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Praga, Budapest |
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Praga Inoltrati
i visti Dicembre
1986-Gennaio I987 Inoltrati
i visti, è già deciso che andrò a Praga e a Budapest, già la lista è
predisposta dei capi di viaggio, e la guida acquistata della
Cecoslovacchia, mentre procede serrata la lettura di "Praga
magica" e di "Danubio". Sono
stati già accantonati cappottoni pesanti, le sciarpe e calzettoni,
maglioni e ricambi di camicie di flanella,i guanti e scarpe dalla
suolatura robusta, quasi avessi a patire in Boemia rigori polari... Intanto
vado ripensando a quanto ebbe a scrivere Goethe del suo viaggio in Italia:
" Lo scopo di questo mio magnifico viaggio non è quello di
illudermi, bensì di conoscere me stesso nel rapporto con gli
oggetti." Ma io
mi obietto(chiedo): si dà un viaggio che sia un inoltrarsi, se non
diventa un incantamento? Nell'accingermi in capo a un mese a partire,
l'idea stessa mi esalta di valicare le cortine di ferro, di inoltrarmi nei
tetri splendori di culture oppresse, addentro alla mortificazione di un
popolo divenuta abitudine di vita... Ma così
immaginando, non ho forse vivificato la fantasia stessa della mia simpatia
per ogni nazione conculcata da un potere dispotico? Ossia il
rispecchiamento della mia stessa inesistenza divenuta vita di popolo? Anonimo
e signorile figurandomi per i loro selciati... Estatico In
questi giorni troppo ero ansioso e felice per poter scrivere, per le vie
incantato di questa città irreale, bellissima siccome il cuore di ogni
meraviglia, quale il centro di tutte le capitali della terra. Ciò
che io credevo oramai l'impossibile vi accadeva a ogni istante,
l'immaginare stupefacente che nessuna consapevolezza poteva più
disincantarmi. Estatico
e febbrile io l'ho di continuo ripercorsa, mentre la neve fioccava fitta
sulle fatate cuspidi della chiesa di Tyn, o le più cruente trame
incupivano lugubri le gelide torri del ponte di Carlo, ammantando le nevi
le sue statue imploranti nei secoli una pietà barocca, di lontano, oltre
il castello,il duomo lievitante nello slancio di torri e di archi
rampanti, in trine e pinnacoli surreali verderame, finchè nelle tenebre
celesti irraggiungibili, ove ogni tormenta non è più che ridda di angeli
e demoni; prima del morire precoce della luce, essendo
già trascorso nella neve meridiana più folta sulle lapidi e le
steli del cimitero ebraico, loro gelida materna coltre, infracidante,
(adagiatasi) sulla sterminata memoria di secoli e secoli di un popolo
morto... Eppure
Praga storica, se non nei suoi aspetti gotici, o nelle sue memorie
ebraiche, non mi è altrimenti apparsa una citta ferale. E se
un clima vi aleggiavo prevalente, oltre il continuo comporsi di gotico e
barocco, era il tono fiorito della gravità socievole absburgo-cattolica,
vuoi trasfuso nella materna devozione boema della fede popolare, vuoi
diffusa nel profilarsi elegante di vie e palazzi settecenteschi, o nelle
memorie e i motivi del Mozart praghese come lievitanti dintorno, quasi che
nei fastigi e nelle modanature ne vibrassero le medesime inarcature e i
medesimi accordi, e che un notturno, o una sua serenata, non attendessero
che il rifiorire di rose e giardini a rimodularsi d'incanto. Intanto,
così esprimendola, nel caffè liberty si è come placata questa mia
disperata felicità, e ch'io disperassi di morire, perchè morire è venir
meno per sempre all'incanto di Praga. Patrie
straniere Stasera
ho acceso la radio al ritorno in stanza. L'emittente
ceca trasmetteva struggenti melodie greche, bellissime. Nel
cuore ancora fluttuava la neve oggi discioltasi di Praga, e già al loro
ascolto anelavo al sole e ai marmi degli dei di Grecia, dei due amori
struggendomi di due opposite patrie straniere. Che
amore è ciò che sento per Praga, se già temo di esserne esausto e
desidero già la lontananza per ritrovarla a un ritorno, quasi
che a Primavera e rigenerata in fiore, non traboccassi al suo cospetto di
uno struggimento identico. E il
Cimitero ebraico sotto la neve, migliaia e migliaia di lapidi a perpetuare
sempre piuù invano nei tempi un ricordo, è ciò che alfine di Praga mi
si rivela sempre più addentro. Regalità
perduta Anche
ieri era Praga bellissima, nelle grisaglie fumide avvolta della sua
malinconia invernale. Nella
pioggia che l'emaciava, stillava secolare il lutto vedovile della sua
regalità perduta, secondo altre parole di artisti suoi amanti. Ma
oramai si era ingenerata la spossatezza che chiede il distacco
irrevocabile. Ed ora
sono già alle frontiere dell'Ungheria. Ungheria Budapest Indubbiamente
Budapest, così balcanica, è più animata e dinamica e fervida di Praga.
E' da un giorno che questo popolo più libero trombetta a perdifiato per
la fine dell'anno vecchio. Certamente
di grande bellezza è il sito, arioso e luminoso, e lo stesso ciarpame
kitsch architettonico riesce a comporvi effetti di retorica grandiosità.
Ma a dire il vero, ciò che di Budapest mi è davvero sinora piaciuto sono
le sue eccellenti pasticcerie. Ove mi
è parso che una borghesia
ungherese d'antan, nelle sue toilettes sontuose e dèmodées, ricelebri
ogni giorno il rito della sua opposizione irriducibile a qualsiasi
comunismo. Oltre
la piazza degli Eroi Stasera,
dopo avere inviato le mie poesie a Magris, mi ha colto per strada il
bisogno improcrastinabile di defecare. Le
ritenzioni, infatti, che oltre la piazza degli Eroi già si facevano in
perdita, non mi consentivano più di sperare di giungere all'hotel ancora
in salvo. Così,
nonostante la mia avversione a evacuare all'aperto, ho ceduto in un
cespuglio al nuovo urto impellente, stimolatovi alla vista dell'impeto
sovrastante dell'eroe operaio che vi è sospinto nel futuro, nello
slanciarvisi ai lati della tribuna delle sfilate della Dosza Gyorgyut. E nel
buio retrostante, discaricandomi ho defecato ben di gusto alle sue
possenti spalle. Il
ricordo umano di Praga Il
ricordo umano di Praga che mi è più caro, oltre la gentile cortesia dei
coniugi Bonanni[1],
quantomai comprensivi nell'ascolto dei miei vaniloqui illiberali, vi è
stato l'incontro serale con
due giovani, l'uno negro e l'altro praghese, attavolati con me nel
restaurace di Piazza della Città vecchia. La
loro drammatica vita aveva indotto entrambi a trovare in Jesus la luce
della salvezza, l'uno, il negro, in fondo a un'esistenza rissosa e
violenta, l'altro, il ceco, quale scampo alla droga e a una tentata
impiccagione, della quale sotto il suo bel volto la gola recava l'orrore. "La
mia vita era vuota, empty come questo bicchiere, mi ripeteva in inglese, e
l'amore di Gesù l'ha ricolmata. Il
negro con il suo gestire seguitava a ripetermi che su in alto c'è Gesù,"
Jesus, Jesus", e che Gesù mi voleva bene, così come anche lui
voleva bene a me. Data
la mia scarsa comprensione dell'Inglese, era tramite un fumetto che il
ragazzo ceco mi aveva espresso la storia della sua vita, disegnando una
siringa e una corda e un volto piangente ( "me" in inglese
recante scritto il suo corpo ) e poi lo stesso volto ridente e una
lampadina, la luce a lui accesasi della rivelazione cristiana. Io mi
rifacevo invece alla storia ed alla chance di Gorbaciov per i paesi
dell'Est, egli ribadendomi la sua fede secondo la quale è possibile
cambiare il mondo solo nell'amore di Jesus Christ. Infine
così poi ho concluso il dialogo, sotto la sua affermazione scritta "
I voun't to change the world ": "
I voun't to change the hearts. I
accept the evil, a live without love, because it's impossible to love
another man than himself". Il
negro, quando gli ho risposto che ero bachelor, ha presunto dal tutto che
devo essere di certo uno con dei problemi. Al che
l'addio è divenuto incombente. Alla
vista del Danubio Vedendo
il Danubio, mi è sorto in mente ciò che senz'altro quante ripetute volte
è stato già detto; che è il fiume che porta all'Est l'acqua dell'Ovest. Italiani
all'estero Già
in Praga, con i signori Bonanni si era parlato dell'insofferenza che si
determina tra gli italiani, allorchè ognuno nega ad ogni altro il fascino
di ritrovarsi in terra straniera. Eppoi,
quelle chiassate... E' un
discorso nel quale fatalmente ci si morde la coda, ma è un'insofferenza
che permane reale, stante il fastidio con il quale ci si fiuta e rifiuta
tra connazionali oltre frontiera. "Dobbiamo
accettarci anche all'estero, noi italiani", è ciò che oggi ho
gridato ferito a quella mia connazionale in gruppo, allorquando per
cercare solo un raffronto di opinioni sulla validità estetica di S.
Istvan- che io considero un capolavoro-, al mio riaccostarmi l'ho sentita
definirmi indisponente. Ma non
parliamo oltre dell'Italia e degli Italiani, dalla cui realtà di massa
cerco invano di spurgarmi all'estero. Considerando
piuttosto l'eclettismo storicistico, la sua rivisitazione odierna come già
il riandare sulle rovine dell'ellenismo, mi avvalorano ch'è un'imitazione
inferiore ogniqualvolta simula di essere antico, anzichè adibire
flagrantemente la sua storicità postuma, e darsi così come la
rammemorazione che una data epoca compie di stili monumentali del suo
passato, come giustappunto il S. Istvan[2]
, del quale la concezione e l'intera ornamentazione, la luce degli ori, il
fastoso decoro, tutto vi esprime il sentire religioso pomposo e severo e
il clima storico del secondo Impero francese, quale spirito d'epoca
trasumanatovi nell'ideazione felice. Nel
caffè Gerbeaud Sosto
ora tranquillamente nel caffè Gerbeaud. La sua eleganza stagionata può
egualmente assistere imperturbata alla volgarità occidentale che vi è
convenuta. Il
tokaj bianco e la torta Estherazy che vado degustando, e ahimè ultimando,
sono il nec plus ultra della squisitezza. Respiro
ora più liberamente. La
stessa chiusura odierna dei Musei, mi ha consentito di ricapitolare calmo
quanto ho già visitato e veduto di questa città. Così come ieri,
l'errore di percorso al primo mancato accesso alla Nazionale, è stato
l'occasione per perdermi nei pressi del Nepstadion e di ammirarlo,
rimpiangendo di non avere ugualmente visitato anche lo stadio di Praga. Il
Nepstadion è l'unica architettura moderna che abbia avuto modo di
apprezzare in Budapest, rievocandovi le lezioni di gioco calcistico
impartitevi a suo tempo dalla mia beneamata Inter - da leggenda un goal di
Mazzola dopo lo scartamento di mezza difesa-, considerando al contempo
come si muti in archeologia reliquiaria il visitare ogni vestigia di
antichi stadi ed anfiteatri della civiltà greco-romana, se non se ne
rivive lo spirito negli impianti moderni, indiscutibili opere d'arte, nel
caso non solo del Comunale di Firenze, o monumenti dell'epos nazionale,
com'è vero per il Meazza di San Siro. Ed io
ora ripenso a com'è contraddittorio il mio rapporto con i miti e le
vicende emozionali della cultura di massa nazionale, addentrandomici
di nuovo ogni giorno con visceralità di appassionamento e repulsione, in
un corpo a corpo continuo con gli idola tribus, che ne risuscita amori
indomiti ed odi ugualmente implacabili, quasi che solo nel loro farmi
partecipe della vita comune io non cadessi dai trampoli.Sui cui
acrobatismi nel vuoto, per la mia arte io non vedo dintorno mai un
pubblico possibile. Beatitudo Ora è
al culmine, estasiato, questo mio godimento di una beatitudine divina... Facendomi
venir meno al digiuno punitivo impostomi per il ciurlamento subito nel
cambio - per essermi così degradato al commercio con dei miserabili
individui e da essi fatto uccellare-
lo spirito vitale mi ha sospinto stasera irresistibile e
provvidenziale al ristorante Tokoly, e lì, attavolatomi, e l'halaszlej, e
il filetto successivo alla Tokoly, incendiati di peperone e paprika ed
irrorati di Tokay, con la malia di fondo a tale punto lusinghevole di
musiche tzigane, nella
loro goduria mi hanno definitivamente riconciliato con Budapest ed i
budapestini, raggiungendovi l'estasi appieno di esistere soli e felici. E
tanto paradiso per soli 268 fiorini! Come
cantava l'anima beata, per le vie ed i sottopassaggi lungo il ritorno,
benedicendo il soave purgatorio di due giorni a dieta di sola pasticceria,
se doveva farmi guadagnare la gloria sofferta di tanto celestiale lussuria
di gola! Eccola
palesata(mi)si appieno, già apologizzavo, la ragione non ultima della
fortuna occidentale di Budapest! E
forse è ora davvero di finirla, quando viaggio per il mondo da solo, di
comportarmi con me stesso come se io non avessi al seguito che un cretino
a carico! Di
ritorno Un'immagine
di Praga, al ritorno mi sovveniva consolatrice: era quella di una donna e
del suo bambino, lungo una via deserta nel buio della notte. Ed ora
è quella delle due bambine sopraggiunte ai bordi nella sera tarda, a
guardare la Moldava dall'isola di Kapsa. Ieri
sera non avevamo ancora superato la frontiera ungherese, e già noi
italiani nel vagone sapevamo i risultati completi delle partite di calcio
di quel giorno. Così io ho esultato per l'Inter in testa alla classifica. A
Trieste la mia prima preoccupazione mattutina poi è stata quella di
ritornare immediatamente alla colazione di brioche e cappuccino. Come
denegare ancora che sono un italiota organico. Anch'io,
a modo mio, del gregge vivaiddio! Ed ora
il ricordo di Praga che mi
conforta, è la grata memoria dell'anziano custode del cimitero del
Visherad, ad indicarmi( che mi indica) claudicante sotto la neve ad una ad
una le tombe degli artisti sepoltivi della sua patria, strascicando il suo
passo faticoso sino al belvedere sulla Moldava, per offrirmi la
sottostante visione nel grigiore tumultuante, ed ancora spiegazioni e
commenti in un tedesco che io non capisco... [1]Il
signor Bonanni è l'attuale (1990) corrispondente del Corriere della
Sera da Mosca, allora in servizio invece a Bruxelles.Spero di non
averlo offeso a Praga, quando ho
alluso ironicamente ai pochi lettori dei suoi servizi specialistici
dalla capitale belga; in realtà mi riferivo con un cenno d'intesa a
un segno d'elezione. [2]La
Chiesa è originale innanzitutto nella sua particolare concezione
architettonica, secondo la quale, rispetto alla cupola che si eleva
sulla crociera, l'altare è retrocesso nel catino dell'abside, e le
navate sono condotte fino al fondo, ibridandone lo stile
rinascimentale della facciata con una configurazione protobizantina
della pianta. |