Antichi templi Chandella nei dintorni di Mahoba
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2 maggio 2013 |
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Lungo
l’ampia via alberata che da Mahoba corre verso Chhatarpur,
proseguendo fino a Sagar, giunti al borgo di Srinagar, che resta a
meno di venti chilometri dall’antica capitale del regno dei
Chandella, prima ancora di pervenire al centro abitato del villaggio
una deviazione compare sulla destra, per chi provenga da Mahoba,
lungo la quale si inoltra il nostro itinerario. L’indizio che
la strada è quella da intraprendere è l’apparizione,
poco dopo che la si è imboccata, invece alla sinistra, dello
specchio lacustre di un talab, prima di un conglomerato successivo di
tempietti hindu, situati dentro ciò che resta di un apparato
fortificato. Dopo qualche chilometro si profila quindi sulla destra
un rilievo scistoso, ed è alla sua altezza che occorre
intraprendere la deviazione che compare sull'altro lato della strada,
per arrivare in pochi chilometri alla prima nostra meta, in Urvara,
un villaggio che s'inarca lungo un vasto talab, per lo più
prosciugato, presso il termine del cui costeggiamento appaiono i
resti del purana mandir, l'antico tempio ritenuto shivaita ch'è
la nostra meta.
La sua complessità confonde la vista
ed intriga, nel profilarsi criptico di gradinate e di portici,
,
è un disorientamento cui contribuisce l’ammanco del lato
a ridosso del villaggio, tamponato da un edificio che comprende i
resti della parte caduta in rovina, così come è franata
insieme la copertura del santuario del tempio. Ma l’impianto
architettonico presto si disvela.
Sul basamento che digrada nel talab, tre delle quattro scalinate d’accesso originarie recano ad una terrazza superiore,
alla quale soggiace una galleria che raccorda le scalinate, dopo i primi gradini, mentre sulla stessa terrazza, quale sua piattaforma, si sopraeleva il santuario vero e proprio. Sono così numerose le edicole sulle pareti esterne ed interne della galleria, oltre settanta, - da accreditare l’ipotesi, istantanea, che il tempio fosse dedicato alle sessantaquattro divinità delle Chausath Yogini, con nicchie residenziali ulteriori per le divinità femminili ad esse alleate, -almeno quante ne ritroveremo nel tempio che sarà la nostra destinazione ulteriore. In tali divinità, cresciute di numero a sessantaquattro, dopo essere state originariamente otto, divenendo poi tredici, si manifesta l’energia, o Shakti, della Dea, sotto le specie di Durga o di Devi. Ella è la potenza creatrice dell'energia che scaturisce dalle polarità del plurimo Divino, e le Yogini ne sono delle manifestazioni o emanazioni in forma di sue compagne, terrorifiche e benevole, (" Io sono la sola qui nel mondo, quale altra esiste oltre a me? guarda o malvagio"- dice la Dea al demone Sumbha , nel Devimahatmya, allorché egli la sfida a combattere senza appoggiarsi alle forze delle Sette madri, prima che tutte le altre dee venissero " assorbite nel corpo della Dea ed essa potesse dire: " ho posto fine al fatto che, tramite il mio potere, fossi stabilita qui sotto molte forme. Invero mi ergo sola. Sii saldo in battaglia."). Le sessantaquattro Yogini, quali potenze di reintegrazione della Dea, presidiavano i territori dei sovrani che a loro erigevano templi, aiutandoli in battaglia, specialmente contro gli invasori, assicuravano alle popolazioni protezione contro le calamità naturali, quali il colera, alle donne fertilità e la tutela della prole, assumendo connotati e nomi di divinità locali antecedenti, mentre ai sadhu concedevano i siddhis, gli otto poteri occulti.
Rombi
di diamante e rosette, ovunque profusi, costituiscono i motivi
ricorrenti dei fregi del tempio, insieme con i reticoli a scacchiera
sovrastanti,
mentre
nei pilastri, secondo una stilema quanto mai consuetudinario dei
templi Chandella, soprattutto in quelli originari, una sorta di
croce, con una filiera di rombi e rosette elegantemente intrecciati
al suo interno, si risolve nella stilizzazione compendiaria di due
coppe fogliacee dell’abbondanza, o ghata pallava. Le volute
lotiformi, soggiacenti agli stipiti inferiori,
delle
pietre di luna, o chandra sila, o pietre fondanti ( adharasila),
completano l' apparato decorativo.
Dalla terrazza- piattaforma, poi altre tre gradinate superstiti immettono nella sala, o mandapa, quadrangolare, del tempio vero o proprio, cui grazie alla transizione di un ottaedro offre la sua copertura un soffitto circolare, da cui si affacciano delle teste bovine, sotto le bande circolari di cuspidi germinali, entro l’involucro superstite di un tetto piramidale. Ed è da tale sala, che per il tramite di un breve vestibolo, si ha accesso a quel che resta del garbagriha, il santuario del Dio.
Del
portale
solo
le statue delle dee fluviali Ganga e Yamuna e delle loro attendenti
-
una delle quali era forse una divinità naga, o serpentina-,
sono sopravvissute con una certa grazia e fortuna all’erosione
del tempo e alla devastazione fanatica o alla spoliazione predatoria.
La contemplazione in cui la mente s’interna, dal respiro
sacrale del tempio può ora spaziare alla vastità del
talab, nei cui fondali prosciugati discendono di seguito i ghat
sgretolatisi, mentre in lontananza, dove ancora umido e lacustre è
lo specchio d’acqua, s'inoltrano a trovare frescura e pastura
armenti di bufali, in una distesa che si fa sterminata.
La
mente intanto corre in cerca di analogie che siano delle palesi
conferme delle sue congetture, e non tarda a trovarle, in tutta
evidenza, nella rivisitazione mnemonica del tempio delle Chausath
Yogini di Vyas Badora,
che
nel circondario di Lori è ad una distanza di gran lunga
inferiore di quanto non paia secondo gli attuali confini, stando ai
percorsi dei manti stradali e al loro dissesto: anch’esso verte
su quattro gradinate d’accesso su cui è sopraelevata la
galleria,
da
cui si ha accesso al santuario centrale,
situato
allo stesso piano, anziché su di una terrazza superiore.
Pressoché identica è l’ornamentazione
geometrico-floreale, a rinforzo, nel suggellare l’ipotesi che
siano due varianti dello stesso tipo di tempio destinato al culto
delle Yogini, del dato decisivo della ricorrenza della galleria
deambulatoriale, e del ricorrere sulle sue pareti di edicole,
uniformi, così numerose da raggiungere e superare il novero
stesso delle Yogini.
Può dirsi così individuata, al contempo,
una sorta ulteriore di tempio delle Chausath Yogini, propria
dell’India centrale che fu sottostante ai Chandella, oltre a
quella iper-nota di Khajuraho, che allinea le celle delle dee sui
quattro lati del cortile rettangolare di una possente fortezza
templare,
ed a quella, più attestata, sia dei templi dei feudatari Khachhapagatha in Mitaoli, nel circondario di Gwalior, che dei sovrani Kalachuri in Bhedagath, nei pressi di Jabalpur, che invece le dispongono lungo delle pareti che volgono circolarmente.
La
seconda destinazione del nostro itinerario, oltre ogni nostro
quietarci meditativo e contemplativo, incalza e richiede di essere di
ritorno alla grande via alberata che reca a Mahoba, seguitando il
rientro al ristoro della sua ombra frondosa, fin che non si avvistano
sul lato manco i cavalli di Arjuna, il medesimo Arjuna ed il
dio Krishna,nelle statue ispirate dalla Bhagavadgita di uno sfavillante tempio
recente ceramicato.
E’ alla sua altezza che occorre
svoltare, per poi girare ancora a sinistra, e ritrovarci in
Sanjahari, il bel villaggio del secondo tempio del nostro
itinerario.
Così già
l'ebbi a descrivere, avendolo già visitato in precedenza, in
una pagina del mio blog:
“Con Ajay- il
figlio del mio amico Kailash Sen- io ero invece in
Mahoba e dintorni, per visitarvi gli antichi templi Chandella di cui
avevo ritrovato l’indicazione del sito, insieme con il
foglietto su cui ne avevo trascritto i nomi, desumendoli , qualche
settimana prima, da alcuni pannelli del Department of Tourism dell'Uttar
Pradesh, che durante il festival di danze internazionale di
Khajuraho pubblicizzavano tali località archeologiche. Un
incanto il tempietto dedicato alle Chausath Yogini di Sijahari,
la
cui scalinata digradava nei ghat di un talab,
tra
le fronde contigue di un pipal, e di un nim,
che
ne custodivano la sacralità delle granitiche forme
architettoniche primeve.
Le
costituiscono nove celle disposte a tre a tre sui lati laterali e su
quello retrostante di un quadrangolo, rispetto a quello
del portale d'ingresso, che sono sovrastate sul lato alla destra,
e su quello posteriore, da
cinque sikhara residui sopra sei delle nove celle, alternativamente di diversa altezza e senza alcun apparato decorativo, quello d'angolo, con due proiezioni suppletive, fungendo da duplice sovrastruttura delle due celle soggiacenti intersecantisi, mentre il portale dà accesso a quel che resta di una sala interna su cui si affacciavano le celle multi residenziali delle dee. I residui motivi ornamentali esterni sono puramente geometrici, in un’alternanza di poligoni e di rombi diamantini, che si susseguono nell'alzato alle flessuosità curvilinee delle soglie,
riprese nella sukanasa o antefissa, secondo un’assonanza di forme e di decoro che mi evocava il tempio shivaita del Lalguan Mahadeva di Khajuraho, e ancor più i templi, situati in Mau-Suhania, presso Dhubela, il Chausat yogini mandir
e l’adiacente mandir dedicato a Ganesha, anch’essi in riva a un talab,
( -ove identica è la soluzione dell'antefissa, ripresa dall'adharashila, che ritroveremo nel tempio shivaita di Bhima Kundha-nota postuma-)
e i presumibili tempietti alle dee Yogini
, o quello al Dio Shiva, dislocati gli uni presso l'altro in Bhima Kundha, sempre nei paraggi di Dhubela".
In
effetti nel tempio di Sijahari sono cosi grezzi i soli motivi
ornamentali di poligoni e rombi, è talmente semplificativa
l'interposizione della modanatura di quattro kapota tra la parete
laterale del jangha ed sikhara, quale varandika,
da fare risalire il tempio di Sijahari, come quelli cui l'avevo
raffrontato, ai primordi della estensione sul territorio della
dominazione Chandella, nel IX secolo dopo Cristo.Una Kapota era conclusiva di un
basamento meno primordiale, ove una jadhya kumbha una karnika ed un'ulteriore
kapota precedevano la successione intermedia usuale di kura, kumbha e Kalasa.
Per chi ami digressioni forse solo apparentemente meno metafisico-religiose, lungo il percorso che dalla strada che reca a Mahoba immette all'ingresso in Sijahari, se non è in corso la stagione delle piogge, è impossibile non rilevare le pile di pani di sterco stesi al sole ad essiccare, secondo una disposizione estetica che rammenta l 'intreccio della paglia, come il cotto di certi magnifici gunbad o mausolei islamici iraniani, quali quello in Sangbast, nel Khorasan
In tali forgiature siamo ben oltre ogni provocazione d'avanguardia inscatolata come merda d'artista, ancora infantilmente intrappolata nel dualismo scatologico che fa dello sterco l'alimento principe del demonio, suscitato dal disgusto sensoriale degli escrementi.
Dilungandoci
invece nella sosta presso il tempietto, propiziata dall'amenità
del sito, grazie al ristoro che offre l'ombra delle fronde del pipal
o del nim che si riversano nel talab, tra cui i sikkara granitici
compaiono e dispaiono, il pensiero, nel suo inevitabile discriminare,
ricorre piuttosto al possibile dualismo radicato nell'arte Chandella
come in quella di Roma antica, che vi sarebbe sussistito tra un'arte
brahminica, o patrizia, della capitale, ed un'arte plebea della
provincia, per cui il granito e il suo rude ornato avrebbero iniziato
e seguitato a caratterizzare il sermo rusticus originario dell'arte
dei Chandella, così come si sarebbe perpetuato nelle aree
rurali delle loro dominazioni, rispetto ai templi in arenaria
splendidi che si sono susseguiti in Khajuraho, a iniziare
dall'esordio fenomenale del tempio Lakshmana, o che secondo un
eclettismo ispiratore d'altre forme, eccelsero negli altri principali
centri dei Chandella, quali Ajaigarh, Kalinjar, Dudhai, Chandpur.
Nello stesso volgere dei tempi, i templi rurali così
coesistevano con la grandiosità di sviluppo di quelli delle
capitali, in modi analoghi a quelli in cui le pievi romaniche
assistevano alla loro trasfigurazione nelle splendide cattedrali dei
borghi e delle città medioevali, o ne erano delle varianti
minori, e seguitavano a volgere alla fede e a riproporsi umili ed
alte, con la differenza che i nostri templi hindu, periferici, più
che costituire delle riproposizioni in tutta modestia di quelli di
Khajuraho,- come pur avvenne, remotamente, a Biijpura, preso
Kishangar, ( Chhatarpur District), o a Baragaon, in quel di
Tikamgarh, dove divulgarono i luoghi di culto più illustri in
modestia di sembianze e di ornamenti-, qui ne rimasero gli
stravaganti antenati rustici o si profusero per conto proprio, magari
con la vistosità di più sikharas, facendosi plurimi nei
loro santuari, e nelle modalità
d'accedervi, ma in scala più ridotta e in tutta povertà
granitica, con più rudimentali torniture di modanature e
scannellature di amalakas, senza trine o trame dei cerchi carenati di
solari gavakshas, florilegi di statue o di fregi di scene di vita di
corte, reiterazioni o ricadute ampie di kirtimukka a profusione. E
come sarebbe stato possibile, altrimenti, se anche nelle successive
capitali di Mahoba e di Ajaygarh, i templi dei Chandella poterono
reggere il confronto con quelli di Khajuraho solo in ordine di
grandezza, in limitati casi, e quanto a edificazione in arenaria,
negandosi ogni consimile trasposizione statuaria, di quali e quanti
siano i modi di manifestarsi della pienezza del Dio nel suo corpo
cosmico.
Nell'arte Chandella di provincia non fu dunque perseguita, che eccezionalmente, la successione in linea, ed in crescendo, delle componenti architettoniche dei templi di Khajuraho, che in una forma di coerenza ascensionale "sattvica" manteneva sublimemente coese ogni espansione laterale nei transetti ed ogni profusione iconografica statuaria, in un'unità formale indispensabile all'intellegibilità spirituale, mediante un percorso circolare, della metafisica religiosa emanativa che ispirava i cicli e le proiezioni e i recessi delle disposizioni delle innumerevoli statue templari di quei mirabili templi statuari, per manifestazioni dall'interno all'esterno sempre più differenziate del Dio del tempio, in forme di divinità l'una procedente dall'altra, tuttavia anche in tali più umili vestigia non venne meno l'avanzamento di grado nell'unificazione architettonica del tempio Hindu, -di portici e sale e gallerie di deambulazione e vestibolo e sovrastrutture con il santuario, che dei sovrani Chandella fu il lascito straordinario alle sue forme.
Lunga e diritta corre ora a strada verso Mahoba, già oltre si è in direzione di Bandha, e quasi dispiace lasciarne il confortevole ammanto, giunti al chilometro undici di tale arteria ulteriore, pur di pervenire alla meta finale, per ciò che si prospetta che ci attenderà, di lì a poco, tra il polverio che si fa ammorbante delle cave intorno di cemento, una deviazione, sulla destra, per una strada sterrata così accidentata e scoscesa, irta di spuntoni di roccia talmente ardui ed aspri, che si fa assillante il chiedersi quando mai abbia termine, per suggestivo che sia, nel sole e nel caldo, l'aspetto nevoso che assume il paesaggio sommerso di calce. Ma è la pena di pochi chilometri soltanto, giusto il tempo che si profili il dirupo di massi intorno al quale si dispiega l'incantevole Makarbai, di cui occorre assecondare tutto il dipanarsi di casipole bianche e blu, l'aprirsi di slarghi improvvisi ombreggiati dai nim, perché tra i tetti bassi di tegole compaiano intatti i sikkara del purana mandir, o mar, di cui si è chiesto così a lungo, e di cui non va certo deluso all'impatto l'orizzonte d'attesa.
Tre sono i sikhara,
con un rombo di diamante macroscopizzato nella discesa della proiezione centrale lungo i fianchi parietali del jangha, I reticoli a scacchi ne sono la trama luministica in luogo degli occhi di sole degli intrecci di archi carenati dei gavaksha, che ricorrono anche nei sikhara eretti più in economia formale dei templi di Khajuraho come tre sono i garbagriha dei santuari che raccorda la sala interna, cui si accede da una gradinata che risale la piattaforma su cui la sala, o mandapa , è sopraelevata, con la sua volta circolare sovrastata puntualmente da un tetto piramidale.
E' un ordinamento architettonico talmente eccezionale, che lo stesso Alexander Cunningham, quando visitò le rovine di Makarbai, nel 1871-72, ebbe a dirne come di uno " small, but very beautiful temple of a unique type, possessing three, instead of one, sanctum" ( Report of a Tour in BundelKhand and Malva, 1871-72, Vol. VII, 1878, Reprint New Delhi, 2000).
I portali dei garbagriha consentono di identificare in Vishnu la divinità della trimurti che al centro della trabeazione presiede l'ingresso della cella, in diverse sue manifestazioni secondo la diversa disposizione dei suoi attributi, e indica nella sua divinità il destinatario del culto del tempio. Nel fregio sovrastante si affoltano le nove divinità planetarie, mentre come è canonico nei templi Hindu non solo dei Chandella, le dee fluviali Ganga e Yamuna sostano in basso sugli stipiti laterali. Nella volta del mandapa, oltre la cordonatura soggiacente di palmette, a fregi di triangoli alterni, rosette, si succedono motivi a cuspide,
esattamente come in Sijahari e nel tempio shivaita gemino di Vyas Badora.
Al cospetto di un tempio Chandella di provincia con tre sikhara in corrispondenza dei garbaghiha di tre santuari - un tempio analogo lo ritroverò pure nell'ulteriore loro capitale di Dudhai, non che in Gyaraspur, il Bajra Math, Khacchapagatha-, laddove in Khajuraho, a iniziare dal tempio Lakshmana, la massima profusione statuaria e ornamentale ebbe a coincidere con un ordine architettonico sequenziale, e lineare, che conobbe le sole digressioni laterali di proiezioni e di transetti, e forse per l'appunto l'impose, per la visualizzazione interiorizzatrice della propria "religious imagery" ( Devangana Desai) mediante il continuum della deambulazione della pradakshina-, insorge la congettura che appunto in corrispondenza con una attinenza assoluta a tale statuaria templare e templarità statuaria , Khajuraho fosse innanzitutto e a tutti gli effetti la " capitale religiosa" dei Chandella, come ebbe a dire Cunningham, ancora nel libro XXI dei suoi reports. Che Khajuraho fosse la capitale religiosa dei Chandella,- vuoi per la sua prossimità con il forte di Manyagarh che fu l'insediamento originario della loro potenza ed il luogo di culto primario della Manya Devi tutelare, vuoi per il divulgarsi del mito fondante delle origini divine del capostipite re Chandravarman, a seguito di un rapporto d'amore del dio lunare, Chanda, con sua madre, l'incantevole vedova Hemavati, pur sempre una relazione extraconiugale che ne richiese l'espiazione con l'erezione di templi, secondo una tradizione locale ripresa dal bardo Chand nel XVII secolo, - è da presumere che fu località sacra a tale titolo, e con tale esclusiva, che a iniziare appunto dal tempio Lakshmana, per rimarcarne tale status, ad ogni ordine religioso fu concesso di edificarvi templi solo se erano conformi al suo modello canonico d'elezione, con varianti solo più rigidamente longitudinali, e che solo in Khajuraho, entro i confini dei domini Chandella, poterono essere edificati simili templi, " a configurazione d'origine controllata".
Nota Posteriore
17 ottobre 2015
Secondo i termini in cui il tempio di Makarbai fu cronologicamente schedato da Krishna Deva, che lo fece risalire agli inizi del XIII secolo, e come ai tempi della mia visita non ero ancora in grado di intendere, in realtà esso è un tempio Bhumija posteriore a quelli di Khajuraho, i suoi sikhara presentando ai lati dell'uromanjari centrale proiezioni uniformi di sikarikas diminuenti di altezza , disposti radialmente. Tale rettifica prelude a una revisione che sarà una riesposizione del tempio all'affezionato lettore.
E' il 2 maggio del 2013, il giorno della visita dei templi nel circondario di Mahoba, lungo la via che vi ci riporta volge al tramonto l'ora calda meridiana, dopo che dei pavoni ci sono stati di congedo all'uscita del villaggio.
2 maggio 2013- 8 dicembre 2013