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In Patari Badoh, Eran, Udayapur

 

 

 

 

Solo il giorno avanti Khurai non era che  il nome di una località geografica che avevo appena rintracciato sulla mappa, il cui thesil, stando alle informazioni fino ad allora raccolte, si contendeva con quello di Bina la localizzazione al suo interno di Eran, il centro urbano più antico del Madhya Pradesh che con Kailash intendevo visitare prima della mia partenza dall’India, e pur se era risultato vero che il sito archeologico rientrava invece nel thesil  contiguo di Bina, al termine della mattinata seguente io e Kailash era presso l'autostazione appartata di Khurai che già ci ritrovavamo. Nonostante gli esiti degli accertamenti  avevamo infatti scelto tale piccola città come base di partenza per visitare con Eran i templi hindu di Patari Badoh e di Udaypur,  perchè  precedeva Eran provenendo da Sagar, nel cui distretto Khurai rientra,  e dove in autobus eravamo arrivati insieme a notte fonda.  Era accaduto che nel muoverci solo a pomeriggio inoltrato da Khajuraho, eravamo giunti a Chhatarpur quando non era più possibile, in giornata, via Tikamgarh pervenire a  Lalitpur,  da cui, secondo gli intenti originari, avremmo dovuto raggiungere le località archeologiche noleggiando un'autovettura, come già era avvenuto, per recarci nella sola Udaypur, alla fine del 2009 con i nostri piccoli Poorti e Ajay,  il cuore dolente di strazio per la morte di Sumit appena un mese prima, il 15 novembre

Se  partendo anzitempo da Khajuraho tale disegno si fosse compiuto,  ripartendo da Lalitpur con un autista locale ci saremmo ritrovati diretti a località che  erano di impervio  accesso per gli stessi conducenti del territorio dei thesil di Bina e di Khurai, sempre che  non figurassero a loro del tutto sconosciute, eccettuata la sola Udaypur, sicché con un autista di un altro distretto avremmo perso l'intera giornata solo per rintracciare almeno uno dei percorsi, rientrando in  Lalitpur, che rimaneva a notevole distanza, con un nulla di fatto o di parzialmente concluso.

Avremmo così dovuto raccapezzarci su come approssimarci nuovamente alle località monumentali dopo un intero giro dispendioso andato a vuoto, proprio mentre la localizzazione che si precisava dei villaggi contigui di Badoh e Patari, entrambi  nel distretto di Vidisha, come Udaypur, ma oltre 20 km più a nord, li situava in  posizione intermedia tra Udaypur e Bina ed ad una distanza da Eran che si ravvicinava, a dispetto di ciò che poteva indurre a pensare la ubicazione di Bina e di Eran in tutt'altro distretto. Tale ricognizione consentiva  di fare rientrare  il sito, insieme con le altre due località archeologiche, nel tracciato di un unico itinerario, sempre che esso avesse una sua base di partenza in Khurai od in Bina, al di fuori delle quali Eran o la stessa Badoh Patari, eccettuato per quest'ultima località il territorio di Vidisha, sarebbero risultate località ignote.

Dunque io e Kailash dovevamo sentirci beneficiati dal concorso di contrattempi che ci aveva fatto ritrovare nel cuore della notte in Sagar, dopo un viaggio in autobus in cui si era ripetuto lo sconquasso di quello che lungo le medesime strade mi aveva condotto senza la compagnia di Kailash alcuni mesi prima a Bhopal, pur se in Sagar avevamo penato a lungo nel vagare tra gli infimi hotel cui ci recava un conducente di tuk tuk inesperto, prima di trovare una sistemazione almeno decorosa.

Dall'animazione piacevole e multicolore di Khurai, che avevamo raggiunto in autobus con i bagagli appresso, era mia intenzione raggiungere innanzitutto Eran, via Nirtala, Silgaon, Lahatwas and Dhansara, come indicava un documento che avevo desunto da internet, ma con i miei propositi interferiva l’avvedutezza di Kailash, che pensava bene di entrare in contatto con un conducente del posto per il tramite di un negoziante o di un notabile che ci apparisse affidabile. La persona su cui ricadeva la sua scelta, per il suo ufficio o negozio stracolmo di incartamenti, ci chiedeva conto dei nostri intenti e conferiva con un primo, poi con un secondo conducente di tuk tuk, con il quale, per 1200 rupie, si prestabiliva che avremmo invece visitato nell'ordine  Badoh Patari, Udaypur, Eran.

La strada che ci recava ai villaggi contigui di  Badoh e di Patari era un lungo rettilineo dissestato, tra distese sterminate di stoppie, dato che si era di giugno e che al più ad aprile erano avvenuti i raccolti, il percorso intrapreso si rivelava senza remissione il darsi pena di un continuo sobbalzo,  che aveva termine solo dopo una ventina di chilometri, quando raggiungevamo le alture che si profilavano all'orizzonte.

Le aggiravamo lungo una strada sterrata che ci recava in prossimità del villaggio di Badoh, superando un complesso suggestivo di templi Jain.

Un muro esterno di cinta ne raccordava le celle sormontate da sikhara pancharatha, ossia scanditi da cinque  proiezioni,  mentre i singoli portici d'entrata dei sancta santorum erano ricollegati in uno stretto cortile porticato interno.

 

Oltre un vasto talab lacustre si profilava già la grande mole del tempio Gadarmal, ma ci tratteneva dal pervenirvi l'approssimarci al Solah Kambi,o (edificio) dei 16 Pilastri,

 

 una sala di cui i sedici pilastri che la denominavano sostenevano il tetto piatto. L'edificio era fatto risalire all'ottavo- nono secolo dopo Cristo, e data la sua prossimità allo specchio d'acqua, è invalsa la supposizione che fosse un arioso  locale di ristoro. Ne ornamentavano i pilastri i motivi di fiori di loto interi e dimidiati, gli ardha-padma,

 

rilievi di foglie di loto s'incurvavano insieme con i suoi capitelli, mentre fregi triangolari, gli ardha-ratna, e palmette, i tala-patra, ricorrevano nella trabeazione del tetto.

 

Il conducente, attenendosi alle indicazioni della gente locale differiva ulteriormente di  raggiungere il tempio grandioso oltre la distesa lacustre, per recarci a  visitare, nei pressi di Patari, dal cui centro abitato ci separavano ancora delle radure costellate di palme e l’altura spianata a tavoliere che  sovrasta il villaggio

 

 il complesso templare dei dieci avatars, una serie fascinosa di piccoli santuari in onore delle incarnazioni di Vishnu. Alla vista ci sono apparsi consistere, quali mandapikas,  per lo più  solo di una cella inclusiva di atrio, alcuni di essi erano aggraziati da un portichetto che li precedeva, mentre, con una sola eccezione,  erano tutti quanti sovrastati soltanto da un tetto appiattito.

 

 

 

 

 Per quanto di umili dimensioni , tali  minuscoli santuari presentavano  in versione assolutamente integrale  la partizione costante dei templi hindu in elevazione, la scansione nel basamento dell’adhishtana,  cui facevano  seguito la porzione muraria della jangha, e le fasce della varandika, ornamentate di  foglie cuoriformi e di palmette, prima delle lastre di copertura. L'adhishthana a sua volta era costituita di tutte quante le modanature della  sola vedibandha,- pitha o jadhya khumba con rilievi di foglie di loto, khura rettilinea,  kumbha e  kalasa arrotondate,  kapota a guisa di una gola di coronamento, ma nelle forme di quella al piede, il listello in conclusione  di una pattika, con volute vegetali.

 

 

 

 

 

 

 

La jangha era rivestita di una serie di proiezioni che in quella centrale e principale, il bhadra,  presentavano le immagini di avatars vishnuiti.

 

Nelle pareti laterali e retrostante di uno dei tempietti il bhadra centrale verteva su una nicchia tra colonnine, sovrastante il corso fogliare  di un parna-bandha, e postavi al riparo di una vistosa cornice, o chhadya, che racchiudeva un' incarnazione vishnuita. Su di essa si ergeva un frontoncino di archi carenati, o udgama, che nella sua prima fascia comprendeva un piccolo rombo. L'edicola era anticipata da una una prominenza delle modanature in cui era racchiusa una nicchia minore che includeva  lo schiudersi a fiore di un primo rombo, a sua volta sormontato dalle carenature del fastigio di un udgama minore..

 

 

 

 

 

La porta d’ingresso ai santuari era ornamentata canonicamente dalle fasce laterali degli stipiti, o sakhas, di cui quelle interne sovrastavano ineludibilmente le divinità fluviali Ganga e Yamuna con le proprie inservienti. Tali bande avevano un seguito nella trabeazione, al cui centro sulla cavalcatura di un Garuda o di un atlantico bhara-putraka si protendeva un immancabile Vishnu, tra fluttuanti vidhyadharas celestiali. Le fasce più interne erano costituite da  serpentiniformi Naga cordonati, oppure da ovuli e rombi, cui, direttamente o mediante un ricorso di motivi floreali, succedevano quelle centrali popolate da coppie o mithunas e da guardiani delle porte, gli  dvarapalas, più di quanto vi svariassero musici e danzanti celesti gandharvas .

Differiva da tale assetto uno dei portali più graziosi, preceduto da un portichetto di proporzioni eleganti, con due balaustre su cui poggiavano dei pilastrini fregiati di ghata-pallava, ossia di vasi della prosperità da cui tracimava fogliame rigoglioso.

 

 I suoi stipiti, oltre le fasce di due sakhas interni ornate di volute e di motivi floreali, sormontanti le divinità fluviali di Ganga e Yamuna e due naga-serpenti atteggiati nell’anjali*,  presentavano una colonna con spirali floreali, in luogo di mithuna e di gandharvas, come la consuetudine ornamentale induceva ad attendersi, che costituiva  uno stambha sakha  a tutti gli effetti, coronato da un festone di ghirlande di fiori similare ad un pushpa-mala,

 

 

 

 

 

 

Conclusa la visita e la peregrinazione tra le rovine,

 

 una volta lasciate le sparse vestigia dei santuari delle incarnazioni di Vishnu

 

 si  costeggiava il bacino lacustre, e al di là della vastità della sua distesa alfine si raggiungeva il  tempio Gadarmal, uno degli ultimi sublimi templi Pratihara, della fine del IX secolo dopo Cristo.

La sola sua vista era un'apparizione che folgorava Kailash in una rivelazione istantanea perentoria: " E' simile al Teli ka mandir di Gwalior e al tempio di Barwa Sagar" .

Una volta che aveva così stupefacentemente formulato tale intuizione di straordinaria intelligenza sintetica intuitiva, non sola mnemonica, egli  s'appagava di una ricognizione rapida del tempio e si traeva in disparte, com'è sua consuetudine, per colloquiare con i custodi. In effetti, esattamente come il Teli-ka- mandir di Gwalior ed il tempio Jarai Math di Barva Sagar, il  Gadarmal  presentava  una pianta rettangolare,  alquanto singolare. Avesse conservato la sua sovrastruttura originaria, come il Teli  ka mandir ed il suo minuscolo precursore che ci restava da vedere, il tempio 20 nella valle di Naresar in prossimità di Gwalior  forse sarebbe apparso sormontato da un valabhi sikhara voltato a botte.

Il tempio, di forme  pancharatha, secondo una scansione in cinque proiezioni sia delle pareti che  del sikhara, in conformità con tale suo assetto rettangolare campeggiava dilatato nel santuario del garbagriha, rispetto alle restrizioni del vestibolo, della sala del mandapa  e della sala del portico d'ingresso dell' ardhamandapa, traendo magnificenza dai sette templi minori che l'attorniavano  sulla  piattaforma della jagati.

 

All'ingresso dell'area templare, i resti di un portico ch'era presumibilmente connesso con un muro di cinta precedeva la  jagati, al di là dei cui gradini d'accesso si ergevano i pilastri di un  portale, a guisa di torana, la cui entrata era vigilata da due figure leonine,

Oltre il torana, la cui colonna occidentale nella sua parte conclusiva era esaltata dalle celestiali bellezze di alcune sala-bhanjikas e da dei leoni rampanti, 

 

 

e al di là della distesa iniziale lastricata della piattaforma,

 

 il portico d'accesso al tempio, al pari della sua mole retrostante, appariva di un grigiore fulgido di fulvi bagliori, che ne impreziosiva la raffinatezza dell'intaglio ornamentale.

 

 

 Quattro pilastri con protomi di teste di elefante, o gaja-mundas, rinserravano i lati del  portico d'entrata,

 in cui all'elevazione del bancale obliquo della kakshsana, sopra un'alta balaustra, concorreva la molteplicità di modanature del basamento dell' adhishtana, identiche a quelle che ricorrevano in esso lungo tutta la fabbrica del tempio.

 

 

Esso era articolato in due serie,

concluse entrambe con il magnifico fregio  di foglie,di parna-bandhas, di essi  quello inferiore era messo in risalto dalla ricorrenza rientrante di un'antarapatta di palmette, o tala-patra, cui faceva seguito orizzontalmente il graticcio di un jalaka, all'altezza della sala seguente del mandapa. La serie superiore costituiva la vedibhanda, nella successione canonica, delle modanature di  khura, kumbha, kalasha, kapota e pattika, cui  erano sovrapposti i frontoni degli udgama di archi carenati. Su tale basamento, suggellato dai rilievi di foglie della parna-bandha  terminale, si stagliava  la vedika intermedia, formata di  pilastri intervallati da scacchiere reticolate, i jalikas, e volute rampicanti.

 

Sulla obliquità della Kakshasana superiore si sopraelevavano successivamente semipilastri ornati con fasce di vidyadharas semidivini, che recavano festoni celebrativi di ghirlande, e con le coppe dell'opulenza dei ghata pallava, li sormontavano  capitelli scanalati, o bharani, sottostanti a delle mensole in cui  erano scolpiti kirtimukkas.

 Sono essi  i mostri dal volto leonino, eruttanti festoni, la cui apertura delle fauci simboleggia la bocca della "luce del mondo" da cui esce questa vita e in cui se ne rientra, per ciò che può rivelarsi la porta della liberazione o le mascelle della morte ( si veda di  Guenon, in tal senso,  La scienza sacra, alla pagina 319 dell'edizione italiana).

Di straordinaria bellezza erano i pilastri seguenti del mandapa,

 in virtù delle modalità in cui vi era arricchito l'ordinamento  precedente dei semipilastri frontali del portico d'ingresso, che i pilastri del mandapa replicavano nella parte superiore corrispondente. 

 

 

Sul basamento, ergentesi su una modanatura ornamentata del motivo di padma-patras fogliari, come vari  tempietti dei 10 avatars di Vishnu,  ed iterativo delle modanature tipiche della vedibandha- khura, kalasa, kumba, kapota-, e fregiato su ogni lato di una nicchia con udgama, traboccava e tracimava meravigliosamente il fogliame del vaso dell'abbondanza di un ghata pallava, sopra il quale il pilastro assumeva nel suo fusto una sfaccettatura di sedici lati. Sulle sue superficie  i mostri soverchianti dei kirtimukkha riversavano  a scanalature alterne  le catene cordonate di campane dei gantha mala. Li sovrastavano altri kirtimukka contratti nelle proiezioni tetragone lungo il pilastro, da cui emanavano agli angoli le semidivinità serpentine di nagas oranti.

 

Scannellature sovrastate da calottine preludevano  ad ulteriori meravigliosi ghata-pallavas di vasi di vegetazione effusiva, sopra i quali la profusione scultorea, similare a quella incessantemente emanativa del divino, si faceva ancor più esuberante nello sporto di una serie di atlanti ( i bhara-putrakas) e di vidhyadaras* , traboccava in altri vasi di opulenza, prima ancora che in tutto e per tutto come nei semipilastri del portico, promanassero i capitelli con echini costolati, o bharani*, ugualmente sormontati da un abaco in cui defluivano ulteriori festoni dai kirttimukkas. Solo a tal punto si sovrapponevano le trabeazioni, di cui era di mirabile leggiadria la trama delle perforazioni di jalakas reticolari e delle  orlature doppie dei fregi triangolari di semirombi, (o ardha ratna)), nonche dei motivi di petali di loto (o padma-patra).

 Pervenivo così al portale.

 

 Soggiacenti alle fasce sussistevano sconnesse le lastre di rito delle dee Ganga e Yamuna,

 

con la relativa cavalcatura, il coccodrillo e la tartaruga, assistite da un'inserviente che le gratificava di un'ombrella parasole e da una guardiana della porta munita di spada. Sovrastavano Ganga e le sue sodali, situate sulla sinistra,  una superiore divinità naga  serpentiniforme ed una coppia  di hamsas, od oche selvatiche,  con una ghirlanda nel becco, quale l'avrei vista ricorrere nei templi Pratihara affini della valle di Naresar e del Teli-ka-mandir. Oltre il gruppo consimile e complementare di Yamuna

 

 presidiava l'altro stipite un tremendo Bairhava,

 

 che ostentava una collana di teschi e recava un tamburello rituale, o damaru. 

 

Sopra le formelle delle dee fluviali, ad una prima fascia di rilievi di petali di loto ne  subentrava una seconda di nodi di serpenti tortili, risolti verso l'interno in un loro  risvolto facciale di nagas adoranti, un intrico mirabile nella sua elasticità scultorea,

 

 una terza di terne dei contenziosi di figure amorose, sostenute nei loro comparti dall' atlante soggiacente di un bhara-putraka, cui faceva seguito lo stambha saka di un pilastro compreso tra i vasi della prosperità di due gatha pallava e guarnito della cordonatura con campana di un ghanta mala, pendente da un kirtimukka sovrastato da un ardha-padma, il motivo di un fiore di loto dimidiato. Allo stambha saka succedevano un' ulteriore fascia di coppie o mithunas, ed una finale, il  bahya -sakha,di volute di rampicanti.

 

Le prime tre fasce continuavano nella trabeazione, dove nella terza di tali bande comparivano dei vidyadharas volanti che rendevano omaggio alla divinità del tempio, non già un dio della trimurti con il contrappeso ai lati degli altri due numi che nel vincolo trinitario di Brahma, Vishnu e Shiva  si interpenetrano, ma una dea quanto mai  bellicosa, guarnita di spada, o khadga, di scudo ed arco,

 

 con un seguito ancillare ai contrapposti angoli dell'architrave. Un leone affiancato ai suoi piedi, corrispettivo ad un cespo opposto di foglie, la disambiguava come la Dea Durga.

La sua collocazione centrale, presidiata da due guardiane femminili, era l'indizio più certo che l'arcano numinoso del tempio traeva origine dall'essere dedicato alla Dea Madre nelle sue plurime forme.

Sovrastanti stavano due splendidi fregi di elefanti che liberamente si sfrenavano ed impennavano, od altrimenti che degli uomini provetti cavalcavano od affrontavano, appiedati con scudi oppure a cavallo.

 

 

 

I pilastri e le trabeazioni dell'antarala ripetevano i lineamenti e i motivi di quelli del mandapa,  mentre nel garbagriha  ritrovavo tali pattern in una successione di  nove bande superiori, una di rilievi di foglie di loto, ( la padma-patra), due di fregi triangolari, ( o ardha-ratna), una seguente di trame di foglie ( parna-bandha), una ulteriore di palmette ( tala-patra), un cordone  di campane ( ghanta mala), un  reticolato ( jalaka), una successione quindi di lumas, ossia di pendenti a forma di vasi, alfine di nuovo una duplice serie di fregi triangolari ed a guisa di foglie di loto, iterativi di quelli iniziali. Nel soffitto figurava un medaglione a forma di  loto con kirtimukkas agli angoli.

 


Rilevanti apparivano  le dodici  mensole che sporgevano  all'altezza del parna-bandha dei motivi fogliari, infatti ad esse corrispondeva, sottostante, un piedistallo che correva lungo tutte le pareti, il quale presentava perforazioni che potevano essere servite a porvi statue quali quella di una divinità femminile con un bimbo in braccio, rinvenutavi a suo tempo da Beglar e Cunningham.

 

 Secondo l'ammirevolissimo R. D. Trivedi -in Temples of the Pratihara period-, tale supporto rafforza l'ipotesi che come gli altri pochi templi Pratihara il cui santuario è a pianta rettangolare, quali il Teli-ka-mandir od il tempio Jarai Math di Barwa Sagar, il  Gadarmal  presenti tale configurazione architettonica perchè era destinato ad  ospitare tutta una serie di immagini delle diverse personificazioni dell'energia o Sakti della Dea Madre, al pari dei Chausat yogini mandir, che albergavano le sue manifestazioni delle sessantaquattro Yogini.


Tornato all'esterno, lungo le pareti della cella del garbagriha vedevo ricorrere lo stesso basamento, o adhisthana, del portico e dell'ardhamandapa, suddiviso in due sezioni da una  modanatura ugualmente contraddistinta dalla vistosità del rilievo fogliare della parna bandha.

 

 L'unica variazione di rilievo erano i kirtimukkas che figuravano agli angoli delle testate o tulas del kalasa nella partizione sovrastante, all'altezza della proiezione centrale del bhadra e di quelle adiacenti dei prati-rathas.

 

 

 

Mentre nella partizione  inferiore del basamento solo in corrispondenza della proiezione centrale, o bhadra, figurava una nicchia con immagini di coppie, o mithuna,  in quella superiore anche le proiezioni  intermedie, o prati-rathas, e quelle agli angoli, o kharnas, presentavano una propria nicchia, svuotata della propria effige quella dei bhadra, ad eccezione di quello occidentale ove figurava Ganesha, mentre recavano all'interno coppie o mithuna, o figure di celestiali surasundaris quelle dei pratirathas intermedi, le immagini degli asta-dikpalas i karnas  agli angoli. Tali edicole erano coronate con i frontoni, di alterna altezza, di udgamas di archi carenati.( Tale altezza in quelli centrali, e agli angoli, era elevata dal raddoppio del kapotika posta alla base, il cui duplice corso era stato inframmezzato da un tula-pitha, con testate di boccioli di fiori di loto. Gli stretti e pur lunghi udgamas  dei pratirathas intermedi, pilastriformi, li  avevo già ravvisati nei templi del sole di Madhkera e Umri, nel tempio Chaturmukha di nachna o nel tempio Maladevi di Vidisha, e li avrei ritrovati nella concertazione armoniosa delle sue proiezioni del tempio Jarai Math di Barwa Sagar).

 

 

 

Per ogni proiezione, ad ogni nicchia ed udgama terminale del basamento corrispondeva quindi una nicchia superiore lungo il muro della jangha, disposta tra pilastri ed una cornice. Quella del badhra centrale vi figurava più ampia di quelle laterali, più strette ed allungate nei loro udgamas, che l'affiancavano in serie alquanto ammalorate e malamente restaurate, al pari della elevazione ulteriore del tempio.

 


Nei sette tempietti circostanti,

 

 

 

particolarmente significativa era la frequenza con cui vi ricorrevano immagini scolpite di divinità shivaite, quali Ganesha e Kartikkeya, e di quelle femminili di Chamunda e Parvati, intenta nella penitenzialità della panch-agni tapas,

 

 

 

a conferma della congettura che il gran tempio fosse dedicato al culto della Dea Madre.

 

Di ritorno all'ingresso, lungo le pareti della piattaforma prossime al torana la statuaria superstite era l'attestazione più alta della qualità eccelsa delle opere che furono richieste alle maestranze  impiegate nell'edificazione del tempio.

 

 

 

 

 

 

Lasciato l'incanto del tempio Gadarmal quando il cielo già volgeva al tramonto,

 

 

ci inoltravamo solo allora verso Patari. E' Patari un grande villaggio che si protende tra le pendici di due alture, inerpicandosi in serpentine lungo i loro pendii, mentre nell'avvallamento che tra di essi intercorre, il suo abitato si espande insieme con la distesa di un vasto talab, costellato di templi lungo le sue rive.

 

 
In  Patari potevamo ritrovare agevolmente i due templi che ci restavano da visitare.

ll tempio cosiddetto di Shiva  ch'è vicino al pilastro altissimo del Bhimagaja,

 

 

 

affiancato da due lapidi rievocative del sacrificio muliebre della sati,

 

 conservava del suo impianto originario solo il santuario dal tetto piatto, senza più sikkhra, e non  più che il basamento, del portico o della sala che lo precedeva.

 
 

La cella presentava un portale di tre bande laterali,

 

 

sugli usuali rilievi dei gruppi delle dee fluviali Ganga e Yamuna, della loro inserviente che recava a loro gloria il parasole, di una figura minuscola e di un guardiano delle porte,- lo dvarapala-, sormontati da una coppia di hamsas con una ghirlanda nel becco. Sui  loro assembramenti un bhara putraka assolveva al compito telamonico, di reggere la successione di coppie dei mithuna della saka centrale, ch'era preceduta  da una prima fascia interna di rilievi serpentiniformi, o naga saka, e da una seconda di eleganti volute vegetali, la patra-sakha,  reiterata in scala maggiore dalla fascia più  esterna, la baya sakha, che evolveva da un vaso ricolmo d'acqua e foglie, simbolo di prosperità, incorniciando il ricorso delle precedenti bande negli stipiti e nell'architrave. Nella sua trabeazione alle coppie amorose succedevano celestiali  vidyadharas che con i festoni delle loro ghirlande celebravano l'insediamento al centro del dio Vishnu su Garuda,

 

disvelando le recondite origini vishnuite del tempio. Le sembrava confermare, secondo il parere concorde degli storici dell'arte, un'iscrizione incisa sul grande pilastro Bhimagaja nei pressi del tempio, che ad un re di nome Parabala attribuisce la fondazione di un tempio in onore di Sauri, ossia di  Vishnu,  proprio in prossimità della garuda-dhvaja identificabile nello stesso pilastro. Niente, altrimenti, riservava il tempio, che non figurasse compitamente canonico. Concludevano anonimamente il portale, che forse un tempo era quello d'ingresso al mandapa precedente, i rilievi abrasi delle nove divinità planetarie.

L'adhisthana stessa era scabramente ordinaria, nella successione di rito delle sole modanature della vedibhanda ( khura, khumba, kalasa, kapota).

 

 Dentro le nicchie permanevano un Ganesha estasiato dalla danza e Indra, con il suo veicolo elefantino, Airavata, nella nicchia d'angolo volta ad est, a conforto della supposizione che tutte le edicole agli angoli ospitassero gli dei vedici dikpalas, guardiani delle otto direzioni.

Più completo e coinvolgente si rivelava il tempio Kutakesvara.

 

 

 

Esso consisteva del santuario del garbagriha, del vestibolo dell' antarala, del  sikkara che li sormontati da un sikkara, nonche del portichetto che li precedeva, rimarcato dalla cornice sporgente. Tale ardhmandapa era retto da quattro pilastri, dei quali i due interni ostentavano uno dvarapala ed un Bhairava temibile quanto ugualmente protettivo, che  era stato raffigurato con il tamburello del damaru ed un bastone pomellato da un teschio. La ornamentazione sommaria dei pilastri risultava costituita eminentemente da due vasi della prosperità, di cui il superiore era preceduto da una testata con kirtimukka, ne emanava una catena con campana, ricadente sulle sfaccettature intermedie del pilastro. Sormontavano il  prominente kirtimukka ed il vaso ghata pallava i motivi ornamentali dilatori di  un  esiguo fregio di  foglie, o parna bandha , e di un  corso di semirombi, o ardha ratna, prima che apparisse  sovrapposto un  capitello bharani con scanalature.

 

 

Al di sopra dei rilievi d'obbligo di Ganga e Yamuna,

 

 le cui inservienti femminili erano forzosamente allungate nel proteggerle e nel celebrarne la gloria con un parasole, sovrastate da una coppia di hamsas con una ghirlanda nel becco,

 

 cinque, per lato, figuravano essere le fasce che fregiavano il portale, di cui quattro avevano un seguito lungo l'architrave e l'ultima era volta ad  incorniciarlo,  una prima fascia interna di rigogli vegetali, una seconda di nodi serpentini, o naga sakha, una terza di musici e danzatori, una ulteriore di coppie o mithuna, su tanti piedistalli, rette da atlantei bhara- putrakas, l'ultima di sinuosità vegetali, emergenti da vasi della prosperità,  in una mobilitazione ascensionale che raggiungeva il suo acme centrale in  Shiva Nataraja. Attorniato da semidivini vidyadharas era intento alle movenze della danza cosmica che tutto origina e annichilisce. Al di sopra dell'architrave si sfrenavano in essa le figure femminili di alcune  delle sapta matrikas,  tra le quali era ravvisabile Ganesha.

 

 

Nell'impianto in verticale del tempio, su un basamento costituito dalla sola vedibhanda - ossia delle modanature standard di khura, kumbha, kalasa, kapota e pattika-, si elevava una jangha triratha, scandita da tre proiezioni, di esse il solo  badhra centrale era implementato di una nicchia,  la coronavano una gronda, o kutha-chhadya, ed un udgama di archi  carenati.

Nelle edicole ricorrevano immagini di Karttikeya, con il pavone per veicolo,

 

di Ganesha esuberante,

 

 

e del dio Surya

ravvisabile per il duplice loto che recavano le sue mani superiori.

 

Oltre la pushpa-mala di  fiori e di ghirlande che concludeva la parete, la varandika che si interponeva tra la jangha e il sikkara era costituita da una kapota ornamentata dalle carenature di thakarikas , da un recesso di fregi triangolari- gli ardha ratna-, da  una modanatura fregiata con motivi in rilievo vegetali, la parna bhanda, e dalla fascia rientrante ulteriore di un'antarapatta di palmette, o tala-patra.

La sovrastava un sikkara in forma piramidale di phamsana, con tanti piani costituiti da delle kapotas ornate di thakarikas. Un' antefissa, sopra la facciata anteriore, incorniciava una figura in posizione sciolta lalitsana, tra rombi ed archi carenati.

Ma  è al suo interno che il tempio riservava ciò che racchiude di più emozionante, un gruppo scultoreo shivaita similare a quello che avevo ritrovato in Pali, nei paraggi di Lalitpur, tra Dudhai e Deogarh. in cui Shiva  assumeva i volti di tre delle sue manifestazioni principali, nel sembiante di Tatpurusha o“ Spirito supremo”, in  relazione con la terra, di sublime intensità meditante, di Aghora alla sua destra, nel  suo aspetto spaventoso di Shiva dissolutorio, di Vamadeva o Umamurti alla sua sinistra,

 soavemente femmineo poiché Shiva vi è tutt'uno con  la delicatezza gentile della consorte Parvati, sua controparte femminile indissociabile.

Alla stregua del tempio di Shiva - in realtà vishnuita vicino al Bhimagaja, il Kutakeshvara per gli storici sembra risalire al nono secolo dopo Cristo e precedere il Gadarmal.


Già calava sul tempio l'oscurità, per cui era giocoforza desistere dagli irrealistici intenti originari, di vedere in un sol giorno anche il tempio Neelkantheshwara di Udayapur e i reperti di Eran, con il ben felice assenso del conducente, che sulla loro irrealizzabilità faceva affidamento per guadagnare le sue rupie grazie al minimo dispendio ipotizzabile di carburante. Si rimandava così all'indomani la visita di Eran, Udayapur, rientrando in Khurai per pernottare in Bina, poco distante, che sarebbe divenuta la nostra base di ripartenza.

 

 

 

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