INDICE

In Gyaraspur, Udayagiri, Sanchi, Deogarh

 

 

 

maggio 2016

 

 

 

Nel tardo pomeriggio di quell’ ultimo sabato di maggio Mohammad ed Ajay avevano voluto accompagnarmi in autorickshaw alla stazione ferroviaria, benché dovessi lasciarli solo per pochi giorni, in un tour tra Vidisha e Lalitpur che mi avrebbe visto di ritorno al più tardi il giovedì seguente, e da Chandu mi ero congedato in una stretta dolente che anticipava il mio distacco dal bambino quando oltre un mese dopo  avessi lasciato l'India.

In treno l’andamento stesso del viaggio leniva il dispiacere anche di quel commiato così temporaneo, mentre il disamore di me stesso insorgeva nella sua acredine amara, rendendomi ostico ogni contatto,  distraendomi dalla vista dei paesaggi al tramonto, alienandomi fino al furore mentale da ogni affetto più caro, predisponendomi  ad ogni privazione limitativa come fossi giunto a destinazione

Così, se  in Jhansi trascorrevo nella Vip room l’attesa del treno per Vidisha, perché non mi costava che  l’ansia di esservi sorpreso ad abusarne dei confort, in Vidisha non mi concedevo  che una stanzetta per 500 rupie, con un bagno squallido in cui discoprivo che  non funzionava la doccia,  in un hotel che pur mi riservava alternative meno deprimenti. Lasciato l’alloggio dopo un breve riposo nel primo mattino, senza coltivare particolari aspettative e nemmeno darmi cura di fornirmi di viveri ed acqua,  salivo sul primo autobus in partenza per Gyaraspur, risvegliandomi all' arrivo da un sonno intermittente.

Vi avrei continuato a piedi in direzione del nulla, tra casipole e spacci che non offrivano nemmeno il ristoro di una bottiglia d’acqua. Solo tornando sui miei passi avrei potuto godermi la frescura di sorseggiarne un intero litro ad una rivendita gestita da due anziani,  che me la estraevano da un frigorifero sul retro, per farne scorta , con dei pacchetti di biscotti,  prima di avviarmi per la stradicciola che restava  sulla destra, per chi vi provenisse da Vidisha, in cui avevo rinvenuto il percorso lungo il quale due anni addietro ero già pervenuto all’Hindola Torana e al tempio Maladevi, che era la vera meta della mia escursione in Gyaraspur.

 

Con il tempio Santinath jainista di Deogarh, il numero 12, che avrei rivisitato ugualmente i giorni seguenti, nell’intero Madhya Pradesh esso è infatti il  solo tempio antecedente ai quattro templi maggiori di Khajuraho che come essi abbia un ambulatorio interno, e sia dunque sandara,  con il tratto distintivo comune di presentare sui fianchi lo sporto di tre balconi con kakshasana reclini,  ed un’edicola soggiacente ad ognuno di essi all’altezza ribassata  del basamento dell’adhishthana.

Tralasciato così per il momento l'Hindola Torana, arrancavo in salita nella desolazione interna e nella calura del giorno, mentre il custode del tempio si poneva al mio seguito per poi precedermi di gran lunga 

Oltre una china l'amalaka culminante del Maladevi  mi compariva infine alla vista, precedendone la mole infossata sul fianco del monte.

Vi discendevo per la scalinata che vi recava,  mentre la sua pietra sbrecciata che già mi era apparsa fulgente nella prima visita ch’era avvenuta ad un’ ora più tarda,ora assumeva scintillii ramati viridiscenti , sul fianco interpenetrato dal monte di cui allora avevo trascurato la visita. Ora l’intravedevo nei  balconi della sala  del mandapa, nei culmini piramidali di portico e mandapa. mentre un masso sporgente mi precludeva la vista del balcone  della cella del santuario.

 

La rivisitazione del tempio, in cui il guardiano mi avrebbe seguitato come un’ombra inquietante, si sarebbe appuntata sulle immagini statuarie che allora avevo solo intravisto, tra le quali eccelleva quella di un presumibile Kubera nella sola edicola centrale che non ne fosse stata a suo tempo spogliata, l’edicola al centro del fianco del santuario a ridosso del monte. Quella di Kubera , dio della ricchezza, era una presenza non stupefacente in un tempio jainista, due sue effigie ricorrono in quello dedicato ad Adinath di Khajuraho, i jainisti ricorrevano infatti agli dei hindu che la devozione riteneva più propiziassero una buona sorte in questo mondo, magari agli stessi navagrahas planetari, che può essere dato di vedere disposti  sotto i sedici o quattordici segni divinatori della nascita del primo dei tirthankaras, Adinath Risabhanath. 

Come nella visita antecedente non avrei invece potuto accedere all’ interno del tempio, ed avrei avuto modo di vedere solo dall’esterno il mandapa con i suoi pilastri, il portale del garbha-griha ed i due che magnificavano l’accesso al deambulatorio interno.

Volevo infatti accertare se la parete del garbhagriha  che corrispondeva a quella interna del deambulatorio dava un seguito interiore alle cinque proiezioni dello sikhara, pancharata, che non trovavano un  riscontro sottostante nella parte esterna del mula prasad del santuario del tempio. In luogo del bhadra centrale vi era accampato il balcone con due fasce laterali sussidiarie, laddove due nicchie sovrastate da lunghi udgamas di archi chaitya-gavakshas carenati  fungevano da karnas d’angolo. I latas intermedi dello sikhara trovavano invece un seguito inferiore nei recessi fregiati ugualmente di udgamas dei salilantaras delle pareti del tempio..

Altresì il vestibolo dell’antarala non emergeva in una Kapili rilevata nella superficie esterna,  come nel tempio jainista Parshvanatha di Khajuraho,  al pari del quale il tempio Maladevi  ugualmente non riportava, in sporgenze sfalsate  su più piani, ( la cui articolazione ne avrebbe fatto un antecedente più certo dei templi  sandara induisti di Khajuraho),  la scansione interna in sala del mandapa, vestibolo, santuario, contrapponendovi il continuum di una  parete che tutto comprendeva dell’interno nella sua estensione, su uno sfondo tutto allineato sullo stesso piano, come è proprio di templi jain quali lo stesso Parshvanath in Khajuraho. In esso i balconi si succedevano ai pilastri di  udgamas di archi carenati, uno dei quali, a guisa di sikhara, per il succedersi di bhumi amalakas sui balapanjaras delle fasce laterali, era stato interposto tra gli stessi balconi del mandapa per ribadire tale seguito di  baluardi ostensivi di icone, incrementati dai pilastri  in cui erano istallate edicole degli stessi recessi.. Ne potevo desumere in conclusione che i templi sandara, jain od hindu, sono unificati , secondo tipologie proprie, dalla adibizione del loro profilo parietale esterno  a galleria uniformata  di immagini divine, Yakshis e Yakshas  nelle nicchie dei pilastri del tempio Maladevi, mentre nei balconi bhadras  si può presumere che fossero insediati  i  tirthankaras cumulati nella cella del santuario .

Nell' ornamentazione rimarcavo la frequenza del ricorso di lumas pendenti, nei balconi l’assenza del vedika.

Sulla via del ritorno indugiavo presso l'Hindola torana solo per riconsiderarne le rievocazioni delle incarnazioni di Vishnu,

 

 ed il tempio Athstambh mi  riappariva soprattutto una profusione elegante  di stilemi sontuosi, aggraziata dal torana del vestibolo antarala. Il custode aveva anche le chiavi che mi schiudevano l’accesso al più interessante Bajra Matha   uno dei pochissimi templi hindu dell’ Indiia centrale con tre santuari, al pari solo di quello di Makarbai, come ebbe a rilevare a suo tempo il maggiore Cunningham,  di un tempio in Dudhai e di quello al dio Surya in Amarkantak. Ma anzichè su tre lati , come nei templi riesumati, i santuari vi erano allineati con l’esito di interpenetrare di due sovrastruzioni piramidali laterali  lo  sikhara centrale, secondo un profilarsi di questo non certo svettante.

 

Di gran pregio l'intero complesso statuario , particolarmente sontuoso nei tre portali d’accesso, quello centrale in onore di Surya, con i 12 aditya ricorrenti nella banda dello stambha sakha e  nelle trabeazioni consecutive*, quello alla sua sinistra dedicato a Shiva, con 11 Rudras,  in luogo degli Aditya, negli stambha sakhas e nell’architrave, quello alla sua destra in onore dell'incarnazione vishnuita di Balarama, con 11 Sankarshana Balarama in luogo delle divinità fiancheggiatrici precedenti. Un tempio ove Surya nelle veci di Brahma.univa in sinergia trimurtica Shiva e Vishnu

Chiedevo al custode se fosse ancora raggiungibile lo stupa cui conduceva una via che si dipartiva sulla sinistra del tempio,  ma l'ora che già volgeva al tramonto rendeva tardivo giungervi ai piedi, potevo comunque contentarmi della sua vista a distanza dalla piattaforma del tempio,s così come compariva sul pendio di un colle  oltre i casolari di Gyaraspur.

Ne chiedevo la distanza dal centro, due miglia, ad un giovane che avevo già visto aggirarsi in motocicletta,  dalla quale scendeva di sella all’altezza della locanda cui convenivamo Il tempo di contattare al cellulare Kailash, di interpellarlo per chiedere al giovane se per 100 rupie era disposto a recarmici, ed eravamo già avviati alla volta dello stupa.

Ma  per giungervi occorreva smontare di sella e tra rovi e sterpi inoltrarsi fino al sentiero che vi conduceva tra i coltivi dei declivi. Lungo il percorso che vi perveniva lo stupa appariva conformato da  un anda inflesso nella parte superiore, una medhi con due rampe di gradini d’accesso.

Era il giovane a vincere la mia ritrosia a giungere fino allo stupa nella sua fisicità monumentale, date le mie vicissitudini artrosiche ad ogni minimo inerpicarmi e discendere. Mi invitava quindi a levarmi le scarpe prima della pradakshina di rito, intanto che levava uno sguardo incupito alla giungla sovrastante,  per manifestarmi la sua inquietudine che ne sopraggiungessero fiere, un allarme che si faceva pressante lungo la discesa, che mi sfozavi di affrettarmi a percorrer, per essere al più presto presso la motocicletta ferma lungo il manto stradale.

La sera era già calata quando ci ritrovavamo al crocevia su cui Gyaraspur s’incentra, ad un’ora troppo tarda, a dire degli astanti , perché vi facessero sosta ancora degli autobus in direzione di Vidisha. La cosa sembrava poco credibile a me ed a Kailash con cui mi mettevo a contatto,  essendo Gyaraspur lungo la  grande arteria di collegamento tra Sagar e Bhopal. Ma un signore che si intrometteva risolveva sul momento la situazione: c’era infatti un posto anche per me, sul pulmino di scienziati e tecnici con cui  era diretto via Vidisha Bhopal.

Il concorso di felici circostanze che mi faceva ritrovare sulla via per la stazione ferroviaria di Vidisha in capo a poco più di mezz’ora, veniva trasmutando definitivamente la mia depressione mattutina in una sospensione incantata.

Un  droghiere presso il cui negozio mi fermavo per bermi più di una bevanda, talmente mi ritrovavo ancora assetato, in replica alla mia domanda se sapesse indicarmi un ristorante,  mi chiedeva a sua volta se  lo volessi veg o non veg, ed avendo io optato per la seconda soluzione, mi indicava un singolare Bomb Blast, ch’era vicino all hotel in cui alloggiavo, e che quando vi giungevo  si rivelava una locanda dimessa, quanto pulita, dove per ogni evenienza ordinavo solo half chicken, la cui bontà piccante quanto saporita mi forniva forse una spiegazione del nome del locale insolitamente  esplosivo

 

L’indomani mattina, nel piazzale della stazione ferroviaria di Vidisha il compito  primario  era quello di fare la scelta giusta  tra i conducenti di autorickshaw che venivo contattando,   perché mi consentissero ogni agio di tempo nel rivisitare le grotte di Udayagiri. Kailash al telefono avrebbe spiegato ai vari interpellati che si richiedeva a loro di pazientare in mia attesa per  tutto il tempo che mi sarebbe occorso per una ricognizione meticolosa,  ripromettendo in cambio un compenso maggiore della somma inizialmente pattuita. Il primo,  quanto mai anziano, dava l' impressione che sarebbe stato disponibile solo a parole, il secondo indicava  in venti, venticinque minuti, al massimo, la durata della visita oltre la quale sarei incorso nell' extra-time. Meglio pur anche uno dei giovinetti  che mi facevano ressa intorno, o piuttosto l'uomo dal volto aperto e disteso, che con fare calmo mi affrontava e si diceva conciliante con ogni mia lungaggine, in cambio di una maggiorazione pattuita in anticipo con l'intermediazione di Kailash.

In capo a mezzo’ora  sul suo autorickshaw potevo così ritrovarmi all’altezza dell’entrata che dava accesso alle  più famosa delle grotte di Udayagiri, la numero 5. in cui ancora tinteggiata di ocra rossa campeggiava la possanza di Varaha , in una delle  prime rappresentazioni antropomorfe dell'avatar di Vishnu, con Bhumi, la Terra, salvata dalle acque oceaniche che ne stava aggrappata  alla zanna della sua testa di cinghiale.

 

 

 

 

Nella prosecuzione dei gruppi scultorei,  su di una sporgenza laterale situata alla destra dell'osservante,  apparivano le dee Ganga e Yamuna in una delle loro prime raffigurazioni in assoluto,  insieme con i veicoli animali che le contraddistinguono, il coccodrillo e la tartaruga, oltre le innumerevoli effigie di divinità e di rishi convenuti.

Lascio a chi ne voglia restare convinto l immedesimazione di Varaha, - o più persuasivamente dell' orante che fa seguito ad un  serpente naga effigiato come implorante-,  con il re-salvatore Chandragupta che avrebbe  promosso la  realizzazione delle grotte  per celebrare  le proprie gloriose vittorie, in conformità con un ciclo rituale vishnuita che ne rapporterebbe le immagini a corrispondenze astronomiche ( Willis 2009)

La grotta accanto, la numero 6, 

 

mi avrebbe già proposto uno dei motivi conduttori della mia rivisitazione, ossia come negli stipiti dei portali venisse configurandosi in epoca Gupta un ordine di successione che si sarebbe codificato nella serie delle bande o fasce dei vari sakhas dei templi hindu, generalmente la  prima un patra sakha di volute vegetali, la  seconda un naga sakha serpentino in guisa di cordone floreale, la terza, e la quinta, due rupa sakhas simmetrici di figure di ganas o di gandarvas , musici e danzatori, rispetto ad uno stambha sakha  pilastriforme centrale, quarto per ordine, recante per lo più delle immagini incorniciate di coppie erotiche o mithunas, prima di un sesto eventuale  sakha  e di quello alfine terminale, il  bahyha sakha ,  di  volute ma con più corposità viridiscente di quelle del primo saka.  Ed infatti gli stipiti della sua entrata presentavano una prima fascia floreale, una seconda cordonata, più oltre una colonna con dei leoni araldici che preludeva allo stambha sakha.

 

 Altri motivi, come le 14 sottili teste umane della trabeazione, sormontate “da tre chandrakasalikas, la centrale includente una figura similare a Kubera” ( Krishna Deva), non avrebbero invece trovato un seguito che mi sia noto. Ai lati  due dvarapalas evocavano un  altra grande costante dei portali dei templi hindu,

 

 

 

 

 

ossia la presenza protettrice di tali custodi soggiacente alle bande , a fianco, quasi costantemente, delle  raffigurazioni di divinità femminili e delle loro attendenti, tra le quali avrebbero assunto una predominanza esclusiva Ganga e Yamuna con i loro veicoli animali. Creature femminili celestiali qui comparivano invece negli slarghi superiori del portale, mentre ai lati dei guardiani shivaiti  sottostanti ai sakhas  comparivano due raffigurazioni di Vishnu, che nella loro ostentazione di potenza richiamavano la sua effigie più colossale che si ritrova in  Eran, sempre nel Madhya Pradesh.

 

 

Oltre tali rappresentazioni del dio figurava una delle più antiche immagini che si conoscano di Mahishasuramardini,  

 

la dea Durga intenta all' uccisione del demone Mahisha.

 

 Un'iscrizione sovrastante faceva risalire la cava all’anno 82 dell'epoca Gupta, il 402 dell’era cristiana, quando ad imperare sui territori era Chandragupta II. Sulla roccia adiacente affermava la sua imponenza  un’immagine di Ganesha, assiso a suo agio su un trono-bancale.

 

La grotta numero 7 era scavata nella prominenza rocciosa che presso l'ingresso delle grotte precedenti  fronteggiava il reticolato in prossimità della strada, e riservava due guardiani shivaiti all'entrata,  un  soffitto interno ornamentato dal rilievo di un fiore di loto. Un’iscrizione della parete di fondo attestava che la grotta è da ricondurre ad una donazione di un ministro dello stesso re Chandragupta, in concomitanza con un'impresa di conquista del suo sovrano. L'ulteriore iscrizione che consente la datazione di un'altra grotta di Udayagiri è quella dell'unica che sia jainista, che la fa risalire all'anno 426 dell'era cristiana, quando a regnare era re Kumara-gupta.

Valicato il cancello seguente,  immagini di Ganesha e Mahishasuramardini ricomparivano  in prossimità di una grotta sulla destra.

 

 

 

 

Sormontando  i massi sovrastanti le grotte 5 e 6, ne sarei disceso all’altezza dell’ingresso quanto mai grazioso della grotta numero 4,  Due bande in rilievo, dilatate nelle loro sommità, conferivano risalto alla alternanza dei loro rilievi floreali e vegetali, rispetto a quelli dei recessi.

 

Ne fregiavano la trabeazione i gandharvas suonatori  di vinas , gli strumenti musicali da cui  la grotta traeva il suo nome. Un ekamukalingao linga ad un solo volto,  al suo interno era situato al centro.

Risalendo invece la china per il sentiero che inframmezzava i massi e i rilievi,  tra grotte dai profili d’entrata lineari,  in quella numero 13, dietro la grata a sua protezione, avrei rinvenuto un enorme Vishnu dormiente sulle spire del serpente Adisesha.

La grotta numero 1 cui poi pervenivo, quella situata più in alto di ogni altra su un rilievo seguente, era uno dei primi templi hindu in assoluto dell' India del Nord , in virtù del portico che conferiva il  seguito di una struttura architettonica  alla cavità del santuario desunta nella roccia..

Sua raffinatezza saliente, nella sua semplicità primitiva,  i suoi  intercolummi più larghi nell'intervallo centrale che in quelli laterali, come nel tempio numero 17 di  Sanchi,  o in quello di Tigawa, di cui costituiva forse l'antecedente assoluto, come possono lasciare intendere i suoi capitelli, in cui erano appena abbozzati un vaso e il suo fogliame ricadente.

 

Sulla via del ritorno restava da visitare la grotta Amrit, numero 19, straordinaria nelle sue vestigia architettoniche.

Il portale, oltre una prima fascia di volute vegetali, presentava in successione un rupa sakha in cui erano incorniciate coppie amorose,  e l'inserto di un fusto circolare su di un pilastro, che non  conosceva ancora il destino di una loro uniformazione in uno stamba sakha, 

In un ampliamento superiore che riprendeva quello delle fasce antecedenti, tale fusto era sovrastato da due celestialità femminili, per le quali impennavano la loro corsa due destrieri, a guisa di grifoni, ch'erano cavalcati da due guerrieri. Oltre il ripetersi dei mithunas di coppie amorose nella  trabeazione che corrispondeva alla seconda banda del rupa saka,  infine campeggiava la gran scena della frullatura  dell'oceano di latte, in cui dei e demoni erano antagonisti sinergici nell'estrazione dell'ambrosia di vita immortale, da cui  la grotta trae il suo nome.

 

 Ma  era ancora da venire quanto di più bello essa riservava, ,la meraviglia di  uno dei più affascinanti  interni della civiltà Gupta, ove umano e divino presenziavano l'uno all'altro, nel deambulatorio aperto sul santuario del  garbha-griha  grazie a quattro pilastri mistilinei che ne delimitavano i vani

 

 

Erano essi sfaccettati prima a cubo, poi ad ottaedro, indi a poliedro decaesagonale, a supporto di  capitelli ancora rossi d'ocra e  guarniti di ghirlande, da cui teste leonine ora abrase sporgevano un tempo veementi. Lo soffondeva una luce mellita e grave  che torniva  i pilastri e impregnava di chiarore il solo garbha-griha, ove un Nandi precedeva  i simboli del shivaismo che vi erano raccolti.

 

 

 

 In Sanchi la trama Gupta mi era  riannodabile all'altezza del tempio numero 17,

 

mirabile oltre ogni dire per perfezione di proporzioni in semplicità di forme, un nudo portico e una nuda cella, di un decoro ornamentale minimale. Era esso ridotto alla svasatura campaniforme scannellata dei pilastri, oltre l' incremento da quattro a sedici delle loro sfaccettature, e quindi ai leoni che volgendosi le terga, a ridosso di un albero, ultimavano i capitelli.

 

 La classica variazione Gupta degli intercolumni ne esaltava l'elegante armonia dell'entrata. I susseguirsi  di ondulazioni vegetali e di roselline bastavano a profilare mirabilmente il portale interno,

 

 

 prima del pilastro volto a colonna che vi assumeva le funzioni che nei templi hindu successivi.  sarebbero passate allo stambha  sakha. Ma oltre il tempio 19, eretto su fondazioni Maurya o Shunga che rendevano conto della sua inusualità absidale, bastava volgere lo sguardo al torana sud del grande stupa, perchè la fusione di simbolismo e realismo dei magnifici portali  del reliquario buddhista facesse  assurgere  la loro visione a gioia contemplativa .

 

Anche le simbolizzazioni degli ultimi predecessori del Gautama, i Manushi Buddha, li individuavano naturalisticamente con sei differenti tipi di piante, laddove nei templi hindu al più coesistono le stilizzazioni del fogliame del loto, di tamala e tala patras, di bande dei fiori mandara,  e  vi figuravano nei toranas le più tipiche  capanne dei miseri, specialmente nei jataka delle vite precedenti di Buddha, il Vessantara ed il Sama, 

 

 

 

 vi campivano  dimore signorili e fortificazioni urbane, quali quelle di Kushinagar stretta d'assedio per carpirvi le reliquie del Buddha, oppure di Kapilavastu, in scene di vita del Buddha, sia che egli ne fuoriuscisse per la grande partenza,  o che vi facesse ritorno in visita magna.

 

Non vi  avevano rilievo architettonico solo le repliche miniaturizzzate dei luoghi di culto, e quanto ai lavori e alle  usanze,  le imprese elevate o le officine del tempio,  le scene di caccia o di guerra dei dignitari regali

 

non  erano le sole ad avervi dignità di rappresentazione, sul torana orientale più umili attività  domestiche ed agricole, od artigianali, comparivano nelle scene di vita e di lavoro del villaggio di Uruvela, dei gran fatti e miracoli avvenutivi.

 

Ed in ognuno dei quattro torana il mondo animale che vi era effigiato era vitale quanto quello umano, tanto nelle scene gremite di elefanti tra stagni di loti del Chaddanta Jataka,

 

 

 

 

 

 

 che in quelle di scimmie balzanti o protese del Makakapi jataka,

 

Altro che il solo marciare in  file di cavalli  o al più l'impennarsi, solo aizzato, degli elefanti di parate processionali o militari, mentre oche, ed anitre, e quanta mai fauna di cielo o di fiume, non v'era solo il veicolo di qualche divinità cui soggiacessero emblematicamente.

 

Che fosse una giornata di cui era meglio non tentare la ripetibilità, facendo ritorno l indomani in Sanchi, me lo appurava il rientro in hotel, quando il conducente dell'autorickshaw mi consegnava il portafoglio che avevo smarrito  nel discenderne, dopo che un giovane della reception mi aveva trasmesso ambo i charger di cellulare e fotocamera che avevo dimenticato in stanza. Il treno per Lalitpur, il Gondavana Express, avrebbe tardato di almeno tre ore, ma  me ne sarei fatta una ragione solo per ritornare sui miei passi da un barbiere , condottovi dallo stesso conducente dell'autoricksaw precedente che era rimasto in sosta presso la stazione ferroviaria, e per un secondo chicken curry al Bomb Blast.

L'arrivo in Lalitpur oltre le due di notte, anziché alle undici di sera,  non avrebbe pregiudicato la mia sistemazione in hotel.

Una buona dormita, coadiuvanti i farmaci mentali, e l indomani in Deogarh, di nuovo, per la visita a fondo del Dasavatar e dei templi jainisti., non ultimo il Kuraiya Bir mandir.

Il nuovo conducente di autorickshaw che presceglievo il giorno seguente, in tarda mattinata, era un giovane dai modi semplici e per me perfetti, che alla tariffa convenuta avrebbe assecondato soste e peregrinazioni in Deogarh fino all'ora tarda del tramonto alle 18 e 30.

Muovevamo da Lalitpur in ritardo per il mio tardivo risveglio, e nell' ora della fersa pomeridiana raggiungevamo una mia terza o quarta volta, più non ricordo, il tempio delle 10 incarnazioni di Vishnu, la cui cella del santuario superstite  fulgeva  nella radura della giungla di Deogarh.

 

Krisna Deva lo definisce giustamente un'apogeo dello stile opulento Gupta, per la sontuosità dei suoi celeberrimi pannelli e del portale d'accesso, ma tanto sfarzo risalta sulla più sobria e pura nudità volumetrica di un prisma sfolgorante in altitudine, su di una piattaforma dai possenti profili  mistilinei, e sotto le sole macerie residue di quel che ne resta del sikhara piramidale che vi si ergeva.  Delimitavano t agli angoli la piattaforma  i soli basamenti superstiti di quattro tempietti, , a fare del tutto un complesso panchayatana, memtre coppie amorose di mithuna  le storie di Krishna e di Rama, e di ulteriori incarnazioni vishnuite, ne illustravano un tempo le pareti. Ne restano ora in loco solo due formelle, l una ove Vishnu Vamana al cospetto di Bali s'avventura a divenire Trivikrama, l'altra in cui Krishna e Balarama stanno in braccio a Nanda e Yasoda, quest'ultima " wearing Abhira dress, resembling the dress now worn by the rural women folk of Delhi and Haryana regions".( Krishna Deva, Temples of North India, pg10 )

Il portale sontuoso vi iscriveva oramai i pilastri colonnati laterali nellordine dei sakhas degli stipiti di cinque bande laterali, la prima una serie magnifica di volute uscenti dall'ombelico di  yakshas soggiacenti, cui dei ganas s'appigliavano festosi, la seconda una mirabile schiusa perlinata di corolle floreali, la terza un rupa sakha di coppie amorose intervallate a putti-kumaras scherzosi, che nella trabeazione faceva capo a un Vishnu comodamente in lalitasana sul serpente Shesha.

 

Risultava così già invalsa la ricorrenza di uno o due rupa-sakhas paralleli di fianco allo stambha-sakha, che a sua volta incorporava in due profili templari le figure umane del reggitore di uno scacciamosche chamara e di un gana danzante.

Seguiva quindi un sakha di spigolature fogliari ed un  bahya sakha terminale di corposi cespi di foglie allargati su in alto, a foggia di t, come le travature lignee  antecedenti di cui riprendeva i lineamenti, a darvi ospitalità, sulla sinistra dell'osservante, a Ganga, sul suo makara, e sulla sua destra a Yamuna sulla propria tartaruga. Li coronava, lassù, un simha mala di tulas di teste leonine.

Tra di esse intercorreva una trabeazione a guisa di gronda chhadya con ballatoio,  due padiglioni e tre frontoni di archi chaityas, che arieggiava i piani superiori con copertura a volta degli edifici d'epoca scolpiti nei torana degli stupas di Sanchi,  nella loro deperibilità lignea e fittile forse ancora  in uso ai tempi dell'edificazione del tempio di Deogarh,

In due di tali frontoni facevano capolino il Sole e la Luna

Tale apparato che non era solo ornamentale si elevava su figure soggiacenti fra le quali, come già in Udayagiri, primeggiavano due dvarapalas con aureolatura divina, a ribadire la loro precedenza  rispetto alle stesse Ganga e Yamuna, nel situarsi alla base degli accessi del tempio. Sottostanti a rupa e stambha sakhas li affiancavano due attendenti mirabili per ritrosia e grazia,  (delle quali, una per lato,  i custodi del tempio avrebbero voluta consortiedel sole e della luna sovrastanti). Seguiva quindi un Gana che reggeva un purna kumbha, a fare da atlante bhara putraka della bahya sakha finale.

Comprendeva il portale l intaglio di un kapota-cornice che correva lungo tutta l'estensione parietale del  tempio, cui subentrava , con pari estensione, un corso di edicole e fregi vegetali, prima delle carenature residue del sikhara d'un tempo.

D'incommensurabile bellezza i panelli laterali, incorniciati come il portale da magnifici sakhas laterali, i primi due di volute e fiori, il terzo un pilastro recante immagini di divinità collaterali dentro le lunette di  perlinature circolari sovrastate da racemi e semicorolle floreali, oltrechè da un superiore recesso ottagonale e dallo schiudersi  di un   compresso gatha- pallava, quale vaso dell'abbondanza.

Nel Vishnu Sheshashayi, il dio appariva  ancora immerso nel sonno mentale della pralaya di un'ulteriore dissoluzione cosmica, non fosse, che a tradirne il risveglio del corpo per le carezze al piede esercitate  dalla consorte Laxmi. era il sommovimento dei bracciali lungo gli arti già trepidanti, donde la schiusa dall'ombelico del loto di Brahma, tra il reinsediarsi nei cieli, oltre il sollecito Garuda, di Kartikkeya, Indra, Shiva e Parvati  sui loro veicoli animali.

 

 

 

 

Le figure in armi sottostanti difficilmente potevano identificarsi con i Pandava e Draupadi, la comune consorte, secondo una tradizione invalsa, essendo in contrasto le une con le altre. Ed infatti  è più accreditabile l ipotesi che la creatura femminile e i tre prodi che l affiancano siano i purushas che personifichino gli  attributi del Dio, volti a contrastare due demoni insidiosi

Di minor pregio il pannnello di Nara e Narayana penitenziali,

 

del più vivo splendore il Gajendramoksha, per l oltranzismo così naturalisticamente espresso in cui Vishnu e Garuda, in concordanza unanime di servo-padrone, chiedono conto al principe Naga dell'afflizione inflitta all'elefante devoto al Dio, una resa dei conti così inesorabile che al principe Naga non resta che riconoscere la  maestà vishnuita e chiedere  pietà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A seguire  le mie peripezie intorno al gran tempio, era un giovane custode, di discrezione estrema,  in luogo del l'anziano di bella imponenza che mi aveva assistito le volte precedenti.

Anche se non riusciva gran che ad esprimersi in inglese mostrava di conoscere bene il patrimonio artistico di Deogarh e dintorni, per cui chiedevo la sua assistenza per poter raggiungere l isolato e remoto Kuraiya Bir mandir , non lungi nella boscaglia, ma abbastanza perchè il giovane conducente non osasse avventurarvisi solo con me.

A seguire i templi jain, rinviando all'indomani la conclusione della loro visita.

Vi pervenivamo per l'agevole percorso di una pista piatta, per nulla accidentata,  che come accertavo al ritorno si dipartiva sulla destra, pervenendo a Deogarh, solo poco prima  del cippo che segnalava  il villaggio ad ancora tre chilometri di distanza.

L'isolamento del tempio, volto ad oriente,  nella giungla tra muraglie di cinta,  conferiva al minuscolo  edificio di culto  shivaita,  pancharatha e composto di portico e santuario, un incanto ulteriore oltre al suo particolare, di una grazia unica nel sopraelevarsi insusuale del sikhara oltre una edicola superiore che ne sovrastava il tetto piatto delle pareti.

 

L'adhishthana ne ornamentava la successione solita di kura, kumbha, kalasa, kapota decorata  di takarikas,  con il fregio terminale di un pattika di volute vegetali in cui evolvevano piume o scaglie animali, volti di uccelli e di makara. All'acme delle sue trasmutazioni presentava un kirtimukka all'altezza dell'edicola centrale del bhadra del lato meridionale, ed una coppia amorosa di kinnaras all'altezza di quella retrostante, volto ad occidente Essa era l' unica nicchia che recasse un'effigie, quella di Skanda Kartikkeya intento ad alimentare il proprio veicolo pavone, le penne della cui ruota aureolavano il dio.

 

Ganesha e la comune madre Parvati, si può solo immaginare che fossero albergati nelle nicchie ora vuote.

L'edicola del bhadra centrale,  evidenziata da una gronda pesante in deciso contrasto con la leggiadria dei pilastrini  laterali, ornamentati con le decorazioni di esili fiori di loto entro due medaglioncini separati da un collo ottagonale, era sovrastata da un udgama ed affiancata dalle proiezioni sussidiarie di due pilastri bhadraka, in cui i vasi floreali dell'abbondanza di due gatha-pallava , quello superiore sovrastato da un semi-fiore di loto, o ardha-padma,  racchiudevano un risalto centrale del fusto con testata a t, di cui le volute vegetali si commutavano in quelle dei piumaggi di uccelli. Simili a tali pilastri sussidiari erano quelli delle proiezioni dei pratirathas  e dei karna-rathas, che  erano separate e riconnesse dal recesso di un salilantara , lungo il cui fondo il viluppo vegetale aveva ancora modo di espandersi a profusione Un capitello di foglie espanse  risaliva da ogni proiezione ed espansione fino al kapota, con takarikas, in cui le pareti si concludevano.

 

Il varandika  seguente, tra un kapotika ed un'altra modanatura sporgente presentava un recesso in cui ulteriormente mondo volatile e mondo vegetale si commutavano l'uno nell'altro,

 

La cella sovrastante , quasi un  santuario minore  del santuario maggiore, come solo è dato di vedere nei templi Chalukya Ladh khan di Aihole, in quello Gupta a Parvati in Nachna Kutara, o nel monastero Kachchhapagata di Surawaya, presentava quattro aperture grigliate secondo le diagonali del quadrato e il diametro del cerchio che circoscrivevano,  in travetti imperniati sulla schiusa della corolla di un fiore centrale che li irradiava. Le precedevano due pilastri con gatha-pallavas superiori, ed un kapotika ed un tula pitha di testate di travetti ulteriori , e le coronava il corso superno del  ghanta mala  di una ghirlanda di campane.

 

Tre erano i latas del breve sikhara tri-ratha,  con un frontoncino di archi-chaityas per lato a guisa di sukanasa,  i karnas essendo scanditi in piani da tre bhumi-amalakas, prima di una cornice superiore da cui si distaccavano il greva del collo e l'amalaka del pinnacolo terminale.

Il portale d'ingresso ad un garba-griha senza vestibolo antarala, evidenziava oltre il patra sakhas di volute vegetali, ed il naga-sakha di cordoni floreali serpentini, al centro del lalata bimba presi per la coda da un energumeno Garuda , una duplicazione di stambha sakhas, l' uno con gandarvas intenti ai suoni ed alle danze in compartimenti  sorretti da atlanti-bhara putrakas, l'altro incentrato sul cordone di una campana che discendeva da un kirtimukka. A concludere  i fregi degli stipiti un bahya sakha di corpose volute. I gruppi statuari di Ganga e Yamuna , sorvolati da un hamsa mithuna sopra  il capo della seconda delle dee fluviali,  contraddistinguevano tale deità anche in quanto la sua attendente invece della classica ombrella-chattri sospendeva sul suo capo il flabello scacciamosche di un chamara. Avrebbe così avuto inizio, quanto a ombrelle o flabelli, una ricerca periodizzante, grazie a corredi od ornamenti, che nei templi jain di Deogarh avrebbe avuto tutto un suo seguito, e che faceva il paio con uella sulle acconciature dhammilla di dee e ninfe celestiali, in Khajuraho, o sulle padangada la cui ornamentazione ai piedi , oltre alle cavigliere nupara,  vi è servita a postdatare immagini del massimo rilievo quali quelle di Vishnu Vaikunta.

I  pilastri ai lati, con dvarapalas shivaiti sotto arborescenze, l' uno, forse Virabhadra, oppure Bhairava , ben armato di bastone, l'altro di tridente nella sinistra superiore, avevano lo stesso disegno di quelli di pratirathas e karnas,  mentre quelli del portico, con capitello gatha-pallava, nelle sfaccettature delle direzioni cardinali tra le dodici del loro fusto, da delle cordonature lasciavano ricadere campane.

Ora essendo la loro frequenza,. nel tempio Maladevi, quanto nel Ganthai mandir di Khajuraho, o come avrei accertato nei templi ulteriori di Deogarh ( in cui, come nel Santinath, sarebbero ricorsi gli stessi capitelli dalle fogge  fogliari ) un indizio utile a contraddistinguere un tempio come  jainista, ed avendo delle parvenze forzose l inserto nella parete nord del vari-marga per l uscita dell'acqua dei rituali shivaiti, non solo, ma il lalita bimba albergando il veicolo animale di Vishnu, Garuda, si può presumere che il tempio abbia mutato i suoi connotati religiosi nel corso del tempo, conoscendo una conversione shivaita postuma.

Era piovigginato nel frattempo, e l'ora non era ancora tarda,   ci avviavamo così in tuk tuk a intraprendere la visita iniziale dei templi jainisti, con il giovane a farci da guida ulteriore, riservandomi per l indomani di completare l'escursione, includendovi le grotte buddiste, che prefiguravo ove la foresta ricade con i declivi nel corso del fiume Betwa.

In una giungla spoglia tra un cielo annuvolatosi,  come vi pervenivamo il complesso dei templi jainisti nel suo greve silenzio mi appariva di un'austerità severa, entro le cinte murarie e i viali dei suoi reperti allineati.

Era d'obbligo iniziare dal tempio Santinath, dedicato al XVIo Tirthankara, il numero XII della catalogazione ordinaria, che nella sua mole e nel suo pesante sikhara dominava l'intero sito

 

Le ristrutturazioni e i rifacimenti o gli ampliamenti dei templi del complesso avevano coinvolto per primo questo gran tempio, sicchè indagarne la formazione era un cimento imprescindibile del più vivo fascino e piacere, sulle orme della ricerca di Trivedi, di cui disponevo, ed alla luce investigativa di quali antecedenti potessero rinvenirvisi del tempio jain Parswanath di Khajuraho,  ugualmente sandara,  come prima dei templi maggiori hindu di Khajuraho lo è solo l'altro tempio jainista Maladevi.

Dedotto dal suo apparato architettonico  il porticato d'ingresso, d'epoca più tarda, li accomunava in realtà il continuum  delle pareri esterne che involveva l'intero edificio, senza rientranze o aggettanze in conformità con gli spazi interni.

 

L'assenza di balconi  nel tempio Santinath lo ravvicinava ad essere un prototipo od un precursore del tempio Parshwanath, più ancora del tempio Maladevi in Gyaraspur, di cui l elemento fondamentale che si trasmette ai templi hindu sandara di Khajuraho ed a quello emulo di Sihonia, sarà piuttosto proprio la disposizione di balcone e sottostante edicola del badhra-ratha all'altezza ribassata dell'adhishthana, -in santuario e pareti dei mandapa, secondo una tipologizzaione specifica di tali templi sandara.

Nel tempio Santinath, il cui adhishtana oltre le modanature solite di kura, kumbha e kalasa presentava una tala-patra di palmette nel recesso dell'antarapatta che precedeva il kapotika conclusivo, un breve atrio mandapa dava accesso alla sala ad un livello più basso e al corridoio del deambulatorio che come nel tempio Parshwanath traeva luce da griglie ammattonate, mentre l'esterno del tempio ne era l involucro  parietale costituito  di una  alternanza di pilastri e di pannelli traforati mirabilmente, senza altra soluzione di continuita che tre portali centrali, due di fianco e l'uno retrostanti, appiattiti sulla superficie parietale del jangha come le griglie ed i pilastri

Al centro di ogni pannello traforato su di una lastra di fondo emergevano una nicchia con una yakshi ed un udgama sospinto nel suo apice fino a sovrapporsi a un ghanta mala superiore,  il vacuo ai cui lati era intercorso da una trama a zig zag. cui ne faceva seguito un'altra oltre i pilastri. In essi ricadeva una campana da un kirtimukka, cui oltre un recesso ottagonale facevano seguito un ghata palllava ed un capitello a cespite, oltre il quale una tula-pitha di testate di travetti intercorreva tra due kapotas con dentellature. Ancora .un kapota, un recesso di nicchie, un fregio di ardharatnas triangolari, un corso floreale, di palmette talapatraas, ed era raggiunta la gronda finale del jangha, cui la varandika dava seguito interponendo come in precedenza un tula pitha tra due kapotas, oltre un gantha mala di tutto rilievo, nell'esaltare come un leitmotiv  jainista quello delle campane.

Quanto al sikharas era esso pancharathas  secondo consuetudine , pesantemente rifatto dopo il terzo ricorso di bhumi-amalakas

Sul fronte primeggiava il sukanasa con un portale centrale vigilato da due coppie di tirthankaras, tra bhumi-amalakas ad ascendere come in un karna-lata fino al piano superiore, dove invece incastonavano un  udgama centrale e rombi diamantini incorniciati, precedendo l'evolversi superiore degli archi chaitya, di cui quello supremo era di nicchia a un jain.

Il seguito all'escursione di ritorno, per la quale mi assicuravo che l indomani fosse disponibile lo stesso conducente di autorickshaw.

 

E l'indomani la visita riprendeva dal punto interrotto,  all'accesso al tempio Santinath.

Scendevo nel santuario per  rimirarvi le quattro statue di Ambika che contemplava, due accanto agli attendenti del tirthankara Santinath, due nel vestibolo, con un  bimbo in serto e l'altro per mano, cui porgeva un cespo di mango. Come nelle Madonne di Cimabue avevo tutto l'agio di cogliere i dettagli che umanizzavano il rapporto tra la madre e i due figli, come l'atto del bambino che era retto in braccio, di appigliarsi agli orecchini  pendenti della madre, o quello di costei di carezzare il capo del piccolo

 

 

 

Dei duplici portali d'ingresso erano originari solo gli udumbaras, dove il contrasto tra leoni ed elefanti era animato sino a sconquassare i mahut* impennati in groppa a questi ultimi.

Prima ancora , antecedente il porticato ipostilo, avevo indagato di un chatuski  i pilastri retrostanti originari, in particolare quello con una campana pendente per il tramite di una catena da un kirtimukkka su un fusto ottagonale,  che. recava una scritta che ne faceva risalire la donazione al tempio, dunque già preesistente,  all'862 dell'era cristiana, a un certo Deva,  discepolo di Kamaladeva, quando il re Pratihara regnante sul territorio era Bhoijadeva,  e suo feudatario in Luachchhagira Vishnurama.

Di particolare interesse erano i mandapikas e i tempietti circostanti, vuoi per i portali riconducibili come il tempio Santinath all'epoca Pratihara, vuoi per come ai canoni hindu vi erano integrati gli elementi jainisti.

Così, come il portico precedeva il portale su pilastri con consuetudinari vasi dell'abbondanza ghata pallava, il portale seguitava a riproporre Ganga e Yamuna e i sakhas di rito, mentre la trabeazione aveva in serbo un jaina al suo centro, e se lungo le pareti le proiezioni si attenevano alle norme pancharatha, essendo foggiate anch'esse come pilastri con vasi dell'abbondanza terminali,  quella principale serbava nel suo bhadra-ratika l immagine di un tirtankhara  o di un jain in luogo di idoli hindu.

Era così la volta del tempio quindici più a nord, nello stesso cortile.

 

Su una sala mandapa interna retta su quattro pilastri centrali, in cui kirtimukkka emanavano giri di perle, vi si volgevano tre celle comprese nelle pareti circostanti , rimarcate all'esterno  da pannelli in bhadra-ratikas, in ognuno dei quali erano effigiati tre tirthankaras , uno seduto e due eretti.

 

Del portale d'accesso originario magnifica era la soglia, con un mandaraka in piena fioritura lotiforme affiancata da un kinnnara mithuna e da un kirtimukkka, ai quali d'ambo i lati subentrava un leone intento a fronteggiare un guerriero.

L'hamsa mithuna con una ghirlanda nel becco, e il flabello conico che sormontava Yamuna, in difformità dal parasole ad ombrello di Ganga,. erano gli elementi utili a fare rientrare il portale, quanto ciò che vi restava del tempio originario, in epoca ancora Pratihara, quando in templi coevi dell'ottavo secolo ricorrevano simili varianti o motivi integranti nelle raffigurazioni delle dee fluviali

Nel tempio 16 e 19 avrei ritrovato portali consimili che adducevano a periodizzazioni consimili, in più, nel 16 un pilastro identico a quello risalente all'862 del chatuski del tempio Santinath, stesso fusto ottagonale, stessa campana  pendente per il tramite di una catena da un kirtimukka, stesso recesso ottagonale sormontato da un vaso dell'abbondanza ghata pallava, lasciando del tutto supporre che ne fosse stato ivi trasposto.

Ero già avviato all uscita, ed a salire sull'autorickshaw, che mi raggiungeva un anziano che aveva vigilato sui miei passi una buon'ora dalla mia entrata, e che poc'anzi avevo interpellato perchè mi schiudesse le grate che nel tempio 15 mi avevano precluso di fotografare compiutamente i pannelli esterni dei tirthankara.

Ma benchè vi si avviasse con un mazzo di chiavi, non aveva inteso la mia precisa richiesta, che non poteva soddisfare in mancanza di quelle delle grate.

Poteva invece schiudermi l'accesso al tempio 16  e consentirmi la vista di una Yakshi nella stessa posa di  Vishnu Sheshashayi  tutto attorniato da tirthankharas

 

 e farmi entrare nel tempio 19 ove invece era una sincretica Yakshi-Laxmi

Riguadagnata l'uscita, dovevo infine fronteggiare la renintenza del conducente di autorickshaw ad avventurarci noi due soli nella giungla fino alle grotte buddiste.

Così faceva ritorno nel villaggio di Deogarh per caricare a bordo un opulento indiano di mezza età che si sarebbe rivelato utile solo a fargli coraggio, ed ancor più a sorreggermi nella discesa terminale verso la cavità voraginosa prossima al fiume Betwa in cui ci comparivano  i magnifici rilievi, con il Buddha in guise antropomorfe,tra accoliti e vinti,  ispirante la pace, a non aver paura,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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inasprendomi  contro l’ingratitudine di Kailash per  il  sacrificio di ogni meta più lontana e affascinante  che non l’ essere di ritorno in Udaygiri,. Gyaraspur,  Deogar ed i suoi templi jainisti, oltre querllo Dasavatar, per approfondirne e completarne  la conoscenza,  cui mi votavo perché i suoi costi ridotti non confliggevano con l’istanza di salvaguardare l’ammontare di cui sovvenire i nostri cari