Farhang
In
Hamadan
Ieri
pomeriggio, qualche ora avanti l'ora presente,( che trascorro tuttora nella estenuata attesa,
alla stazione degli autobus di Hamadan, di partire sul far
della sera per Zanjan), giacevo su
un guanciale nella stanza di Farhang, intanto che il ragazzo era intento a riprodurre su tela il dipinto di Navasi di una fanciulla curda, e che da un
registratore si diffondevano le note delle Quattro stagioni di Vivaldi.
Ascoltavo, mi volgevo ai fiori
sulla bianca tovaglia del tavolo ove alla rinfusa erano disposti i tubetti ed i
pennelli, ( compresi quelli ch'egli ha acquistato a Teheran, qualche giorno fa,
da cui era di ritorno sull' autobus in cui ci siamo incontrati), e tra le
lacrime mi dicevo ch' esse m'impedivano di contemplare in lui la mia felicità,
che mai avrei immaginato che potesse assumere il sito di Kermanshah.
Quanti sviamenti ed incredibili miei
errori erano occorsi, quali e quante contrarietà, e contrattempi, che
irrigidimenti, irrevocabili, perché finissi per ritrovarmi sullo stesso autobus
di Farhang e del suo amico prediletto, una sequela di diversioni che è iniziata
già alla partenza dalla
remota Yadz, dove solo quando mi sono avviato per prendere l' autobus per il
quale nella vasta sala d'attesa avevo appena fatto il biglietto, mi sono accorto
che stavo invece per salire sul treno per Teheran,
l'unico mezzo di trasporto, in effetti, che a sera inoltrata da quella
stazione potesse tornarmi utile per fare ritorno
l'indomani a Isphahan, sia pure con uno sviamento di centinaia e
centinaia di chilometri.
Facevo comunque ritorno in Ispahan, su quel treno di un nitore svizzero, pur di rivedere per qualche ora soltanto la Imam Komeini Square,
e di ritrovarmi nella edenica Moschea blu,
nell' interno estatico della Masjed- é Sheikh Lotfallah,
e riprenderne delle foto più lusinghevoli di quelle che vi avevo già realizzato, e delle quali già avevo visionato in Yadz l'esito deprimente.
Un fratello ed una sorella mi erano stati compagni di viaggio, lui con la stessa voce blesa e cantilenante del dolce giovane Hossein che in Yadz, dalla moschea del Venerdì, mi aveva tradotto quale suo commensale e ospite nella sua casa di periferia.
Nello scompartimento una donna bellissima rimaneva più defilata con la sua
bambina, ma di essa, sia pure per un istante, avrei potuto alfine ammirare anche
la capigliatura meravigliosamente fluente, quando dopo una slancio atletico,
nella sua tenuta sororale, ha raggiunto con l'altra donna la cuccetta più alta,
e si è finalmente potuta liberare dell' hejab.
" But your heart is Young " la sorella mi aveva detto poco prima di
accomiatarci per il sonno.
" Of course, uno stato si basa sulla divisione dei poteri", solo poco
prima aveva con me convenuto come fosse un' ovvietà indiscussa anche in
Iran
, l'iraniano attempato che mi aveva letteralmente prelevato nel suo
scompartimento per entrarvi con me
in conversazione, quando nel corridoio aveva avuto modo di sapere che ero
straniero.
Gli stavo così parlando della situazione allarmante della mia lontana patria,
di come l'attuale suo governo stia invece cercando di concentrare i poteri
fondamentali dello stato sotto il predominio dell'esecutivo, grazie ad un
monopolio dell' informazione di cui al mio interlocutore
avevo appena indicato un possibile termine di raffronto ravvicinato nel
monopolio politico delle risorse energetiche su cui fondava la sua autocrazia il
turkmeno Nyiazov,- quando a distogliermi dal seguito dell' acredine delle mie
esacerbate considerazioni, sono sopraggiunti gli addetti al servizio cuccette,
con il corredo di lenzuola e federe.
Da Isphahan, l' indomani pomeriggio, poche ore dopo esservi giunto lasciando nel primo albore Teheran ed il suo traffico asfissiante, in autobus già stavo ripercorrendo il medesimo tragitto per cui vi ero pervenuto, fino a che non si è svoltato verso Hamadan, la antica Ecbatana, dove ero diretto nella persuasione erronea, cui mi ha indotto la guida Lonely planet, che potesse equivalere a Kermanshah, quale meta di sosta per vedere Bisotun, Tagh-é-Bostam. Vi finivo scaricato dall' autobus, quando vi arrivavo a notte fonda, nei paraggi di una rotonda spartitraffico che credevo chissà quanto periferica rispetto al centro -città. E non ero ancora sceso dal predellino dell' autobus sotto il fardello del mio zaino, che mi faceva barcollare, prossimo a cadere, ch'ero già stato letteralmente ghermito dai tassisti che stazionavano in attesa, con una tale pertinace prevaricazione nel seguitarmi ovunque mi spostassi per eluderli, che piuttosto che fare ricorso ad uno solo di loro per raggiungere l'hotel nel centro-città, mi sono ripromesso e giurato, e poi imposto, con una determinazione superiore ad ogni mia arrendevolezza, nella sua irrevocabilità di una categoricità assolutamente assoluta, di prendere piuttosto un autobus di quelli che seguitavano a passare diretti a Khermanshah
E quello per il quale mi risolvevo, invelenito, con il conforto soccorrevole di alcuni passanti che comprendevano la mia esasperazione, era giusto l'autobus sul cui fondo giacevano assonnati Farhang ed il suo compagno, proprio vicino ai quali mi faceva sedere il conducente, in uno dei soli due posti ch' erano rimasti liberi.
Era il far dell' alba ed ancora non eravamo prossimi a Khermanshah, anche per la ennesima rottura della cinghia di trasmissione dell' autobus, quando allora soltanto, tra un risveglio e l'altro, mi facevo i conti in tasca ritrovandomi con non più di 13.000 tuman.
Uscivo
così di
colpo dal dormiveglia, richiamato alla lucidità in affanno dalla preoccupazione
delle possibilità di cambio
ch'erano a me prefigurate in Kermanshah, secondo la guida, leggendovi che erano
pressoché nulle...
Fosse dannata la mia ostinazione cieca, a differire il cambio di valuta di
località in località, da Teheran dove non avevo voluto saperne dei tanti Gatti
e delle tante Volpi in cui si tramutava ogni addetto alle cooperative di viaggio,
ed all' ufficio informazionim, cui offrissi l'occasione di farmisi agente di cambio, ad Isphahan
dove in un primo tempo avevo ricusato il cambio per strada, e poi non me l'ero
sentita di rinviare il rientro alla stazione degli autobus, per attendere
che solo dopo le cinque pomeridiane riaprissero i botteghini dei cambiavalute.
Ho
detto delle mie angustie ai due giovani, che si erano anch'essi appena risvegliati, quando
l'autobus si è arrestato di nuovo a qualche decina di chilometri da Kermanshah,
per la rottura ulteriore della cinghia di trasmissione.
Ma il mio non era un serio problema, secondo il più giovane e
intraprendente dei due bei ragazzi, -certo che sapeva l'inglese-, c'erano a suo dire normali
possibilità di cambio anche a Kermanshah, stessi pur tranquillo su questo.
Ero *...? Loro due erano entrambi pittori, ah, quanto amavano
Michelangelo, Raffaello, Leonardo...
Quale fortuna, la mia, di vivere in *...
Non riuscivo a immaginare di che aiuto effettivo potessero essermi, ma era certo
che se volevo mantenere i contatti con entrambi, era della pittura italiana che
dovevo seguitare a parlare, che erano le mie competenze in materia che dovevo
continuare a esibire a loro, distillandole sapientemente a gocce.
Era Michelangelo che prediligevano? Le sue opere erano in Roma, in Firenze, a
Milano.
Per vedere invece le opere di Leonardo occorreva recarsi a Firenze o a Milano, non
v'era nulla di lui a Roma.
Dipinti di Raffaello erano presenti invece a Roma, Firenze, Milano, Bologna...
In
Khermansah, quando ancora stavamo scendendo, il ragazzo ha potuto assistere all'
assedio che anche nella sua città mi veniva mosso
dai
tassisti, ai quali non mi sarebbe certo stato difficile negarmi, per quanto non mi
riuscisse di sottrarmi a loro, giacché dovevo salvaguardare per l'incubo d'un
eventuale rientro solo per il cambio a Teheran, od in Isphahan,, i ryals che mi
rimanevano da spendere nell' emergenza.
"
No money, no money...".
Ma
ora era lo stesso ragazzo che si faceva pressante perché salissi sul taxi che aveva preso con
l'amico, che ne sollecitava il conducente ad incrociare il mio cammino che se ne distoglieva,
insistendo in
ogni modo perché lo assecondassi.
"
No problem , no problem" , se non avevo bastanti ryals, " I help you, I help
you..".
E
il taxi su cui mi accomodavo con le mie salmerie, era fatto arrestare all' altezza di una filiale della Melli Bank, al cui
interno, dall' agente a cui si è rivolto il ragazzo siamo stati invitati a salire di sopra al piano
superiore, dove da un affabile bancario che ci faceva accomodare
presso la sua scrivania, ha reso fattibile ciò che nelle più grandi sedi centrali sarebbe
risultato pressoché impossibile.
Intanto che gli sciorinavo, esaltandone l' orgoglio patrio, ogni magnificazione incantata della realtà iraniana.
Ora
che di ryals ne avevo un profluvio, potevo e dovevo andarmene in hotel, e fare
scaricare i miei bagagli dal taxi, o così credevo, ma il ragazzo, più ancora pressante, insisteva che no, no, dovevo ora seguirlo a casa sua, a tutti i
costi.
"
No, no, I want help you, * we go to my house, the hotels are bad in Khermanshah..."
Caro,
caro Farhang, aveva così inizio, e già ne assaporavo presagivo l'incanto, il mio
idillio presso di te ed i tuoi cari, ai quali, solo per una formalità, dal
vicolo d'accesso chiedevi al
citofono l'assenso a potermi accogliere; la cui assicurazione mi addentrava,
levate le scarpe, a piedi scalzi in un'oasi di felicità
terrena.
Sono
state tua sorella e tua madre le prime ad accogliermi, tua sorella, franca e
disinvolta, svelata in
tutta la sua giovinezza, tua madre , riservata e cordiale, con solo un foulard in capo nelle sue
vicende domestiche, entro la pulizia ariosa e fresca, di bianco e di blu, delle
stanze composite di tradizione e di modernità, il bianco delle pareti calcinate, il blu del
tappeto che si dipartiva ovunque dai corridoi, fino al cortile interno frondoso di
pianticine, e rampicanti, che attestava, come tu mi illustravi, l'antichità della tua nobile casa. Oltre di esso un ivan immetteva nello studio,
gremito di libri, di tuo padre che accorreva a salutarmi, un professore emerito di
letteratura farsi,
già canuto nei capelli e nei baffi, la cui foltitudine, come le
sue rughe in un volto vetusto, erano i baluardi difensivi esteriori di una anima
di poeta che si sarebbe disvelata infinitamente aperta ed amichevole.
Sulla
destra del cortile alcune porticine immettevano nei rustici che custodivano i
tuoi canarini, -i piccoli sulle barre soggiacenti, il padre e la madre sovrastanti, come tu mi insegnavi.
Fresco
di doccia, ristorato nel corpo, mi facevi quindi salire insieme con te nella tua
stanza personale, per mostrarmi le tue opere di cui erano gremiti gli stipi e i
ripiani, - quanti i pennelli e i tubetti, sparsi alla rinfusa con
dipinti e raffigurazioni stampate sul gran tavolo,- chiedendomi tu in tutta
modestia un parere in merito.
Le
tue opere erano soprattutto studi, diligenti e umili imitazioni delle
sole pitture e stampe cui puoi avere accesso nel tuo paese, di maestri di scuola
russa, od armena, improntati ad un realismo e ad un impressionismo sentimentali, quando non
oleografico, nei bozzetti di delicata vita
affettiva e nelle scene paesaggistiche, fra le quali primeggiavano le immagini
autunnali dell' Iran settentrionale.
In
alcuni tuoi lavori apparivi ancora scolastico, solo tecnicamente
imitativo, ma in altri il colore e il tocco erano animati di una fresca vitalità, particolarmente ove ti eri reclinato a cogliere la
istantaneità dell' esistenza animale o della bellezza
floreale.
Per
il fatto stesso che in tanta umiltà mi chiedevi un parere e ne tenevi gran
conto, mostravi di ignorare in che cosa avevi più valore, di essere
innanzitutto alla ricerca di te stesso, in tanta devota ricerca di un
ammaestramento.
Più
di ogni altra cosa mi ha folgorato, di quanto mi hai detto, che in Teheran, da
dove provenivi, tu avessi cercato fino allo stremo, di negozio in negozio, le
riproduzioni delle tele di un pittore
talmente tragico ed estraneo a quel tuo mondo pittorico, quale può essere solo
il Caravaggio, fin che tu non avevi trovato quella sola riproduzione fotografica
di una sua opera che mi mostravi con tanta trepidazione, quella del martirio di San Matteo.
Di
cui mi chiedevi, chi fossero i santi e i malvagi.
E'
allora, mio intrepido e quieto Farhang, che ho sentito in me insorgere il
trasporto dello struggimento che mi ha radicato in te, un
attaccamento che voleva già esserti una amorosa
amicizia.
Ti
ho detto soltanto, mentre mi ascoltavi attento, ed annuivi, che intendevo
aiutarti in quanto le tue opere mi attestavano che era ciò di cui necessitavi, nella ricerca
che vi venivi ancora tentando della tua vera via, in questo io potevo
suggerirti altre esperienze possibili, inviartene dall' Italia
le immagini cui non potevi accedere in Iran.
Quand'anche
tu ti fossi riconfermato in quello che avevi già intrapreso, ciò che tu avessi
seguitato così a dipingere comunque ne sarebbe stato arricchito della
consapevolezza accresciuta delle maniere pittoriche in cui tu non ti fossi riconosciuto.
Intanto venivo concependo quanto ti ho confidato solo nel
pomeriggio, mentre in auto con tuo fratello eravamo già avviati a Taq-é-Bostan,
l' intento di inviarti dall' Italia volumi illustrati di opere di Caravaggio, come di altri
grandi pittori occidentali, di cui in Iran fosse un miraggio vederne i
riprodotti dipinti.
Come
ti si è allargato allora il cuore, e gli occhi ti si sono illuminati di una gioia viva di aspettative meravigliose...
Nel
tardo mattino, nel frattempo che
tua madre ultimava i preparativi del pranzo, tu mi invitavi nel tuo confortevole
soggiorno, a vedervi il filmato in una videocassetta delle nozze recenti
della tua sorella maggiore.
Erano
avvenute nel cortile stesso su cui dava quella stanza, ove una
folla trabocchevole appariva festante in abiti occidentali,
eccettuato il fazzoletto od il velo che
intorno al capo preservavano solo alcune donne anziane.
La
madre stessa di Farhang vi appariva a capo scoperto nel suo aspetto di gran
bella donna, delicata e trepida, tra più giovani, avvenenti
donne, in jeans od in tailleurs.
Ma la festa vi si svolgeva come un seguito gioioso di danze e canti orientali, ora curde, in cui
i ballerini si snodavano in fila, al seguito di un reggitore delle danze che
sventolava un verde fazzoletto, ora
invece iraniane, nelle cui movenze singoli ballerini si affrontavano a coppie, esibendosi e
schermendosi in sinuosi movimenti delle mani e del corpo.
L'altro
ieri, nel dopopranzo, eravamo appena reduci
dalla tua stanza dove eri tornato a dipingere, a mostrarmi gli altri tuoi album
di tuoi dipinti e raccolte di stampe, quando
tuo padre è sopraggiunto ed ha reso disponibile l'automobile di famiglia, perché
potessimo recarci in centro città, a Taq-é-Bostan.
Ha fatto irruzione allora tuo fratello Berhang, nella smagliante sua bellezza
giovanile in cui ho riconosciuto il corego delle danze nuziali, quanto la tua è
invece ombrosa e raccolta, ed in lui ho riconosciuto
l'animatore splendido di gioia delle feste nuziali.
E'
lui che ci ha condotto dal farmacista della città che aveva compiuto gli studi
universitari a Ferrara, ed ancora a distanza di decenni poteva con me colloquiare in italiano,
tra una prescrizione e l'altra dei numerosi clienti, poi nell' edificio storico più
singolare della città, il Takiè Mo'awen ol-Molk, un fastoso Hosseinié cagiaro
in cui l'intera storia iraniana, dagli antichi achemenidi ai primi velivoli,
nelle sterminate mattonelle dipinte era riassunta sotto l'insegna sovradominante
della dinastia cagiara, in se riassuntiva di ogni regalità antecedente.
Una certa naiveté, di cui sorridevo con Farhang, rendeva deliziosamente efferate anche le scene più truculente, in cui quarti e tranci di nemici erano trasformati in bollito, o svigoriva in una reminescenza fiabesca l'affrontarsi, fatalmente vincente, dei dinasti di Persepoli con la ferinità del male.
Fine
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