La critica del moderno e la crisi nichilistica della cultura in Nietzsche NOTE
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1)
La religione di Cristo E' il frammento 11 ( 295) che costituisce l'aforisma iniziatico dell'accettazione da parte di Nietzsche dell'interpretazione della religione di Cristo formulata da Tolstoi in "La mia religione". Ora, che cosa ha insegnato veramente Cristo secondo tale interpretazione? Che il bene è la pace dell'anima, e che il male è tutto ciò che la disturba e che le è causa di dolore, i sentimenti ostili e l odio innanzitutto. Occorre dunque recidere ogni possibilità di inimicizia, sradicare ogni risentimento, non odiare neppure il male, rifiutandosi di far guerra a se stessi e agli altri, abbracciando nei fatti e nelle parole il partito degli avversari. Gesù ha così insegnato a cercare la beatitudine della pace interiore nella libertà da ogni risentimento ( 11, 378), vivendo senza adirarsi e senza ritenere gli altri responsabili del nostro male, compatendo, perdonando, pregando anche per chi ci perseguita e ci uccide. La sua crocifissione come un delinquente è il più forte esempio e la più forte prova della sua dottrina, la testimonianza a cui si sottopose di come ci si deve comportare verso le autorità e le leggi del mondo, rinunciando a qualsiasi forma di difesa ( 11, 295). A Gesù era estraneo ogni concetto di peccato: egli non conosceva lo schema " caduta, infelicità, penitenza, espiazione", proprio del grado ebraico di snaturamento dell'esistenza ( II, 356), che cala nella storia la salvezza umana. Egli era infatti indifferente alla storia ed alla realtà esterna, vedeva ed ammetteva solo realtà interiori, ed intendeva il resto, la realtà naturale o sociale, solo come il segno e l'occasione di un simbolo(11, 355). Come Epicuro egli non prendeva in considerazione che la sfera spirituale simbolico-psicologica ( 11, 365, 359). Il " regno dei cieli", pertanto, non è qualcosa che stia " sopra la terra", né qualcosa che sopraggiunge in modo cronologico, come atto conclusivo della storia ( II, 354), bensì uno "stato del cuore", un " cambiamento del modo di sentire dell 'individuo" che interviene allorché si libera da ogni risentimento, e trova la pace dell'anima, " qualcosa che viene in ogni tempo ed in ogni tempo non c'è ancora". Il Padre ed il Figlio di Dio, come figure trinitarie, esprimono il primo tale stato di totale trasfigurazione di tutte le cose, il secondo l ingresso in tale stato ( II, 355). Anche l uomo più basso è dunque Figlio di Dio; anche l uomo più basso può sentirsi divino se ha la pace interiore ( II, 295). Dio e uomo, pertanto, non sono disgiunti l uno dall'altro; né sussiste di necessità la sfera intermedia dei miracoli ( 11, 365) Gesù, che mirava direttamente a questo stato interiore, non ne trovava certo i mezzi nell'osservanza dell'ebraismo, cui non attribuiva alcun valore( 11, 356). Egli ha mostrato piuttosto come si debba fare per sentirsi divinizzati, per ottenere cioè la beatitudine della pace interiore, e come a ciò non si pervenga con penitenze e sacrifici di espiazione. Egli non ha insegnato formule, riti, dogmi, ma una prassi di vita per essere felici, che non è garantita da miracoli o promesse di ricompensa ( 11, 361). i suoi effetti di pace interiore ne sono la reale dimostrazione, in essi " essa stessa è in ogni attimo la prova di sè, la sua propria ricompensa, il suo proprio miracolo" ( 11, 368). Una tale prassi, nella sua realizzazione " sradica dal popolo, dallo Stato, dalla comunità culturale, dalla giurisdizione, rifiuta l'istruzione, il sapere, l'educazione alle buone maniere, il guadagno, il commercio... recide tutto ciò che costituisce l utilità e il valore dell'uomo- segrega l uomo per una idiosincrasia del sentimento. Esso è antipolitico, antinazionale, né aggressivo né difensivo- possibile solo in una vita sociale e statale consolidata che consenta a questi santi parassiti di lussureggiare a spese degli altri... ( 11, 363). Buddhismo e cristianesimo sono religioni conclusive: al di là della cultura, della filosofia, dell'arte, dello Stato". Ma mentre il primo buddhismo è il volersi distaccare dalla vita ch'è il frutto di una cultura raffinata ed estenuata, nella prassi di Gesù manca ogni compito, ogni motivo di porre ancora dei fini, essa non vuole niente. Tutto è già adempiuto. Il cristianesimo, però,sviluppatosi come il grande movimento antipagano dell'antichità, ha falsificato e frainteso gli insegnamenti di tale prassi di vita di Gesù , traducendole nel linguaggio delle religioni misteriche preesistenti ( Iside, Mitra, Dioniso, la Grande Madre), già avversate da Epicuro, le religioni pagane del volgo inferiore, delle donne, degli schiavi, di classi non aristocratiche. Il linguaggio del cristianesimo originario venne volgarizzato come richiedevano i bisogni del pessimismo dei deboli, dei sofferenti, degli oppressi, che nella potenza e nella felicità dell'ideale classico della civiltà greco-romana avevano il loro nemico mortale. Tali moltitudini del volgo inferiore, animate da un'interpretazione dell'esistenza in termini di colpa, di caduta, di castigo, di penitenza e di espiazione, da una religione pretendevano che ne confortasse la speranza in un al di là ove fossero affrancate da ogni dolore, in una vita eterna dopo la morte, a cui risorgere in virtù dell'ascetismo e della negazione del mondo, dei riti di culto in una comunità gerarchica, convalidati dall'atto di salvezza redentore di una vittima sacrificale. Tale volgarizzazione del cristianesimo primitivo è stato un completo capovolgimento del simbolismo di Gesù. Mentre per egli il peccato non aveva importanza, nell'esistenza dei cristiani divenne cruciale il senso di colpa ed il bisogno di espiazione. La " vera vita" che per Gesù era la beatitudine della pace interiore, divenne " la vita eterna nell'al di là", in contrapposizione alla vita colpevole e caduca nell'al di qua; e l uomo poteva farvi ingresso all'avvento del regno di Dio, inteso come atto conclusivo della storia mediante la "resurrezione" dopo la morte. Il figlio dell uomo come figlio di Dio, il rapporto filiale anche dell' uomo più basso con Dio, diveniva a sua volta la " seconda persona della divinità". Tra Dio e l uomo si aprì così l'"abisso più profondo, che solo il miracolo, solo la prostrazione del più profondo disprezzo di sé aiuta a sormontare" (11, 295; 378). La morte inaspettata ed ignominiosa di Gesù sulla Croce, un obbrobrio riservato alla canaglia, nel suo raccapricciante paradosso fu di Gesù il sommo esempio offerto agli uomini della sua rinuncia a resistere e a difendersi, la sua più grande vittoria sui sentimenti di inimicizia e di vendetta, ma per i suoi discepoli divenne il sacrificio espiatorio dell'innocente per i peccati dei colpevoli ( 11, 378), assumendo così un senso, a prezzo del più completo fraintendimento.( 11, 278). Non solo; essi additarono come uccisore di Gesù il loro nemico naturale, l'ebraismo dominante. E siccome si erano rivoltati contro l'ordine, intesero che anche Gesù fosse in rivolta contro di esso. Affiorò allora il meno evangelico dei sentimenti: la vendetta; si ebbe bisogno di una rivalsa e di un castigo, e fu così introdotta la teoria del giudizio e del ritorno Di conseguenza fu giudicato cristiano ciò che nel modo più profondo andava contro lo spirito evangelico: il sacrificio, il premio e il castigo di un giudizio, l'ostilità bellica contro il male, la partecipazione alle attività civiche e civili. " La Chiesa innanzitutto ha servito al trionfo dell'anticristiano, come lo Stato moderno, il moderno nazionalismo...la Chiesa è la barbarizzazione del cristianesimo Ma la civiltà della cultura moderna ora consente che il cristianesimo ecclesiastico , si converta alla sua originaria vocazione, e che si adempia non solo come religione, ma come prassi di vita generale, nella purezza del suo nichilismo passivo. " Il cristianesimo è ancora possibile in ogni momento...La maturità culturale della nostra epoca consente una cristianità senza gli assurdi dogmi del cristianesimo ecclesiastico, un ritorno alla prassi di vita di Gesù nella " perfetta indifferenza verso dogmi, culto, preti, chiesa, teologia" ( 11, 365, 368). Noi che " viviamo nell'epoca del paragone" e che siamo l'autocoscienza della soria in genere" " mediante il confronto di ciò che è incredibilmente molteplice" "capiamo tutto, viviamo tutto, non abbiamo più conservato nessun sentimento ostile...Tutto è bene"- ci costa fatica il negare... soffriamo quando ci capita di diventare così intelligenti da prendere partito contro qualcosa... In fondo oggi noi dotti realizziamo nel modo migliore la dottrina di Cristo". E' dunque non solo in un movimento religioso, ma nell'intera cultura che non discrimina del paragone e del confronto, nello storicismo che attualizza tutto, che si attua la realizzazione attuale del cristianesimo secolarizzato. Se è vero che incarna una debolezza superiore, la debolezza senza risentimento di un nichilismo passivo, tale cristianesimo è pur sempre per Nietzsche il sintomo da rifiutare della stanchezza di una vita contenta in sé e per sé che non vuole più niente, " perchè tutto è raggiunto per essa", il che è indice di una " mentalità povera", l'inequivocabile " segno di una razza esaurita".
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2) Per una psicocritica di Nietzsche La coazione alla scrittura come critica interminabile dei valori del proprio tempo attesta la predominanza in Nietzsche dei valori stessi di onestà e di veracità, propri della cultura stessa realista e positivista del suo tempo , che in larga parte dei suoi frammenti denigra, oppure esercita contro se stesso. In tal senso, la sua necessità ossessiva della scrittura, volta a reiterare l'autodissoluzione della morale e della verità, può essere intesa come una formazione reattiva di difesa dagli scrupoli delle sue formazioni mentali dominanti di dotto filologo. Per queste ragioni, suppongo, Nietszche è uno scrittore triste, un autore reattivo, agito da un sentimento costante di risentimento, per cui, nel nome dell' Io ideale legislatore del Superuomo, che è la sua identificazione eroica, cerca di perpetuare la vendetta contro l'irriducibie suo Super-Io del dotto filologo, l'uomo di conoscenza intellettuale. Ed è per tale dominante reattiva, è da presumersi, che Nietzsche fu incapace della "libertà" del grande stile dionisiaco cui mirava. Nietzsche, infatti, rispetto all' Io ideale del superuomo che lo soggioga psichicamente, nonostante sublimi le sue stesse malattie, non è che un inadeguato, un debole, un malriuscito, e fu solo proiettando verso l'esterno l'odio ed il disprezzo di sé medesimo, esasperato dalla sua solitudine, verso il gregge gregario dei mediocri, ed identificandosi con tale grado di esaltazione con il mitico aggressore- il tipo dominante in avvenire del superuomo- è stato in grado di sopportare se medesimo fino al crollo finale. Di fatti, tranne forse nei frammenti e nei testi dell'"Anticristo", la sua scrittura nei confronti dei deboli e dei miseri è animata dallo stesso risentimento e rancore che i deboli ed i malriusciti delle sue analisi nutrono nei confronti dei forti: una reattività che secondo la sua stessa psicologia, è sintomo della incapacità di conseguire la potenza e la superiorità su ciò che ci si para dinnanzi. |
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