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Chandpur, Dudhai, le due
piccole Khajuraho
Lungo
la grande via alberata che da Lalitpur reca a Deogarh,
quando non mancano che otto chilometri al villaggio del
gran tempio gupta delle Dieci Incarnazioni di Vishnu, o se si è
di ritorno a tale indicazione stradale perché non si
è resistito a rivederlo, ancora una volta volta,
nello splendore dei suoi grandi rilievi, proprio dove
inizia l’area forestale una strada si profila a sinistra ,
venendo da Lalitpur, che va percorsa nel suo addentrarsi nella
boscaglia della giungla, sino a che curva verso un passaggio a
livello. Inutile sperare di trovarlo aperto, è all’altezza
di una delle vie ferroviarie di maggiore scorrimento dell India.
Ma dopo che le sbarre siano state rialzate, in capo ad almeno una
decina di minuti, sostando in attesa con gli autorickshaw ed i
carri stracolmi di ragazzi e uomini del posto, basterà
continuare il percorso per qualche centinaio di metri, fino a che
non compare a sinistra una strada sterrata, che ci porterà
in capo a poco più di qualche chilometro alla nostra
stupefacente meta a sorpresa, sparpagliata oltre i binari
della stessa rete ferroviaria, mentre resta al di qua della loro
massicciata la manciata sparsa di casolari, che è il tutto
della Chandpur dei nostri giorni.
Avvistato a sorpresa da chissà
quanti milioni e milioni di viaggiatori sui treni di corsa, tra
Delhi e Mumbai, Varanasi o Ahmedabad, magari stupiti e
incuriositi della meravigliosa apparizione, all'improvviso, di
quale mai sito archeologico a loro del tutto sconosciuto,
fatta salva chissà quale eccezione, se è ignorato o
negletto dalle stesse indicazioni ed illustrazioni
turistiche delle località monumentali di questa area
remota del Bundelkand, e non è visitato di
conseguenza pressoché da nessuno, in realtà che
vi si profila di magnifico nella giungla boschiva, al di
la dei binari, è il complesso templare dell’antica
Chandpur dei signori di Khajuraho, i Chandella, edificato
a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dalla
capitale del regno, come più a Sud, a qualche decina di
chilometri da Chandpur, le ancor più grandiose rovine in
altura di Dudhai.
Una volta superate le scarpate
de binari della barriera ferroviaria, facendo la massima
attenzione ai treni in arrivo a tutta velocità, tra gli
ultimi coltivi prima della boscaglia è rapidamente
accessibile il primo complesso del sito, ingraziato dalla
deliziosa levità di ciò che a prima vista
sembrerebbe la sala di un mahamandapa, ed invece,
sopraelevato di poco su di una piattaforma, è la
sala del portico d’accesso a tutta ampiezza di un
tempio franato nelle parti restanti, senza sovrastrutture sopra
un tetto piatto.
Ne costituiscono l’incanto
l’ariosità della loggia , forse un tempo conclusa
dalla svasatura del tipico schienale di pietra dei balconi dei
templi Chandella, come lasciano supporre dei fori di incastro,-
del resto è lignea la natura originaria di tali
davanzali,- non che il ripetersi dei motivi ornamentali dei
pilastri interni al vano d’accesso, e di quelli corti lungo
la parete esterna,
nella profusione di mensole in
cui si profilano atlanti, e nella trama luministica del
contrappunto a scacchiera che ne è l’ornato
interno ed esterno delle trabeazioni, tra fasce
sottostanti e sovrastanti di dischi e rombi, che
semplificano rosette e diamanti, replicati più
macroscopicamente, oltre un fregio di triangoli.
Ai fianchi ricorre una serie
di volute stampigliate tra pilastrini conclusi con vasi
fogliari, sopra una fascia di rombi diamantini.
Niente di nuovo sotto il sole
dell’arte dei Chandella, eppure con quanta rinnovata
eleganza di grazia.
Ma l’attrazione centrale
del primo gruppo di templi, non deve oscurare la umile bellezza
del tempietto che sorge ai margini,
che
lascia incantati o deliziati e commossi, per come in povertà
di mezzi ed elementarità di stile, si è
voluto ripetervi su scala ridotta,e tangibile con mano,
l’iconologia essenziale dei grandi templi di
Khajuraho.
Sta di fatto che volgendo
intorno al prasad della sua cella, sovrastata da ciò che
resta del sikkara in cui culminava, preceduta da un portico a
pilastri, a copertura piatta, in cui ricorre il motivo
canonico del rilievo a t che termina in un vaso dell’abbondanza
da cui tracimano foglie,
si possono toccare con mano,
accarezzandoli senza paura, nel senso orario di percorrenza
della pradakshina, i rilievi di Gaya Laxmi irrorata da due
elefanti,
poi del primo degli dei
guardiani nelle otto direzioni principali, Khubera, quindi la
proiezione centrale di un presumibile Surya, con attributi
e poteri propri tanto di Brahma che di Vishnu e Shiva, dato che è
rigido e impettito tra due fiori di loto nelle mani che si
ergono all’altezza del volto,
poi Agni ed Indra quali
successivi Lord protettori dell’Est e Sud Est del tempio ,
Ganesha danzante rubicondo al centro della parete Sud,
quindi Yama, Dio della morte,
come gli spetta data la posizione angolare,
Nirriti sull’altra
faccia del pilastrino,
Varaha nella proiezione
centrale della parete Ovest,
seguito da Sarasvati con tanto
di vina,
in perfetta corrispondenza
sulla parte opposta con la dea Laxmi.
Sovrastano gli dei una fascia
di oculi solari, i gavaksha, o chaitya, e due modanature in
guisa di kapota con un fregio intermedio di cerchi e rombi, alias
diamanti e rosette.
E’ una tale rarità
un simile tempietto nei domini Chandella, che abbia la
intraprendenza di osare di ripetere, con scolarità di
mezzi, ciò che dicono con assai più complessità
di intenti le sculture templari della capitale, in un
insieme di edifici di culto non meno numerosi di quelli che in
essa sopravvivono ancora, che al cuore detta di getto(
l’assunto) l'assunzione di Chandpur (come) a una
piccola Khajuraho.
Basta, a esaltare l'assunto,
inoltrarsi di poco nella radura per raggiungere un altro
gruppo di templi, tre i superstiti,
tra altri di cui sopravvivono
solo i resti delle fondamenta.
E’ shivaita quello
principale, come non è difficile intendere,
visto il bravo e buon torello
Nandi che lo precede sotto una edicola, tra yoni e linga in
profusione. Di un certo interesse le yoni che recano cinque
sfere, in luogo dei quattro volti laterali e di quello superiore
del dio, come Isana, immanifesto e simbolizzato dallo stesso
lingam, che caratterizzano i lingam a quattro volti o
chaturmukka.
Secondo la pianta unanime dei
templi superstiti di Chandpur, anche questo tempio è
costituito da portico d’accesso con copertura piatta e
santuario del Dio, sovrastato un tempo da un sikkara
caduto in rovina, esso reca ancora i resti di un
davanzale svasato, che possono ritrovarsi nello loro interezza,
nel tempio Ranchhoreji di Dhaujari,
distante una decina di
chilometri,
per altri snervanti o
riposanti passaggi ferroviari,oltre Dawra e la giungla collinare,
in un luogo di pellegrinaggio in prossimità delle rive del
fiume Betwa.
E' del tutto
consigliabile inoltrare con piacere il nostro itinerario fino al
suo sito, magari per dilungarlo sino alle grotte del Santo
Muchkund ,
ed esserne di ritorno in un
percorso circolare lungo un’agevole pista nel folto della
giungla, di piante di tek, dove, pur se le ha lasciate da tempo
Lord Khrishna, è possibile ritrovare in loro povertà
lieta alcuni sadhu, tra miriadi di scimmie che ne condividono la
scelta di vita
.
Qui invece nel nostro tempio
in Chandpur, portico e balaustra ripetono i motivi a noi ben
conosciuti del rilievo a T maiuscola, tra coppe con volute di
foglie, le trabeazioni presentano palmette, fregi
triangolari, rombi e dardi,
mentre sono delle variazione
interessanti Shiva danzante al centro dell’architrave del
portale d’accesso al garbagriha,
il deambulatorio che corre al
suo interno.
La successiva puntata ci
conduce, poco distante, a un tempio rimasto in tutta solitudine.
E’ shivaita, sviluppato
secondo la solita pianta, ma in tutta lunghezza più che in
larghezza, ein tutta piattitudine della sovrastruttura del mandap
(o sala) del portico , e nell’architrave d’accesso
al garbagriha, tra la Trimurti esibisce le nove
divinità planetarie
.
Il registro di viaggio che
tenni quel giorno, annota pilastri con statue di guardiani,
volute stampigliate nelle
mensole che sormontano i capitelli
, motivi decorativi di
chaityia e di rombi diamantini ai lati
,
prima di rilevare i dati più
significativi, un richiamo, ch’è una citazione,
dello stile gupta fiorito ai massimi livelli nella regione
circostante, attestato dalla decorazione di colonne e pilastri,
per come le coppe dell’abbondanza e il fogliame che ne
tracima vi hanno un risalto naturale, e non vi sono piattamente
stilizzati in profili geometrici..
E quindi vi si pongono in
risalto e musici, e danzatori nella trabeazione interna del
portico d’accesso , nonché, per chi se ne
compiaccia, scene di accoppiamenti più o meno amorosi sul
suo lato destro, il che, se finisce per venire finanche a noia in
Khajuraho, è così infrequente nei templi Chandella
fuori del suo ambito, da giustificare, una volta di più,
che sia avvenuto un ammaliante ritrovamento di Khajuraho in
Chandpur.
Ed è tutta altro che
finita.
Si seguiti tra la boscaglia,
ed ad una distanza di centinaia di metri apparirà il
gruppo di rovine più vasto, di non meno di una
decina di templi, stando alle piattaforme e ai basamenti di cui
restano le immense rovine,
mentre ancora si sopraelevano
il tempio più grande che ancora sopravvive dell’antica
Chandpur, il Laxmi Narayan, e anch'esso su piattaforma, quello
accanto di cui rimangono solo il portico e il portale.
E non fosse che sono solo
ammassi di resti franati, altri gruppi ancora di rovine templari
resterebbero da visitare, stando a quel che diranno gli
immancabili accompagnatori locali del visitatore
alieno che qui mai capiti un giorno.
Il
tempio Laxmi Narayan,
con le immagini di Varaha,
Vamana, Narashima nelle proiezioni centrali delle pareti del
prasad, il corpo murario della cella del tempio,
pur nella
sua brevità dimensione non
monumentale è sviluppato in altezza ed in lunghezza,
secondo la coesione verticalizzata “sattvica”che
richiede l’ideazione statuaria dei templi Chandela,
pena una dispersione centrifuga della loro concezione
iconografica, se prevale l’ampiezza, tanto più se
non vi successione lineare di componenti, portici e sale e
celle, secondo un’unica entrata, ma si danno accessi
laterali, pluralità di garbagriha.
Esso consiste come al solito,
in Chandpur, come i vicini templi Pratihara nel distretto
di Tikanghar, di portico d’ingresso con copertura piatta e
garbagriha, su piattaforma rilevante e con sikkara, e conserva
una vistosa antefissa, da cui due volti divini fissano
l’osservante.
Nel portale d’accesso al
sanctum,
Ganga e Yamuna appaiono sotto
un torana, come nel tempietto accanto due attendenti con chaura
scacciamosche, il che fa di Chandpur un trait-d’union tra
la ricorrenza del motivo nel Tempio Javari di Khajuraho, e nei
templi non remoti di Udaypur, o nel circondario di
Gwalior.
Non più che un
reportage degli appunti presi, il rilievo del motivo delle coppe
con esubero di foglie nei pilastri, delle nove divinità
planetarie tra la Trimurti del portale d’accesso al
santuario, l’annotazione per quanto attiene a ciò
che resta del tempio accanto,
del richiamo allo stile gupta
che evidenzia il fogliame in vivido rilievo dei pilastri interni
del portico d’accesso.
Resta ancora uno sforzo, che è
richiesto dalla ripidità della scarpata ferroviaria
da affrontare, per pervenire alla ragione ulteriore che fa di
Chandpur la nostra piccola Khajuraho, a tutti gli effetti ed
affetti.
Occorre infatti ritrovarsi di
là dalla linea ferroviaria, rispetto all'area archeologica
che si è concluso di visitare, ossia nell’al di qua
della Chandpur di oggi e di questo mondo da cui siamo
pervenuti, nell’imminenza, che fatalmente incombe, di un
altro treno merci o passeggeri in arrivo, per una
tranciante mancanza di riguardo tutta indo-britannica nei
confronti delle vestigia che si dovrebbero tutelare, che ha
il suo più illustre esempio di scempio nella linea
ferroviaria che divide in Agra il Forte Rosso dalla Jama Masjd ,
se trafelati si vuole pervenire ai resti di due
templi Jain, che in Chandpur, come in Khajuraho, attestano la
promozione del loro culto assicurata dai sovrani Chandella.
Nel
primo,
sottostanno ugualmente a
dei torana, le figure di profeti Tirthinkhara, o attendenti Jain,
che ricorrono in luogo delle dee del fiume Ganga e del
confluente Yamuna, così come dei Tirtinkara
sostituiscono la trimurti hindu nell’architrave, che pur
non manca di onorare le nove divinità planetarie.
Come è
consuetudine nei templi Jain, ristretta e bassa è la
soglia ch'è la porta e la via del cielo della liberazione,
ma su di essa, a rendere già sensibile conforto alla
vista, è scolpita una dea con un piccolo in
braccio,
sotto
cespi di mango, e reca uno di tali frutti deliziosi in una mano.
Le mie note non mancano di
annotare gli omaggi all’arte gupta nel portico d'accesso,
anch'esso piatto, i reticoli di scacchi sulle pareti ai lati.
Conclusa la visita, detta la
mia, non resta che l’abbondanza delle scelta tra le
restanti opzioni possibili , se il sole è ancora alto nel
cielo dell India: il rientro in Lalitpur, o nei conforts di una
diversa città di partenza, Jhansi, Orcha, tanto più
se si è d’estate e già stremati dal
caldo torrido, oppure Deogarh, di nuovo, per visitare i suoi
templi Jain, e le incisioni rupestri lungo i bordi rocciosi tra
cui decorre il fiume Betwa, o , sempre in tema, il tempio
Chandella Ranchhoreji di Dhaujari e le grotte Mukund, di
cui si già detto. E per l ‘indomani, se non ci
si ancora recati, Pali e le meraviglie di Dudhai. Un' emula
rivale possibile, nel fregiarsi della nomea di essere una seconda
Khajuraho .
28
maggio 2013
L'avventura
di un viaggio così suggestivo non potrebbe avere esordio
più prosaico e confortevole, fin dall'inizio esso non
richiede percorsi proibitivi , anzi, ci offre tutto l'agio di
intraprendere da Lalitpur la high road per Sagar, e di uscirne
sulla destra in direzione di Pali, per ritrovarci, al di là
del villaggio, dove i coltivi e gli addensamenti delle piante tra
i campi- mahua, neem, choeula-, cedono alla boscaglia che
precede i bordi dell'altopiano incipiente, finchè si
finisce ai piedi di una scalinata che risale il pendio.
Cento
scalini, ancora, e si è alla radura in cui appare il muro
di cinta del tempio di Shiva Neelkanteshwara.
Il
biancore calcinato della muraglia e del santuario lasciano
presagire che il luogo di culto sia antico quanto ripetutamente
rifatto nel suo persistente nucleo originario.
Il tempio che ci appare, entro la recinzione, consiste della sola
cella, con un vestibolo d'accesso assicurato da una rientranza, e
sopra un cornicione il suo tetto è assolutamente piatto:
le sue sembianze costituiscono una delle forme originarie dei
templi Gupta, la cui sopravvivenza è tenace, nel cuore
dell'India, dove i luoghi di culto sono più
appartati e solitari.
Sulle
pareti di fondo e laterali, una nicchia campeggia vuota,
affiancata da dei pilastri con un rilievo a T tra coppe fogliacee
dell'abbondanza, sovrastando un fregio di leonini kirtimukka le
cui fauci spalancano la voragine della vita e della morte, in cui
ha termine il profilo elegante del basamento.
Superato il
portale d'accesso, che di rilevante ha l'incorniciatura sotto
l'inarcatura di un torana delle divinità fluviali
Ganga e Yamuna, ci attende la preziosissima reliquia del tempio.
E' il bassorilievo Gupta che mostra Shiva in tre dei quattro
volti che assume abitualmente nei lingam,
al centro
nel sembiante meditante della sua potenza di Tatpurusha, o
“ Spirito supremo”, ai lati nei suoi opposti
estremi che così ci affrontano, sulla destra quello
dolcemente femmineo di Vamadeva, poichè Shiva vi è
tutt'uno con la soavità femminile della consorte
Parvati, alla nostra sinistra il suo volto stravolto di Shiva
Neelkanteshwara, il Signore dalla gola azzurra. Come appare nel
rilievo, la gola gli fu atrocizzata per avere ingerito
l'amaro veleno residuo della frullamento mitico dell'Oceano di
latte, ossia la rimanenza negativa dell'ambrosia, od amrita, che
ne fu estratta da demoni e dei, ingurgitando la quale Shiva evitò
che il mondo ne fosse distrutto.
A
nulla sarebbe altrimenti valso che dei e demoni, o asura,
usando come zangola il monte Mandara, e il serpente Vasuki quale
fune per frullare, mentre lo stesso Vishnu, nella sua
incarnazione in una provvida tartaruga, fungeva da perno della
montagna messa in rotazione, avessero così reinfuso
nei tre mondi, proprio grazie a Vishnu, l'energia che
in essi e nel dio Indra era andata perduta, a seguito di
una maledizione di Durvashas, illustre rishi shivaita,
per un'offesa arrecatagli che non poteva restare senza
conseguenze. Quanto alle vicende del tempio che si presume
che siano invece di natura storica, potrà
accadervi che qualcuno degli attendenti vi narri di come il
re moghul Aurangzeb, odioso più dei suoi innegabili
meriti, detestando ed avendo in gran dispetto ogni forma di
religione che non fosse la propria di devotissimo muslim
sunnita,( vedasi quanto capitò per suo volere agli stessi
sciiti di Hyderabad, le cui moschee furono ridotte a delle
stalle), qui giunto per sfregiare ciò che dei templi
e delle immagini religiose hindu non aveva tempo o modo di
abbattere, avesse sparato un colpo di pistola al volto sacro di
Shiva Neelkanteshwara: e come ne fosse sgorgato del latte
dell'oceano primordiale.
Aurangzeb,
a ciò turbato, nonostante tutta la sua pervicacia
fanatica, avrebbe allora rivolto una sommessa preghiera al dio,
allontanandosi senza più infierire.
Quanto il
tempio sia dunque ancora vivente, ve lo attesteranno i devoti che
assiduamente vi salgono per ottenere ogni genere di buona
sorte, insieme con i custodi e gli addetti intenti ai riti ed
alla sua manutenzione, o ai loro lavori artigianali che
assicurano attrezzi e sostentamento, ricavando a colpi d'accetta
il profilo di una zappa da un pezzo di legno, o intenti a
scerpere i rami che intrecceranno il capanno di una puja. Tali
fedeli li potrete vedere tra le loro offerte composte in
forme di yantra, sotto addobbi che li porranno più in
intimità propizia con il dio.
Una volta
discesi e che si sia di ritorno nel villaggio di Pali, che si
ritroverà immerso tra i coltivi circostanti di betel, lo
si lascerà per un arteria che corre più a sud,
costeggiando i bordi dell'altopiano che insistono sulla
destra, fin che non li affronta e li risale svoltando per alcuni
tornanti. Ci attende una distesa più arida che non il
fondovalle, tra dimore e recinti di pietrisco. E quando già
si preanuncia Dudhai, d'improvviso tra la sterpaglia compaiono le
prime testimonianze del suo illustre passato, dei complessi di
tempietti.
I
piccoli edifici di culto cubiformi, con una lastra per tetto
piatto, ove essa ancora sussista, consistono
del basamento e del muro del jangha,
e
presentano la sola apertura del portale d'accesso,
fasce
puramente ornamentali - a scacchiera, di fiori di loto
pienamente schiusi , diamanti e rosette,
lungo
le pareti si alternano a delle fasce in cui la decorazione di
arcuati chaitya, a ferro di cavallo, è il coronamento di
edicole di statue,
,
Altri
recano nella loro nudità parietale il solo intaglio
in una rientranza delle statue delle deità celebrate-
Ganesha danzante,
Kartikkeya
sul veicolo del pavone, Gaya Laxmi che degli elefanti irrorano
dell'acqua celestiale del Ganga.
Il
villaggio di Dudhai cui la strada perviene serpentinando
nell'arido incolto, è così scabro e sparuto nella
sua dispersione di case, che nemmeno riesce ad avvivare,
nostalgicamente, il rovinoso e romantico contrasto tra la sua
realtà presente ed il suo grandioso passato, quando Abu
Rihan Alberuni nell'XI secolo ebbe a parlarne come di una grande
capitale. Ma basta superarne l'abitato, inoltrandosi per la
vasta aspra distesa che si apre al di là delle case, forse
.il bacino prosciugatosi di un antico talab, per vedere
concretarsi, il fantasma della sua perduta grandezza,
nell'alto sikkara che si profila dal rialzo della depressione
incolta.
E'
ridotto al suo riassestato cuore di pietra, periclitante
sopra ciò che il restauro ha ricomposto del tempio
vishnuita di cui è la sovrastruttura.
Una
doppia entrata delle quattro originarie, secondo una
pianta che noi occidentali diremmo a croce latina, sulla sommità
della piattaforma dà accesso al deambulatorio,ora
tamponato, che volge intorno a due oppos(i)te celle
contigue, o garbagriha, con in comune il muro di fondo, ed
entrambe dedicate a Vishnu.
Quando
il general maggiore Alexander Cunningham vi venne tra il 1874 ed
il 1877 , quale direttore generale dell'Archaeological Survey of
India,
per
conto dell'autorità British, ritrovando il villaggio di
Dudhai ridotto a un insediamento di appena 40 persone, il tempio
non presentava più alcuna icona statuaria di rilievo,
non v'era
alcuna traccia di piedistalli di statue, già i rilievi
delle trabezioni dei portali erano stati rimossi, e tra le
due camere centrali vi era una porta, che pregiudicava l'ipotesi
che il muro in cui era stata aperta avesse potuto fungere da
supporto alla statua di un dio, sicchè egli ebbe a
supporre che fosse un tempio Jain, con le statue dei 24
tirtankharas, o profeti della fede jainista, allocate nelle due
camere centrali
Il
mandir precede la magnificenza residua del tempio
ulteriore, che immette con un accesso unico alla sala, o mandapa,
il cui splendore è tutt'uno con quello dei garbagriha dei
tre santuari che vi si affacciano nei loro portali, ognuna
per ciascuno degli dei della Trimurti hindu, Brahma multicefalo,
Shiva
danzante Nataraja, Vishnu. Ai tempi del sopraluogo
del maggiore Cunningham erano ancora in rovina le camere
dei gargagriha laterali, il che spiega perch lo ritenne uno dei
rari esempi di un santuario dedicato al dio Brahma.
Nei
domini dei Chandella un tempio similare, con tre santuari in
onore di tre manifestazioni diverse del dio Vishnu, ricorre a
Makarbai, nei pressi dell'ulteriore loro capitale, Mahoba,
confinata ora nellUttar Pradesh.Il suggello di un richiamo
innegabile può essere il diamante macroscopizzato che
ricorre in entrambi i templi
( immagine del tempio di
Makarbai)
Portali,
trabeazioni, pilastri, sono uno sfarzosa ostentazione di motivi
ornamentali hindu secondo i modi in cui li
stilizzarono le maestranze Chandella, in volute serpentinanti e
ondulate, architravi reticolate a scacchiere,
che richiamano la loro
ricorrenza nelle trabeazioni della sala del mandap e del
portico d'accesso del più grazioso dei templi di
Chandpur, l'altra vicina capitale dei Chandella-, o
altresì impreziosite con rilievi di corolle di loto
dai larghi petali, di fiori cuspidati nell'intradosso, o
aggettanti con acuzie nella fascia sottostante, come si dà
nella trabeazione del portale d'accesso alla cella brahmanica,
mentre sono ovunque sovrastanti musici e danzatori, tra
colonnette che incastonano diamanti.
Kirtimukka figurano nel
rilievo a T maiuscola, dei pilastri, che riconnette vasi
fogliacei dell'abbondanza, secondo una variazione ch'era presente
già nei portali dei tempietti sulla via di Dudhai, mentre
nell' effusione vegetale dei vasi riaffiora un naturalismo
non ancora geometricamente stampigliato, secondo il diktat degli
standard di Khajuraho, ch'è tipico dell'arte Gupta fiorita
nelle vicinanze di Deogarh e Behati.
Di
particolare bellezza sono le colonne laterali del portale del
Garbagriha del dio Brahma, un dado dal design di eleganti
volute ne rinserra le spirali ascensionali del fusto, prima del
suo concludersi campaniforme, come campaniforme ne è il
capitello.
E ancora due tempi jain,
una statua di Varaha,
l'incarnazione in forma di cinghiale del Dio Vishnu,
con
tutto il complesso delle deità hindu arricciate
addosso come ne fossero i peli,
in una simbiosi di naturalismo
e simbolismo, che ritroviamo identica nella scultura più
grandiosa che fronteggia il tempio Laksmana di Khajuraho.
Sulla via poi del rientro,
la si lasci pure, Dudhai, ma per il rilievo dirupato
sulla sinistra della piana che ne fu d'ingresso, e si badi bene,
nell'aggirarne il profilo, di non discostarsene, tra le piste che
insabbiano. Solo così si raggiungerà,ora tra
un'orribile ingabbiatura di cemento, l'alta scultura rupestre
della incarnazione di Vishnu nel leone-uomo Narashima:
Spettacolare e impressionante,
più di quanto si possa oramai dire che sia bella, talmente
la superficie ne è stata erosa, al punto che le venature
della pietra sembrano fibre legnose.
Un horror a cielo aperto, il
dio digrignante nella sua ferinità appagata, non senza che
ne trapeli il gusto dell'eleganza, nei resti rupestri dei
diamanti che lo ornamentavano. Poco più o poco meno che la
propria sagoma di malcapitato tra le sue grinfie, ciò che
resta, invece, della presunzione di inattaccabilità di
Hiraniakashipu. . il Ricoperto d'oro, nemico impenitente
del proprio figlio adoratore di Vishnu. Né di giorno, né
di notte, né da un uomo né da un dio, né da
un animale, né dentro né fuori il suo palazzo,
avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva
accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo leonino, né
vero uomo né vero animale, sortito istantaneamente
dalle colonne del palazzo, dunque né da dentro né
da fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli,
ineccepibilmente.
Ed il crepuscolo è
l'ora ambigua del distacco e del nostro rientro, felice e
dolente, nella quotidianità di Lalitpur festosa di frutti
nei suoi bazar.
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28 maggio 2013
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