Index Il Tempio Ghantai  di Khajuraho gennaio 2016
 

 
     
   

 

Il Ganthai mandir,

 

nel suo profilarsi ai margini della via che si diparte dall'incrocio che una volta che si sia lasciato il complesso degli altri templi jain, o prima di giungervi, consente di raggiungere il borgo della Khajuraho antica, appare come  l' enigma architettonico più fascinoso e arcano tra tutti quelli che riservano i templi di Khajuraho, nella magnificenza assoluta dello splendore armonioso dei resti che sopravanzano alla sua antica grandezza,

 
 

 che pur nella loro lacunosità ne fanno alla stregua dei suoi pilastri dal cui motivo delle campane pendenti da catene trae il nome, uno dei brani più memorabili dell'arte dell' India medioevale, per echeggiare le parole di Krishna Deva.

Già il Fergusson ebbe a dirne quanto fosse " remarkable for ist extreme elegance", benché non si presentasse, secondo altrui parole, che " come uno scheletro senza carne" " In the beauty of they form and proportion and the chastness of their ornamentation",  quanto ai suoi pilastri che campeggiano nella sua rovina, "they evince  almost a classical dignity".

 Le sue istanze furono decisive nel distogliere il gran maggiore Cunningham dalla persuasione che il tempio, fosse buddhista ,  quale forse era  in effetti originariamente, una supposizione che nel fondatore dell'Archaeological Survey of India era stata originata dal rinvenimento di una statua del Buddha, ora nel Museo archeologico di Khajuraho, proprio nelle immediate adiacenze del tempio, inducendolo a considerare invece l ipotesi che fosse in realtà un tempio Jain, così come di fatto è pervenuto a noi. Alexander Cunningham che in una precedenza visita non aveva potuto mettere in luce l' interno del tempio perchè era adibito a granaio, nel 1876-77 insieme allo stesso Fergusson aveva proceduto a una serie di scavi all' intorno ed all interno del tempio, che portarono alla luce una ventina di statue, in larga misura dei profeti Tirthankaras o di Yakshas o Yakshini loro attendenti,  undici delle quali  erano riconducibili alla setta Digambara. L'iscrizione che recava una di una di esse, che rappresentava Adinath, il primo dei Tirthankaras,  la riconduceva  al Samvat 1142 ( 1085 e.c.),  e faceva  risalire a un' epoca tarda la stessa edificazione del tempio, in forte contrasto con la natura arcaica del motivo saliente dei suoi pilastri, le ghantai appunto

Campane in festoni di ghirlande o pendenti da catene fuoriuscenti dai volti di gloria di kirtimukkas, ricorrevano già nei templi in pietra dell'India centrale e nord occidentale  dei loro albori Gupta, mentre non sono più rinvenibili nei templi dei sovrani Chandella di Khajuraho, dove si persero via le tracce  pur anche degli altri motivi più illustri e significativi che fecero lo splendore dei templi dei Pratihara, i regnanti da cui  i Chandella si emanciparono , quali i tulas, a memoria delle testate delle trabeazioni lignee originarie, i nastri di ghirlande di fiori, oltre che di campane - i gantha o puspa malas al trapasso finale delle pareti, o jangha , nella varandika che prelude alle sovrastruzioni superiori,   i vasi dell'abbondanza, o ghata pallava, alfa ed omega dei pilastri badhrakas,  o l'acuzie degli udgamas  di archi carenati lungo le proiezioni laterali, rinvenibili questi ultimi , così come un gatha pallava in una sua sommità , solo nel tempio Lakshmana di Khajuraho, a contrassegno di quanto sia attempato rispetto agli altri grandi templi di Khajuraho di cui è il capostipite ( 930- 950 e. c), ad opera di re Yasormavan, come attesta la lapide filiale ora di lato nel mandapa del tempio.

Forse sarebbe stato illuminante, più che ricondurre il  fantasma architettonico del Ganthai mandir all'artefazione residua di un tempio ibrido quale il Parshvanath, per farne il suo antecedente, ragguagliarlo ai templi jain Pratihara almeno della regione. Tra di essi quello Santinath, di Deogarh , avrebbe rivelato una  ricorrenza corrispondente di campane gantha lungo le sue proiezioni parietali, ove compaiono intervallate da trafori di tralicci di jali, una trama, che nostro malgrado, potrebbero indurci ad adombrare nell'oscurità di un gudhamandapa circostante l invaso solare che rende così fulgida di gloria celeste  l'apparizione  magnifica di eterne divinità remote o dei pilastri, al pari di altri recessi,  di apparati monumentali quali quelli che in Sihonia, o Ajaygarh, sono stati disvelati alla luce esterna dal franare dei diaframmi murari. Da tali ragguagli mi chiedo se piuttosto  non avrebbe tratto giovamento, come suppongo,  l'orientamento a ricondurre  ad un'epoca  precedente lo stesso tempio Parshvanath il Ganthai mandir, a trapasso del potere appena avvenuto in Deoghar, od in Khajuraho, tra gli antichi signori Pratihara e i novelli Chandella.

 La grandiosità dì un tempo che trapela pur da così pochi resti, doveva  apparire  ancor più imponente  in virtù  di una piattaforma che ora giace interrata, la quale involge con se larga parte dello stesso basamento dell'adhishthana. Ne fuoriemergono  la parte superiore di un jadya kumba, o cyma recta inversa, il profilo affilato di un karnika, il recesso di un antarapatta con rombi diamantini alternati a pilastri, un jadya kumba finale fregiato come un pattika di volute fogliari cuoriformi. A ben vedere le modanature piatte di due bittha sembrano soggiacere a tali risalti.

 

S'erge a noi dinnanzi ora il portico d'entrata,  l'ardhmandapa, in cui campeggiano i magnifici pilastri.

 

Si elevano su un loro triplice  basamento ottagonale,

 

il primo un kura  o upapitha fregiato di rosette, volute, petali di loto, il secondo un kumba adorno di carenature di archi chaitya a ferro di cavallo, i takarikas, cui fa seguito il toro di un kalasa privo di qualsiasi ornamentazione , che un recesso separa da un kapotika con takarikas e coronamento anulare.

 Il pilastro che a tal punto inizia a stagliarsi , secondo un decorso canonico quando è misraka, ovvero  mistilineo,

 

 

si si sfaccetta dapprima in otto lati che raddoppiano presto a sedici,  per adornarsi poi della fascia di un primo  madhya bandha ottagonale di transizione, oltre il quale il suo fusto si fa circolare.

 

Tale madhya bandha, da cui è rinserrato, è forgiato in una ghirlanda di festoni che erompono da kirtimukkas, tra cui si affrontano dei vidyadharas  atteggiati in anjali mudra, intenti a reggere ghirlande o a recare strumenti. Una replica di tale profilatura funge da supporto al coronario di  lumas pendenti, mentre l'intero madhya bhanda si protubera  verso l interno in una mensola reggilampada , che un butha ostenta di reggere.

 
 
 

 

 

 

Sul fusto circolare che se ne svincola si stagliano quindi a discendervi sotto di un madhya bandha conformemente anulare, le  più mirabili catene di campane, tra boccioli di loto, insieme con ghirlande di festoni di campanule alternativamente emanate da kirtimukkas, oppure  pendule tra i boccioli, e i loro steli, da colonnine intorniate od  inquartate da vidhyadharas, da asceti o mithuna di amanti,

 

Nella sua fermezza che tende  la catena da cui pende, tra il fluttuare invece dei fiori di loro con il loro stelo, la campana , come già è presente nei templi hindu, appare simboleggiare la stabilità  dell'essenza del principi o ordinatore del cosmo,  per il tramite delle catene di anelli delle successione causali, rispetto alle manifestazioni mutevoli ad ogni spirare di vento quali dei fiori, che nella loro caducità eppure ne vitalizzano l'irradiazione, grazie all energia vitale che l'irrora degli steli di linfe.

Nella  formalizzazione stilistica degli stessi steli di loto si è rarefatta la viridiscenza naturalistica di cui traboccava il turgore di  fogliame e infiorescenze d'epoca Gupta,  ma la vita vi è ancora splendidamente rappresa, nello scompiglio in cui il soffio di un vento vedremo nel portico interno sommuovere le campane in un sospeso dibattersi.

 

Ancora il fusto saliente, ed è la volta di un altro madhya bandha , in cui si è di ritorno a fogge ottagonali, e i cui festoni che rutilano dai kirtimukka fanno da cordonatura  arcuata alle movenze da giostra di cavalieri oppositi.sul dorso di vyalas.

 

Un altro tratto ulteriore di  colonna levigata, ed un madhya bandha ingentilito di rosette e fregi di triangoli è il successivo  collare  che torna a farsi circolare,

 
 

aggettando  in mensole di atlanti , cui fanno seguito ancora la preziosa eleganza di due fasce  ottagonali , in cui è raffinatamente foggiato il quarto dei madhya bandha della sezione  a guisa di colonna del pilastro, l una festonata  di ghirlande che racchiudono semi-fiori di loto, l'altra di  fulgenti rosette,  prima che al fusto colonnato facciano  seguito le minute scanalature  vibranti di amalaka e padma compositive del  più classico capitello bharani, sormontato dagli atlanti energumeni , intervallati da naga adoranti, di mensole concluse dai rilievi di petali di loto e perlinature.

 

Tali capitelli sorreggono una trabeazione decorata con bande di volute di fiori di loto e di kirtimukkas, prima di una terza bandha del tutto piana.

 
 

Su di essa corre un fregio interno in cui si susseguono devoti, musici, danzatori, elefanti, con al centro una immagine di Jain nei lato nord e sud, quelli di fianco.

 

L' ìntrigante soffitto, di un tipologia che non ha riscontri in Khajuraho, per Eliky Zannas raffrontabile solo con  quelli Chalukya . è compartimentato in pannelli rettangolari, quali battenti di porte, lungo le giunture della cui  intralicciatura ricorrono fiori di loto in rilievo,  mentre nei lacunari di un cassettonato esterno si esibiscono musici e danzatori fiancheggiati da coppie, in uno più interno ricorrono volute astratte. Al centro delimitano un riquadro adornato del triplice schiudersi di kola floreali cuspidate.

 
   
 
   
 
   

Tra la magnificenza di tale arioso portico d'entrata ed il portale  seguente d'accesso al mandapa che viene campeggiando alla vista, s' interpone un vestibolo,  che il raccordo dei pilastri interni dell'ardhamandapa  con due paraste di lato a tale portale, su cui si fronteggiano due dvarapalas,

 
   
 
   

e  di questi con dei corrispettivi  pilastri parietali , scandisce nelle campate di  tre chatuski,  tutti e tre come  " vestiti d'aria", in assenza di diaframmi intermedi,

 
 

 quello più largo, centrale, destinato a rimandare dal porticato esterno a quello della piattaforma interna al mahamandapa e quindi alle vestigia  del santuario perduto del garbagriha, quelli laterali, in cui si espande  il basamento del portico d'entrata, un tempo a prospettare  presumibilmente l'accesso e l'uscita  di un deambulatorio interno che correva intorno al santuario, Ad esso avrebbe fatto capo l ampliamento corrispondente del mahamandapa, le cui pareti continuavano quelle che racchiudevano il vestibolo in un involucro murario che mi è lecito immaginare che fosse senz'altre aperture di luce che i trafori pietrosi di jali, tanto ai lati di un chiuso gudhamandapa che  lungo il deambulatorio, il che è forse la ragione dei portalampade  aggettanti che vedremo pendere da ogni pilastro interiore.

I  pilastri laterali ed interni del vestibolo, da cui si affacciano sul versante volto ala campata del chatuski intermedio le effigie di due dvarapalas,

 
   
 
   
   

 hanno grezze forme badhraka, che abbozzano un rilievo rettangolare centrale con due testate sormontate dai soli profili di due vasi dell'abbondanza, cui fa seguito una sezione attica , o uchchalaka,. A tali rilievi rudimentali  corrispondono capitelli e mensole spoglie, in conformità con la più dimessa arte di provincia dei primordi Chandella, così come si configura nelle paraste dei templi di Mau Suhanya o di quello di Lalguan in Khajuraho, di cui più ancora rudimentali sono solo quelli in granito, di supporto,  oltre il portale d'accesso al mahamandapa. La chiarità di quelli esterni, lasciò supporre a K Deva che  li salvaguardasse un  rivestimento murario. come sarebbe occorso anche ai tratti terminali, all'altezza nei due chatuski  laterali, della trabeazione che reggono le paraste interne del vestibolo, di lato del portale , mentre nel  tratto centrale vi ricorrono un fregio sottostante di volute e uno superiore di kirtimukka 

Il portale d'accesso al mahamandapa

 

ci consente quindi alla sua base di sedere o di ritrovarci accanto alle dee Ganga e Yamuna, l una alla propria sinistra,   l'altra alla propria destra, in acconciatura dhammilla,

 
   
 
   

come consentono di identificarle i loro veicoli animali, un coccodrillo makara , Ganga, una tartaruga ,Yamuna. Le due dee sono affiancate da una chauri-dharini intenta a reggere una scaccia-mosche sul lato esterno, cui, a custodia dell ingresso, fa seguito uno dvarapala, munito di gada, oltre al fiore di loto che reca superstite, cui fa da rinforzo un ulteriore dvarapala per lato, al di sotto dell'ultimo saka e dei contorni esterni al portale.

 
   
 
   
 
   
 
   

Sopra le chauri-dharini è incastonata una coppia di Kinnaras, un unicum, credo, in tale dislocazione,  nei templi tutti quanti di Khajuraho, mentre non è raro ritrovarli in quelli anteriori Pratihara, a ulteriore indizio probante dell'arcaicità del tempio.

 
   
 
   

Fregiano la soglia volute di loto nella proiezione centrale, l'udumbara, affiancate da una duplice Sarasvati con sole due braccia, cui nei recessi si susseguono su uno loro kari-makara sei divinità acquatiche con la giara dell'acqua, cui subentrano contrasti gajasardula tra elefanti e mostri ibridi, ,mentre sotto gli dvarapalas esterni ricorrono scene di danze e di musica.

 
   
 
   

Il portale cui si risolleva la vista é di una impaginatura  maestosa, nel succedersi d'ordinanza dei sette sakas delle bande laterali, la prima una fascia di rosette, la seconda e la sesta istoriata di vyalas, la terza e la quinta di ganas intenti alle danze o a suonare strumenti, la quarta in guisa di pilastro, uno stambha saka lungo il quale ricorrono mithuna, coronato di un capitello con un affilato karnika e un padma lotiforme. Il settimo saka è un viluppo fogliare quanto mai  plasticamente protuberante, affiancato da un fregio di ganas che sono analogamenti intenti ai suoni e alle danze quali quelli del terzo e del quinto saka.

La trabeazione retta dallo stambha saka

 

vede campeggiare al centro Chakreshvari, la Yalshini del primo dei Tirthankarar Neminath o Rishabanath, come attestano il veicolo su cui è insediata, Garuda e gli attributi che recano le sue otto braccia, tra i quali primeggiano un sankha e quattro chakras vishnuiti , completati da un frutto, una freccia, un arco. Nelle nicchie alle due estremità compaiono Jaina, laddove fungono da rappresentazioni intermedie alla destra di Chakresvari le nove divinità planetarie ed alla sua sinistra gli Ashtavasus vedici che nei templi hinduisti di Khajurahio sovrastano agli angoli cardinali le divinità guardiane del tempio. Sono otto quanto tali dikpalas,  in abhaya mudra e con un  vaso d'acqua lustrale, a rammemorarci che i jainisti si rivolgevano alle divinità  hindu per le  cose di questo mondo, cui nella loro attinta dimensione  fuori  dello spazio e del tempo restavano estranei i loro Tirthankaras.  E quindi, come nel tempio Adinath, il fregio sovrastante, del più vivo interesse, degli auspici avuti in sogno dalla madre dell’ultimo dei Tirthankara, Mahavira, prima del suo concepimento,- Esso sono sedici, come vuole la tradizione della setta Digambara in cui si iscrivono i templi di Khajuraho, in luogo di quattordici per i Svetambara : 1) l’elefante di Indra  Airavata, 2) un toro,3)  un leone rampante, 4) Sri Devi o Laxmi, 5) una ghirlanda che racchiude un kirtimukka, 6)  una luna piena con una lepre visibile nel mezzo, 7) un sole nascente che rappresenta Surya al  entro, 8) un paio di pesci, 9) un paio di giare d’oro, 10 un lago di fiori di loto,  11)  un mare agitato,  12) o trono leonino), 13)  un vimana*, 14) una coppia di Naga in un padiglione( il Nagendra-bhavan) , 15) cumuli *di gioielli, e 16)  Agni assiso con le fiamme fuoriuscenti dalle sue spalle.

   
   
 
 

Mentre dei vidhyadaras volteggiano a coppie sulla bordatura della trabeazione costituita dal settimo e ultimo saka, affiancando al loro centro un Jaina seduto, sovrastano le nicchie della  trabeazione, elevandole a tempietti,  degli udgamas di archi chaitya , carenati,  che preludono a sikharikas piramidali tri-rathas, con sette piani o pidhas, chandrika e amalaka,

Valicato il portale,

 

 lo splendido chatuski che ci fronteggia è pressoché simile a quello del portico d'entrata,

 

non fosse perchè le campane in alcuni pilastri si scompigliano a terne senza fiori di loto laterali,  e l'upapitha è piana e  tre sono ad ogni pilastro le  mensole reggi-lampada, quella mediana sorretta da un vigoroso atlante, a conforto della supposizione che l'interno fosse quello intenebrato di un gudhamandapa. Il chatuski è a sostegno di un  soffitto piatto con un fiore di loto al centro, ai bordi della cui incorniciatura corrono fregi esterni di volute ed uno interno di rosette .

 
 

Ad una trabeazione identica a quella del portico dell'ardhamandapa  invece  fanno seguito tre bande ornamentali, la prima delle quali è fregiata di festoni, la seconda di ardha-ratna, dei piccoli, triangoli, mentre la terza è spoglia .

Anche  la trabeazione volta ad est, verso la parete del portale  è  ornamentata, e  ancor più profusamente, fregiandola volute graficamente stilizzate, i rilievi di vidyadharas volanti allineati a  fianco di un Tirthankara ch'è seduto al centro, di fiori cuoriformi, di rombi  floreali dai bordi perforati , di fiori di loto da cui fuoriescono gagarakas.

Poi il nulla che più resta del santuario e della sua anticamera,

 

Nella sua fermezza che tende irrigidisce la catena da cui pende, tra il fluttuare invece dei fiori di loro con il loro stelo, la campana , come già è presente nei templi hindu,

appare simboleggiare la stabilità  dell'essenza del principi o ordinatore del cosmo, o purusha, per il tramite delle catene di anelli delle successione causali, rispetto alle manifestazioni mutevoli ad ogni spirare di vento quali dei fiori, che nella loro caducità eppure ne vitalizzano l'irradiazione grazie all energia vitale che l'irrora degli steli di linfe.

 

 
     

Le Campane Tibetane producono quindi suoni in armonia con le vibrazioni delle sfere celesti, e trasmettono queste vibrazioni a chi le suona o anche semplicemente le ascolta. Questo fenomeno si chiama, in termini tecnici, "concordanza di fase" quando due onde tendono ad unirsi e a vibrare all'unisono. Grazie a questo fenomeno, quando si percuote una campana tibetana si creano delle forti vibrazioni che si propagano lungo il braccio (se la campana viene tenuta sul palmo della mano) o lungo il punto cui cui è appoggiata la campana stessa (nel caso ad esempio in cui venga appoggiata sui chakra), massaggiandolo in profondità. Si viene così a creare una concordanza di fase fra la campana e la persona che vi è a contatto producendo di solito uno stato di profonda quiete interiore ed esteriore che può andare ben al di là del semplice rilassamento, fino a raggiungere le onde teta e delta degli stati meditativi più profondi.

 

 

The door leaf is the door itself and the path that it travels in, Its even hard for my teachers to explain so i put it how the ordinary man would. If you have a door and you open it towards you, then that is the leaf of the door. if it is a double door then it has two leafs. If you would tape a pencil to the botton of the door and swing it open, then the arc that it makes would be the leaf of the door.