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12 luglio 2004
Al
nuovo arresto del pullman, dopo che un'ulteriore foratura aveva messo fuori
uso anche la ruota di scorta, non è servito a nulla, che richiamata con un
cellulare, da un vicino
villaggio l'autovettura di un tassista sia sopraggiunta, per affrettare, a me e ad altri passeggeri, l'arrivo al transito
della frontiera tra il Kazakistan e la Cina.
Era già prossima l'ora della
chiusura della frontiera, e solo se versavo l'obolo che mi era richiesto dagli agenti
kazaki nella gabbiola
in cui sono stato tratto in disparte, dieci, venti euro,- ero libero di avviarmi
verso la no man land.
Così è avvenuto il
ricongiungimento della intera comitiva, con il rientro dei dipartiti fra chi era
rimasto sul pullman, che da poco si era rimesso in moto.
Lo si è parcheggiato in
prossimità della frontiera, dentro il cortile di una azienda agricola
familiare, frondoso di meli, di peri, di susini, aperto su retrostanti
rigogliosi coltivi di ortaggi, tra cui erano disseminati dei cessetti.
Eccettuata una giovane coppia
huan, gli altri passeggeri erano tutti uighuri e kazaki, faceti e conviviali. Uno di
loro, per scherzo, mi ha battuto le bacchette sul naso, divertito della imperizia
di cui davo mostra nel loro uso, sforzandomi di trarre su con esse, da un minestrone, i tagliolini ed i pezzi di verdura che
vi galleggiavano. .
Naturalmente, se dicevo "
su...", il
ragazzo di casa rizzava le orecchie e mi porgeva dell' acqua, se gli dicevo "
tesekkur" invece tutti assentivano , ridendo
simpatizzavano perché lo avevo ringraziato, al fatto che lo avessi
ringraziato,
esattamente come mi si sarebbe inteso ad Istanbul, che restava ad oltre 4.000 chilometri di
distanza.
Dunque era vero quanto in
Istanbul mi ha assicurato l'amico Levent, che vi ho reincontrato, ossia che anche
a così
grande distanza, fin dentro la Cina,- sino a Turpan,- avrei trovato chi
comprendeva il turco come una propria lingua madre.
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