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Karakul Lake
In che spettacolo estasiante, nel suo algore sublime, il sole sta sorgendo sfolgorante sul Lago Karakul , sui picchi e le dorsali innevate del Muztagh Ata e del Kongur ( o Gongge er Shan,) che gli fanno immacolata corona; protendendosi a un cielo le cui nubi ne sorvolano le vette a quasi ottomila metri di altitudine.
In taxi, anzichè in autobus, ho dovuto percorrere sino al Karakul la Karakorum Highway, giacché da due ore era già partito l'autobus per Taskurghan, quando sono arrivato alla stazione internazionale di Kashghar, secondo l'ora legale di Pechino, anziché quella dello Xinjiang, - come mi era stato ripetutamente confermato
che era l' ora a cui dovevo attenermi, dalla addetta alla
biglietteria il giorno avanti- l'ora in conformità con la quale ero finalmente arrivato più che puntuale prima della presunta partenza.
Evocati dalla mia crisi d'ansia, per l'intermediazione di una donna delle pulizie dell' autostazione, ho dovuto affidarmi ad una lestofante femmina , tutto cuore gentile, a un gatto e a una volpe con essi d'intesa, per potermi ritrovare dirottato da essi nel taxi su cui ho viaggiato con una comitiva familiare diretta a Tashkurghan, quando per l' ingente importo che ho lasciato in quelle mani, 300 yuan, credevo di essermi assicurato un' autovettura destinata a me soltanto.
Una giovane donna era la conducente del taxi, che non riuscivo a spiegarmi perchè fosse furente di avermi a bordo, a completamento del carico di passeggeri.
Un odio feroce laminava nel suo sguardo in mia direzione.
In questo mio interminabile esodo dalla Cina, quanto più vorrei uscirne, tanto più cado nelle tagliole di ogni possibile errore,
che mi ha occasionato la singolarità di ogni mia nuova situazione di partenza, il che mi ha obbligato a escogitare le soluzioni più dispendiose per trarmene fuori, valendomi dei profittatori lesti a proporsi.
Ogni nuova tappa del viaggio si è commutata in uno shock da cui devo riprendere fiato e coraggio, vincendo il sentimento crescente della mia inadeguatezza a ogni fare, il mio disagio sempre più intimidito e la mia reattività sempre più esasperata: che è esplosa anche durante questo tragitto, quando la tassista ha opposto un no
,livido d'odio, alla mia prima richiesta, dopo due ore di viaggio, di fermarci non più di trenta secondi, per poter io fotografare le rocce fiammanti della valle del fiume
Ghez.
Ed io
a tale provocazione ho gridato : " Stoooop!", ed ho fatto rimettere sulla strada tutti i miei bagagli.
In realtà, come ho capito quando slei i è addolcita ed è finalmente riuscita a convincermi a risalire, non mi tollerava in auto perchè i soci in affare che l'avevano pressocché costretta a farmi salire, le avevano lasciato solo le briciole, 50 yuan, di quanto le avevo rivelato alla partenza che ero stato disposto a sborsare, pur di non rinviare al giorno seguente la partenza da Kashgar, credendo di dover intraprendere l'itinerario quale unico passeggero.
Avevamo lasciato già da due ore l'oasi di Kashgar, tutto un brillio di luce in pioppi e alici, nei filari che costeggiavano la via che s'inerpicava verso il Pamir, fino a inoltrarsi tra quei dirupi rocciosi del canyon del fiume Ghez.
Risalito in auto, sono iniziate a comparire le prime vette innevate, le gole si sono slargate in un fondovalle dove il fiume dilagava, tra le alte cime nevose e irreali pendii sabbiosi ad occidente, di cui il vento sollevava una fine polvere d'argento filtrata dal sole,
finché, a dominare il paesaggi, sono comparsi i picchi del Kongur
e del Mutzagh Ata, si è profilato il Karakul nel loro castone immenso.
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