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IN VISITA AL TRIBAL MUSEUM DI BHOPAL
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febbraio 2014 |
IN VISITA AL TRIBAL MUSEUM DI BHOPAL
Dei
musei di Bhopal, che insieme con il Bharat Bhavan di Charles Correa fregiano la
bellezza dei rilievi collinari che a Sud ne orlano i laghi di una estenuante
dolcezza, tralascerò di parlare di quelli di fama più assicurata, quali l'Indira
Ghandi Rashtriya Manav Sangrahalaya, niente meno che il Museo dell'uomo, anche
perchè ci sarebbe fin troppo di che dilungarsi nellla cernita di meriti e demeriti delle sue Open air Exibitions e delle Indoor Galleries, sale e
saloni di una pletoricità il cui eccesso si riduce ad essere per lo più uno
sterminato deposito inconcludente, o dello State Musem archeologico, dagli indubitabili
capolavori squisiti, ma, ahimè, adunativi, per lo più, per spoliazione e deperimento dei
musei periferici
del Madhya Pradesh, -dalle cui sale, in Dhubela, Panna, Ram Van, Vidisha, in
seguito decadute a una condizione di ancor più fatiscente degrado di quello in
cui versavano quando li ospitavano, sono stati essi detratti per finire in esso ammassati od esposti, alla rinfusa, in
uno stato
che è a dir poco confusionale, - e mi soffermerò piuttosto sul solo Tribal museum,
adiacente, di concezione ed inaugurazione recentissime,
il quale
ancor più
che ospitare meravigliosi manufatti, è esso stesso l'incanto di
un sogno
Secondo un coup de theatre mirabile , è la notte di ogni arcano, possibile o reale, l’aere senza tempo tinta dell’ evocazione museale del tribale ancestrale, la tenebra schiarita in cui stanno raccolti in silenzio gli arredi e gli interni , o i granai domestici, delle varie comunità di villaggio del cuore dell'India nel Madhya Pradesh, le cui dimore tipiche si situano accanto all'altra in un caleidoscopio la cui mirabilia ne sublima il fango e la paglia nelle specchiature e i fregi e le scene di vita di cui si ricamano.
Ed è permeandoli del mistero del grembo di ogni notte, che i rituali tribali sono dotati della facoltà di immergerci nella natura che il diurno sottopone e disgrega, facendoci partecipi del suo ciclo perenne di nascita, fertile unione, morte a una seconda vita, e che è dato loro di fare essere di ritorno tra di noi, ad angosciarci o a darci pace e prospera sorte, ciò che nella luce del giorno si dilegua invisibile, di far avvenire la comunione dei vivi con gli antenati e le divinità del villaggio.
E come riafforante dalla notte dei tempi, in un sogno in cui incanta anche ciò che è dolore e paura, risorge la propria infanzia all'apparizione dell'ancestrale tribale, quale che sia la longitudine o la latitudine a cui la si è vissuta, per un incantesimo fatato che lievita dalla ricreazione fantastico-artistica del dato etnologico più circostanziato.
Si è così incamminati tra le pietre del patar dev in cui la giungla e la boscaglia diradano le loro tenebre per farsi santuario arboreo e rupestre, di vessilli tra i rami e di sassi ammassati a tempio del dio per avere a propria volta dove poter dimorare, lungo sentieri verso il Kantaka van, o Devlok, di tridenti e di catene in cui la sofferenza si fa tribolo inflitto nei fusti arborei , e i tralicci appaiono le altissime moli di meravigliosi padiglioni che celebrano le nozze della terra e del cielo con quelle umane, fulgide di immensi anulari cerimoniali,
tra pilastri di fertilità macroscopizzati, i magharohan, gremiti di nodi indisgiungibili e di lignei uccelli e fiori beneauguranti, o avviati tra cumuli di anfore, di cavalli e pecore e galli di creta, per propiziare il masso simbolico di un Bab o Budha dev parentale. La riesumazione del loro biancheggiare cimiteriale, tra relitti ocra, è una ricreazione degli ammassi di ogni sorta di detrito urbano di Nek Chand, nel suo giardino roccioso in cui il fantastico ha celebrato la sua invincibilità nel cuore ipermoderno della Chandigar di Le Corbusier, così come a lui si ispirano gli alberi penduli degli innumerevoli strumenti musicali, tamburi e bbana, che con il canto del bardo, il pradhan, sono tesi a risvegliare la potenza della terra e gli spiriti del cielo, - di cui è nel gothul, la casa aurorale dei giovani ancora celibi, che si iniziano ad apprendere le norme e disegni cui deve ispirarsi la propria vita adulta nella comunità del villaggio.
Nella più radiosa luce diurna è invece esibito il repertorio dei giochi dei ragazzi, tanto più festosi quanto meno necessitano di giocattoli o attrezzature sportive, che non siano una semplice fune, i trampoli su cui ci si sfida ad abbattercsi nel fango del letto del fiume, le frecce e gli archi con cui si catturano pesci, le pietre o gli oggetti rotondi a guisa di minareto di un gioco, il pitthu, simile a quello dei birilli, o gli alberi in cui i giovani si avventurano come uccelli nel lansangada.
Ho la fortuna, ad una prima visita del Tribal museum, in virtù dell'entusiasmo che manifesto per il suo allestimento, di essere condotto dal suo ideatore che è lì presente, egli è il direttore delo stesso Bharath Bavan, sri H.S. Bhatty, di cui ancora non so nulla, e che mi accoglie con una modestia infinita, nonostante i titoli che può vantare. Con me si scusa pur anche della tosse che lo affligge, essendo fumatore incallito, del suo povero inglese, che è più povero ancora del mio, e la cui pochezza risulta forse ugualmente motivata dalla resistenza che una permeazione personale ugualmente profonda della propria lingua, e cultura d’origine , oppone in entrambi alla sua assimilazione, se mi dice che il Museo non ha altra fonti di ispirazione che la propria cultura indiana, in cui, conferma istantaneamente, un ruolo primario ha avuto Nek Chand.“ Io sono pittore” mi ricorda preliminarmente, illuminandosi negli occhi oltre la sua ispida barba bianca, per farmi intendere, nella sua ideazione creativa ,a quale sua fonte di ispirazione spetti la primogenitura. Ed “ oltre 1.500 artigiani” e artisti hanno lavorato per lui, nel compimento del museo, ha la soddisfazione di dirmi, ugualmente si diverte a stupefarmi che sia stato il progettatore e il realizzatore del museo similare di Khajuraho- “ in soli venti giorni è stato messo sù"-, e come non ci sia festival in khajuraho che gli citi, di cui non curi l'allestimento.“ You are right” “ You are right” mi dice con stima, a conforto di ogni mia osservazione critica che gli faccio sullo stato dei musei indiani. Gli architett che li hanno progettatii, Charles Correa, in primis, sono stati valenti, ma è la loro conduzione che lo lascia nello sconforto. E quando scendo dalla sua auto alla stazione di sosta degli autorisciò per la quale mi ha dato un passaggio” posso dirle che in lei ho incontrato un vero artista” ho modo di dirgli nel ringraziarlo.
Nella redazione del testo si
è fatto ampiamente oltre che al proprio materiale fotografico si è fatto
ampiamente ricorso al sussidio del materiale visivo dello
splendido sito
i cui estensori e autori anticipatamente si ringraziano |