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Ero ancora a Marragheh, sabato, ad ammirarvi i Gunbad fra fatiscenze e macerie di cortili interni,-
ove all' epidermide pachidermica dei mausolei di Kharraghan, variegata di una variazione continua dei grafemi geometrici, era subentrato un sovrapporsi degli intrecci, - così come alla profondità minima dei rilievi del minareto di Sangbast subentrò l'ombra più densa, di più piani di intagli sovrapposti, dei minareti di Damghan- sicché vi muta quanto è irretito nella trama più che il suo ordito, la celestialità divina del lustro che vi balugina dello smalto, insieme con la pietra in cui è tramato geneticamente il cosmo,
il Gunbad- i-Sor, di che armoniose e semplici forme, inscritte nel suo quadrato di base, ch'eppure è animato da una tensione che lo rinserra in una ineludibile morsa, da cui le colonnine si sprigionano, e rifluiscono, per inflettere il mirab in un incavo * che perpetua e al tutto ritrasmette il moto.
In un sito celebrativo, in prossimità del fiume, prima ancora avevo raggiunto il Gunbad-i-Gaffariyé, il cui lustro turchese è di uno splendore abbagliante, nelle forme stellari e i rombi e i cerchi del firmamento del portale d'accesso.
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Ma ero stremato nella mente e nel corpo, si era infiacchita anche la mia cortesia che ancora in Marragheh, in Tabriz, aveva di che ricambiare quella inesauribile degli iraniani, sicché sono partito in riserva di energie per la frontiera con la Turchia, ma all' arrivo in Dogubeyazit non ho mancato di raccogliere l'occasione imminente che mi favoriva, il pullman in partenza nelle prime ore del pomeriggio per Marsin, che già l'indomani mattina mi ha consentito di essere a Gaziantep, sul fare del giorno.Dalla autostazione in cui sono arrivato è stato agevole raggiungere in minibus Kilis, poi in taxi l' ulteriore frontiera con la Siria, ritrovandomi nel clamore torridoi di Aleppo quando non erano ancora le undici del mattino, il giorno successivo a quello della mia partenza da Tabriz nel frescore dell' alba.
Così il mio viaggio è rinato in Siria ancora una volta, nel suo volgere al termine, benché non abbia ritrovato Mohammad, mi abbia straziato, nei suk, quello che ho inteso ed ho compreso di lui, tale e tanto era l'incanto in cui mi sono ritrovato nella luce siriaca, talmente è cruda e dolce e fa apparire nitente ogni entità minima, così tanto è intensa e tersa, nel rilievo in cui vi sono vividi ogni zolla e pietrisco od intaglio e risalto.
E che terra abbacinata ne è crepitante: calcinata o striata di nero, rugginosa di un fulgore in cui sembra venarsi di sangue nel tramonto.
L'altro ieri mi sono diretto verso i castelli in Siria degli assassini, a Masyaf, dopo Alamut..
Ma lungo il mio itinerario non ho potuto raggiungere che la meta intermedia della più importante delle due chiese di Deir Soleib, sulla via che da Hama reca a Masyaf, alla ricerca delle origini siriache della basilica armena di Ereruk., L'ho raggiunta a piedi tra i melograni e i fichi in cui era sinuosa la via che vi reca, dipartendosi, sulla destra, dell' arteria stradale principale in direzione di Masyaf . Come le basiliche di Qalb Lozeh e di Ruweiha, anche quella di Deir Soleib prefigurava le due torri ai lati della facciata della chiesa di Ereruk, il duplice arco glorioso che dal nartece immette nell' atrio, ma era tutt'altro aere celeste la sua spazialità interiore, che più che protendersi in altezza ed in lunghezza, come in Ereruk, si dilata nella pacata solennità del ritmo più disteso del duplice ordine interno, nell' ampiezza delle finestre ch'è inusitata anche in Siria, prima che tutto raccolga ed abbracci l'ampia conca dell' abside, al suo aprirsi al contempo verso la mirabile natura circostante, nella terna di finestre in cui curva oltre il fondale della parete, alleviato di protesi e diaconicon disposti invece ai lati.
Erano già le sette e trenta di sera, ed io mi ritrovavo ancora lungo la strada sottostante tra Masyaf ed Hama, mi sono allora rivolto alle mia paternità celesti, quella divina e di mio padre defunto,ed il furgone che già era trascorso oltre il mio invito a che si arrestasse, si è fermato più avanti, indugiando ad attendere il mio sopraggiungere: a farmi salire è stato un avvenente ed ancor giovane ristoratore di Hama, dai modi amichevoli e radiosi . Nel suo locale in cui ha voluto che sostassi prima di ripartire, mi ha offerto finanche il kebab di cui mi sono sfamato, prima che il suo socio mi chiamasse e pur anche mi pagasse il taxi che mi ha condotto al garage degli autobus per Aleppo.
Nè l'indomani ho pregiudicato il rientro da Cyrrus, l'antica urbe di provincia del vescovo Teodoreto, lungo la via che intercorreva tra Zeugma ed Antiochia, benché alle sei di sera fossi ancora a piedi lungo la strada tra Nebu Ur e Azaz, lungo i venti chilometri della strada dissestata, che li collega, così come il suo percorso risaliva e valicava e ridiscendeva i rilievi ondulati, tra i dossi delle colline che gli oliveti costellavano a rittochino e a cavalcapoggio.
Ero on the road anche perché lungo la strada avevo rifiutato il passaggio che mi era stato offerto dalla comitiva di curdi con i quali avevo colloquiato all' arrivo presso la tomba torre romana a sud est del sito di Cyrrus e convertita in mausoleo musulmano, dove ero stato appiedato dal tassista che mi ci aveva condotto dal centro di Azaz .
Avessi accettato il passaggio, non avrei potuto indugiare, come e quanto volevo, presso i ponti romani del secondo secolo dopo Cristo, che si susseguivano in prossimità di Cyrrus, e che ancora sono transitati, dal traffico abituale, ,nella pendenza a dorso d'asino che ne inflette le massicciate sugli archi che valicano i fiumi Afrin e Sabun Suyu.
E prima di avviarmi sulla strada del rientro in Aleppo, ero stato di ritorno ed avevo sostato a lungo in quella torre-tomba, pur di rimirarvi dall' alto la bellezza luminosa delle convalli e dei colli circostanti gremiti di olivi.
Muovendo da essa, al mio arrivo, non è bastato che ridiscendesi la dorsale per cui mi ero inerpicato,- "oltre la quale è Cyrrus", mi aveva detto uno dei curdi,- una volta che ne ho raggiunto la sommità che era assecondata dalla cittadella fortificata nel suo profilarsi, perchè riuscissi finalmente a intravedere i resti della antica città, - solo dopo che ho superato anche l'ultima prominenza della china che lo nascondeva, il teatro di Cyrrus mi è apparso nella sua rovina, così come i terremoti ne fecero franare nell' orchestra le quinte e gli ornamenti , quattordici ancora le gradinate superstiti, desunte dalla collina quando vi furono erette..
Già ansimante della mia corsa contro il tempo, risalivo quel che rimane della pavimentazione in basalto dell' antico cardo, verso le apparenti rovine di una basilica immane, di una chiesa contigua, finché non sono pervenuto alla porta Nord, aperta sui coltivi di olivi ed i minareti e i villaggi tra i colli, al di là della valle già in terra turca.
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