INDICE GENERALE | TEMPLI
JAIN DI KHAJURAHO
IL TEMPIO ADINATH |
dicembre 2015 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nella
quiete ombrosa del complesso jain, una fortuna assai minore seguita ad
arridere al tempio dedicato ad Adinatha, o Risabhanatha*, il primo dei ventiquattro Tirthankhara,
“coloro che ci preparano il guado” oltre il
tempo e gli accadimenti dell’oceano di dolore infinito delle
reincarnazioni, rispetto al contiguo più imponente Parsvanatha
E’ il tempio Adinatha di una siffatta bellezza, che non solo la sua peculiarità jainista induce a svincolarla dai raffronti di lungo corso con il tempio vishnuita Vamana, risalenti allo stesso gran maggiore Cunningham*, in ragione di sembianze architettoniche solo esteriormente similari, quali il settuplice succedersi- sapta-ratha - delle proiezioni verticali lungo i crinali dei muri e del sikhara, od il profilarsi della sua ogiva oblunga senza appigli di sikharikas, o anga-sikharas-, ma il differenziarsene e l eccellere per la fattura pregevolissima delle carenature dell'ordito di chaitya gavakshas, che ne risalgono la china, e per l’eleganza superiore dei rilievi sottili e dilungati delle sue proiezioni di squisito tempio sapta-ratha, . che quasi a smentirne la dedica al Tirthankara Adinatha, conferiscono al tempio una venustà muliebre, confortata dal ricorso onnipresente di immagini statuarie di Yakshini Jainiste e di dilettevoli apsararas, contemperato dalla ingerenza hindu di sole immagini di deità maschili nelle sole effigi protettive e propiziatrici dei dikpalas* e astavasus*, a presidio delle otto direzioni cardinali, e di un duplice Kubera* annidato con i suoi nidhis tesoriferi nella soglia d’accesso al santuario.
Che il tempio Adinatha sia sapta-ratha, e che lo sia nei termini della più luminosa e decantata perfezione architettonica, induce a posporlo nel tempo ai templi di Khajuraho che pur nella loro grandiosità comprimevano la loro concezione formale in un canone ancora pancha-ratha, quali il Laksmana e il Visvanatha , non che all’ibrido jainistico -vishnuita del Parshvanatha, inarticolato in profondità arcane di rilievi e proiezioni quali gli altri templi statuari di Khajuraho, al tempio Kandarya che dell’adeguatamento sapta-ratha, di concezione e di canone, è il primo e massimo conseguimento, ed al tempio stesso Vamana che in tale assunto non trascende la sua grevità allargata /latitudinalmente trasversalmente di richiami remoti e di precorrimenti audaci, e a presumerlo ad esso posteriore, facendolo risalire al secondo quarto dell'XI secolo e.c. Le parti superstiti erano un tempo precedute da portico e mandapa, forse un guhamandapa*, che traeva luce solo da un traforo di jalis come l'interno con deambulatorio del Parsvanatha, secondo una consuetudine jainista consolidatasi negli attuali Rajasthan-Gujarat, dove i templi Jainisti si differenziarono da quelli hindu perché ricusavano in linea di massima, non si trattasse del portico d'accesso, anche solo l’alternanza di un guhamandapa con un mandapa che fosse aperto all’irradiazione solare di finestre balcone. In loro luogo, sotto un grezzo ammanto calcinato, le arcate e specchiature, sotto una merlatura di coronamento, del mandapa indoislamico appostovi in tempi moderni a otturazione del guasto Il garbagriha della cella del santuario ed il vestibolo dell’antarala sono invece pressoché perfettamente integri, fino al termine delle loro sovrastruzioni, il pinnacolo del sikhara nelle sue guise latina* e l’antefissa del sukanasa ch’è la più splendida di Khajuraho, e tra le più splendide dell’intera India, nella fluenza dal grande kirtimukka* centrale della ricaduta nelle fauci dei makaras delle ghirlande di campane. Raccordano garbagriha e vestibolo l’eminenza delle nicchie della proiezione centrale del bhadra e dell’antarala, queste ultime sormontate da tre edicole ulteriori lungo i fianchi dell’antefissa vestibolare, ed all’altezza della fascia del terzo ordine di statue, costituito da un corso di guizzanti vidhyadharas* celestiali, il coronamento di bhadra e kapili esterna dell' antarala offerto da deliziosi balconcini di obliqui kakshasana cui si affacciano devoti dialoganti, un accostamento divenuto di rito nell’architettura religiosa in Khajuraho, ricorrendovi nei templi Javari e Vamana, Duladeo e Chaturbuja e Jagadambi, mentre si adorna del balconcino con oranti solo il bhadra del tempio Chitragupta, ed esso figura solo distaccato su in alto nei grandi antecedenti dei più monumentali templi Lakhsmana, Visvanatha, Kandarya, laddove nel lontano Rajasthan si può ritrovarne la duplice miniaturizzazione alla sommità di bhadra e kapili nel tempio di Jagat, a sud di Udaipur, o ne appare una sola ricorrenza nel solo antarala nel tempio in Badholi, serializzata e moltiplicata lungo ogni diagonale nel tetto samvarana del rangmandapa che lo fronteggia, mentre a distanze meno remote un affollato balconcino lo si rinviene nel solo bhadra del Garhi math in Kadvaha. L’eminenza così raccordata e suggellata delle nicchie di bhadra e di antarala, a connotazione, nel tempio Adinath, della rilevanza delle immagini delle Yakshini che offrono alla visualizzazione adorante e meditante dei devoti jainisti intenti alla pradakshina*, negli altri templi miniori di Khajuraho si fa altresì replica miniaturizzata delle medesime forme balconate che a misura d’uomo appaiono nei kakshasana dei balconi finestre dei mandapa, come non è più dato sapere se fosse anche nel tempio Adinatha. Risalendolo ora in verticale, sulla piattaforma di una jagati sostitutiva di quella originaria, il cui slancio ascendente è finito perduto, l’adhishthana del basamento, conservatosi più completo di quella del tempio Parsvanatha, presenta la tripartizione invalsa nei templi Chandella in uno zoccolo, o bhitta, un plinto o pitha, e un podio, o vedibandha, al quale nei templi Pratihara* precedenti per lo più era riducibile l intero basamento, una tripartizione le cui modanature conclusive sono rimarcate dalla ricorrenza finale. o soggiacente, quale madhya bandha, di un corso di rosette, alternate a rombi nella fascia terminale. Costituiscono lo zoccolo una profilatura primaria liscia ed il risalto conseguente di una seconda modanatura di rombi diamantini alternati a pilastrini rimarcato in contrasto dalla successione di una scabra jadya-kumbha, cui si susseguono la madhya bhanda di rosette, già rilevata, e la conclusione della bhitta in una modanatura arrotondata in merlature di petali di loto sovrapposti ad una perlinatura. Il plinto ha inizio in una seconda jadya- kumbha, che si fregia di thakarikas superiori cui fanno da contrappunto le gagarakas soggiacenti di una karnika sovrastante, nella sua affilatura, prima che l’ulteriore madhya-bandha di rosette preceda la grasa-pattika di kirtimukkas in cui il plinto si conclude. Se ne stacca la successione grave di khura , kumbha e kalasa della vedibandha, sovraornamentata nella kumbha da edicole templari che incastonano rombi di diamanti, a latere di quella del bhadra che alberga una propria divinità, al riparo di una gronda sotto il frontoncino dell' udgama di gavakshas carenati. Un kapota decorato tanto di thakarikas quanto di gagarakas precede il ricorso finale di una fascia ulteriore di rombi e rosette, non di meno fregiantesi di gagarakas, che funge da supporto ai piedistalli delle statue ed alle ornamentazioni inferiori delle edicole dei bhadras, con cui cominciano le sopraelevazioni delle sette proiezioni del jangha. Vi ricorrono tre ordini di immagini, due Yakshini nelle due nicchie sottostanti del bhadra centrale, affiancate ciascuna da due ninfe per lato nelle due prati-rathas mediane, cui subentrano un dikpala ed il suo astavasus superiore nei Karna-rathas angolari, le immagini in rilievo essendo inframmezzate da vyalas, o sardulas, sovrapposti , nei recessi dei salilantaras, mentre la terza fascia alterna singoli vidyadharas, nelle aggettanze, a loro coppie nelle rientranze, festanti di strumenti musicali, armi o ghirlande, con il solo intermezzo già enfatizzato dei balconcini popolati di figurine nel terzo ordine dei bhadra , di cui al loro succedersi una replica da termine nell’antarala, a seguito analogo di due nicchie di immagini di Yakshini. Tra gli ordini di statue la scansione di un grasa pattika sormontata da un pattika di rosette, che intervalla il primo ed il secondo corso di statue, un kalasa a guisa di cornice prima del terzo, ch’è sovrastato dallìintermezzo ulteriore di un capitello bharani formato dalla successione di una gagaraka, di un amalaka scannellato e di costolature palmiformi, che funge da diaframma rispetto al varandika. Il varandika consiste a sua volta di due kapotas successive ornamentale da gagarakas e takarikas, prima che una replica superna del rilievo di gagarakas e di foglie di palme dia avvio alla successione delle sedici bhumi o piani del sikhara. Nei karna- lata angolari, i cui chaityas incastonano nicchie di rombi-diamante, alle costolature di chaitya gavakshas soggiacciono amalakas, cui si susseguono kapotas con takarikas, Al termine del mirabile slancio ascendente e convergente, a ben vedere appaiono arridere un kirtimukka a conclusione di quello dei rathas centrale e mediani, un sikharika piramidale alla sommità di quello dei karnas-latas, composto di due pidhas, chandrika ed amalaka. Oltre il restringimento del collo, o greva, conclude invece la tensione verso l unità primordiale , ch’è origine e fine di ogni realtà vivente, il succedersi di più amalakas e chandrikas prima del kalasa finale. Già si sono dette meraviglie, non esorbitanti, dello splendore del sukanasa che invece sovrasta l’antarala, preceduto da sette nicchie di deità statuarie che si visualizzeranno in conclusione della deambulazione esterna ( alla descrizione delle statue nelle nicchie frontali del sukanasa ) )Tra nicchie diamantine ai lati e comprese in un frame mediano /in una cornice /teca mediana, quelle ai lati sovradeterminate in tempietti edicolari da un loro sikhara piramidale composto dei ripiani di quattro pidhas, di chandrika e amalaka, una prima serie di circonvoluzioni carenate di chaityas si risolve in inflessioni superiori che si acuiscono intorno ad un ovulo centrale, prima di un chaitya gavaksha grandioso, trilobato, in cui da un kirtimukka fluiscono ghirlande di campane nelle fauci di due makaras, rispetto ad una centrale tra due steli penduli di fiori di loto. Due vyalas e una fiera leonina superiore, avventata sul dorso di un elefante a bocca ferocemente spalancata, ne sormontano le arcature, che sono affiancate da amalakas tra chandrikas al pari di quelle sottostanti. Procedendo ora come vorrebbe la devozione nella pradakshina in senso orario, il suo fianco meridionale nell’antarala ci espone nella nicchia inferiore l immagine di una prima Yaksi, cui manca il correlato di quella scomparsa dalla nicchia superiore, mentre oltre il balconcino di astanti devoti già conclamato, altre tre immagini corrispondenti facevano seguito lungo l’antefissa, di cui due sono superstiti. L’immagine che grandeggia nella nicchia inferiore è indubitabilmente quella di Padmavati, Yakshi o Sashandevi del ventitreesimo e penultimo dei Tirthankaras, Parsvanatha, come vuole che sia il cappuccio di cobra che la sormonta, non che la tartaruga che le fa da veicolo, che rimanda al consorte Dharanendra.
Erano
entrambi due serpenti annidati nel ciocco di una giungla ch’era nei
pressi di Benares, ed alla cui altezza Parsva, figlio ancora ragazzo
della regina e del re di Benares Vama ed Asvasena, sul dorso di un
elefante ed insieme ai suoi compagni, ebbe la ventura di incontrare il
nonno materno, re Mahipala, in cui si era reincarnato il sui antagonista
cosmico, di reincarnazione in reincarnazione, nel corso delle fino ad allora su di
lui Il vecchio re, ritiratosi nella foresta alla morte della moglie che l’aveva sconvolto, vi era dedito a sacrifici penitenziali, uno più estremo dell’altro, che nulla avevano di ideale, perché più che il distacco e la rinuncia , conseguivano il più spietato rafforzamento dell io, tant’è che gli era bastato avere riconosciuto in Parsva il nipote senza che questi ne avesse avuto ancora il tempo, perché in preda all ira si mettesse a fare a pezzi il grosso ciocco “ Non farlo, gli gridò il nipote, vi sta una coppia di serpenti!” Ma il vecchio non gli diede ascolto è calò sul ciocco il suo fendente, tranciando il corpo che apparve alla vista dei due rettili. Il ragazzo si afflisse alla vista dei corpi dei due serpenti che si contorcevano negli spasimi della morte, e intonò un inno ai due esseri agonizzanti, che consentì loro di spirare al meglio, non senza avere prima ripreso il nonno, con i più dolci e gentili degli ammonimenti “ Le penitenze che ti infliggi ogni giorno, come quella dei cinque fuochi cui eri intento, ti contaminano anziché purificarti, perché per adempierle uccidi ogni giorni altre vite. Non farlo più, uccidere altri esseri è grave colpa, ed ogni colpa reca le più tremende sofferenze, E’ come pula separata dal grano, quanto tu fai agendo senza la vera conoscenza”. Questo atto di compassione verso i due naga tornò a vantaggio di Parva quando intrapresa la grande rinuncia, dovette affrontare in Samvara, o detto altrimenti Meghamalin, una divinità minore in cui era rinato il nonno Mahipala, la manifestazione finale dello spirito a lui antagonista. La grandiosità radiante assunta da Parsva mediante l’illuminazione della sua ascesi meditativa, era tale che arrestò il corso stesso del carro celeste di Samara, che a questo intese con chi aveva a che fare, e che gli s’imponeva la resa dei conti. Un sommovimento tellurico investì Parva, che rimase tuttavia imperturbato e assorto nella calma assoluta della sua meditazione . Al seguitare degli attacchi di Samara, che assunse le sembianze letali del dio della morte, nel regno sotterraneo che ne era stato sconvolto, non rimasero insensibili Dharadendra e la consorte Padmavati, che memori di come Parsva avesse propiziato un loro decesso ed un loro transito di sereno splendore, decisero di venire in suo soccorso: così si posero ai suoi fianchi ergendosi così orribilmente spaventosi nell’enormità del loro dilatato cappuccio, che volsero in fuga atterrito la divinità di Samara. Per avere così consentito, quale sua divinità protettrice, che Parsva pervenisse anche alla Contemplazione Bianca, diradando anche i desideri ultimi che con il loro attaccamento lo tenevano ancora avvinto alle sofferenze del samara, Padmavati è qui onorata e riverita, come vuole la tradizione dei Digambara, i vestiti d’aria, cui affilia il tempio, non già per riceverne a nostra volta protezione e prosperità. Nella loro trascendenza acquisita, oltre il tempo e lo spazio e le umane vicende, i Tirthankara e Yaksa e Yakshi restano estranei alle nostre preghiere, per le quali restano disponibili e si possono invece affaticare gli dei hindu, di rango inferiore per i jain, e che nelle vestigia di Indra ed Agni e degli astavasus soprastanti, troviamo infatti immediatamente contigui nella prima Karna-ratha. Padmavati stessa, in tal senso, confonde i suoi lineamenti con quelli di Laxmi, consorte di Vishnu, mentre Dharadendra, quale signore della Terra, per il cuore implorante si fa il serpente cosmico Sesa che la sorregge sulla sua testa, come su di esso è reclino il sonno di Vishnu alla consunzione nella Pralaya di ognuno dei mondi che infinitamente si succedono l'uno all’altro. Né può risultarci casuale quanto le vicende di Parsva riecheggino quelle celeberrime di Buddha, o l’attacco di Samvara quello arrecato dal demone Mara a Gautama Sakyamuni, che se troverà da esso soccorso nella terra, è ugualmente nelle sette spire di un re-serpente, Mucalinda, che potrà confidare a difesa dello scatenarsi fuori stagione di tuoni e fulmini di un fortunale. Ma prima di volgerci alle divinità tutelari del tempio nelle sue otto direzioni, come i fedeli jain, più in alto restano da riesumare le immagini statuarie delle due Yakshini superstiti sovrintendenti, quella superna con un veicolo equino, recando un vassoio dell’acqua nella sola mano, sinistra, superstite, un attendente maschile alla sua sinistra, quella nella nicchia inferiore armata di vajra e freccia in due delle sue otto braccia , anch’essa con un cavallo quale cavalcatura, e nella quale per Krishna Deva era forse riconoscibile Manovega, la Yakshi del sesto dei Tirtankara, Pradmapabhu. Può fornire utili ragguagli l immagine della stessa Manovega che si conserva nell’ASI Archaeological Museum di Khajuraho, che di braccia ne ha quattro, invece che otto, come nel tempio Adinatha, ed ugualmente è accompagnata dal veicolo di un cavallo, ma vi compare in posa samapada anziché in lalitasana ed anche per il minor numero di braccia non può più ostentare che il solo attributo di uno stelo di loto. Nel karna.ratha, dopo l’apparizione nel recesso delle prime due ninfe-apsaras, è dunque la volta dei dikpalas volti a est ed a sud est, le divinità vediche Inndra ed Agni con i rispetti astavasus* sovrastanti. Per quanto è dato intravederne Indra come ogni successivo dikpala appare atteggiato in tribhanga, *mutilato di tutte le braccia ad eccezione di una, ma come per ogni altra divinità guardiana, eccezion fatta per Kubera, ne è rimasto integro il veicolo, nel caso del dio delle piogge celesti l’elefante Airavata. L’astavasus superiore, alla stregua di ogni altro di seguito ha un volto bovino, ripete la postura tribhanga del dikpala soggiacente, ed ha Nandi come proprio seriale veicolo animale. Agni, dio vedico del fuoco, barbuto e panciuto, ha salvato il mescolo sacrificale, lo sruk, ma si è persa la testa dell’ariete che ne è il veicolo. Ha inizio quindi nella rientranza seguente la successione ininterrotta di vyalas nei recessi e di apsaras nelle proiezioni intermedie tra quelle centrali e quelle d’angolo. Le loro raffigurazioni solo in alcuni casi sono frontali, per lo più, come di frequente nel Kandarya, le deità celestiali si offrono di schiena con la parte superiore del corpo di profilo, originando ardite torsioni dei loro corpi snelli e slanciati sulle lunghe gambe. Ne è un celebrato esempio la danzatrice che precede le Yakshini del bhadra centrale meridionale, con la gamba destra e in braccio sinistra piegati in alto. ………… Le fa da complemento l’apsara che invece nella danza volge la mano destra intorno al capo mentre tiene quella sinistra sulla coscia.….. Per lo più esse sono atteggiate secondo consuetudini consolidate, l’una mentre si aggiusta l’acconciatura mirandosi in uno specchio, l’altra senza riflettersi in esso un orecchino, o le si vedono intente alle più varie attività di svago o di sollievo, nel gioco della palla, nella lettura di una lettera amorosa, a levarsi se non un cruccio un pruno di spino, le più ardite a denudarsi magari per evitare l’incedere di uno scorpione, simbolo palese di sensualità insidiosa. Oppure esse possono recare un bambino al seno, reggere una lettera e uno stilo per scriverla, un fiore di loto, o altrimenti , secondo raffigurazioni originali, un beauty case, o foglie di betel arrotolate. La parte ovest retrostante ci offrirà invece immagini originali di apsaras suonatrici, dedite al suono di una vina, o di cimbali, mentre è di repertorio quella più estatica di una flautista. Le prime apsaras ad arriderci , oltre Indra ed Agni, appaiono abbellire gli occhi di kajal o con un collirio-, o altrimenti, come si è premesso, alla cura della capigliatura osservandosi in uno specchio. Delle due ulteriori l’una sovrastante è la mirabile danzatrice slanciata con l’arto destro e la mano sinistra, mentre quella inferiore è l’apsara che si leva il pruno dal piede. Un tramando jain la identifica in Nilanjana, la danzatrice che nel diciassettesimo capitolo del Mahapuran, di Bhagwath Jinasena Acharya, con la sua scomparsa dalla scena repentina ed insostituibuile nell incanto della perfezione della sua danza , condusse alla rinuncia e all iniziazione ( Diksha) della salvezza ( o Moksha) il Tirthankara Adinatha. Nelle nicchie del bhadra campeggiano due immagini di Yakshini, entrambe in lalitasana, di cui la preservazione di vari attributi e del veicolo animale ha condotto ad un’identificazione presunta solo di quella inferiore, che secondo Krishna Deva potrebbe effigiare Chamunda ( o Chamundika) quale divinità protettrice del ventunesimo Tirthankara Naminatha. Il coccodrillo è la sua cavalcatura, mentre i suoi attributi sono il gesto benedicente o varada, la sakti*, e una spada nelle mani destre restanti, uno scudo nella sola mano sinistra scampata alla mutilazione. Il mudra abhaya, un gada*, un vajra nelle sue mani destre non lesionate, un loto, un’ascia parasu ed un trisula in quelle sinistre rimaste illese, il veicolo leonino integro, non sono invece bastati a consentire finora un’identificazione della Yakshi superiore. Nell’adhishthana fa la sua comparizione in una nicchia un Bhairava la cui numinosità tremenda è comunque in lalitasana, e ben panciuta, ed il quale usando un bue come cavalcatura, intende recare spavento per via dei capelli arricciati e degli occhi strabuzzati, e con un katvanga-il cui teschio è sovrastato da un uccello e da un serpente., cui fa seguito un frutto quale attributo ulteriore. Delle apsaras frontali successive la prima in basso è quella che ha riposto una lettera e che tiene tra i seni una mano ad auscultare le palpitazioni del cuore, affiancata dalla ulteriore danzatrice che ha una mano intorno al capo mentre l’altra è appoggiata alla coscia. Le due apsaras superiori sono invece le due ninfe che recano la prima un fiore di loto, la seconda tre foglie di betel arrotolate. Alla svolta del Karna-ratha in direzione sud ovest ed ovest, la più sfavorevole, ci attendono immancabili Yama dio della morte e Nurriti dio della virtù sventurata, con i propri rispettivi astasvasus. Contraddistingue Yama un sembiante terribile, egli apparendo panciuto e barbuto e baffuto e con gli occhi sporgenti, ma insieme con il gesto del varada mudra il dio non ha preservato che l’attributo di una campana, insieme con il bufalo come cavalcatura. E’ andata meglio nel tempo a Nirriti, che insieme con il cane come suo veicolo non insusuale, *, ha salvaguardato spada, musala*, ed uno stelo di loto spiraliforme, mentre il suo astavasus al pari di quello precedente non reca più che il vaso dell’acqua lustrale. E’ avvenuto così la svolta alla parete occidentale, con lo stesso layout statuario della precedente e di quella settentrionale, in cui la caratterizzano le apsaras musicanti. Le precede, appena dopo Nirriti, sul lato interno, la ninfa con bambino, un gruppo di cui del fantolino possiamo ammirare il tenero modellato del solo corpo, in un destino che condivide con la madre. E’ volta invece verso il contiguo bhadra l’apsara che tiene nella mano sinistra premuta contro il ventre uno dei suoi due cimbali, mentre l’altro è nella mano destra sollevata sul capo. All’altezza del bhadra di indubitabilmente identificabile c’e solo Ambika nella nicchia dell’adhishthana. Su di un leone, in lalitasana, con un libro ed uno stelo di loto spiraliforme, la rendono inconfondibile il bambino che reca in braccio e un cespo di mango. Né il leone che cavalca in lalitasana, né il libro e lo stelo di loto spiraliforme che reca consentono di identificare la Yakshi della nicchia inferiore, né tanto meno la pettinatura dhammilla, troppo in voga tra le divinità femminili celestiali dell'epoca. Maggior fortuna interpretativa ha arriso invece alla yakshi superiore, che Krishna Deva, in conformità con la tradizione Digambara ritenne potesse identificarsi nella Yakshi Kali del settimo Tirthankara Suparsvanata, per il suo veicolo animale,. un toro, e gli attributi che reca in quattro residue delle otto mani originarie, sakti, vajra, specchio in quelle di destra, pasa e chissà se un pungolo in quelle di sinistra. Nelle successive proiezioni intermedie sono attestate le due ulteriori apsaras musicanti, l’una assorta nell’emissione dei suoni di una vina accanto alla presumibile Yakshi Kali, l’altra nella modulazione delle note di un flauto accanto al successivo dikpala, Varuna, E’ esso monco di tutte le braccia, con il veicolo intatto del coccodrillo secondo prammatica, mentre un destino migliore è stato riservato al suo astavasus, che oltre al mudra varada può ancora ostentare parasu-ascia, uni stelo di loto spiraliforme, e il vaso dell’acqua rituale. E si è cosi giunti alla parete nord, che sull’altra facies della karna-ratha non può che riservarci in direzione nord-ovest il dikpala Vayus, con il suo gesto benedicente e il veicolo del cervo, nient’altro più in dotazione. Tra le apsaras figurano quella che non può che denudarsi del tutto per liberarsi del pungolo-passione di uno scorpione , la seconda in basso, prima del bhadra, cui corrisponde oltre la sua nicchia quella che reca un beauty case. Nella nicchia dell' adhishthana fa alfine la sua tardiva comparsa la Yakshi dello stesso Adinatha , Chakreshvari, alias Vaishnavi in contesto vishnuita, in sella allo stesso veicolo, Garuda, uomo-aquilino, in abhaya mudra e con i più classici attributi vishnuiti, gada, chakra, sankha, compensando il suo ritardo con il raddoppio alla grande della sua presenza differita, nella prima nicchia del bhadra, in cui è ribadita seduta in lalitasana su Garuda, ma senza che alcun attributo possa altrimenti più identificarla. L'affianca un makara-pranali di sgorgo esterno delle acque rituali. Nella nicchia superiore sarebbe invece allocata la Yakshi Anantamati del quattordicesimo Tirthankara Ananthanatha, sempre secondo Krishna Deva, in virtù esclusivamente del suo veicolo identificativo, un’ oca, poiché il solo attributo che le è rimasto integro è uno scudo, supportato da un resto di freccia. Oltre le ultime apsaras gli ultimi due dikpalas, davvero ultimi ma non ultimi, visto che presidiano le direzioni più favorevoli del tempio, Kubera quello settentrionale, Isana quello di nord-est. L’uno, a dispetto della ricchezza che può dispensare, è senza veicolo e con spezzate finanche le braccia, l’altro, in tribhanga e varada mudra, attestando la propria natura shivaita almeno nell’attributo superstite del trisul. E andata meglio al suo astavasus, che insieme con il veicolo animale gli attributi li ha conservati tutti e quattro, varada, duplice stelo di loto spiraliforme, vaso rituale dell’acqua. Si è cosi giunti al versante settentrionale dell’antarala, che conserva ambo le Yakshini delle sue due nicchie. Quella inferiore, di otto braccia in lalitasana e abhaya mudra, è in virtù del pavone che ne è il veicolo che secondo Krishna Deva può forse corrispondere a Mahamanasi, la Yakshi del sedicesimo Tirthankara, Santinatha, mentre non è dato supporre chi possa mai essere la Yakshi superiore, in padmasana su un fiore di loto, mutilata di tutte e quattro le braccia e senza più tracce del suo veicolo animale. E’ invece la sussistenza delle cavalcature delle divinità che in tutte e tre le nicchie che oltre il balconcino in miniatura con astanti, ricorrono sul fianco dell’antefissa riservano tutte le loro Yakshini, ha consentito a Krishna Deva di lumeggiare che quella inferiore possa essere Gauri, quale Yakshi dell undicesimo Tirtankara, Sryansanatha, essendo il suo animale il cervo, che sia Purushadatta, Yakshi del quinto Tirthankara, Sumatinatha, quella mediana in lalitasana, dalle ottuplici braccia, cavalcando ella un elefante, benché si rimanga in assenza di qualsiasi altro dato riconoscitivo , essendo tutte le sue braccia spezzate, mentre resta da ritenere che sia solo il numero dimidiato di braccia, quattro invece di otto, o il duplice loto che reca al contempo quali unici attributi superstiti, che hanno consentito a Krishna Deva di disambiguare forse in Manasi, la Yakshi del quindicesimo Tirthankara, Dharmanatha, la divinità in tribhanga e varada mudra della nicchia superiore, in quanto come Gauri si serve di un cervo quale suo veicolo effigiato. Del corredo statuario esterno al tempio restano da visualizzare al termine della pradakshina solo le sette immagini delle nicchie che sostengono l’antefissa frontale. ( alla fine della descrizione iniziale) Eccettuata Ambika , quarta in ordine provenendo da nord, sono rimaste anonime tutte quante anche per Krishna Deva, la prima perché il sembiante del suo animale è indefinibile se sia un pavone o un’oca, e i suoi attributi o la postura non la differenziano ad esempio dalla presunta Manasi, se non per un vaso dell’acqua che in più non le è andato perduto, la seconda perché è senza cavalcatura e marca uno scarto dalla precedente solo per il mudra, l'abhaya, e l ultimo degli attributi, un kati* in luogo del vaso di acqua lustrale, la terza in quanto , anch’essa senza veicolo, non differisce dalla precedente che in quanto in luogo del mudra dell’abhaya reca un nilotpala, la seta e la quinta, saltando ora Ambika, perché sono simili tra loro e con la terza negli attributi che recano, con la sola divergenza dell'ordine inverso di successione, il nilotpala per ultimo nella estrema mano destra inferiore in luogo del kati che ne è il primo nella mano sinistra corrispondente, rispetto alla terza icona, e la settima perché solo il veicolo animale elefantino potrebbe immedesimarla con Purushadatta, Yakshi del Tirthankara Sumatinatha, alla stregua della seconda Yakshi del versante settentrionale dell’antefissa, non fosse che per il resto è pressoché totalmente mutilata. Ambika, in tribhanga, è invece ampiamente contraddistinta, recando un cespo di mango, due fiori di loto nelle due mani successive, un pralamba*, e un bambino che ne tiene un dito della mano sinistra inferiore, mentre nella propria mano sinistra tiene un ulteriore frutto di mango.
La conclusione della pradakshina ci dà così accesso all’interno del tempio, in cui possiamo risalire direttamente alla porta d’accesso al garbagriha.
Sette ne sono le bande laterali o sakas, la prima un patra-lata di volute rampicanti, con un fregio di fiori mandara, la seconda e la quarta istoriate di ganas musici o danzanti, la terza uno stambha-saka a guisa di pilastro, in cui in luogo dei tradizionali mithuna si susseguono Yakshini,- fra le quali della seconda, sul lato sinistro, si porge all’attenzione il veicolo, un pappagallino rimasto intatto, la quinta banda manifestandosi decorata con srivatsa* alternati a rosette, la sesta di volute nerbute in fuoriuscita dalla bocca di un vyala sottostante, la settima di nuovo di rosette. Sullo stambha sakha trova il suo appoggio l’architrave, in cui, all'interno di cinque nicchie sormontate da udgamas, si ripresentano al fedele, con altre due Yakshini intermedie, Chakreshvari al centro, ad Adinatha, suo Tirthankara, se non ad ella, essendo il tempio dedicato, Ambika alla sua destra, Padmavati sulla sua sinistra. Poco resta da dire a tutt’oggi delle raffigurazioni ai lati degli stipiti di Ganga e Yamuna con i loro veicoli animali, il coccodrillo e la tartaruga, rispettivamente, delle loro attendenti e degli dvaparalas, talmente sono andate distrutte La sfregiatura non ebbe a imperversare invece sulla soglia, l’udumbara, in cui l’aggettanza semicircolare centrale del mandaraka, adorno di volute di loto, è fiancheggiata da delle attendenti femminili cui si susseguono divinità acquatiche, queste ultime con una giara su karimakara. Sotto gli stamba-sakas due nicchie albergano due divinità femminili in padmasana, soggiacennte al seggio di una delle quali è ravvisabile una tartaruga. Altre due nicchie ulteriori, sotto il settima saka d’ambo gli stipiti, ospitano due immagini di Kubera, in abhaya mudra con parasu-ascia, e stelo di loro spiraliforme, non che tre giare contenenti dei tesoretti o nidhi* sotto il suo proprio seggio.
Di alto pregio sono i pilastri ai lati della porta del santuario, - il cui basamento , su di un’upapitha ornamentata di motivi di rosette e petali di loto, replica le modanature della vedibandha, - khura , kumbha ornamentata di udgamas, kalasa, kapota. Essi sono arcaici nelle loro profilature badraka con sovrascolpiti alla base dvarapalas, poi nelle volute ondulate fluenti dalla bocca di kirtimukkas, prima di un inserto di rombi diamantini, e di gatha-pallavas, o vasi dell’abbondanza. Una banda di rosette ed una sezione attica o uchchalaka* con il solo profilo di vasi ulteriori dell’abbondanza concludono i rilievi dei pilastri, su cui poggiano capitelli bharani in cui i pendenti di gagarakas precedono le scanellature di un amalaka e un padma lotiforme. Ancora mensole di bhutas-atlanti , con nagas adoranti interposti, prima della grande trabeazione finale, in cui, sotto un pattika di rombi e rosette e un grasa-pattika di kirtimukkas, decorre il fregio degli auspici avuti in sogno dalla madre dell’ultimo dei Tirthankara, Mahavira, prima del suo concepimento, sedici, come vuole la tradizione Digambara, in cui si iscrivono i templi di Khajuraho, in luogo di quattordici per i Svetambara* : 1) l’elefante di Indra Airavata, 2) un toro,3) un leone rampante, 4) Sri Devi o Laxmi, 5) una ghirlanda che racchiude un kirtimukka, 6) una luna piena con una lepre visibile nel mezzo, 7) un sole nascente che rappresenta Surya al entro, 8) un paio di pesci, 9) un paio di giare d’oro, 10 un lago di fiori di loto, 11) un mare agitato, 12) o trono leonino), 13) un vimana*, 14) una coppia di Naga in un padiglione( il Nagendra-bhavan) , 15) cumuli *di gioielli, e 16) Agni assiso con le fiamme fuoriuscenti dalle sue spalle. Nel santuario, di rilievo il fiore di loto con quattro schiuse di petali che ornamenta il soffitto, in una cornice riquadra ai cui angoli stanno kirtimukkas. Moderna l immagine di Adinath che si offre alla devozione terminale dei fedeli. ( Gli asterischi contraddistinguono i termini di cui va da me data una definizione elementare o che devo precisare meglio)
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