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INDICE
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Il seguente itinerario è la continuazione di quello che illustra i templi Hindu orientali di Khajuraho, in un precedente report a cui si fa riferimento, e che rappresenta un'introduzione più circostanziata alla realtà religiosa della bellezza spirituale dei templi di Khajuraho. Alla fuoriuscita da Beni Ganj, svoltando a destra, ci si ritrova ad inoltrarsi per un ampia viottola sterrata, che ci porta a costeggiare le alture dei rilievi Lavania. E' un autentico percorso di frontiera, tra le piante che s’infittiscono in boscaglia rupestre lungo i declivi, fin sotto gli scaglioni rocciosi delle scabre cime, ed il digradare agreste delle distese dei campi di grano, solo che si volga a valle lo sguardo. Nelle radure armenti al pascolo, pastori e boscaioli Ma con l’ultimo crinale trova il suo termine in capo a pochi chilometri anche questo cammino rupestre, che cessa incrociando la via più impervia, per il suo acciottolato pietroso, che da Khajuraho reca al villaggio adivasi di Khundarpurah. Occorre risalirne la scabrosità, volgendoci a destra, tra i campi in cui s’infoltano magnifici gli alti fusti frondosi degli alberi di himli e delle mahua, oltre le siepi che alte ci affiancano, finché non ci appaia il profilarsi solitario del tempio Chattarbuia, nel suo sikkara tra le piante svettante, di epoca solo meno tarda di quella dell'altro tempio a sud, il Duladeo, in quanto lo si fa risalire al 1100 d.C., ai tempi di re Jayavarman. Retrostanti, stanno i casolari di un villaggio, dalle pareti di malta bianche e rossastre, mentre la scuola del piccolo villaggio affianca il tempio più a nord , slargandosi in un cortile.
Al fronteggiarlo, od al fiancheggiarlo, il tempio s’impone alla vista per quanto è abbreviato e raccolto, nella tensione delle sue forme ascendenti enfatizzata dalla verticalità dei pilastri del portichetto raccorciato, la cui contiguità con la sala del mandapa, è rimarcata a sua volta dalla continuità dei raccordi della gronda e dalle spigolosità angolari dei balconcini. Le statue templari esterne sono per lo più dilapidate, ma sotto un sikkara in larga parte rifatto, lasciano intendere come a differenza della generalità degli altri templi di Khajuraho, il Chaturbuja sia direzionato ad occidente, anziché ad oriente, in quanto rispetto alla facciata è sul fianco di destra, volto ai monti da cui si proviene, ossia a mezzogiorno, che tra i dikpalas guardiani ritroviamo Yama, il dio della morte, che presiede per l'appunto tale direzione funesta. Una circumambulazione del tempio in senso orario ci porta a rinvenire nelle proiezioni centrali Vishnu,- con corona del rosario, bastone ( gada), la ruota del*chakra e sankha, o conchiglia, invertita*, tra Laksmi e Balarama con il suo canopo di serpenti sulla propria destra, e Garuda con un rettile a lui quanto mai inviso sulla propria sinistra, preceduto da un devoto. Immancabili, si stagliano alla destra della aureola Vishnu il tricefalo Brahma e alla sua sinistra Shiva-, mentre nella edicola sovrastante furoreggia una Narashimi meravigliosa,
per naturalezza ferina, controparte femminile dell’uomo-leone in cui s’incarnò Vishnu per dilaniare Hiranyakashipu. Ne esalta la ferocia la più comoda postura lalitsana, tra dei devoti atteggiati nella anjali mudra e inservienti e dee di contorno, Sulla parete orientale, come su quelle retrostanti , ma volte ad occidente, dei templi Chitragupta e Vishvanatha, Javari e Duladeo, campeggia invece uno Yogasana Surya, il dio solare alla guida dei suoi sette cavalli, ambo gli arti spezzati. Lo affiancano quali inservienti due Ashvinikumara dalla testa equina. Sono essi i figli inseparabili che Surya ingenerò in forma di stallone nella giovane sposa Samjna, che pur simboleggiando la conoscenza intuitiva, si rivelò incapace di sostenere l'energia dello splendore dello sposo, involandosi in forma di giumenta, e lasciandogli in propria vece la propria ombra. Gli Ashvin, come i sette cavalli, di cui Surya è il condottiero, , in conformità alla “ pervasività” che significa il termine che li designa in sanscrito, ashva, nella loro natura equina sono connaturati alla luminosità solare, e ne esprimono la vita che conferisce ad animali e piante, personificando la terza delle funzioni della società hindu, oltre a quelle sacerdotale e guerriera, la mansione degli agricoltori-allevatori, che dona salute, copiosità di beni alimentari, bellezza, giovinezza, essendone i protettori e i detentori del sapere, Al di là * dell’Ashvinikumara alla sinistra del dio Surya sta Danda, con spada e kati*, mentre all'Ashvinakumara alla sua destra fa seguito un Pingala meno irruento, con tanto di penna e manoscritto. Surya soggiace a Shiva senza consorte. ma ancor ben attrezzato di varada- rosario, trisul, serpente e vassoio di acqua ancora intatti, e di una coppia di inservienti ad ambo i lati, con un Nandi simpaticamente accucciato sotto il suo piede sinistro. Volgendoci a Sud, delle divinità della proiezione centrale è riconoscibile solo quella superiore, che già per il petto maschile che si fa mammella femminile è facilmente identificabile nel dio Ardanarishvara, metà Shiva e metà Parvati, con differentemente acconciata in una jata-mukuta la crocchia di capelli, a simboleggiare nella sua androginia l' imprescindibilità e l’inscindibilità dei principi complementari in ogni realtà affermativa e creatrice. Vuole il mito che in tale forma Shiva sia comparso a Brahma quando questi gli chiese la ragione del perché i Prajapati che aveva creato, nella loro esclusiva natura maschile fossero incapaci di procreare altri esseri. Al che Brahma intese e richiese alla parte femminile di Maheswara di dargli a sua volta un proprio risvolto femminile, per potere procedere oltre nella creazione. Shiva Ardhanarishwara lo si ritrova effigiato sulla parete interna del sanctum del tempio Vishvanatha ch’è volta ugualmente a mezzogiorno, mentre figura come Shiva Tripurantaka, distruttore dei demoni eponimi* di tre città, nella nicchia corrispettiva del sanctum del Kandarya Mahadeva , ed in quella della proiezione esterna della parete nord* del tempio Duladeo in cui lo rivedremo. Affiancano Ardhanarishvara inservienti d'ambo i lati, come ambo i lati del suo alone * figura una divinità barbuta, lo stesso Brahma quella di sinistra. Quanto mai canonici appaiono gli dei guardiani al pari degli astavasus sovrastanti, un rosario con varada, un’ ascia,un libro racchiuso da uno stelo di loto e un vassoio * d'acqua, il loro corredo di attributi, con Nandi ai propri piedi, quando vi figura come cavalcatura. Un Agni focoso e panciuto di cui si è preservato il veicolo animale dell’ariete, una figura umana reclina ai piedi di Nirriti, Kubera con almeno intatto il suo saccoccione a guisa di mangusta stracolmo di ori e tesori, alla sinistra dei cui piedi una giara rappresenta nidhi*, le sole loro note salienti. Ma ci basta farci ora sulla soglia del tempio Chaturbuja, perchè ci compaia, all’interno la sua ragione primaria di splendore, la statua incantevole di un dio sovranamente assorto nella sua quiete meditativa, che ci infonde la sua stessa pace invitandoci a deporre ogni paura, con la mano volta nel gesto dell’abaya mudra. mentre la sola altra mano superstite reca un libro racchiuso da uno stelo di loto. Lo fiancheggiano due inservienti femminili, con jatamukuta, l’acconciatura di quella alla destra reca del dio reca uno scheletro con due braccia ai lati,è una nota di morte incupita dal cranio a guisa di coppa che insieme con una spada reca uno dei due dei obesi tra i quali è compresa*, dei quali quello soggiacente reca un serpente (Non meno inquietante è lo scettro dotato di teschioche reca uno dei Saiva dvarapala che affiancano la divinità fluviale Yamuna sulla soglia*). Al dio un trono di loto fa da piedistallo, un magnifico makara torana aureola il capo. Risale al dio, ai suoi quattro arti,( “Chatur-buja”) il nome stesso del tempio.* La divinità che è al centro della trabeazione del portale d’accesso al garbagriha ci indurrebbe a identificarlo in una manifestazione di Vishnu-Narayana, nientedimeno nella sua incarnazione quale Krishna, per la posa della che ha assunto negli arti inferiori. Non fosse che ne corona il capo la crocchia di capelli raccolta nella tiara della jata-mukuta che contraddistingue Shiva , il che, però, non può indurre* che a considerare il dio il pendant vishnuita di Hari Hara, il dio che per metà è Shiva, per metà Vishnu, mentre sembra fuorviante riconoscervi Shiva Dalshinamurti*.per quanto autorevole sia tale identificazione, Che rechi alle caviglie le padangada, che ritroveremo al collo del piede anche di molte delle statue del tempio Duladeo, è per gli storici dell'arte un dato certo della epoca tarda cui risale l’edificazione di entrambi i templi e delle loro opere scultoree, non bastassero gli altri indizi divenuti irrefutabili. In alto, dove la sala del mandapa immette nel vestibolo dell’antarala, Saraswati e Laxmi, la dea della sapienza e la dea della prospera fortuna, ad ambo i lati sovrastano il fedele, a conciliargli una buona sorte di virtù e conoscenza.
Lasciato il tempio Chatarbuja, una deviazione sulla destra, dopo un breve inflettersi tra i campi, ci recherà a quel che resta del tempio più grande che sia stato ritrovato in Khajuraho, il Bijamandala. Il suo plinto misura Lo sovrasta il linga che vi appose un maharaja di Chattarpur nel XIX secolo, e restano le fondamenta e il basamento sino al podio, in cui tra le modanature a foglie di loto*, o cuoriformi, in guisa di rosette e kirttimukka, primeggiano i brani frammentari dell’antarapatra , il fregio scultoreo recessivo istoriato di scene di vita. Vi risaltanocortei di elefanti, spesso impennati, più, si direbbe, per una tenzone dai loro conducenti tesi a raffrenarli che perché imbizzarriti
gruppi di danzatori e musici, insegnanti e i loro seguiti, compreso uno jain, uomini in lotta e cacciatori, che nel gruppo più singolare sono colti al ritorno dalla caccia con le loro prede pencolanti. Intrigant , nel farla da padroni degli elefanti, il ripetersi di scene in cui irrorano delle gentil dame con la loro proboscide, simbolo non cripticamente esoterico del membro maschile inseminante.
Di ritorno sulla via maestra occorre seguitarla ancora per un tratto, fino alla svolta sempre sulla destra , che ci immetterà nelle case del borgo di Jatkara, l'insediamento a cui Alexander Cunnigham riconduceva nella loro localizzazione i templi a sud di Khajuraho. Esso ci offrirà i muri d’angolo e gli sporti dei balconi delle tinteggiate sue case silenti, non fosse per i bambini per strada e per il clangore del mulino in un interno, fin che dopo l’ultimo slargo in una piazzetta ombreggiata da un nim, si esaurisce nella sua fuoriuscita, oltre la quale ci si ritrova tra alte* mahua sotto l'intrico ritorto dei loro rami, quindi tra i campi lentamente digradanti verso il letto del fiumicello Kudhar, nelle cui distese si affusolano casolari e filari di piante a perdita d’occhio. Tra il tripudio vegetale una strada ci schiude il suo varco sulla destra: è l'occasione, prima ancora di raggiungere il tempio Duladeo che già ha fatto la sua comparsa tra lo sfondo degli alberi, per assecondarne il percorso fino a che un grande albero ci si pianta in mezzo al fondo stradale, prima di una curva ove compare una bandiera gialla. Si svolti per la sua viottola sinuosa tra i campi, fino a che sbocca nell’argine di un talab: lungo il suo snodarsi ci avranno già raggiunto le note dei canti o le predicazioni amplificate da un altoparlante, che provengono dal complesso di tempietti poco oltre, sulla sinistra, racchiusi tra alti pipal che li adombrano con le loro altissime fronde. Vi sono stati eretti nella radura che traluce entro un boschetto in riva al bacino lacustre, cui discende un minuscolo gath. E’ un gruppuscolo di templi , altamente venerati, che fa capo a quello principale di Hanuman, preceduto da cinque altari di mattoni impilati: i due tempietti all’ingresso sono dedicati alla dea Durga, cui fa seguito , al centro, un altro sacello dedicato a Shiva, dietro il quale una piattaforma reca due yoni e cinque linga, non che una statuetta di Nandi ch’è stata asportata da un antico tempio di Khajuraho, così come i frammenti scultorei all’interno delle celle di Durga. Ritornati sulla strada da cui avevamo deviato, non ci resta che discendere al fiume Khudhar, al ponte- chiusa che ne regola il flusso, ampio e colmo e tralucente, a monte, quanto si fa magro di acque a valle , nel procedere insinuantesi tra un greto roccioso, per risalirne la china oltre la quale ha fatto la sua comparsa in tutti suoi resti il tempio Duladeo, o Kunwar Matha Per quanto della sua architettura sopravviva più che altro il fantasma, ne aleggia quanto il sikkara, nelle sue sacre alture montane, si sovrimponesse al prolungamento longitudinale del portico ed alla sopraelevazione dei balconi della sala del mandapa . .
Ultimo dei templi di Khajuraho, fu fatto costruire intorno al 1130 d. C. da re Madanavarnam in onore di Shiva cui riservava la sua devozione suprema, forse insieme ad un altro tempio shivaita, il Nilakanthesvara, di cui a suo tempo Cunningham rilevò i resti. La stessa critica che l’ha postdatato l’ha anche retrocesso a tempio minore, inferiore a ogni altro di tutti quelli in arenaria in Khajuraho, per la stereotipia tediosa del suo corredo statuario. pur tenendo conto dei guizzi di vita di cui sono saettanti i vyadharahs e i gandarvas dell' ultima banda delle statue esterne,
o le apsaras danzanti degli interni, la bellezza dei cui ritmi e fremiti ansanti è tutt’uno con quella delle loro sciarpe svolazzanti e delle volute ondeggianti, La curvilinearità di tali rilievi ornamentali, specialmente dove ricorrono contigui alle bande laterali della cella del tempio, si richiama a sua volta a quella di leogrifi e guerrieri sinuosi, così come* fu colta splendidamente da Stella Kramrisch, nella schedatura che ne fece in Hindu Temple. Ella magnificò non meno giustamente il fulgore del Surya Hari-Hara Hiranyagarbha che è insediato nella nicchia superiore della proiezione principale della parete esterna retrostante, il potere dei cui splendore, insostenibile per gli stessi dei della Trimurti allorchè il loro artefice,Visvakarman, li rese di essi partecipi, “ si trova raggiante nel volto calmo e fiero; dà la curvatura esterna al petto e allo stelo del loto le cui corolle rotonde sono disposte ai lati del volto” ( Stella Kramrisch, Il tempio Hindu, pg 440 dell’edizione italiana). Degli attributi della Trimurti si conservano quelli shivaiti recati dalle mani degli arti superiori- i serpenti e il trisul o tridente, al pari di quelli Brahmanici degli arti inferiori- il rosario con la mano nella posa benedicente detta varada, ed una brocca d'acqua- mentre sono andati perduti gli arti mediani vishnuiti. L'auriga Aruna guida tre dei cavalli del dio, effigiati in rilievo sul piedistallo. All’esterno, contraddistinto da un portico a due vani e da un mandapa dalle balaustre assai sopraelevate, le manifestazioni di Shiva nelle nicchie delle proiezioni principali sono a sud Shiva Andarantaka- fra breve ne riparleremo-, che ostenta la pelle del demone elefantino ucciso come propria copertura, senza che ciò minimamente lo impacci nel reggere al contempo un tamburello damaru ed uno scudo* con le mani inferiori, mentre due preta* con un cranio a guisa di coppa e uno stiletto, uno alla propria sinistra e l'altro ai suoi piedi sono pronti a raccogliere nelle loro coppe craniche il sangue del demone ucciso, ad Est Shiva Nataraja,signore della danza cosmica mediante la quale il suo essere eterno crea il divenire cosmico di ciò che ha nascita e morte*, a nord Shiva Tripurantaka, come si è anticipato, mutilato come più non si potrebbe. Nella nicchia superiore sulla sua cavalcatura, Garuda, lo sovrasta un Vishnu cui non è bastato averne otto, di braccia, per ritrovarsi con solo due arti con i propri sacri attributi superstiti del cakra e del sankha*. I Dikpalas sono sormontati da degli astavasus che hanno come veicolo un coccodrillo, in luogo del Nandi usuale, e tra di essi a Sud, e Sud Ovest, si fanno notare Yama e Nirriti , per la loro singolare arricciatura di capelli a ventaglio. a dire il vero a loro non ignota già nel tempio Chaturbuja. Restano da rilevare i gruppi erotici di cui è celeberrimo quello intento ad un acrobatico rapporto orale, a settentrione, nel recesso successivo ai dikpalas Varuna e Vayus . Un'emunta Chamunda danzante, è posta a conclusione dei cicli scultorei della parete nord, quale forma terrifica quant'altre mai della dea Durga, ella reca trisul, spada e tamburo damaru nelle superstiti braccia destre, non che uno scudo nella sola di sinistra che le è rimasta, delle dieci originarie con cui armeggiava. Tre preta la soccorrono nella sua danza cruenta, pronti a raccoglierne la messe sanguigna nelle loro coppe craniche. E' Chamunda l'incarnazione della Dea che trae il suo nome dai servi Chanda e Munda dei demoni Sumbha e Nishumba , che bellamente sterminò con i loro signori e aiutanti, in soccorso agli dei che essi osteggiavano. La si vede dunque, scheletrica, atteggiata in una danza di morte sui nemici vinti, ed ella reca uno scorpione nel ventre incavato, che ne simboleggia tutta l'energia distruttiva. Nella nicchia superiore rafforza il lato tremendo della parete dell'antarala interna un Bairhava seduto su di un cane, con rosario akshamala, trisul, e conchiglia, cui fa seguito una rappresentazione di Siva e Parvati, che trova il suo seguito in quella ulteriore di un dio sul dorso di un elefante di cui afferra la zanna, con gada e chakra nelle sue mani destre, Tale divinità potrebbe rappresentare tanto Vishnu intento nella Gajendra moksha, quanto, in assenza della raffigurazione di un serpente che disambiguerebbe la cosa, il suo avatar Khrisna che ha la meglio sull'elefante Kuvalayapida*. Chamunda rinvia, ulteriormente,alle due immagini di Shiva Virabhadra e di Ganesha che si affrontano all'ingresso del portico, in quanto sono le due divinità che già nei templi Kandariya Mahadeva e Visvanatha, aprivano e chiudevano la danza cosmica che intorno all'asse del mondo, simboleggiato dal tempio, vi è condotta dalle sette madri, le saptamatrikas , di cui Chamunda è la componente terminale. Le sette madri, eredi somme dei culti della fertilità , sono le sakti, o energie divine, create dagli dei più importanti del pantheon vedico- Brahma, Vishnu, Kumara ( Skanda), Varaha, Indra, Yama- sull'esempio di Shiva Maheswara, per soccorrerlo in una lotta altrimenti impari con il demone cieco Andhakasura che gli aveva rapito la moglie Parvati, poiché non c'era colpo cruento che Shiva gli infliggesse, dalle cui gocce di sangue, come cadevano al suolo, non scaturisse un altro Andakasura ancora più bellicoso. Le sette sakti divine in tal modo create, sorbendo ogni goccia di sangue che scaturisse dalle ferite del demone Andaka, posero termine alla sua moltiplicazione micidiale e ne consentirono l'uccisione finale. E' così per l'appunto del demone di ogni ignoranza, che se attaccato in prima istanza moltiplica le sue forze diffusive. E' valso la pena dilungarsi in tal modo sulle saptamatrikas, - Brahmani tricefala, Vaishnavi, Kumari, Varahi, Indrani, Maheswari e Chamunda-, anche in quanto le ritroveremo nelle banda centrali a guida di pilastri del portale d'accesso al garbagriha, in luogo delle serie abituali di mithuna o coppie amorose. L’interno si apre in una magnifica sala ottagonale con il soffitto che si volge in forme circolari, vi figurano agli angoli leoni digrignanti, senza che più vi sottostiano le venti ninfe celestiali, che vi erano installate su delle mensole . Danzavano, coglievano frutti di mango sotto i chioschi di foglie della pianta, si allacciavano cavigliere con campanelli. Era la loro sovra ornamentazione, di corone trilobate, di fasce duplicemente trapunte/ traforate/, di padangana alle caviglie, che più di quella di ogni altra figura femminile del tempio vi rievocava il nuovo stile che invalse negli ultimi tempi del dominio dei Chandella in Khajuraho Di tale fashion sono ora rimaste nel tempio, come campionesse esemplari, una Ganga e una Yamuna agghindate ed ancheggianti *in eccesso nel portale d'accesso, sotto canopi sovrabbondanti. Le fiancheggiano dikpalas pratihara, di cui quello di destra reca ancora la coppa di un cranio, a ricordarci la natura tremenda del dio che affrontiamo nel linga del garbagriha, in consonanza con gli aspetti terrifici già visionati di Chamunda, del Bairhava sovrastante, delle saptamatrikas e di Shiva Virabadrha e Ganesha , così come tali divinità le abbiamo ritrovate intente a condurre e a concluderne l' efferata danza cosmica rigeneratrice. Nella parte sovrastante del portale, Shiva campeggia al centro della trabeazione su di un atletico atlante, un bhuta nayaka,*mentre i nove pianeti si interpongono nelle fasce laterali, concluse come al solito dalle altre due divinità della Trimurti nei loro stalli. Sottostanti agli stipiti laterali, alle estremità della soglia d’accesso al garbagriha in cui ci fronteggia il linga del dio, soggiacciono le immagini di Ganesha e Saraswati, in luogo della complementarità più frequente di quelle di Laxmi con Saraswati. Sono esse individuabili anche per la loro tinteggiatura di polveri , o per i lumi che vi accende di fronte la devozione locale, che nei riguardi del tempio Duladeo è precipuamente femminile. A riprova che esso è ancora ben più vivo, di quanto lo vorrebbe morto la critica invalsa degli storici dell'arte. All’uscita dal tempio ci si ritrova già nei sobborghi del vecchio villaggio: dove il nostro itinerario si conclude nella tristezza felice del tempo presente.
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8 aprile 2014
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