, o mandala, di cui il più famoso è il vastupurushamandala,* che elevavano il tempio, quanto il corpo umano, a microcosmo sublime,.

Dunque se  ci accadrà   di vedere disposte in identica successione sculture analoghe, su pareti poste nella stessa direzione , ad esempio, come verificheremo tra poco, che si ripeta che all'incarnazione di Varaha  sia sovrapposta nella nicchia superiore la coppia di Brahma e Brahmani, o di  ritrovare riproposto Kartikeya all'altezza del vestibolo interno, l'antarala, nel punto più vulnerabile del tempio, dove si congiungono la sala del tempio e il suo santuario del dio centrale, o se più volte  rinveniremo accampata all’altezza dell’antarala la terrifica Chamunda , è lecito supporre che tale disposizione corrisponda ad un ordinamento canonizzato dalla vastu vidya e dai suoi manuali, volto a evidenziare bipolarità od analogie tra poteri divini, che non hanno senso e realtà che l'uno con l'altro o in  corrispondenza analogica.

Mirabile in tal senso, è l'analisi della pianificazione iconografica dei maggiori templi di Khajuraho, il Kandarya Mahadeva e il Lakhsmana,  che Devangana Desai ha condotto in Religious Imagery of Khajuraho, in ragione del presupposto che la natura tantrica dei culti adottativi di Vishnu Vaikunta nel Lakshmana e di Siva Sadasiva nel Kandaryia, richiedessero che il dispiegarsi sulle pareti del tempio delle raffigurazioni del dio centrale*, dovessero procedere da quello delle sue manifestazioni  primarie senza forma, "nirguna”,  a quelle secondarie formali, o "saguna",  sempre più determinate e terrenamente concrete,  un dispiegamento che per Shiva, ad esempio, richiede il passaggio dal suo essere in-manifesto, o senza forme, in quanto Parasiva, al di là dello stesso Essere,  a quello intermedio, come Sadashiva, da cui procede quello manifesto come Mahesa.

 

Se così avvertiti seguitiamo la nostra ricognizione templare volgendoci alla parete retrostante, nella nicchia superiore della sua  proiezione centrale, o bhadra,  della parete di fondo, possiamo invece assistere  alla celebrazione degli amori di Shiva e Parvati, ***la consorte eterea del dio che ne costituisce  l’energia, nella forma della  tranquilla potenza di permanere e di gioire*. Alla cerimonia,  oltre agli animali che fungono da  veicoli della coppia divina, il bue Nandi ed un elefante, è compresente la figliolanza di Kartikkeya e di Ganesha, il dio elefantino qui alla sua prima comparsa  lungo il nostro percorso.

Nel dio dal corpo d’uomo e dalla testa d’elefante  si celebra la luminosa, felicemente palpabile,  presenza del divino supremo nell’uomo ed in ogni manifestazione sensibile.

Benevolo, beneaugurante, protettore, pronto a rimuovere ogni ostacolo ed a propiziare ogni varco di soglia o fase di passaggio, il dio è tale nonostante le sue origini quantomai sventurate.

Fanciullo bellissimo, secreto dalla pelle di Parvati perchè stesse a guardia del suo bagno, fu inflessibile a negarvi l'accesso anche al sopraggiungervi di Shiva, che in un accesso di furore lo decapitò. Su sollecitazione di un'adirata Parvati gli dei si misero alla ricerca  di una testa sostitutiva, la prima che capitasse, così imbattendosi  in un elefante, cui fu asportata senza ambagie per reintegrare con essa il decollato fanciullo divino.

Ai lati  dell'aureola, oltre agli astanti suddetti, non mancano di situarsi puntualmente Brahma, sulla sinistra della coppia divina, e Vishnu. alla loro destra.

Shiva ci appare con la sua caratteristica corona, la jata-mukuta, ottenuta dal dio mediante l'acconciatura della sua crocchia di capelli intricati, la jata, appunto, da cui scorre il flusso delle acque superiori purificatrici del Gange. Una corta corona a guisa di tiara, la kiritha mukutha, caratterizza invece la potestà di Vishnu.

 

 

ll dio tricefalo della nicchia sottostante  intriga qualche brahmino locale ad identificarlo in Dattattreya, in cui presero corpo Brahma, Shiva e Vishnu , sotto l'ascendente di quest'ultimo, per la felicità virtuosa dei saggi coniugi Atri ed Anasuya,sua moglie.*

Seppe costei accogliere la trimurti con tale purezza di madre nella nudità richiestale, che essi le accordarono di farsi suoi fantolini.

E' un dio "vestito di cielo", talmente svezzato dalla rinuncia e dall'insegnamento che ogni elemento del mondo è in grado di recarci, da  ritrovare la verità delle cose in ogni possibile dato ed esperienza, la saggezza suprema anche nella stupidità estrema: " Non credere che coloro che sembrano immaturi, creduli, sciocchi, lenti, profani o falliti non abbiano nulla da insegnarti. Tutti loro insegnano qualcosa, tu impara dunque da essi".

Ma invece che di Dattattreya si tratta  inequivocabilmente del Dio Sole,  Surya,  che vi ricorre in Khajuraho pure nelle proiezioni centrali volte ad occidente dei templi Lakshmana, Duladeo, Visvanatha, Chitragupta, - quest’ultimo  eretto n suo onore-, o al centro della parete ugualmente retrostante, ma volta ad oriente, del tempio Chaturbuja,  alle estremità meridionali dell'antica Khajuraho, nonchè nella fronte del tempo Laksmana e nelle pareti  retrostanti .dei due tempietti  meridionali ad esso sussidiari, in uno dei cui portali d’accesso ugualmente capeggia.*

Impettito irrigidito, in piedi, nella samabhanga di  un portamento eretto che non ammette flessioni di sorta, Surya vi compare  tricefalo in quanto sintetizza i poteri e gli attributi della Trimurti di Brahma, Vishnu e Shiva, quale Hara-Hira Hiranyagarbha,  loro embrione d’oro*. 

Anche questa formella è quanto mai gremita, due figure di nani, Danda e Pingala*, vi affiancano il dio, preceduti da un animale e da un devoto, con alle loro spalle un inserviente, mentre accanto all'aureola figurano Usha e Pratyusha* nell'atto di  scagliare una freccia.

 

Sulla  destra del pannello di Surya, ed altrove, secondo ricorrenze divenute luoghi fin anche troppo comuni nella considerazione dei templi di Khajuraho, stando almeno a ciò soltanto che ne visualizzano le guide turistiche per compiacere i loro clienti con i più facili degli allettamenti,  figurano coppie intente all'unione sessuale, tra giovani apsaras che si compiacciono delle loro grazie palpandosi un seno, laddove due altre ninfe in separate sedi si dilettano di un infante che recano in braccio.

 

Quanto si è detto all’altezza della raffigurazione di Narashima, riproponendoci di differirne di parlare, valga quindi anche per  l'incarnazione vishnuita sbrecciata di Varaha*, talmente è sfigurata, ch’ è situata nella nicchia inferiore della proiezione centrale della parete opposta, volta a nord, pur se sorvoleremo solo per poco su tale avatar. Una coppia serpentina Naga stà al di sotto dello stelo di loto su cui poggia il piede di Varaha, tra un Sankapurusha alla sua destra cui fa seguito una presumibile Laxmi, ed un Chakrapurusha alla sua sinistra, oltre il quale è Garuda in un suo atteggiamento ritroso* di preghiera,  una sua fissazione iconografica il cui ricorso ne faciliterà la reidentificazione successivamente  -al contempo che  accanto all'aureola compaiono immancabili Brahma- barbuto- e Shiva. Nella nicchia superiore , secondo la combinazione da manuale Vastu Shastra di cui si è detto, si ergono invece in coppia Brahma ed una splendida Brahmani, con chignon* compiaciuta del suo amato come del fondo stesso del proprio essere.  E' forse il gruppo statuario più pregevole del tempio  per come tale reciproco compiacersi di Brahma e Brahmani li predispone alla più confortevole e sciolta delle posizioni cosidddette lalitsana, " il modo di sedersi giocoso e amabile" che può,  consentirsi chi gode di una sovranità regale. Ne esalta il valore anche  come*  in assai esiguo spazio vi sono miniaturizzati, con precisione particolareggiata- un hamsa, o cigno*, e l'oca più prosaica*, ai piedi degli dei di cui costituiscono gli animali che li veicolano,  non che due asceti barbuti e panciuti che  figurano invece disposti ad ambo i lati della coppia celeste, e due divinità ulteriori con quattro braccia, situate a fianco dell'aureola degli dei.

Lo stesso portento si ripete nell'affollamento della formella ulteriore in cui Shiva e Parvati si effondono in corrispondenze amorose, che è posta nel frontone seguente del mandapa, mentre  gli animali veicolari che (vi) figurano sottostanti alle due divinità sono nuovamente il bue Nandi ed  un leone, in conformità al manifestarsi in Parvati della dea madre, Durga, di cui il leone è la cavalcatura tipica,- e non  manca di ricomparirvi Ganesha.

 

Entrando quindi nel tempio,  per l'adito di vita e di morte  del  torana,  ai cui lati si collocano le formelle delle coppie divine di Shiva e Parvati sulla sinistra dei makaras, e di Vishnu Narayana e Laxmi, sulla loro destra*, si transita nell'atrio d'ingresso e nella sala del  mandapa, sotto soffitti che recano mirabilmente scolpiti fiori cuspidati per trame sovrapposte, i kolas , ai cui bordi compaiono kirtimukkas. Sopra le mensole, lungo le travi, ricorrono cortei festanti di gana, o cherubini, celestiali musici e danzatori, gandharvas, tra dei devoti esultanti,  avviati alla gioia estatica dal magnifico dio elefantino Ganesha, ben ravvisabile per la sua proboscide,  che riappare tra i suoi seguaci anche nel mandapa, ov’egli ricorre insieme al dio della ricchezza Kubera.

Danzatori e musici umani, o  celestiali gana,  possiamo ritrovarli ulteriormente nella seconda e quarta delle bande, o sahkas,***** in numero di sette, del portale d'accesso alla cella del santuario,  tra fasce di coppie amorose incorniciate lungo il fusto del sakha centrale, a guisa di pilastro, lo stambha sakha, e di rilievi di ondulate volute e  di rosette nelle fasce restanti , mentre immancabili, ai lati, ci affiancano Ganga e Yamuna, nell'estremo transito per acqua purificatore.

L' architrave, come è dato attendersi, reca al centro Vishnu,  con Brahma e Shiva al suo lato di destra ed a quello manco, mentre fanno da intermediarie le nove divinità celesti hindu, o navagraha, ***(inserire i nomi dei navagrahas)  in virtù della potenza dei loro influssi sull'esistenza terrena ( Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno,  più il Sole e la Luna,  non che i nodi lunari di Rahu e Ketu, la testa ed il corpo di un unico serpente demone  decapitato da Vishnu, nelle sembianze femminili di Mohini, per evitare che il divino nettare dell'amrità di cui il demone si era appropriato ingerendolo, all'atto della mitica frullatura dell'oceano di latte, il  Samudra manthan   di cui parleremo a suo tempo,  transitasse nel corpo attraverso la gola. Rahu e Ketu, corrispondendo ai punti di intersezione dei corsi della Luna e del Sole, sono  concomitanti con  le eclissi , che secondo. l'astrologia vedica  si vericherebbero perchè la testa di Rahu inghiotte allora il Sole, o la Luna, essendosi essa inimicata Rahu poiché fu ella a a suo tempo ad avere avvertito gli dei che si stava abbeverando di nettare. Ma come il sole,  in capo a breve tempo  può fuoriuscire anch'essa dalla testa che fu resa immortale dall'avere assaporato il nettare di immortalità, essendo essa decollata.). Siamo così giunti sulla soglia della cella, o garbaghiha,  l'utero germinale del cosmo in cui il dio del tempio risiede.  La sua statua centrale vi sta lungo la verticale simboleggiatrice dell'Asse del mondo, che lo raccorda al punto sommitale del riassorbimento finale. In essa finalmente siamo di fronte al dio del tempio, Vishnu, nella sua figurazione centrale, benchè senza più la testa e  nemmeno le braccia.

Restano da ammirare del suo corpo la posa ferma e l'ornamentazione preziosa . Ma è per l'assenza in essa di speciali cavigliere, o padangada, che la statua ed il tempio non sarebbe stato possibile farli risalire ad un periodo oramai tardo, oltre il 1075 della nostra era, in cui divennero diffuse  tra le genti di allora di  Khajuraho,  e furono riprodotte di riflesso nella  statuaria religiosa, figurando invece alle caviglie di un Vishnu Vaikunta postumo collocato nel tempio Laksmana, a quelle del dio stupendo del tempio di Chatturbuja, o delle figure scultoree assai meno esaltanti del tempio Duladeo , non fosse stato,  ad evitare una retrocessione in un tempo anteriore, che le padangada le ritroviamo in altre statue del tempio Javari.

Ma a parziale compenso della stroncatura delle braccia e della testa del dio, sono rimaste per lo più inscalfite le immagini circostanti delle sue principali incarnazioni:

 

 sulla nostra sinistra,  arretrato rispetto alla consorte vishnuita Laxmi,  Rama regale,  incarnazione perfetta della sovranità divina che nei  modi più esemplari attua il dharma e lo preserva nel mondo,  ma la cui rilevanza scultorea resta impalpabile nel pantheon dei templi di Kajuraho, se si eccettua il tempio Parshwanath, - ben altra vi fu la fortuna religiosa del suo aiutante in capo, il dio-scimmia Hanuman.,  Sovrastante  la dea  è l'avatar replicatissimo del cinghiale Varaha, quanto mai pago , ora possiamo dirlo e vederlo, di appagare la  Terra del sollievo di ritrovarsi, per la sua possanza, risollevata dalle acque oceaniche che la sommergevano, colpevole il demone Occhio d' oro, Hiranyaksha.  

Sulla nostra destra, invece, arretrato rispetto ad un Garuda  tutto riccioli e baffi, sta l' incarnazione di Balarama* con i suoi bravi serpenti intorno al capo,  ed all'altezza di Varaha è a costui contrapposta  l' incarnazione di Narashima, il dio-uomo- leone che sbrana Hyraniakashipu, il Ricoperto d'oro, demone in  capo dopo l'annientamento del degno fratello Hiranyaksha , e nemico impenitente del proprio figlio Prahlad adoratore di Vishnu.  Né di giorno, né di notte, né da un uomo né da un dio, o da un animale, né dentro né fuori il suo palazzo, senza alcun uso di alcun ordigno, senza toccare né terra né acqua, avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva accordato per i suoi sacrifici penitenziali, ed infatti al crepuscolo, quando il giorno si fa sera, da un uomo leonino, né solo  uomo né solo animale, sortito istantaneamente dalle colonne del palazzo, dunque né dentro né  fuori di esso, ma  fuori e dentro al contempo, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli, ineccepibilmente, tenendolo appoggiato sulle proprie ginocchia, : né questo, nè quello, dunque, Narashima, neti, neti, perchè è sia questo che quello, non più questo e non ancora quello, secondo una teologia delle migliori. A Garuda soggiace invece l'avatar ancora di là  da venire, alla fine dei tempi del kali yuga di perdizione dissoluta,  di Kalki, sul suo cavallo bianco, alla stregua di un messia apocalittico o di un imam sciita duodecimano. Ancor più miniaturizzate, sono pur visibili altre due fondamentali incarnazioni vishnuite, innanzitutto quella in un  pesce, o matsya, *con altrettanti rishi o sapienti sul dorso, quattro, quanti i testi vedici che portò in salvo, combattendo sott’acqua contro Hryagriva che li aveva sottratti a un Brahma appisolatosi,  nel corso del diluvio in cui  porse in salvo anche Manu, il legislatore fondatore della civiltà hindu umanità  presente**. E’altresì dato di vedervi l’incarnazione vishnuita  seguente  nella tartaruga, o Korma. intenta a  reggere il monte Mandara  che fece da zangola nella contesa tra demoni e dei della celeberrima frullatura mitica dell'oceano di latte primordiale, da cui emersero i gioielli del mondo che erano stati sommersi dal diluvio in cui Vishnu già era intervenuto come matsya: l’amrita , bevanda d’immortalità, Laxmi, dea della fortuna, il soma, elisir dell’oblazione sacrificale, le apsaras, il cavallo divino e l’elefante regale di Indra, il gioiello celeste, la conchiglia, l’albero del paradiso e la vacca dell’abbondanza, per citarne solo  alcuni.

Essendo manifestazioni di Visnhu gli stessi pianeti che  figurano  nel portale d'accesso,  ognuno di essi corrisponde ad una delle sue incarnazioni, Rama al Sole nella sua sovranità regale, Narashima a Marte, Buddha a Mercurio, Krishna alla Luna,  Vamana a Giove, Parasurama a Venere, la Tartaruga a Saturno, il cinghiale Varaha a  Rahu, provocatore di eclissi, il Pesce a Kethu.

 

 

Nel nembo campeggia un Vishnu Yogashana, in posizione meditativa, mentre nella cornice nove differenti manifestazioni del dio appaiono  in una  più sciolta posizione lalitsana*  ognuna di esse differenziandosi per la diversa combinazione che recano degli ayuda* o attributi del dio, conchiglia, disco, loto, mazza, e per il diverso equilibrio, che ogni loro diversa disposizione esprime, degli elementi e delle tendenze naturali corrispondenti ai quattro attributi.

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Tornati a rivedere il cielo di questo mondo, solo poche centinaia di metri di aperta radura ci separano più oltre dalla cancellata che racchiude il tempio Vamana,** dedicato anch'esso al dio Vishnu, ma nella sua incarnazione, non meno istruttiva, in Vamana Trivikrama. Credeva il demone Bali, potentissimo  ai tempi del Treta Yuga*, la seconda età del mondo, che di risibili  pretese fosse quel piccolo brahmano, nel chiedergli quanto del mondo riuscisse a percorrere nell'arco di tre suoi passettini, per potervi meditare in tutta tranquillità, quando a lui comparve, d'improviso, nel corso di un grande sacrificio di cavalli,  l'Ashwamedha, lungo il corso del fiume Narmada. Non  gli sarebbe costato nulla cedergli assai di più, in quanto la sua tracotanza era eccesso e dismisura nel largheggiare; ma a concessione ottenuta, peccato che come coloro che sono i piccoli di questa terra, Vamana si sia rivelato immenso all'istante, in tre dei suoi passi percorrendo e sottraendo a Bali l'intero triloka,  tutti e quanti i  tre mondi di terra, cielo ed atmosfera.*

Secondo altre versioni, i tre regni in gioco di cui Bali aveva assunto la signoria erano terra, cielo ed inferi, e il nano brahmino divenuto all'istante il cosmico Vishnu  avrebbe ripreso possesso solo di cielo e di terra con i primi due passi, per poi chiedere a Bali che dovesse fare con il terzo ancora sospeso in aria. Il demone in atto di sottomissione gli replicò di poggiarlo sulla sua testa, al che Vishnu, omaggiandone la nobiltà regale, pensò bene di inviarlo ad esercitarla nel regno sottoterra di  Sutal, con la propria  prosapie e tutti coloro che ne erano al seguito.

Il tempio in  onore del portentoso nano brahmino, che di Vishnu è la quinta incarnazione di  nella sua mole era accampato da tempo alla nostra vista,  ma ora il suo avvistamento può tradursi nella percezione della sua maggiore complessità, o difficoltosa risoluzione d'impianto, rispetto al Javari,

 

 

Un portico, o l'ardhamandapa , caduto in rovina, ne precede il dilatarsi nel  mahamandapa,  di una grande sala ipostila, che si apre in un transetto con due balconi, ai cui angoli sporgono di vedetta mini-elefanti, come nei templi Kandariya* e Visvanatha.

 Ad essa fanno seguito il vestibolo e la cella del dio, intorno alla quale non  decorre un corridoio per la deambulazione. Il tempio è detto per questo nirandhara, mentre sono di tipo sandhara i grandi templi di Khajuraho in cui il deambulatorio è presente.

L'adhishthana che è a basamento del tempio comprende uno zoccolo costituito da una fascia liscia, un chippika dal profilo arrotondato, un karnika affilato e un corso decorato di petali di loto nel suo arrotondamento sommitale, un plinto che consiste in successione di jadya kumba,dagli alti bordi, karnika, grasa pattika di kirtimukkas, del fregio rientrante di un  antarapatta e di una kapota, il podio di una vedibandha le  cui consuete modanature di kura, kumba, con rombi incorniciati da nicchie, kalasa, sono conclusivamente terminate ugualmente da un kapota.

 

Oltre un verandika che inframmezza un grasa pattika di kirtimukka tra due kapotas, isikhara, scandito in 21 bhumi,  appare liscio di ogni appiglio di repliche, nelle guise della sua forma che  pertanto è definita latina, a differenza degli altri sikhara degli altri templi di Khajuraho. Sopra la sala principale si addensa una copertura particolare, detta di tipo  samvarana, che come in un mega resort di divinità ritiratesi nella giungla dei cieli, ingrossandosi a cupola nella sua  piramidalità meravigliosamente coronata da una campana e da sue repliche minori, assembla lungo ogni trasversalità possibile  minidimore divine  in forma di kutas- o di tilaka, sopra i transetti-.

 

Tali  particolarità del tempio Vamana, ci invitano fin d'ora ad intenderlo per quello che presumibilmente  fu, iossia uno dei primissimi templi se non il primo tempio eretto completamente in arenaria in Khajuraho.

In esso, mentre la città veniva eletta quale loro capitale religiosa dai Chandella, in concomitanza con la loro emancipazione dai signori Pratihara cui finirono per sovraimporsi, in una vastità di domini che dallo Yamuna si estesero a sud fino al Narmada*, si venne codificando la forma di tempio che avrebbe dovuto caratterizzare in  esclusiva tale loro capitale, e che non ricorse per questo nelle loro province. Esso vi assunse  un impianto originario la cui espansione latitudinale ritroveremo più elaborata, e meno greve, solo in altri due templi di Khajuraho, forse di poco posteriori, il Jagadamba e il Chitragupta del gruppo occidentale, e vi si adottarono soluzioni che in parte furono confermate oppure vennero sopravanzate nei templi successivi, in parte non vi  tro

varono più seguito alcuno.

 

 

La perdita pressoché integrale del portico di accesso al mahamandapa, è un invito intanto ad indugiare all'esterno, ove il complesso statuario è assai più cospicuo e meglio conservato di quello del tempio Javari, pur se in luogo della terza fascia di angeli musici volanti, con ghirlande, i vidyadhara, che diventerà abituale nei templi  a mio giudizio ulteriori di Khajuraho, reca una semplice galleria fregiata del motivo ornamentale delle losanghe. A riprova della supposizione interpretativa secondo la quale il tempio Vamana ostenta proposizioni ornamentali originarie, che quando saranno riprese troveranno un seguito in un dispiegamento rielaborato e più ampio, si può addurre fin d’ora che non vi sono cospicue le stesse figurazioni erotiche, le cui rappresentazioni nei templi di Khajuraho non costituiscono nè un unicum nè una novità, ma che  successivamente vi conosceranno una proliferazione sempre più vasta e con meno remore.

 

 

Ai lati del portale d'accesso, in cui nelle proiezioni  ci fronteggiano Vishnu ed il dio guardiano Indra, si può iniziare in tutta calma da due fanciulle nubili, senza gioielli e trucco, l'una delle quali sembra nuocere all'altra nel gioco innocente della palla, con lo scagliargliela improvvidamente nel bulbo oculare. In realtà la seconda si scherma lo sguardo mentre è intenta a leggere una presumibile missiva d'amore, al pari di una delle due apsaras  sottostanti, mentre l'altra reca un frutto di mango. Sopra la cornice del balcone incombente ed un kumba spropositato, appaiono le prime delle poche scene sessuali prive d'impatto che ricorrono nel tempio, Vishnu a farvi da contraltare a Ganesha*.

Che tali scene nei loro effetti non siano erotiche non dovrebbe del resto sorprenderci, poiché non è  in virtù loro, che i templi di Khajuraho sono effettivamente dei templi dell'amore,  altra è la loro funzione che quella di sollecitarci a questa posizione o quell'altra del Kamasutra, l'illustre manuale di erotica indiana, a dispetto di ciò che le guide locali o gli accalappiatori di strada, i lapkas, ripetono per facilitazione accomodante e compiacenza galeotta di  errore. Servivano piuttosto, siffatte immagini, a propiziare la fertilità  delle donne e dei coltivi, ed erano tanto più  fertilizzanti o fecondative quanto più erano estremi e magari poco giudiziosi gli accoppiamenti che esibivano , sempre che estremizzando non si volesse che una gran risata seppellisse ogni eccesso nel sesso  o nell'astenersene, di tantrici orgiastici o di pudichi pruriginosi jain. Altrimenti l'unione sessuale risulta vividamente avvincente, nella rappresentazione della pienezza dell' appagamento dell'atto di godere, in forza del  fatto stesso che l'unione fisica era solo  il significato primario delle sue  rappresentazioni più splendide e più in vista nei templi, la lettera che celava ai semplici o agli spiritualmente stupidi, allora come tuttora, il sovrasenso dell'unione dell'anima con il Sè profondo che è la Divinità del Mondo, per il tramite, esemplificando, delle pratiche yoga che grazie allo stesso congiungimento equilibrano i flussi  del  nostro respiro, come nel coito i corpi raffigurati si compenetrano in una composizione che raggiunge  l'equilibrio formale delle linee di forza degli yantra, o diagrammi cosmici*

 

Vishnu, *al di là di tali immagini, ridice la sua per quanto ricorre nelle proiezioni della parete Sud, il cui orientamento poco fausto ci è ricordato da Yama, dio della morte, sotto l'ashtavashus di riferimento, cui fa immediatamente seguito Nirriti, volto a Sud Est,  seguitato da due ulteriori riproposizioni di Vishnu, prima che una serie di edicole in verticale, tutte al femminile, all'altezza del vestibolo interno, od antarala, ci  esibisca Laxmi con un elefante miniaturizzato in uno stelo di loto, Parvati con analogo assembramento di devoti ed inservienti, l'una delle quali reca anche per lei il chauri, lo scacciamosche, secondo un motivo risalente alla notte dei tempi dei portali del grande stupa di Sanchi,  Nelle edicole seguenti, più altolocate,  è la volta quindi di Kartikkeya, in una pregevole raffigurazione di dimensioni più ridotte, poi del  dio del fuoco Agni* e della relativa consorte Svaha*, pluricefali, che il dio caloroso è ben in grado di abbracciare di buon grado, con la sua quarta mano, senza che gli sia d'impaccio figurativo che con le altre porti un vassoio d'acqua, un  libro e lo sruk.

L' edicola inferiore della proiezione centrale  su tale parete, nei confronti  delle sette che vi ricorrono come su quella posteriore e oppos(i)ta del santuario, due prati-rathas ed un kharna per parte rispetto al bhadra centrale, per cui il tempio è  saptaratha,   ci propone l'incarnazione vishnuita del cinghiale Varaha, tra i due purusha o personificazioni degli emblemi del  cakra e della  shanka, di cui già si è detto e di cui avremo modo di riparlare nella loro proposizione maggiore, affiancati da Laxmi quello di destra e da Garuda quello di sinistra, mentre l'aureola contempla la sussistenza consustanziale di Brahma a sinistra, e di Shiva a destra. Tale addensamento intorno a Varaha appare sottostante a Brahma e Brahmani, nella nicchia superiore, secondo un abbinamento codificato che ricorreva già nel tempio Javari,  le due divinità concreatrici comparendovi con il relativo hamsa come veicolo, sovrastate ineludibilmente da Vishnu alla  loro sinistra e Shiva alla loro destra*. Ai lati delle nicchie, sulle prati-rathas intermedie, è una profusione di apsaras l'una più ammaliata, ed ammaliante dell'altra, nel cercare ogni pretesto per ostentare le proprie nude avvenenze, magari, secondo un motivo ricorrente in Khajuraho di tempio in tempio, svestendosi al più presto dei propri indumenti su cui sta  uno scorpione, pur se così la danno ancor più vinta alla sessualità che lo scorpione stesso simboleggia, come accade alla ninfa situata più in alto nel terz'ultimo dei pilastri meridionali, dove è preceduta da due altre apsaras, a ridosso della proiezione centrale,  che si allacciano voluttuosamente il corpetto del sari,  o si tingono  le palpebre di kajal*.

 Si è al punto di  svolta verso la parete retrostante, nelle nicchie della cui proiezione centrale stanno l'incarnazione vishnuita di Narashima, alquanto mutila, uno scempio scultoreo che non coinvolse Brahma sulla sinistra e Shiva a destra, mentre nella cella soprastante campeggiano Shiva e Parvati,  che con il darsi la mano figurano intenti nel loro sposalizio* Esso è  celebrato da un Brahma microscopico/ microscopizzato, mentre alla divina cerimonia ( la cui ricorrenza, per Sivaratri, è la massima festività che  annualmente ricorra in Khajuraho*) non  mancano di presenziare , situandosi alla loro destra , Ganesha e Nandi , non che un gana, o nano, con trisul,  e più in alto Brahma,  mentre alla loro sinistra  si collocano invece Kartikeya,  un'inserviente e il leone della dea Parvati, Vishnu su in alto.

Sui prati-rathas ne precedono la proiezione, al livello della edicola superiore, delle ninfe che recano cespi di mango, tra le quali un’apsara sembra afflitta dal dolore cocente che le reca la lettura di una lettera.

 Gli dei guardiani Varuna e Vayus ci accompagnano e si accomiatano nel passaggio di direzione che da Est ci volge a Nord Est,  verso la parete settentrionale dove su di un  kharna precedono altre creature celestiali femminili a sesso aperto, e scoperto, meravigliosamente intente a decorarsi con l'hennè le palme delle mani o le piante dei piedi , se non a levarvisi un pruno pungente, od anch'esse ad usare per gli occhi il kajal od il collirio. Sono tutte quante accomunate dall’essere divinamente indifferenti al troneggiare al centro di Vamana,

tra il Chakrapurusha, un Garuda e l'avatar vishnuita di Balarama alla sua sinistra, il Sankha purusha, l'ennesima  portatrice di scacchiamosche e Rama alla sua destra, senza che attorno all'alone (non) manchino di fare la loro apparizione Shiva e Brahma.  Ritroviamo la Trimurti, nuovamente ricomposta, nella edicola sovrastante in cui ricompaiono Vishnu -Narayana e Laxmi, ancora una volta tra devoti e reggitori di scacciamosche, che precedono ai lati gli avatars di Buddha* e di Rama alla loro destra, di Kalki e Balarama alla loro sinistra,  mentre intorno all'aureola Shiva si posiziona ancora alla sinistra , sulla destra attestandosi nuovamente Brahma.

Nel pilastro della proiezione prati-ratha  che precede gli dei guardiani Kubera e Ishana, affiancati a delle edicole evacuate delle loro divinità, presumibilmente femminili, un’ apsara ha un bambino accostato all'esuberanza del seno destro, mentre, oltre le nicchie vuote, la più meravigliosa di tutte le ninfe rimira nello specchio tutta la bellezza di cui è vaga del proprio orecchino, intanto che la lady sovrastante si depila l 'inguine senza tante pinze.

Sopra le edicole vuote,  in una coazione figurativa a ripetersi, interminabile, che si spiega forse con la rigidità di una canonicità iconografica ai suoi esordi, che obbligava  un consesso di dei a ricomparire sempre al completo dei suoi  ranghi, si succedono  Shiva con il relativo consorzio familiare-  la consorte Parvati e le divinità filiali Ganesha e Kartikeya-, nella nicchia  superiore Brahma e Brahmani*,  in una sua cella Vishnu quindi signoreggiando  più in alto di tutti, in solitudine eletta, eccezion fatta per due  devoti minimali a mani giunte e le sue puntuali Incarnazioni. Non resta che attendercelo di nuovo al centro della cornice superiore del balcone, tra coppie amorose non particolarmente conturbanti

 

L'ingresso al tempio così incombe, che per la rovina del portico d'entrata ci immette direttamente nel mahamandapa, la sala delle danze e dei riti in comune  che precedevano le offerte, come ci ricorda la sua piattaforma sopraelevata tra quattro pilastri. Essi, tra i più massicci di Khajuraho,recano un soffitto con volute cuspidate di fiori di loto, (con) kirtimukka ai bordi.

E' questa grevità non di certo alleviata dalle fasce mediane con mensole e dai capitelli di atlantici buthas -,   un indizio ulteriore della primordialità del tempio, rinforzato dalla comparsa nelle decorazioni dei pilastri, di coppe o kalasa fra la profusione dei racemi della loro abbondanza, che naturalisticamente ancora intese, non hanno ancora conosciuto la loro stilizzazione ulteriore in semplici motivi lineari. Un'ornarmentazione di un certo interesse figurativo che può essere  evocata  in ulteriore soccorso  della tesi che accampo, ossia, ribadendola, che nel tempio Vamana ricorrono motivi che altrove trovarono una formalizzazione maggiore, o più elegante, sono le due curvature nervate, a guisa di mensole, ancora rudemente rilevate nella loro costolatura, che figurano oltre la trabeazione e la cornice che  sormontano l'ingresso dell'antarala, con tanti piccoli naga che sortiscono (spuntano) deliziosamente in preghiera dalle  cuspidi. delle nervature Faranno la loro ricomparsa con maggiore risalto di scanalature interne, solo nei templi  Chitragupta e Visvanatha, per non figurare poi mai più nei templi di Khajuraho.

 

Procedendo ora nella rilevazione  del corredo statuario interno al tempio, nella nicchia della parete d'ingresso nel mandapa, sulla sinistra, di rilevante oltre all'ennesima rappresentazione sbrecciata di Shiva e Parvati, presenziata con  puntualità filiale da Ganesha e Kartikeya, insieme con Nandi  e più nani gana a fare da portatori degli attributi , ci è dato di ravvisare i resti di una raffigurazione del Gajendra moksha,   scambiata dai più per una immagine di Indra, in cui un Vishnu con otto braccia, infrante tutte quante, è  intento a liberare un elefante a lui devoto da un serpente che l'insidia, secondo la versione meno diffusa del  racconto mitico, in cui più frequentemente è un coccodrillo l'animale che attenta all'elefante. Tale versione è però quella che è stata rappresentata nel modo più folgorante, nel sublime tempio delle dieci incarnazioni o Dasavatar di Deogarh che non ci si può esimere dal rammentare, talmente splendida ne è la raffigurazione della chiamata alla resa dei conti , da parte di Vishnu, del principe naga che insidiava l’elefante e già letalmente raggiunto dal cakra del dio, mentre Garuda lo asseconda nel più servile ed  impareggiabile dei modi.

A togliere ogni ambiguità di attribuzione all'immagine, ingenerata dalla presenza di un elefante, ch'è il veicolo di Indra, Garuda  ricorre in attitudine orante( stuti-mutra) ma in posizione più defilata anche nel nostro rilievo, insieme a Laxmi e ad un ayudapurusha,.la personificazione di uno degli attributi di Vishnu.

Negli altri pilastri, d'entrata o di raccordo con i transetti dei balconi,  di accesso quindi al vestibolo, stazionano dvarapalas, i guardiani delle porte del tempio. Essi recano steli di loto o bulbi di gigli*, o altrimenti assai meno delicatamente una serpe, nell'accoglierci sulla nostra destra all'entrata nell'antarala, in degna compagnia sull'altra faccia del pilastro di una deità Bhairava,  per sua natura dal tremendo aspetto corrucciato, rigonfi i capelli, gli occhi protuberanti, la bocca orrendamente spalancata, un pugnale ben infilato* nella cintura.

 

Nelle fasce del portale d'accesso sapta-sakha alla sala del Dio, di notevole vi è la successione delle posizioni erotiche delle coppie amorose, o mithunas, nella fascia centrale dello stipite alla nostra sinistra, che procedono dai preliminari al compimento dell'unione, per poi disciogliersi dall'atto, lungo le nicchie dello stamba.sakha centrale, a guisa di pilastro, tra due bande di ganas danzanti o intenti al suono di strumenti,  che precedono e cui fanno seguito a loro volta due sakhas di volute stereotipate

Le volute invece in cospicuo rilievo  delle bande estreme del portale,in questa  come in ogni altra ricorrenza in Khajuraho di tale motivo,  a cui soggiacciono naga serpentini antropomorfizzati, per Krishna Deva rappresenterebbero gli arricciamenti in cui si involve la pelle rinsecchita dei serpenti, dalle cui guise decorrono, per l’appunto.

 

 

 

Gaja Laxmi profusa d'acque da due proboscidi elefantine, e la divina Sarasvati, consorte di Brahma e dea luminare di sapienza e saggezza, finalmente raffigurata con un  libro in mano insieme con la vina*, una sorta di  liuto,  stanno invece nelle nicchie intermedie ai lati del dio Vishnu che campeggia  nell'architrave, e le possiamo ritrovare nell' udumbara della soglia sottostante, in precedenza di Shiva e Parvati nelle nicchie finali.

Nella cella del santuario il panciutello Vamana con salva la testa ma infrante le braccia, è raffinatamente effigiato e raffinatamente affiancato dalle  manifestazioni in sembianze umane, o purusha, dei poteri di due dei propri attributi, la conchiglia  nel Samkhapurusha alla sua destra, cui fa seguito Laxmi, il disco invece nel Chakrapurusha, oltre il quale un barbuto Garuda reca un ostico serpente. Intorno stanno le Incarnazioni vishnuite, come nella statua del dio nel tempio Javari , poste secondo la stessa disposizione, con le felici aggiunte di Buddha seduto ai piedi di Laxmi, nell' atto, o mudra,  di toccare terra a propria ed altrui protezione con la mano destra, di Parasurama o "Rama  con tanto di ascia", come prescrive il nome, distruttore non una, ma ventuno volte, della setta guerriera degli ksatrya che opprimeva i brahmini, tante volte quante  nello spirare, battendosi il petto, gli aveva suggerito di sterminarli  il padre Jamdagni, messo a morte dal loro re Sahasrabahu. Parasurama è raffigurato al di sotto di un Balarama che al riparo di  un cespo serpentinato  reca una coppa di vino, mentre è Kalkeya che soggiace a Garuda, in una magnifica istantanea di gruppo


Non più che dei resti zoomorfici rimangono in alto, sulla destra del dio, delle sue incarnazioni in matsya, il pesce, e nella tararuga, kurma.

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Le immagini in pdf delle incarnazioni di Vishnu nella icona centrale del tempio Vamana,

1, 2, 3

 

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Lasciati alfine gli antichi templi Chandella, per disaffaticare la mente ci si può addentrare nel recinto calcinato, che all'ombra di un  bargad* dal fusto ritorto,  tra  edicole sparse,  sfusi yoni e lingam e devoti Nandi in adorazione di Shiva, ospita un tempietto di Durga* ed uno di Hanuman*, come anticipano le bandiere rosse e gialle all'ingresso, e sulla soglia del tempio di lato della Devi, due leoni in pietra colorata, che minacciosi ringhiano ai bordi  del cancello d'entrata.

La cenere sparsa sotto il trisul, o tridente di Shiva, la quiete in cui tutto riposa all'interno del complesso, compresi il  custode e l'officiante  immersi nel sonno, mentre solo qualche refolo di vento può sommuovere le bandiere rosse e gialle, è la serenità del Dio  tremendo che soggiace immanifesto, nel tormento mentale che qui cerchi sollievo.


 

La sosta che ci ha ritemprati, può essere quindi l’occasione, prima di distaccarcene, per  una riconsiderazione cronologica dei templi visitati e di quelli nel loro complesso di Khajuraho, in ragione principalmente della loro fisionomia caratteristica.

La cronologia che è invalsa dei templi di Khajuraho, a seguito degli studi mirabili di Krishna Deva, colloca sia il tempio Javari che il Vamana in epoca tarda, considerandoli quasi coevi,  e li fa risalire ai decenni tra il 1050 e il 1075.

Ben diversa era in precedenza l’opinione periodizzante di S.K. Saraswati, che collocava il tempio Vamana, con quello Adinata Jain, tra i primi di Khajuraho, in ragione del fatto che sarebbero più semplici architettonicamente di quelli ritenuti successivi per la loro stessa complessità maggiore. in essi il sikhara monospiraliforme è infatti senza repliche di sikhara minori, inoltre entrambi i templi non presentano un deambulatorio intorno al garbagriha.*in tempi ad essi immediatamente successivi sarebbero stati costruiti il  Chitragupta, il Devi Jagadambi e il tempio Duladeo, dato che sono anch’essi nirandhara, anzichè sindhrara, ossia senza ambulatorio interno, poi via via a seguire tutti gli altri, sino all’eccellenza del Kandarya Mahadeva. E’ una cronologia a cui Krishna Deva addebita il limite di non tenere conto di altri fattori storici e morfologici, non che comparativi, inserendosi in un visione evolutiva che conosce solo gli stadi di un progresso verso un acme, mentre in realtà, secondo una sua concezione ancora più organica delle vicende del “ Khajuraho style” , tale stile  avrebbe conosciuto una propria infanzia, adolescenza, maturità, e senescenza.

Entriamo pure nel merito, per quanto  del complesso della polemica attiene soltanto  ai due templi in questione, senza rendere la controversia troppo tediosa, così come accade quando di una signora accanto a un suo parente, per il suo stato di conservazione non sappiamo dire e ci intriga sapere se ne è la moglie, la sorella, o la madre o la figlia maggiore.

In realtà già ad una disamina complessiva ci si può rendere conto che i templi Javari e Vamana non sembrano gran che intendersi morfologicamente,  l’uno, il Javari, è  raccordato in altezza e profondità di slancio, quanto l'altro ricerca la coesione latitudinale della sua espansione in larghezza, sia nelle coperture samvara della sala e del portico, che nel dilatarsi nella sala del mandapa mediante le proiezioni laterali. E’ la stessa difformità che rispetto al  Kandariya Mahadeva  diversifica i templi Devi Jagadambi e Chitragupta  ad esso i più vicini tra i templi occidentali, una difformità che  aliena questi due templi anche rispetto al Visvanatha e al Lakshmana, nello stesso gruppo templare occidentale ( nonchè ai templi Jain, Adinata e  Parshvanata, la cui particolarità che li specifica in ragione del culto, è la stessa assenza di transetti e la limitata accentuazione di proiezioni e recessi). A tutti gli effetti è come se i templi in questione appartenessero stilisticamente a due ordini cronologici successivi, per cui il Vamana, il Devi Jagadambi e il Chitragupta rientrerebbero in una  fase antecedente l'edificazione degli altri templi menzionati ( nel corso della quale la virtù integrante del culto sincretistico di Surya , in sé sintetizzatore di Brahma, Vishnu e Shiva,  presumibilmente ebbe a presiedere la convivenza e la compenetrazione- interpenetrazione ulteriore di shivaismo e vishnuismo).

La ragione complementare della congettura suddetta è  che in Khajuraho i templi conseguenti tendono a correlarsi a quelli precedenti includendone  le divinità peculiari, anche se le loro manifestazioni sono tra le meno celebrate nell’universo  brahmanico, cosicchè il dio Surya del tempio Chitragupta lo troviamo ripreso finanche nei pilastri-tempietto ravi pithas,* e Vamana stesso è riattestato a più riprese, nel tempio Devi Jagadambha, nell’antarala del tempio Chitragupta  ed in un tempietto laterale del Visvanatha, quello sud occidentale, (nella cui proiezione meridionale ricorre lo stesso Surya*), -  al pari di come poi Vishnu Vaikunta sul cui culto importato dalle lande del Kashmir si incentra il tantrismo-vedico del tempio Lakshmana, sarà rieffigiato nel tempio Kandariya. Nei templi Devi Jagadamba e Chitragupta troviamo invece riproposto solo Vamana, (eccettuata l'inclusione, anche per cause di forza maggiore, delle teste animali di Vishnu Vaikunta in un Vishnu endecacefalico che risalta nella nicchia cardinale centrale della facciata meridionale del tempio al dio Surya), per cui è/ può ritenenersi che il tempio Vamana sia a sua volta il solo a precederli in antichità, di tutti i templi hindu di Khajuraho in arenaria, una primogenitura così convalidata dal dato che il suo corredo statuario non presenta richiami e riproposizioni di divinità peculiari di altri templi locali.

A supporto della mia cronologizzazione altri dati ho invocato a soccorso, per retrodatare il tempio Vamana: 1) la sua grevità di impianto, per cui i pilastri della sala interna sono i più massicci tra quelli dei templi di Khajuraho, 2) la comparsa ancora limitata di scene erotiche sulle sue pareti, 3) la mancanza di un terzo ordine di statue, a differenza di tutti gli altri templi in Khajuraho,cui aggiungo  4) la sua localizzazione nell'area più prossima a quella degli insediamenti più remoti di Khajuraho, il sathdara, i cui scavi e reperti sono poco distanti, nell'area nord est dell'antica città di Khajuravaka, 4) la considerazione che la istituzione primaria di templi nelle aree polari e centrali dell'antica Khajuraho( il Chausat Yogini e il Laksmana, di pertinenza shivaita, a nord ovest,  a est il Vamana, vishnuita, nell'area che già il tempio Brahma aveva localizzato come in onore invece di Vishnu, cui resterà destinata, al centro erigendo i templi Digajamba e poi il Chitragupta, al dio Surya, dalle valenze sintetizzatrici dei culti della Trinità hindu, che nell universo hindu pluralisticamente si promuovevano, insieme a quelli jain), può corrispondere benissimo  all'esigenza di territorializzare Khajuraho come la pluralistica capitale religiosa dei Chandella, in prossimità del forte Manyagarh in cui era asserragliata la loro potestà originaria, e del culto della dea dinastica , la Manya Devi, che vi contemplava, una volta emancipatisi come loro feudatari dai sovrani Pratihara di Kanauj*

(Nelle mie note a “In Mahoba, 2014”, sul tempio Rahila, aggiungevo a ulteriore supporto che “in templi di Khajuraho, quali il  Chitragupta, il Devi Jagadamba  il Vamana( il cui sviluppo in larghezza contempera e ridimensiona proporzionalmente quello in altezza o in profondità, - inducendo ad una copertura a samvara del mandapa, per fasce salienti di repliche miniaturizzate del tetto principale, - mentre  non contemplano   le forme di sviluppo più complesse del tempio di Khajuraho- ambulatorio o mini sikhara)  non ricorrono elementi che sono pressocchè canonici in tutti gli altri templi- il terzo corso di statue nel Vamana, o gli astavasus nel Devi Jagadamba, la cui assenza si ripete solo nel Parsvanata (- per cui- concludevo- nel complesso dei templi che i Chandella edificarono nei territori in cui dominarono,   si configurano come templi di transizione o intermedi , se si focalizza che in quello Rahila in Mahoba, dedicato a Surya, lo sviluppo latitudinale comporta due accessi laterali, verso i quali si articolano come costolature, espansivamente, le proiezioni per lo più ornamentate solo geometricamente. E ritenevo esemplare che il tempio Rahila fosse dedicato a Surya, il dio del sole,  Dio integratore e sintetizzatore  di Brahma, Vishnu, Shiva,   cui è dedicato lo stesso tempio Chitragupta, come se il suo culto inclusivo fosse di fondamento e propiziazione della coesistenza complementare  di quelli shivaiti  e vishnuiti”.)

Tra i templi Vamana, Jagadamba, Chitragupta, e quelli Hindu successivi di Khajuraho in arenaria , intercorre in tal senso un vero e proprio mutamento dei paradigmi architettonici, solo a seguito del quale si costituì un nuovo modello esemplare, di cui il Laksmana fu il prototipo fenomenale, il Kandariya Mahadeva il conseguimento più maturo e più alto, in virtù della stessa realizzazione precedente del Visvanatha, cui si rifà meravigliosamente, mentre i templi Javari, Chaturbuja, Duladeo, sono gli esiti decrescenti della sua fioritura in un tardo stile terminale.

Giunti così alle conclusioni delle nostre periodizzazioni templari , se hanno rilevanza reale essa si manifesterà nel mutato sguardo che inoltriamo ai templi che stiamo lasciando, la vicinanza spaziale non più fuorviandoci sulla loro distanza di istituzione/edificazione nello stile e nel tempo.

 

 

 

 

Il percorso seguente si addentra in un breve succedersi di casolari, e rustici e stalle, ch'è di conforto alla rianimazione spirituale del tempio Vamana cui gravitano intorno,quasi che senza il loro soccorso e degli alberi che gli frondeggiano appresso, egli già fosse poco più che un caro estinto monumentale, fino a che dal fondo sterrato emerge il profilarsi dell'asfalto che ci reca sollievo. Le sue anse lasciano sulla destra una spianata dai caldi colori, tutto un intrecciarsi di piste tra le radure che ospitano nei giorni di festa giocatori di cricket, con occasionali wicket, per inoltrarsi tra i coltivi e l'addensarsi delle grandiose piante che li recingono,  una moltitudine che si infittisce in lontananza, contro lo stagliarsi  all'orizzonte delle alture montuose, che appaiono più ancora alla vista quali dei  maestosi rilievi nelle loro alture dimesse.

 Ma a rammemorarci ad ogni istante che non siamo felicemente regrediti o di ritorno ad alcuna età dell'oro, sia essa d' impronta greco- latina o il Krita Yuga favoloso della dottrina hindu dei cicli cosmici, in cui facile sia il sostentamento, e ignoti gli odi e gli inganni, come può illuderci l'incanto dei prati  tra gli alberi  di mahua o di neem, o il sopraggiungere nel loro clangore di lenti armenti di  pecore o di possenti bufali, di un carro agricolo trainato da buoi nella sua intelaiatura di legno, stanno le recinzioni ininterrotte di filo spinato che ai bordi della strada marcano invalicabilmente  le proprietà terriere, precludendoci, come agli animali voraci e ai ladri endemici locali, ogni libero accesso alla fragranza di spighe e di steli

Sulle ritorsioni dei fili, d'inverno, solo le campanule dei besaram  o i gulciatur, ingraziano il tragitto.così delimitatoci.

Siamo anche qui, al più, in un'era bucolica segnata dalla storia, e ben di ferro, per quanto ciclico ne sia il decorso annuale, e più che il canto degli uccelli tra i rami, è più facile udire il pigolio dei bimbi che come per strada  vi avvistano quali stranieri, vi si accostano senza remore e riguardi e vi chiedono all'istante " money, pen, chocolate", senza tanti "hello sir", o " how are you", che ben saprebbero come dire, ma non si confanno al sentire che hanno di voi.

Provate allora  a ribattere che l'elemosina  va chiesta rivolgendosi a chiunque sia di passaggio, sia egli indiano o forestiero, accennate all'uomo che segnato dal lavoro dei campi ride alla scena sotto immancabili baffi,       " ma quello è mio padre", vi dirà schernendosi il bambinello ridanciano.

E tanto silenzio, che grava intorno, rotto solo da trattori e vagoni agricoli, da trebbiatrici o mietitrebbia che ostruiscono il passaggio,  o che nei villaggi e nella loro ruralità arcana ne rende metafisici i casolari, è dato dall'esodo dei campi e dallo spopolamento, per opera dei dalit, soprattutto, che in cerca di fortuna vanno in  città che qui dicono Delhi, che  proprio con il concorso delle loro tribolazioni  sollevano ora il capo tra le altre dell'India, quanto qui sogliono le mahua tra le piante di neem.

Ai dalit  non sono bastate le compensazioni del discrimine di out cast con terreni forzosamente sottratti, l'accesso alle macchine agricole è di pochi, essendo per lo più di costoso noleggio, e insieme con le leggi di mercato, e gli oligopoli multinazionali, che impongono l'esosità di sementi e concimi, qui c'è chi fa la da padrone senza sorta di repliche, su affittuari e vigilanti, sui lavoranti nei campi, con richieste di canoni, e   remunerazioni minimali, che  non lasciano margini di sorta oltre la sola sussistenza.

E poi l'acqua decide di tutto, che sia disponibile solo quella piovana, che sia attingibile  nei pozzi o pervenga canalizzata, che arrivi a tempo o fuori stagione, con grandinate esiziali.


 

Ma l'occhio , così disincantato, può rimirare meglio lo splendore dei campi, della loro fertilità assicurata dalla ferrugine della terra , che non ha nulla del grigiore cinereo delle polveri di campi aridi o di cremazione, rossa come il  sangue del mestruo delle divinità femminili qui ovunque onorate, specialmente per Dusshera, al termine dei nove giorni della festività della Devi, o per Shivaratri, quando nel tempio Matangesvara si celebra lo sposalizio di Shiva e di Parvati , o nel giorno primaverile o già estivo della nascita del dio Rama, omaggiandole di vasi di germogli di miglio, nelle loro manifestazioni di  yogini o di sacre spose del Dio, di cui sono la stessa energia operativa.

Ed oltre i fili spinati, se non è avvenuto appena il raccolto,  nei campi l'osservatore può assistere d'inverno al crescere   di grano e di senape, di ceci e di piselli , di lenticchie e di sesamo nella stagione monsonica, può incantarsi  al fervere del loro verde rigoglio, ingiallito dai fiori,  o al  compiersi della maturazione nel fulgore delle spighe, in un'aurea alonatura  che s'inargenta nei pleniluni estivi.

E se così è giunto il tempo della mietitura, vedrà i campi di grano farsi distese di mannelli per opera della falce, formarsi covoni tra gli steli recisi che inaridiscono a stoppie, sollevarsi la pulverulenza della trebbiatura che separa la granella da paglia e pula. Non immagini alcuna dispersione del tutto nel vento,  diventeranno aurei cumuli sospesi nelle aie e nei campi, destinati a ingrediente del sostentamento dei bufali, che se ne nutrirano lenti e placidi, al riparo dal gran sole,  sotto i tettucci di canne in cui è a loro ammannito come gusha*.

E per chi voglia farsi partecipe, basta familiarizzare con un  sorriso, per potersi attivare al ventilabro di un 'elica, nella separazione del seme di cece o di pisello dalla pula e dallo stelo, o nell'infornata nella trebbiatrice  dei mannelli di spighe di grano.

Senza che qui sia dato come altrove, nel Madhya Pradesh, per le lenticchie nere, di vederne il raccolto disteso per strada, perché la prima trebbiatura la facciano le ruote dei veicoli di passaggio.

Ma or ecco che mentre si è così intenti a pensare*, un serraglio di casipole rurali che si alzano a capanna sotto i coppi, costituite di rossi filari di mattoni imbiancati sulle soglie, tra cui spicca una parete tinteggiata di un celeste luminescente,  ci riconduce ben presto alle nostri peregrinazioni  archeologiche,  preannunciandoci oltre la curva, sull'altro lato della strada,oltre piante meravigliose di choeula, l'apparire, sullo sfondo dei monti, delle poche e fascinose rovine del tempio Cakra Matha*,

 rinserrato da una  cancellata.

 Per chi vi sia giunto in direzione opposta, dai villaggi del circondario, è il sepolcro di Bianore che preannuncia la città imminente dell'antica Kharjuravahaka, ed è ora possibile rallentare il passo, deporre il  capretto diradando le frasche. ( Virgilio, Ecloga IX).

Del tempio vishnuita sopravvive solo il mahamandapa con i suoi pilastri malridotti e le assembrate trabeazioni sovrastanti

 

 

 

 

 

le cui mensole sono rette da gana-atlanti.

 

Ondulazioni vaghe, kirtimukka,  palmette, fregi di triangoli, le decorazione superstiti

 

 

 

 

 

Solo la presenza di due dvarapalas, a guardia della porta d'accesso al mahamandapa, uno dei quali reca sankha e chakra, attributi di Vishnu,

 

 

 

 

 

 

 

 

permette di attribuirgli il tempio come vishnuita.

Oltre una cava dismessa, in cui ristà una pozza dove i bufali amano rinfrescarsi,  che precede altre più ridotte e recenti che danno luogo a fabbriche locali di mattoni d'argilla, inizia il tratto più lungo del percorso che ci reca a Beni Gangi,  quale meta imminente, costeggiato da idilliaci casolari ameni, i cui filari infuocati di pietre sono terra della stessa terra fulgida intorno. Essi appaiono talmente ribassati nel distendersi a schiera in una successione di soglie, da essere soverchiati  dai tettucci reclini  di tegole e coppi , quando sia pure di poco non si rialzano a capanna.

Accanto alle dimore si staccano i porticati raccorciati del fienilucolo e della stalletta, mentre gli accessi, tramite bancali ornati di motivi a croce, si dilatano o digradano nell'aia di raccolta degli arnesi e attrezzi e  di  bufali e capre, intenti a pascere all'ombra delle piante che la contornano.

D'inverno, al calare delle ombre dei monti, vi si vedono i fumi dei fuochi aleggiarvi sospesi nell'aria che imbruna. Via via che Beni Ganj si fa più vicino, tra fichi d'india e palme, compaiono coltivi di menta, di canna da zucchero, ed agli alberi di mahua e di nem si aggiungono l' himli, manghi, frondosi pipal.

Intanto la strada s'inflette e risale lungo l'alveo del Kudhar, il cui lento decorso ristagna in uno specchio che pare immoto, si impigrisce sinuoso tra i massi del fondo senza che ne trapelino increspature.

Risalito il dosso, è già prossimo Beni Ganj, che  si apre alla vista come un'apparizione, nelle sue vivide case multicolori, accese di bianco e d'azzurro, disposte su più livelli  e  volte in più versi, tra il digradarvi dei rilievi nel cui varco s'incunea l'abitato.

Meraviglioso  è il contrasto tra i rossi filari dei fianchi delle case , talmente lineari da non consentirsi che qualche profilatura  od una balza sporgente,  ed il bianco od il celeste luminosi di cui sono tinte le facciate,  a ridosso delle quali s'infoltano e diramano violacee  bougaivilles, un contrasto che si fa ancora più intenso mentre si risale la via d'accesso al centro dell'abitato. Su di essa si affacciano i portici delle case a pilastri binati, e i muri si alzano arcani sempre più a vista , finché il suo  percorso,  addentrandoci ove la breccia si sospinge fino all'altro pendio dei rilievi, (non) ci reca allo slargo terminale, ombreggiato da consueto neem, in cui convergono incantevolmente ben cinque tra vie e viottole del nostro  villaggio

A conclusione della via sta l'unica casa in argilla, finora intravedibile in Beni Gangi, morbidamente plasmata  sotto le sue bianche calcinature, mentre  se ci si volge a destra , ci si prospetta una via curva in cui i portici delle case si inarcano a loro volta, lasciandosi  sovrastare dalle sporgenze suggestive di davanzali e terrazzi, secondo modulazioni  che non potrebbero essere più difformi alle  rientranze d'obbligo di atri e balconi  in Chandigarh, secondo Le Corbusier,  così come Le Corbusier  in Chandigarh non avrebbe potuto di meno essere indiano

Sulla sinistra, due stradicciole confluiscono verso il villaggio adiacente di Bamnora, ch'è preceduto dal traversamento di un ponte sul lutulento Kudhar,  sulla destra la incantevole via principale , cui pervengono le confluenze di vari percorsi, e suggestivi slarghi,  tra case dai portici bassi ribassati anch'essi ad arco, si diparte verso i campi che digradano a valle, ed ha il suo seguito, oltre i  campi da gioco e di feste del villaggio, i suoi mela ground, in una strada sterrata che separa i coltivi successivi dai rilievi incipienti, e dai loro boschivi, situati nell'opposta direzione. Lungo il corso  della via principale è ancora possibile vedere i ruderi o i ripostigli cui sono ora ridotte le più antiche dimore di terra cruda  di Beni Gangi. Le loro murature furono costruite in pisè, con il getto di argilla, ghiaia, paglia e letame quale legante dentro delle casseforme , come è  ravvisabile dai filari di blocchi che si profilano lungo le loro pareti, quale tratto residuo del disarmo dellestesse casseforme.  L'affianca, più in alto, la via cui dobbiamo risalire per una traversa, se vogliamo pervenire per il suo tramite al tempio di Durga.

Sorge, come quello presso il Ninora talab, all'ombra di un bargad, entro un recinto, che la accomuna a un tempietto al dio Hanuman e ad un altro shivaita,  anticipato da un cippo  in cui il toro Nandi ne onora il linga .

Ma è in posizione più rialzata, al termine di una breve scalinata, ed a fianco di un pendio da cui i rilievi iniziano a  sopraelevarsi sul varco tra i monti. 


 

Il  biancore calcinato dei rifacimenti dei muri ne attutisce l'antichità originaria nel nucleo interno, ch'è remoto quale quello dei templi di Choukha, o di Achatt,  nel distretto di Chattarpur, e quanto lo sono le sue proporzioni eleganti e la sua semplicità formale, costituita della sola cella senza altra copertura che una cupoletta su di un tetto piatto, mentre ne disvela l'origine  antica l'ornamentazione interna della saletta della dea,che è quasi un compendio primario ed elementare dei motivi che ricorreranno con più profusione elegante a Khajuraho, il soffitto a fiore di loto, fregi di  petali di loto, di triangoli , di angoli inversi listati, o "  renverse hald diamonds", seconda la dicitura inglese di tale motivo delle palmette. 

E la dea, sotto i bendaggi, non è un  idolo fantoccio, ma una Mahishasuramardini* in forme femminili naturali(stiche), intenta ad accoppare a più non posso il demone Mahisha, ovviamente emblema del male, tra altre donne sue attendenti e primordiali leogrifi rampanti . 

Una coppia di giovani sposi, nelle circostanze in cui rivisito il tempio, ne effettua la pradakshina. Lui ha indosso il turbante ed i vestiti  sfarzosi della cerimonia nuziale, lei, tra delle sue compagne,   è condotta per mano con il volto nascosto dalla  sari. 

E' per avere figli, tale rituale?, chiedo a dei ragazzi che mi accompagnano, aiutandomi, per farmi capire, con il gesto che dilata il mio ventre in  quello di  una donna gravida. Confermano sorridendo. Lo sguardo, dall'altura lieve in cui mi ritrovo, oltre un tempietto alla dea Shanti e il breve muro di cinta  della deambulazione  intorno al tempio di Durga, si volge, per riposarsi,  alla valle sottostante in cui si è svolto il nostro percorso.

La distesa dei profili gialli dei campi, irti di steli, si perde nel folto degli alberi, che s'infittiscono fino alle alture di Rajnagar, sino all'orizzonte in cui cala il sole.

Tra di essi, invisibili, le case ed i covili in cui gli uomini e gli armenti sono di ritorno, o già al riposo, i limitari delle soglie accese, da cui le donne intente alla cena od al riordino della quiete domestica, usciranno a salutarmi(ci) sulla via del rientro.

 

9 maggio 2013- 4-7  maggio 2014- marzo 2015

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 powered by  Odorico Bergamaschi

 

 

 tornando al nostro discorso, - e di magari per fare dei templi i sensali galeotti dell'avviamento dei turisti a pratiche  cui non si attenterebbero mai di piegare un'onorata donna indiana, tantomeno le spose che impongano loro gli obblighi di casta ineludibili, almeno fin che in loro anche nei confronti delle connazionali non prevalga ogni efferatezza possibile d'impulso, non importa il sesso del partner sedotto, che i partners siano  uomini e donne, ( ridotto in schiavitù d'affetti, od abbandonato nel suo paese d'origine mentre resta in India ciò che da lui si è acquisito), che l'importante in ogni cosa per tale local people ne è il contante in rupie che se ne ricava, si trattasse per esso pur anche di farsela con un  orso o un elefante. sviandoci dai nostro casi

Dicasi lo stesso delle volute di capitelli,  che  non sono impreziosite da alcuna cordonatura vibrante, come poteva accadere di vedere nel tempio Javari.

Senza scendere nei minuti dettagli dei puntoni a guisa di ninfe salabanjika che solo in questo tempio compaiono all interno dei tetti dei transetti, in cui si vedono ancora le cavità che li alloggiavano