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indice templi jain di Khajuraho

Templi Chandella Jain di Khajuraho

Il tempio Parshvanath

 

 

2014

 

 

     

 

 

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Alla sua comparsa  nell'albescenza del chiarore lattiginoso del complesso dei templi jain di Khajuraho,  traendone un risalto ancora più grandioso si staglia in contrasto il sopraelevarvisi del fulgore in arenaria del Tempio Parshvanata.

La cronologia più accreditata lo fa risalire in termini indiscussi ad un arco di tempo che intercorre tra il 950 ed il 970 dell'era cristiana,  quando della dinastia dei Chandella a regnare in Khajuraho era il re Dhanga, in virtù di rilievi epigrafici e di un compimento superiore* delle fattezze architettoniche e della statuaria  templare che per affinità di stile lo accomunano al tempio Laksmana, antecedente, del gruppo occidentale,  il prototipo fondamentale dei templi che fecero di Khajuraho la capitale religiosa dei Chandella, ultimato verso la metà del nostro secolo Xmo  quando  re Yasovarman ne era sovrano.

Ovunque ci si disponga a rimirarlo,  dall'accesso retrostante o seduti sulla panchina prospiciente, dai  rialzi dei templi jain che ne fronteggiano il versante meridionale oppure dai bordi settentrionali della sua stessa piattaforma, distanziandosene all'altezza del tempio Adinatha, adiacente,  nel suo comporsi di portico d'entrata, mandapa, santuario del gargabriha e deambulatorio interno, circostante illuminato, da grate di jalis, la gran  mole del tempio Parshvanatha ci appare ripidamente saliente ed imperviamente contratta, nel suo raccogliersi nel sikhara che ne promana come l'adempimento immenso della sua tensione ascendente, cui  concorre l'anelito ad esso appigliato delle sue replicanti miniature quali balze rampanti. Nel suo sovrastarci il tempio ci si offre oblungamente ravvicinato al contatto ed alla vista, sorgendo su di una sua piattaforma rifatta quanto mai ribassata, che gli nega la sopraelevazione dei templi Lahsmana o Kandarya o Vishvanata, nel loro distacco altolocato verso il sublime.

Ogni altro rilievo di modanature e statue e nicchie e tempietti e pinnacoli vi ha un risalto stiacciato, minimamente aggettante, il cui nitore incisivo ancor più esalta la compattezza del tempio nel suo essere tutt uno con il sikhara che l'adempie, come la fiamma del sacrificio sublima l'altare vedico dal cui alto impilamento si slancia verso i cieli.

Il portico del tempio è come il rilascio frontale della contrazione vibrante  del  suo corpo monumentale, che non presenta alcuna espansione invece in transetti, o rientranza di vestiboli, né l ulteriore frastagliatura chiaroscurale degli altri templi maggiori di Kajuraho, così connotando la sua precipua peculiarità jainista, al pari  della dimestichezza della sua grandiosità.

Nel farsi quindi analitico dell'indagine visiva saliente, il basamento del tempio, l'adhisthana, nelle sue partizioni ci appare scandito dai rilevi carenati delle thakarikas, la cui  minimalità ineludibile risalta dalle modanature di cui sono il coronamento, prima che la profilatura rettilinea di una pattika aggraziata da fregi ondulati sia di supporto al sopraelevarsi su di un piedistallo della prima delle tre fasce di statue della jangha del tempio, di dimensioni decrescenti l'una serie dopo l'altra.

La prima orlatura del succedersi di thakarikas corona la jadhya kumba da cui ha inizio il plinto del basamento dell'adhishtana,  e vi soggiacciono le modanature dello zoccolo della bitha, ch' è visibile al meglio solo nelle emergenze inferiori del portale d'accesso dalla piattaforma.

A tali thakarikas subentrano le modanature dei profili taglienti di un karnika,  adorno di gararakas inferiori, se ne fregia pure la rettilinea pattika ulteriore su cui decorrono fiori cuoriformi, alla quale fanno  seguito la rientranza di un antarapatta , ornamentata dall'alternanza di  rombi e pilastri,  e  un  kapota che riavvia il profilarsi inesausto delle prominenze. I suoi thakarikas superiori- in corrispondenza di sottostanti gagarakas- indicano che con essi ha termine il plinto e che subentra la sezione dell'adhisthana  ch'è costituita a sua volta dal podio della vedibhanda.

Nella sua successione si sopraeleva sul plinto la serie di modanature unicamente nelle quali consisteva il basamento dei templi antecedenti  quelli Chandella in  Khajuraho, i canonici khura, kumba, kalasa, tra cui si frappone la rientranza *di un'antarapatta, alla quale fa da contrappunto la sporgenza terminale di una pattika con volute a stampiglio.

Con tale fascia si  trapassa dall'adhisthana al muro della jangha mirabile, 

 

esaltata dai suoi tre corsi di statue di dimensioni  diminuenti , disposte eminentemente su sette proiezioni o rathas all'altezza parietale del garbagriha, tre per parte rispetto alle nicchie del badhra, ossia  di quella centrale, più una intermedia che supplisce all'assenza della rientranza della kapili in corrispondenza con l'anticamera interna dell'antarala, e due ulteriori a lato della proiezione in cui si sormontano le nicchie , l un l'altra, all'altezza del mahamandapa interno, il tutto secondo un assetto saptaratha che fa corrispondere a alle sette proiezioni  parietali del jangha del santuario sette scansioni in rathas o latas  lungo il corso di ogni fianco del sikhara,. Le  statue templari dei due ranghi inferiori allineano la staticità ora vibrante, ora  rudemente inerte, di  divinità singole ed in coppia e di celestiali apsaras figuranti nelle proiezioni, di vyalas-sardulas o leogrifi costretti nei recessi, mentre il  rango/ la filiera  superiore esibisce il contrappunto dinamico dei voli di coppie di vidhyadaras ultraterreni.

Le modanature di bandhanas della più fine preziosità lumeggiata separano le trafile statuarie, quella inferiore aggraziata dalle emergenze di gagarakas, di una grasa pattika di kirtimukka e di rosette, quella superiore dai rilievi di una gagaraka *e di una pattika con fiori a forma di cuore.

Al di sopra di ogni proiezione delle sculture sta un capitello  bharani, costituito da una affilata karnika e da una padma, così denominata perchè è a forma di loto. Sormontano ciascuno di essi due kapotas , con i fregi usuali di gagarakas e thakarikas al di sotto e al di sopra.

Solo dopo tali modanature di transizione trova inizio la sezione del tempio della varandika,  che a sua volta è di passaggio dalla jangha al sikhara ed alle  sovrastrutture delle sale.

In essa, su di ogni ratha o proiezione della jangha, stanno allineati i tempietti di altrettanti piccoli tilakas, ne sintetizzano il santuario le nicchie di fregi diamantini, o ratna-patta*, su cui stanno allineati  i piani decrescenti di cinque mini-pidhas,  che nella loro minimalità pur reggono una propria minuscola chandrika ed amalaka.

 E' una prima attestazione nel tempio Parsvanatha della frattalità dell'estetica religiosa della templarità hindu, che esalta, micro-macrocosmicamente, la visualizzazione del medesimo ordine divino (che è all'opera ) in ogni livello e grado dell'essere.

Dal badhra della proiezione principale del tempio inizia intanto a staccarsi la sopraelevazione delle carenature, le chaitya-gavakshas, di tre udgamas centrali, lungo la cui progressione ascensionale via via la vista risale tra l'infittirsi circostante di ulteriori tilakas, della frattalizzazione del sikhara nelle miniature delle sringas.

 

 

 

 Le raccordano ratna pattas di rombi seriali, la cui filiera superiore è coronata di udgamas Le prominenze di due modanature fregiate di semirombi triangolari- gli ardha-ratna -non che di gagarakas, le separano dalle nicchie di gruppi statuari di soggetti vivacemente conversanti, barbuti insegnanti e discenti, se si eccettuano i personaggi del pannello sorprendente che figura ove la parete meridionale svolta o ovest, verso la facciata minore del tempo, nei quali è dato di ravvisare Sita e Hanuman nel giardino Ashoka dello Sri Lanka. In questa deliziosa scena di cui è imperdibile l'appuntamento visivo, 

 

 

 

 

 

 

 nel giardino Askoka in  cui Sita è prigioniera del demone Ravana che l'ha rapita al consorte Rama, l'arrivo di Hanuman le ha consentito di ricevere un messaggio dello sposo. Due mostruose inservienti demoni achepresenziano all'incontro senza avere modo di impedirlo, benché siano armate di spada e di scudo ( ketak), ignorando la  natura divina della scimmia. Nella mano sinistra di Sita, fasciato e legato in un involto, forse è contenuto il  gioiello " chudamani", che  già era irretito nella sua capigliatura, e che per il tramite di Hanuman viene inviando a Rama, il cui nome è inciso nell'anello ad una delle dita della sua mano destra . Essa è atteggiata nella Vyakhian mudra del suo discorso con Hanuman, il quale  deferentemente l'ascolta, nell'attesa di replicarle. ( Devo l'analisi, visivamente preclusami,  a Niraj e Dashrath rain, nel loro ottimo referto di tale raffigurazione in Jain monuments at Khajuraho).

 
   

Rinserrano la ratna-patta, alle due estremità, delle karna sringas sfasate di livello, secondo una estetica hindu che sarà ripresa dall'arte moghul e da quella rajiput  ad essa ispirata, nella disposizione a diversa altezza contrappuntistica delle chattri.

 

A colmare le distanze tra tali sringas ne sorgono mirabilmente altre tre per parte, ad un'altezza superiore , pur esse con sfasature d'altezza, quelle estreme triratha, mentre pancharatha sono ambo tali angasringas o sikharikas   intermedi, oltre i quali ulteriori sringas  si levano ancora più in alto, a colmare gli intervalli  residui in un unisono assunto/ canto architettonico  Il centro  è così rimasto vuoto di miniature di sikhara per essere occupato dall'inerpicarsi dell'ultimo dei tre udgamas salienti, sospinto ad ascendere dalla tensione consecutiva delle profilature  nitidamente  angolate di radenti karnikas e da un balconcino che su di esse incantevolmente si affaccia, nella sua kakshasana*, mentre una coppia divina, tra attendenti , fa ad esso da coronamento celestiale, per porsi alla base dell'ulteriore slancio ascensionale di tutto il mulamanjari del sikhara, nei  salienti centrali dei suoi urah-sringa. L'uno maggiore dell'altro , ma entrambi  pancharatha, si staccano verso l'alto da uno stesso livello,  a iniziare dal quale ne sono i costituenti  le partizioni,  intervallate da amalakas, di sei ed otto bhumi, rispettivamente. Un amalaka, un chandrika,  un amalaka più piccolo ed un ulteriore chandrika per*l'urah-sringa maggiore, quindi la kalasa ed il pinnacolo in guisa di agrume di una vijapuraka,  ne sono il concorde coronamento. 

Le saptarathas del mulamanjiari  del sikhara  sono  un  reticolato continuo di chaitya gavakhas, gli occhi di luce della divinità radiante. Solo nelle sue rampe d'angolo, le kharna rathas, esso appare  inframmezzato da corsi di lastre pidhana-phalaka e di rombi incorniciati. Giunti a tal punto dell'ascesa vibrante, la madhya latha centrale sospinge ulteriormente la tensione rampante  delle altre e la supera di slancio, per inoltrarla ,oltre il collo del  greva*, verso la sua conclusione finale nell'amalaka , chandrika, amalaka minore, kalasa e vijapuraka sommitali, ove il tutto culmina nel punto inesteso in  cui tutto ha la propria origine e il proprio riassorbimento finale.

Ripercorsa  la copertura della sala interna e del portico d'accesso, la rimanenza restaurata* dei picchi piramidali più bassi della cordigliera del monte Meru o Kailash, la sede degli dei  la cui vetta più alta è simboleggiata dal sikhara, possiamo ritrovarci ora davanti  all' ingresso principale, sul lato più corto volto ad est.

Sopra la continuazione dell'adhishtana dell' ìntero edificio sacrale,

 
 

 il basamento del portico d'entrata è sormontato da un fregio di elefanti sdraiati cui sono contigue delle coppie umane nei  recessi, secondo una ricorrenza che figura già nel tempio Lakshmana, antecedente. Vi  fa seguito una pattika ornamentata di volute su cui sorge il pavimento d'entrata.

Due coppie di pilastri , gli antecedenti torniti in guisa di colonne, 

 

 costituiscono i sostegni del chatuski dell'ardhmandapa. Essi si ergono su di una upapitha ottogonale, decorata dal motivo dei petali di loto , e su di un ulteriore supporto, ugualmente ottagonale, che alla stregua del basamento in cui ha avuto un seguito il plinto dell'adhishtana, recupera a sua volta le modanature della vedibhanda, - kura, kumba con archi chaitya, kalasa e kapota aggettante takarikas,  rinsaldando l'unità organica del tempio

I pilastri anteriori da ottagonali si fanno di sedici sfaccettature, poi circolari, come circolare è il capitello, nell'anularità di una liscia kalasa ribadita dall'orlatura della svasatura di una padma lotiforme. Lo sovrasta la vigoria plastica di   una mensola di atlanti-buthas ,intervallati da nagas atteggiati in anjali deferente.

I pilastri interni, di tipo budraka,  invece resistono ad ogni seduzione circolare, cui quelli antecedenti cedono fin dall' ottagonalità del supporto, che permane invece squadrato nella loro upapitha e nel supporto susseguente, e si proiettano in una fascia mediana che nella sua parte inferiore funge da supporto ad uno dvarapala a guardia dell'accesso, con quattro braccia,

 

 

mentre nella parte superiore reca impresso il motivo di volute intrecciate tra  fasce di fiori mandara e volute fluenti nella pietra del fusto, di cui  un fregio di rosette fa da conserto con quelle  intrecciate. Su di esse un vaso dell'abbondanza, *disposto su un rilievo granulare, dispiega il suo tripudio di foglie sull'incombere di un capitello le cui concavità e convessità si risolvono in profilature taglienti, a sostegno di mensole di atlantici buthas e  adoranti nagas, in tutto consimili a  quelle dei pilastri esterni.

Il tempo di ripercorrere il succedersi sovrastante di  volute e spirali, dei kirtimukkas di un grasa pattika e dei fregi triangolari di un ardha-ratna nella trabeazione, le prominenze più o meno sporgenti di kirtimukka nell'architrave seguente, a fungere da mensole di celestiali salabhanjkas, cui altre si accompagnano più in recessione, 

 

 che ci si schiude l'incanto del soffitto, di cui è una bellezza anticipatrice sul lato est, volto all'esterno, un makara torana di cinque inflessioni

 

che giace riposto su due ulteriori  kirtimukkas.

Tre orli o kola di corolle cuspidate di un grande fiore di loto centrale, in una pietra lavorata come il più delicato marmo, vi fioriscono tra la duplice orlatura di quattro corolle più piccole agli angoli, da cui pendono le torniture di pigne,  come al termine del tubo staminale che discende dall'efflorescenza centrale, che cela la discesa dai cieli di kirtimukkas, catene fuoriuscenti dalle loro bocche, nagas adoranti, una coppia di vidhyadaras volanti.

E' dalla porta di accesso al tempio cui siamo così pervenuti, che ora ha inizio il ripercorrimento del suo ammanto statuario.

Una pietra lunare, o chandrasila, che involve due conchiglie, ne precede la soglia, od udumbara.

 

Tra due coppie di un elefante e di un leone intenti in una  ridda,  comprende immagini di devoti offerenti e danzanti. Su di essa si stagliano stipiti ornamentati di sette fasce o sakas, di cui si completa nella trabeazione il fregio decorativo.

 
 

I loro rilievi iniziano oltre i canopi delle immagini di rito delle dee fluviali Ganga e Yamuna,  situate alla nostra sinistra e alla nostra destra in flessuosa tribhanga.

 
   
 
   

La dea Ganga ha preservato il proprio veicolo animale a discapito dello scempio della testa e della gamba destra, mentre permane  integra la sua coppia di inservienti, che comprende una creatura naga serpentina volta all'interno,

 

al pari di quella che assiste  Yamuna, di cui il bel volto ha conosciuto la devastazione solo del naso, mentre ne è rimasta illesa l'acconciatura dhammilla, in cui la capigliatura della dea è rialzata secondo la moda del tempo.  E 'un pegno alla fashion d'epoca a cui non saranno sottratte divinità ed apsaras del tempio.

 

I  sette sakas sono costituiti da un primo fregio interno di rosette e rombi, da un secondo di fiori mandara,cui fanno seguito un terzo di  gana danzerini, un quarto di leogrifi vyalas, un quinto a guisa di pilastro, o stambha-saka, che racchiude entro apposite nicchie coppie quanto mai caste di mithunas, cui simmetricamente fanno seguito una replica del fregio dei vyalas, e una saka di ganas che si dilettano di musica con tamburi, flauti o mridangas, corrispettiva di quella dei gana danzanti, prima della replica conclusiva del secondo fregio di fiori mandaras.

Affiancano gli stipiti due pilastri che accostano alle dee fluviali due dvarapalas o guardiani del portale d'accesso .Oltre le loro tiare  si elevano nicchie di altri mithuna, a lato delle quali, verso l'interno, rampica il fregio che simula i lasciti di pelle dei serpenti, frequentemente ricorrente nei templi Chandella, il più delle volte in corrispondenza di nagas.

I due dvarapalas di cui intriga la rigida tiara, o kirita mukuta, poichè è tipicamente vishnuita, ci offrono l'occasione, insieme agli altri due dvarapalas dei pilastro interno del chatuski e alla più superstite delle dee fluviali, Yamuna, le cui nudità traspaiono da un sari floreale, di individuare ravvicinatamente, al tocco delle mani, il corredo tipico delle divinità e delle apsaras celestiali del tempio: corona, orecchini o kundalas, collana, collare o hara, il  filo sacro vedico  yajnopavita poggiante sulla spalla sinistra e traversante il petto,* se le divinità sono di genere maschile, i keyuras,  o bracciali, indumenti intimi allacciati da cinture, con festoni ingioiellati e nappe e sciarpe svolazzanti, laddove della pettinatura dhammila già si è detto.

Si è così pervenuti all'altezza dell'architrave centrale, che è di rilevanza capitale per comprendere il senso del tempio Parsvanath e delle sue statue templari.

In luogo di una delle divinità della trimurti hindu vi campeggia infatti al centro, in confortevole posizione lalitasana e fuor di costrizioni di nicchia, la divinità jainista Chakreswari,  Sasanadevi del primo tirthankhara, Adinatha o Rishabanatha, assisa sul  veicolo o vahana di Garuda, mentre in una delle proprie quattro mani sinistre è intenta a reggere l'attributo o ayuda del disco, o chakra.

 

 Il veicolo Garuda e l'attributo del disco sono indiscutibili attestazioni delle sue origini vishnuite, l'esplicita riprova che Chaskreshvari è la versione jain della saptamatrika Vaishnavi, da cui trae ispirazione. Ugualmente vishnuiti sono gli attributi della conchiglia nella mano sinistra inferiore, o la mazza o gada che reca nella terza mano destra, mentre in quelle sottostanti reca un rosario (in  varada cum mudra*)ed una spada.

Il tempio Parsvanath è pertanto un tempio alla Sakti, o energia femminile divina, nella sua forma di culto *jain, aperto alle onoranze brahmaniche per le sue ascendenze vishnuite,  il che spiega ciò che già prefiguravano gli dvarapalas con kirita-mukuta, come mai nei pannelli del tempio ritroveremo più che altro  immagini di culto vishnuite, controbilanciate puntualmente da immagini di culto jain nelle nicchie delle proiezioni salienti e dei badhras della cella del tempio.

La simbiosi di una siffatta  conciliazione d'intenti tra vishnuismo e jainismo, in virtù del culto di una dea madre jain di origini vishnuite, sembra soggiacere alla erezione  sia del tempio Parvanath che Adinath , in un'area ove si concentravano in antecedenza i culti brahmanici vishnuiti, quale presumibile condizione necessaria per la sua concessione tollerante da parte di sovrani hindu pur pluralistici quali i Chandella. Avvalora la congettura la pianta oblunga d'ambo i templi, che come l'aura austera ed arcana che vi si respira, evoca quella sublimemente consimile  dei templi Pratihara antecedentemente consacrati alla Sakti divina in  Gyaraspur, luogo di culto jain alla Mahadevi, al centro della cui lalata-bimba esterna è insediata ugualmente Chakkreshvari  con otto braccia ( e il cui deambulatorio, come rileveremo nel tempio Parsvanath,  è ugualmente aperto alla luce esterna dai tralicci di jali, senza che i balconi, in cui non si dilatano transetti trasversali, ne compromettano come nel tempio Parshvanath il raccoglimento della mole intorno al sikhara),  o dei templi hindu rettangolari e alla Devi del Teli Ka mandir, in Gwalior, di Barwa Sagar, del Gadarmal in Patari Badoh, uno più splendido dell'altro.  Senza con ciò nulla togliere alle indubbie e diverse  contese  figurative che rivelano le asportazioni e sovrapposizioni di statue,  pur spiegabili con l'intento conflagrante di rendere predominante l'una o l'altra connotazione- brahmanica o jain- della dea.                

 

Le immagini delle nove divinità planetarie, i nodi lunari di Rahu e Ketu in extremis sulla nostra destra, si interpongono tra Chakreshwari e le due divinità nelle nicchie terminali,  in cui, uniformate a quelle di due Yakshi jain è dato di ravvisare le parvenze duplici di Sarasvati, referenziata di cucchiaio sacrificale, o sruk, spada, mazza, o gada, e di debito libro,  mentre secondo altre versioni figurerebbe una indiscutibile Sarasvati alla destra, per il veicolo animale dell'hamsa , od oca, che la disambigua in ogni senso,  e una dubbia Laksmi nella nicchia opposta. Già nei tempi Pratihara è attestato uno slittamento della consorte brahmanica nelle costellazioni delle due altre divinità della trimurti, a farvi coppia con Ganesha o Laxmi, e tale gravitazione nell'ambito  vishnuita ha indubitalmente favorito la sua trasposizione jain, come rinveniremo alla base del badhra centrale della parete sud.

Un fregio a scorie di pelle di cobra separa tale trabeazione fondamentale da quella superiore in cui il posto di Chakresvari, delle Yakshi  e dei navagraha è occupato da tirthankaras jain, seduti meditabondi in  padmasana*. Li affiancano dei loro devoti in preghiera, uno dei quali soltanto è in posizione eretta, o kayotsharga.

Un fregio di volute e spirali, e foglie di petali di loto, si interpone rispetto alla serie finale scarsamente ravvisabile di coppie divine, prima che sia la volta del soffitto.

L'accesso all'interno del  tempio ci è incombente ma sarà per ora differito, in una delectatio morosa, per compiere preliminarmente, anche in conformità delle prescrizioni rituali, la circumambulazione esterna in senso orario della pradaksina, discendendo dal portico d'ingresso alla piattaforma ed iniziando la visualizzazione del triplice ordine di immagini affisse alle pareti del jangha.

 

Vi ravviseremo divinità e soggetti mitologici del pantheon hindu in quasi tutte tutte le proiezioni di soli pannelli e nei loro recessi,  divinità jain prevalentemente femminili nelle proiezioni di nicchie.

Il repertorio di immagini sacre hindu contempla divinità  singole od in coppia e ninfe apsaras nelle proiezioni dei primi due ordini di statue, mentre nei recessi è compressa la malignità* di leogrifi , i mitici sardulas o vyalas, nell'ordine superiore sovrastando  celestialità e mostri  il sorvolo magnificamente animato da guizzi angolari di vidhyadaras, eminentemente ricorrenti in coppia. Agli angoli  hanno particolare risalto nel reparto inferiore i dei guardiani vedici, o dikpalas ,  senza che vi figurino sovrapposti gli astavasus  dal capo bovino di identiche ascendenze, come comporterebbe la tradizione iconografica più ricorrente nei templi hindu,

Lungo la parete breve d'esordio, sul lato est, alla  destra del portale d'ingresso (- ossia alla nostra sinistra-,)

 

 

si segnalano l' immagini sovrastante  d'un asceta barbuto conteso da due dame, una delle quali gli molce la barba, vi soggiace quella d'un dio in tribhanga con la sua consorte, nel quale potrebbe  essere già una prima volta ravvisabile  Kama, dio del piacere, recando egli un arco e la faretra.

 

Alla testa degli altri dikpalas ci attende Indra  all'angolo di svolta, nel registro sottostante, detentore folgorante dell' irresistibile vajra nella sua sinistra inferiore,  con il proprio veicolo elefantino Airavata  soggiacente.

Si prospetta  come dikpala il dio del fuoco Agni sul lato adiacente sud-orientale , fiammante oltre le spalle e la testa, la cavalcatura animale dell'ariete ai propri piedi, sulla sua destra. Delle sue quattro mani quelle superiori recano gli attributi specifici del libro e del cucchiaio sacrificale, o sruk, di sua pertinenza assoluta essendo egli il tramite delle offerte umane agli dei con l'oblazione del fuoco. Quelle inferiori, a futura memoria per ogni ricorrenza ulteriore di tali attributi, recano un vaso dell'acqua lustrale ed un  rosario ch'è sgranato nel gesto compassionevole della varada mudra

La parete sud che ci si dispiega, al centro della proiezione ulteriore ostenta in elegante tribhanga due dee o Yaksini Jain in due nicchie sovrapposte,

 
   
 
   

 ove si affollano inservienti, devoti , vidyadharas in volo, quattro jain in kayotsharga. A quella inferiore, delle due deità jain, succede un' apsara hindu che si tinge acrobaticamente il piede destro.

Ma basta sollevare la vista alla sovrastruzione  a quest'altezza del mandapa interno, per ritrovarsi con la dea Ambika nell'alto dei cieli Jain.

 

 

 La dea  tutelare del tirthankara Neminath reca uno dei suoi due  bambini , Priyankara e Shubankara, in braccio a sinistra, allo stesso tempo in cui al suo fantolino più piccolo offre un cespo di mango con la sua destra. Quel che resta della sua cavalcatura leonina è diroccato ai suoi piedi

Ridiscendo di quota, e purtuttavia  permanendo nel pantheon hindu del monte Meru templare, occorre lasciare corso alla monotonia  di quattro Shiva di seguito nelle proiezioni inferiori- il primo soltanto di un certo interesse, * e di quattro scipite coppie divine in quelle sovrastanti, una tediosità rotta solamente dalla comparsa nei recessi di un vyala con la testa elefantina,- prima che sotto un canopo di serpenti faccia la sua bella comparsa Balarama, l'avatar di Vishnu, che trepidamente palpa ial seno la consorte  Revati*.

 
   
 
   

 Lo sovrasta un dio con duplice accompagnamento muliebre, al cui consorzio è contigua un'apsara con un uccellino sul dorso del braccio ed uno sulla spalla.

 

Nella proiezione seguente a quella su cui è installato Balarama, con la propria consorte, un'apsara si tinge incantevole le ciglia facendo uso di uno specchio, 

 

 cui nel recesso seguente oppone il dorso un altro vyala con testa elefantina. Ella è a ridosso della prima delle tre meravigliose comparse di Vishnu Narayana e di Laxmi sua consorte, due ai lati della nicchia grigliata che come quella che le è sovrapposta dà luce e respiro al deambulatorio interiore, l'ulteriore intervallata  da un'apsara che fa da  fecondo pendant a quella intenta alla luce dei suoi occhi, poiché nelle parvenze della dea Ambika, con un  bambino in braccio ed un cespo di mango  nell'altra mano, occhieggiato da un secondo bambino,più rigogliosamente non potrebbe esprimere la  sua fertilità

   
   
 
   
 
   
 
   
 
   
 
   
 
   
 
   
   

Nella pienezza plastica dei propri  attributi , shanka, chakra, gada, stelo di loto spiraliforme, quelli del dio, uno specchio nella cui riflessione  è sortita un'impeccabile acconciatura dhammilla, gli ayudas della dea,  la divina coppia nel reciproco abbraccio assapora  l' uno nell'altra  la gioia della pienezza del proprio essere, Vishnu palpando con dita mirabili il seno della dea, che in lui vagheggia  il proprio contento più intimo.

Alla finestrella che si interpone tra la duplice celebrazione dell'amore coniugale di Vishnu Narayana e Laxmi,  soggiace una nicchia in cui  capeggia Sarasvati in lalitasana, con una vina in un paio di mani, un vassoio d'acqua lustrale, un  rosario sgranato in  varada cum mudra, un libro ed un loto blu nelle altre.  Ai suoi lati dei devoti jainisti ne connotano il culto.

 

 

Nella filiera seguente  del primo ordine di statue superiore,  una grata si interpone ad un nuovo Shiva solitario, sormontato da Kubera e consorte. Il Nandi mansueto volto al dio Shiva precede nella proiezione seguente il bufalo, similare e distinto, che ugualmente è volto in alto al suo signore di cui è veicolo, Yama dio della morte, che fa da dikpala fasto e nefasto in direzione sud.

 

* Vuole la leggenda, così come in "Delhi" la racconta in conclusione Rana Dasvagupta, che
Yami e Yama , da cui il fiume Yama trae il suo nome, fossero, secondo il Rig Veda, due gemelli nati dal dio Sole e i primi mortali . "Yami si consumava di desiderio per suo fratello e cercò di convincerlo ad avere figli insieme per popolare la terra; Yama, inorridito, decise di morire piuttosto che commettere un incesto. Non avendo discendenti, non poté mai essere liberato dal regno dei morti. Diventò il dio della Morte, che teneva il conto della vita di tutti i mortali. In alcune descrizioni è una figura terribile e vendicativa; in altre è tragica, e piange eternamente per il suo dovere penoso di strappare gli esseri viventi alle loro
vite. Anche Yami piangeva per il fratello che l’aveva respinta e che non avrebbe più visto, e fu da queste lacrime che nacque il fiume Yamuna. Scaturite dal dolore,queste acque avevano il potere di redimere i peccati e le sofferenze del mondo, e sia gli dei sia i mortali vi s’immergevano per liberarsi dal male; è per questo che diventarono molto più scure di quelle dell’allegro Gange. E la tristezza dello Yamuna non finiva lì perché Yami si innamorò di Krishna, che era nato su quelle sponde e da bambino aveva giocato nelle acque del fiume, che aveva vissuto le prime esperienze d’amore sulle sue rive boscose e tenuto il suo grande discorso filosofico – riportato nel Bhagavad Gita – proprio in sua presenza; ma Krishna l’abbandonò e continuò la sua danza altrove. Così lo Yamuna parla di malinconia femminile :
di un desiderio frustrato di amore, realizzazione e perfezione maschile"

Yama è impensabile concepirlo più tremendo,

 

 gli occhi sporgenti iniettati sangue, i denti carnivori, un' ispida barba che ne inselvatichisce le guance,  dei macabri teschi che gli fanno corona,  un femore sormontato da un cranio quale sua mazza , il kathvangha,  un uccello sinistramente poggiato sul suo braccio sinistro inferiore.

Sul suo capo incombe Krishna intento nella lila- impresa di sradicare  gli alberi gemelli Yamalarjuna, in cui per il loro orgoglio, e la loro arroganza, dal saggio Narada erano stati trasformati i figli di Kubera, Nalkubar e Manigreev.

 

La  rappresentazione di tale ed altre gesta di Krishna in Khajuraho ricorre ulteriormente solo sulle pareti del santuario interno del tempio Lakshmana, ed in forme figurative stilisticamente talmente simili a quelle di tale raffigurazione del tempio Parsvanath, da avvalorare che siano opere di uno stesso artista,  nel corso della costruzione dei due templi in successione.

Prima di avventurasi nella parete ulteriore , tra i vidyadharas in volo è impressionante quanto appaiano emaciati due asceti che si fronteggiano,

 
   
   
   

 senza perdere di vista Hanuma e Sita nel  nel giardino ashoka dello Sri Lanka.

Si è così al punto di svolta verso la parete ovest,  in cui unicamente, tra i templi superstiti di Khajuraho, venne  inserito un santuario retrostante jainista, di cui il portico d'accesso è andato distrutto. Sotto il conglomerato di un soffitto successivo, con il portale d'accesso, e l' interno, ne sopravvive il rivestimento statuario delle pareti laterali, 

 

in cui trova un suo seguito quello della brevità del lato ovest del tempio, che ha inizio nella transizione tra i dikpalas da Yama a Nirriti.

 
   
 
   
 
   

Nirriti, dio dei virtuosi sventurati, della discordia, della decadenza, della morte,  nella sua nudità impeccabile  è di guardia all'angolo sud ovest con una  spada tranciante ed una testa mozza nelle mani inferiori, il pasa dei nodi dell'ineluttabilità del destino ed un cobra in quelle superiori. Alla sua destra un toro gli fa da veicolo. Il dio Vishnu, sovrastante, è forse effigiato nella sua incarnazione di Rama, per la faretra che gli è attribuita. Tra le coppie divine parietali sono identificabili solo  due  ricomparse di Vishnu Narayana con una Laxmi insolitamente sbadigliante in una di tali riapparizioni, tra  ulteriori sortite solitarie di Vishnu e di Shiva.

Da non perdere,  a tal punto, la vista di due altri asceti che si possono cogliere in conversazione tra i voli di vidyadharas.

 
   

Riaccende comunque gli animi, nella parete della cella, una apparizione sottostante del dio Kama in tribhanga insieme con Rati, la propria consorte, costei si fregia  di specchio e di  acconciatura fashion dhammilla,  mentre il dio è munito di chakra, frecce e faretra, come ben conviene , quanto ad ayudas, ad un dio dell'amore ed alla sua compagna di piacere, senza che susciti particolari allarmi che la  cavalcatura di Kama sia un coccodrillo.

 
 

Solo un vyala li separa dal più austero Jjna Padmaprahu , irrigidito  magnificamente  in kayotsarga nella sua nicchia,  talmente lo lascia imperturbato la vicinanza di due inservienti femminili. Non gli è da meno il Jina ch'è seduto in padmasana *nella nicchia di sopra.

 Il portale della cella, alquanto dimesso, come ben si conviene ad un tempio jain, in cui la porta d'accesso alla verità sacra è ancora più stretta di quella evangelica, è alquanto convenzionale nelle cinque bande che ne fregiano gli stipiti, sormontando le raffigurazioni statuarie di Ganga e Yanuna con indispensabili inservienti,

 
   
   
   

In ogni nicchia della trabeazione è insediata Sarasvati, mentre in posizione  intermediaria compaiono le nove divinità planetarie. Tuttavia solo la Sarasvati sulla  destra  reca nelle mani inferiori la vina, che della dea è l'attributo caratteristico, per essa  sacrificando rosario e varada cum mudra  e il vaso dell'acqua sacrificale, mentre negli arti superiori permangono per la dea irrinunciabili lo stelo a spirale del loto e l'attributo del libro.

Dei due dvarapala  che affiancano l'accesso, l'elemento di continuità più significativo con quelli che ritroveremo di lato al portale del garbagriha è la tiara vishnuita kirita-mukuta, mazza e libro i soli attributi superstiti di quello a sinistra.

Nella parete ulteriore della cella, volta a nord ovest, figura quindi  l'apparizione  di Kama e consorte più folgorante, la più consacrata o più  svilita dai flashes e dalle facezie turistiche più disdicevoli, cui non cale che le frecce del dio, guarnito di faretra, il quale nella mano destra inferiore tiene un uccello, al pari di Yama, siano tre e tutte e tre inquietantemente guarnite di teschietti, anzichè di fiori

 

Nella adiacente parete d'angolo

 

 ravviva le sorti statuarie del tempio  un' immagine inusuale della incarnazione vishnuita di Parasurama, con relativa consorte.

 

 Il dio, nemico irriducibile dell'intera  casta dei guerrieri kshatriya,  a seguito dell uccisione del padre ad opera del re Arjuna e del figlio di costui, vi è inconfondibilmente caratterizzato dall'ascia- o parasu- che reca nel braccio destro sottostante. Fiamme si sollevano da un kunda sul  suo fianco sinistro.

Con il passaggio di nord-ovest  alla parete settentrionale,

 
   
 
   

 

 compaiono come dikpalas prima Varuna poi il subentrante  Vayu .

 

I nodi inestricabili del pasa,  sono  l'attributo  che  più è posto in rilievo del dio oceanico, che ha  un coccodrillo  quale usuale veicolo animale, mentre una bandiera fluttuante  sulla sua asta allo spirare di Vayus quale dio del vento, ne è invece l'attributo più caratteristico, così come il  cervo quale sua cavalcatura sfuggente. Resta con ciò pur vero che non è il singolo attributo che conta, quanto il loro complesso, e la loro disposizione, variando i quali variano la manifestazione ed il potere d'intervento del dio.

 
   
 
   

Parasurama dice ancora la sua, con parasu, sankha, padma e chakra, sul piedestallo superiore della terza proiezione del lato nord del tempio.

 

Nel pannello inferiore della quinta proiezione della parte settentrionale, è forse la scena più toccante dell'intero suo reparto statuario  Rappresenta in tribhanga Rama e Sita, con Hanuman alla destra del dio, che  tiene la propria mano sulla testa del fido aiutante.

 
   
 
   

 Il dio trova mirabilmente pure il modo di reggere una freccia con la destra superiore e la sinistra inferiore, e di abbracciare con la sinistra superiore una Sita  che più alla moda non potrebbe essere con tanto di acconciatura dhammilla, reggendo alla pari il confronto con le Rati e Laxmi antecedenti, nonché con la consecutiva Parvati  in coppia con Shiva , accanto alla nicchia con finestrella traforata. 

 
   
 
   
   

Nella nicchia sottostante, una vidya devi jain con quattro braccia, seduta in lalitasana su un'hamsa ( o un pavone?), con due steli di loto spiraliformi nelle due mani superiori scampate alla distruzione,  fa da pendant alla immagine di Sarasvati,  corrispondente, ch'è posta al di sotto del le nicchie centrali della parete sud.

Dall'altro lato della nicchia illuminante ed aereante il deambulatorio, un Brahma panciuto e barbuto, tricefalo e quadribrachiale, non è di meno negli slanci coniugali che lo avvincono a una Brahmani che nella sua acconciatura dhammilla non è  meno alla moda di Parvati o Laxmi, o Sita o Rati .Sruk, libro e kati gli attributi del dio, Una fiamma in boccio è intercorrente tra le divinità in ardore.

 

Un'apsara successiva illustratissima dalle guide, nel proporre fugacemente, secondo i loro veri interessi, sempre e soltanto non più di una decina di statue in luogo del complesso architettonico del tempio,- e via quanto prima-, appare meravigliosamente intenta ad allacciarsi una nupara- cavigliera prima delle danze, precedendo l ulteriore gruppo sottostante consortile, che i visitatori hindu, più che la critica, identificano in Agni e Svaha,  anzichè in Brahma e Brahmani .

   
 

Restano da segnalare, del comparto statuario della parete, 

 
 

 

nella filiera superiore un solitario Sankha purusha ed un ultimativo* Brahma,  insolitamento singolo e non barbuto .

Le quattro nicchie all'altezza della sala del mandapa, come quelle delle parete meridionale corrispondenti, ospitano un' immagine ciascuna di dee jain, boccioli di loto e shanka  i loro attributi conservatisi finora.

 

 

Kubera e Isana, in tribhanga,  come secondo canone invalso i dikpalas finali, l'uno con gli attributi  di un frutto, dei nodi del pasa, di un libro e di una borsa a forma di mangusta traboccante di ricchezza ( nidhi),  l'altro dotato di sakti e di serpente per la sua natura shivaita

Ultimata la deambulazione esteriore del tempio,

 

ne è di prammatica alfine l'atteso accesso.

L'interno riserva un solenne mandapa tripartito,  in un vano centrale che conduce all'antarala e alla cella, nonché in due vani laterali che immettono nel deambulatorio.Nella sua ornamentazione cambia solo l'ordine nella riproposizione dei medesimi fattori decorativi esterni, cui l'oscurità interiore conferisce austerità sacrale.

 
 

 

Mentre tra i buthas dei capitelli dei pilastri interni  presidiati da dvarapalas dell'antarala o vestibolo ricorrono le immagini statuarie di Laxmi e di Sarasvati , il  portale del garbagriha  

 

manifesta   le varianti seguenti , nel replicare quello d'accesso al mandapa: è desso pancha-saka , fregiato di cinque anziché di sette fasce ornamentali  di sakas,  la prima delle quali è istoriata da volute e spirali invece che da rombi e rosette. Presenta esso  inoltre Indra e Upendra quali dvarapalas, ed in luogo di Chakreshvari e della  duplice Sarasvati antecedentemente dislocate nell' architrave del portale d'ingresso al mandapa,  vi sono insediati dei jjina seduti, o rigidamente stanti, nel duplice ordine delle le nicchie della sua trabeazione, che in quello soggiacente sono nuovamente intervallate dalla serialità dei navagrahaUdgamas,alfine, figurano elegantemente sopra le nicchie sommitali  in cui i jina sono insediati, coronati a guisa di tempietti  da piramidali sikhara di cinque  piani, o pidhas, minicoronate da chandrika, amalaka e kalasa, al centro ed alle estremità

 
   
 
   

La soglia, o udumbara,

 
   
   
   

riserva  una proiezione centrale in cui sono scolpiti uno stelo di loto con delle vidya Devis, deità  luminarie dell' intelligenza, e due coppie di asceti adoranti seduti come le Devi sui petali del fiore, mentre ai lati compaiono delle divinità acquatiche, su kari-makara che offrono il  tributo di  un orcio d'acqua purificale,  prima che figurino gaja sardula alle estremità, impennati all'attacco di elefanti

 
 

Statue di donne  recanti una giara si fronteggiano agli stipiti, laddove dvaparalas, su avancorpi di elefanti, stanno alla base delle nicchie di mithuna che in successione verticale contornano il portale.

 
 
 

 

 

Il garbagriha che emerge dalle tenebre nelle sue luci devozionali,  ospitava un tempo, in sintonia con il campeggiare di Chakresvari nella trabeazione del portale di ingresso, originariamente il Tirthankara di cui la Yakshi è a protezione,  Rishabanatha-Adhinath,  che sul suo trono e intorniato da una perikara, entrambi più antichi, dal 1860 figura sostituito dall'effige di  Parsvanath in marmo nero translucido.

   
   
 
   

 Nel compiervi intorno la pradakshina interna in senso orario, così come all'esterno  lungo le pareti del santuario si ripresentano dikpalas ai punti cardinali, apsaras si alternano nelle proiezioni, vyalas sono annidati nei recessi, mentre nelle nicchie figurano divinità Tirthankaras jain, forse forzosamente installativi.

Di particolare interesse, nella bellezza recondita del tutto, 

 
 
 
 

 nel primo pannello un sovrastante Bahubali colto  in penitenza sacrificale, gremito di serpenti attorcigliati alle gambe e di scorpioni avvinghiati al torace,

 
 

e solo prima dell'ultima nicchia sottostante settentrionale, un'apsara, che punta al piede da uno spino, è soccorsa da un barbiere.

 

Ci attende ora soltanto la preghiera al dio, l'uscita ed il rientro in questo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA MARGINALE

 Quanto più a lungo è dato visionarlo, ed interrogarsi sulle ragioni della sua natura ibrida, il tempio Parsvanatha tanto più sembra schiudere le più diverse ragioni configurative, e rivelare i più svariati scenari del suo comporsi architettonico- statuario, la più profonda simbiosi o ben altro che un eclettismo irenico hindu- jain,  all ombra tutelare dei tolleranti Chandella. Così come le vicende terrene si rivelano il contraccolpo temporale delle eterne vicende trinitarie o di triadi trimurtiche, o del ritmo dell'essere nella pulsazione vibrante, dello spanda , che alla espansione di una potenza fa corrispondere la contrazione dell'altra, nel ruotare delle energie per cui una potenza sussume quella precedente o la sostituisce, poi fondendosi in quelle successive che la sovrastano, secondo una sua versione drammatica il Parsvanath in un primo tempo appare essere stato eretto in forme jain, mentre poi il revanscismo brahmanico o il venir meno al contempo della potestà protettiva dei Chandella, oppure più semplicemente il rivelarsi troppo dispendioso del suo assunto architettonico anche per la facoltosa comunità jain, che l'avrebbe indotta a una conformazione del tempio di compromesso, sono gli eventi immaginativi che  possono essere adombrati dal rivestimento del mandir  di soverchianti immagini hindu,  l'esaurimento del cui giacimento si sarebbe risolto con la compresenza delle immagini più squisite insieme con le più seriali di bottega, fatto salvo il vincolo che non vi figurassero immagini erotiche. Al contempo il sikhara sarebbe stato ultimato con  l'appiglio di tanti sringas, che lo miniaturizzavano, perchè così  prescriveva identitariamente la canonicità della elezione di Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella, con un suo statuto architettonico speciale. E un terzo tempo sembra esservi sovraggiunto, dopo tale conformazione di compromesso, in un concorso di eventi  che con il declino complessivo del potere teologico hindu-brahmanico, ed il rinvigorirsi di quello economico jain in una Khajuraho in decadenza, ne consentì la rivalsa e la   riappropriazione  del tempio. Lo attesterebbero le immagine di coppie mithuna scalpellate via e il suggello di tale sussunzione appostovi dalla destinazione delle nicchie di ogni badhra o delle pareti del garbagriha a dee jain, o comunque  jainizzate, come la stessa Sarasvati  nelle architravi dei portali d'accesso o nella edicola inferiore del badhra meridionale, in virtù della apposizione ai lati di piccoli JIin..

 Pur sotto un Shiva al centro del frontone sovrastante l'entrata,  e sovrastando degli dvarapalas vishnuiti jainizzati ai lati delle soglie , era ora la jain Chakreshvari ad avere assunto  il controllo della destinazione del culto del tempio, primeggiandovi al centro del portale d'ingresso, nella trabeazione più recente appostavi rudemente sopra i sakas delle bande/fasce laterali, tra il residuo devozionale hindu dei navaghraha, in un loro allineamento superstizioso  che ricompare nel portale e nel sanctum appostovi sul lato opposto occidentale, forse per un tributo alla  credenza nelle divinità planetarie che si annidava anche nei cuori jain.

Un residuo significativo dei timori sacrali hindu, che più non figurerà nel tempio Adinatha da considerarsi anche solo per questo posteriore, esso si in tutto e per tutto perfettamente jain, con i soli dikpalas, e gli astavasus superiori, a presidio restante della figuratività statuaria hindu. 

Ma è forse una più profonda conciliazione d'intenti, che ebbe  piuttosto a soggiacere alla erezione  sia del tempio Parsvanath che di quello Adinath  in un'area ove già si concentravano  i culti vishnuiti,  ed essa ha  la ragion d'essere nella concessione tollerante della loro erezione, qui, come altrove,  perchè ambo i templi furono destinati al culto jain di una dea madre di origini vishnuite, Chakreswari, appunto, al centro della trabeazione d'ambo i templi. Avvalora la congettura irenica la pianta oblunga d'entrambi i mandir, che come l'aura austera ed arcana che vi si respira, evoca quella sublimemente consimile  dei templi Pratihara antecedentemente consacrati alla Sakti divina in  Gyaraspur, luogo di culto jain della Mahadevi,(  il cui deambulatorio è ugualmente aperto alla luce esterna dai tralicci di jali, senza che i balconi, in cui non si dilatano transetti trasversali, ne compromettano come nel tempio Parsvanath il raccoglimento della mole intorno al sikhara),  o dei templi hindu rettangolari e alla Devi del Teli Ka mandir, in Gwalior, di Barwa Sagar, del Gadarmal in Patari Badoh. Senza con ciò ugualmente nulla togliere alle indubbie e diverse  contese  figurative che rivelano le asportazioni e sovrapposizioni di statue,  pur spiegabili con l'intento conflagrante di rendere predominante l una o l'altra connotazione religiosa della Dea.

 

Maitreya asked Parashar about the trees. Parashar said: "The lord of wealth Kubera had two sons Nalkubar and Manigreev. One day they were enjoying the sweet company of pretty women on the bank of Mandakini River. Just by coincidence, Devarshi Narada arrived there. Out of Shyness, the women folk at once covered themselves, but both the sons of Kubera stood boldly without feeling any shame. Indignant Narada cursed them to become trees and stay in that form for one hundred years. Narada showed kindness as well that despite being in tree forms, they would have the memory of God alive and would be saved by Lord Sri Krishna. Thus, to keep the words of his supreme devotee Narada, Lord dragged the mortar to the two Arjuna trees. He walked in such a way that the mortar got stuck between the trees. Krishna then pulled the mortar and in no time the trees were uprooted. Two divine men appeared from the uprooted trees and bowed at the feet of Krishna and prayed him with pure hearts. Then they departed to their heavenly abode.
 

 

 

 

 

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