La
Bekka- Beirut, 13 agosto
Domenica
13? agosto
Per
l'ennesima volta oggi rinvierò la partenza da Zhale per Amman via Damasco, e
farò ritorno a Beirut per addentrarmi finalmente in Chabra e Chatila.
La
prima volta sono arrivato a Beirut per visitarla ch'era già mezzogiorno, perché
il taxista per recare a destinazione due anziane donne ha divagato
interminabilmente nella miseria che percolava dei quartieri arabi più poveri
della capitale, ove questa si è congiunta ai sobborghi decaduti della spiaggia
di Uzaiyeh.
Dal
Cola point con l'autobus 3 mi sono diretto in Rue d'Harma, la nuova via centrale
della città, e ne ho percorso in lungo e in largo l'animazione piacevole, lungo
i marciapiedi bordati di alberelli, tra le torri di vetro e acciaio e i profili
prefabbricati, di banche ed uffici, che felicemente non raggiungevano l' altezza per oscurare la via.
Una
duplice sortita, nella Librairie Antoine, per respirarvi l'aria frizzante di
libertà culturale e cercarvi invano dapprima un'edizione in francese delle
poesie di Adonis che non fosse esaurita, poi una qualunque traduzione delle
poesie di Abou Nawas, prima di dirigermi verso Downtown e lungo la Linea verde
fino a Rue de Damas, l'area cruciale del mio interesse.
Con il senso di desolazione della vastità incolmata di Rue Winegand e Place dès Martyrs, è venuta sovremergendo la visione che in Beirut dal ventre della guerra più città si sono riconsolidate e sono apparse alla luce, tra loro frammiste o l'una contigua all' altra, diversamente esistenti nel tempo e per i loro abitanti: 1) la città morta greco romana, che è la Berytos riemersa dagli scavi della ricostruzione e dell' asportazione delle macerie residue della guerra,- nei quartieri retrostanti la chiesa maronita, presso il palazzo del Parlamento, o lungo rue des Capucines, dove le suspensurae delle terme ora vedono la luce del sole tra le vetrate che lo specchieggiano nei laminati e nei profili che ritmano le facciate degli edifici moderni circostanti;
2) la città zombie dei grattacieli ed hotels e palazzi che dalla guerra sono stati sventrati, crivellati, perforati e trapassati di buchi, ma non abbattuti, c he è ancora una città non morta per i miserabili siriani, palestinesi, e libanesi stessi, che non trovano dimora che tra le loro rovine nei quartieri periferici ; 3) Beirut city in tutto viva e presente che è la città molteplice dei quartieri islamici e cristiani, in cui la vita degli interessi e dei traffici pulsa di una ricchezza e di una miseria illimitate nelle possibilità e nell' indigenza; 4)la Beirut del futuro, Downtown, che si profila ancora inabitata intorno alla riedificata Place de l'Etoile .
La
rarefazione dei passanti e dei rumori e delle voci di vita ne fa una città
metafisica, una riesumazione irreale della Beirut ottomana che vi è stata
annientata dalla guerra.
Dalla
torre dell'orologio ogni via si irradia nel silenzio inquietante di un vuoto di
vita e di senso.
Un
vuoto che per la mondanità degli affari è solo il ritardo nei tempi della
realizzazione del più colossale affare di speculazione edilizia dell' intero
Mediterraneo, ma che per me era più ancora estraneante perché prima ancora che il
Medioriente è l'Italia che vi è appariscente,
con la sua ambasciata e le compagnie di Assicurazione che vi si sono
insediate, nei ristoranti e caffè
dove la cucina sia pure con strafalcioni parla italiano.
Come
quel "grazzie" in cui due zeta non erano di troppo, dopo che il succo fresco di
frutta che ho bevuto a uno di quei ristoranti cui mi sono seduto al tavolo,
per accedervi alla toilette, l' ho pagato l'enormità di oltre 5.000 lire libanesi.