11 Agosto Già sull'autobus che mi portava
alla stazione centrale, ieri ho capito che era giornata di attitudini ed
aspettative sacrificali, quando ho rifiutato di sedermi comodamente a un
posto lasciato vuoto nell'affollamento, per ridurmi piuttosto in stato di
costrizione in un angolo, prima di retrocedere verso la portiera di uscita
quanto
mai vergognoso della mia stupidità afflitta. Era uno di quei giorni, ieri, che
invece di passare ci si arresta anche col verde; così, quando sono
arrivato di transito a Bet Shean, con il mio grande zaino in spalla,
doveva essere impossibile, ad ogni costo, che il Parco archeologico non
fosse oltremodo distante dalla stazione degli autobus(,) dov'ero sceso, e
che non intendesse irridermi l'uomo del chiosco, dicendomi che non si
trattava che di duecento metri; e più di duecento metri sono diventati di
parecchio, perchè anzichè procedere diritto ov'era prossimo l'ingresso,
ho svoltato chiedendo informazioni che ho supposto dubbie, ho insistito a
dubitare che il sito fosse distante pur dopo che sono transitato di fronte
ai miseri resti dell'anfiteatro, e solamente quando mi sono ritrovato
sull'aperta strada per Tiberiade, ho finito per scegliere effettivamente,
come mi era stato detto, la prima strada che pulverulenta svoltava a
sinistra, finendo così, dopo tanto autodepistaggio per entrare sì, nel
Parco archeologico, ma dall'uscita delle escavatrici. Dovevo dunque ripercorrere a
ritroso tutte le rovine prima di ritrovare l' ingresso, e fare il
biglietto e depositarvi lo zaino, dopodichè
finalmente iniziata la visita, ho rinunciato a vedere ogni altra cosa a
Bet Shean, finanche nel vicino Museo
il mosaico nilotico di Leontis, pur di aggirarmi per ore in quel
meraviglioso sito archeologico, nonostante i cantieri e i divieti di
accesso al transito, postivi( fra le rovine) dov'erano in corso gli scavi;
non senza provvedere a ristorarmi ogni tanto,
della calura, sorseggiando l'acqua freschissima di una fontanella
all'ingresso, e a ventilarmi poi sul tell, sovrastante, per asciugarmi la
maglietta che ne trasudava. Dalla cui altura era magnifica la vista, sul complesso urbanistico dell'antica Scitopolis: il teatro
prospiciente la via di Palladio e i suoi colonnati, il seguito
dell'arteria pavimentata in basalto sino a che svolta sottostante oltre
l'odeon, ove ai basamenti di un tempio succedono i resti del Ninfeo e di
una basilica, per incrociarvi una via che risale al tell e l'altra che si
diparte ad Oriente, verso la via bizantina dei negozi e le antiche colonne
superstiti dello stoà. Disceso dal tell e risalitone più
volte, prima di avviarmi ho indugiato ancora a lungo tra le rovine
sottostanti, e nella cavea del teatro romano, ove già mi ero felicitato
di avervi subito identificato tra i vomitori le presumibili camere
acustiche, atte secondo i precetti di Vitruvio a potenziare le voci degli
attori, e a consentire armonie e consonanze quali la quinta, la quarta e
l'ottava. Allorchè,
quella sera, in autobus via Afula raggiungevo poi Haifa notturna, i
miei piedi dolenti e vescicati, e discendevo dal mezzo pubblico giusto
nella via sottostante quella ov'erano i due hotels di ultima categoria
indicati nella mia guida, m'illudevo ancora invano, di poter prendere
confidenza con la sorte; entrambi
infatti, mi risultavano oltremodo esosi, e per il prezzo e per ciò che
per il prezzo mi garantivano: in shekalim, invece che in dollari, mi
sarebbero infatti venuti a costare quasi il doppio dei miei albergacci in
Gerusalemme, per non offrirmi l'uno che una camera senza doccia che non ho
nemmeno inteso vedere, o l'altro una camerucola in cui era come essere in
strada nel suo assordante fracasso. Girovagavo così a lungo, dintorno
e circolarmente e vanamente nei paraggi agli hotels, in cerca nel viavai
di un altro alloggio di fortuna, sostando infine per capacitarmi presso la
cabina alla fermata degli autobus; ove decidevo di sottrarmi in ogni modo
alla mia sorte di randagio, e mi veniva a poco a poco l'illuminazione
schiarente: a un giovane, prima scostante e poi interessato, chiedevo se a
quell'ora così avanzata (tarda) ci fosse ancora un autobus per la vicina
Akko, la mia meta, ove sulla guida era indicata l'esistenza di uno Youth
Hostel presso le antiche mura, sì, giusto il 225 (251), mi diceva, ma era
ipotetico che transitasse così sul tardi, erano già passate le ventuno,
comunque era più avanti la fermata, " tu andred tuenti faiv",
scandivo insistentemente a memorizzare il numero, che vedevo di lì a poco
sulla fronte dell'autobus che mi filava davanti, " è tra un'ora che
ne passa un altro", quel giovane mi commentava il fatto, ma io non
demordevo, per questo, discendevo la china della via e mi attestavo alla
prima fermata per Akko, dove un altro di ulteriori (altri) quattro autobus
di linea che vi erano destinati, oltre il 225 (251), si arrestava e mi ci
conduceva. Piccolo era il riquadro di Akko
inquadrato dalla mappa, ma assai più largo della sua cittadella era il
sito reale della cittadina: delle vie pur ampie, dove transitavo, sulla
mappa non v'era affatto traccia. Quel viatico dolorosissimo per i
miei piedi doveva dunque seguitare per qualche chilometro ancora, prima
che ad un incrocio ritrovassi delle vie indicate sulla cartina (mappa), e
grazie alle indicazioni di un'anziana coppia di ebrei emigrati da Orano
oltre quarant'anni fà, per il percorso più facile raggiungessi lo Youth
hostel. Dove è da ieri sera, che in un
antico e confortevole edificio sono alloggiato e scrivo magnificamente ed
economicamente, in vista del mare più azzurro e calmo. E finalmente di
primo mattino ho terminato di scrivere, e riposatimi intanto i piedi, andrò
finalmente a visitare la città del Macellaio.
13 agosto Che spirare fresco dell'aria nel
National Park di Bet Shearin, tra i melograni e i cipressi collinari. La giornata d'oggi, qui e poi a
Megiddo, si preannuncia più ricca che ieri e l'altro ieri in Akko e a
Cesarea; ma devo ora scriverne assai brevemente, se attardandomi nella
narrazione non voglio Forse prima di recarmi nel Negev e
nel Sinai, scartando Tiberiade e Gerico, Qumran e l'Erodion. Se io sia avventato o meno nel
prefiggermi anche questo Ritornando ai giorni intercorsi (
frattanto a quanto é intercorso), Akko mi ha suscitato inizialmente
impressioni esaltanti: il mare, le mura possenti con i forami di vedetta
sulla celestialità salmastra, quindi l'addensarsi della cittadella in suk
e minareti e caravanserragli, entro il rinserrarle circondariale dei
bastioni, quasi a detenervi ristretta ogni suggestione arabo-turca....
Eppoi sovrastante la città settecentesca di el Jazzar, nelle cui pietre
islamiche furono convertiti ospizi e monasteri cristiani, sottostanti le
rovine della città crociata divenute fondamenta, le sale di congregazione
e le basiliche profanate a cisterne... Ma basta scostarvisi dai
camminamenti turistici, per ritrovarsi fra cumuli di macerie e rifiuti,
sovrastati da loculi e loculi di abituri in cemento. Quasi fosse impossibile scontare
altrimenti l'addensarvisi a pisciatoio e a discarica. Di Cesarea non intendo soffermarmi
oltre sulle sue desolanti attrattive, il teatro romano del tutto
artefatto, l'ippodromo che non ho rinvenuto, la cittadella crociata che
non riserva un interno che assecondi (lo spettacolo del)la sua cerchia di
mura, nei possenti terrapieni ( bastioni) di rinforzo che le risalgono dal
profondo fossato. Ne dirò soltanto che anzichè
tentare l'assurdo di recarmi dal suo capolinea in autobus a Megiddo, lo
stesso giorno, quando erano già le 15,30, me ne sono riconfortato, per
(di) ciò che riservava, tuffandomi nei cavalloni marini oltre l'arco di
spiaggia tra le rovine romane. Mentre ora che serenità quietante
infondono, qui in Bet Shearin, le catacombe ove gli ebrei seguitarono a
seppellire i morti dopo l'interdizione romana del Getsemani, quale
certezza consolante suggellata dall'arcatura distesa dei suoi portali
ribassati, che i suoi morti, santificati, già riposano nella pace
promessa. Quando ieri a Cesarea, finanche mi
disinteressavo di interessarmi e vedere. In Megiddo "Outside", l'uomo della
biglietteria seguitava a ripetermi, parlando distrattamente con degli
altri addetti del National Park di Megiddo; ed io "outside""
ho collocato lo zaino, oltre il muro che separava quella sala d'ingresso
da un corridoio, nell'attiguo stanzino fresco già ripieno di apparecchi
acustici, che sembrava proprio per il mio zaino il ripostiglio ideale. Mi restavano- dopo essermi
affrettato a più non posso lungo i due chilometri dal bivio ove mi aveva
lasciato l'autobus-, soltanto 35 minuti prima che alle 16, essendo Venerdì,
il Museo chiudesse anticipatamente di un'ora. Con l'ansia in gola e stentando (
nello stento di) a riconoscere i monumenti- la visita procedeva da Nord a
Sud, secondo un orientamento contrario alla mappa dei siti- in ogni modo Ecco quella che doveva essere la
tenaglia della porta d'accesso di età salomonica, più oltre una vasta
cavità, a sinistra, che doveva pur contenere i templi e l'altare cananeo
che non vi intravedevo, quand'ecco, sospingendomi oltre, giusto al centro
del percorso guidato, visualizzarsi il silos con la duplice rampa a non
incontrarsi, rilevantesi nell'ammasso delle pareti della sua vastità
circolare, del VII secolo a.C., e risalendo sino alla terrazza panoramica,
Carmelo a quelli di Gilboe e della
Galilea, ove cercavo di individuare la forma certa del monte di Tabor,
oltre la vastità verdeggiante della piana sottostante di Yizre'el, di cui
l'immaginazione, ripercorrendola, Il sentiero ghiaioso ch'io ora in
senso contrario percorrevo con ansito, doveva pur tagliare le scuderie e
il palazzo di Salomone, ma di certo la voragine che si apriva in fondo,
straordinaria, era (doveva pur essere) il pozzo scavato già dai Cananei
nell' Età del Bronzo, che intanto discendevo nella (Allorché ho ripercorso) Quando
ripercorrevo a ritroso il tunnel, il guardiano era già sopraggiunto a
chiuderlo con il mazzo di chiavi. Col fiato sempre più rotto in gola
risalivo anche il pozzo, era già quasi l'orario di chiusura, l'indugio di
pochi minuti soltanto nel ritornare sui miei passi verso l'uscita, per una
digressione sulla destra, giù nel divallamento, e sino al belvedere, ove
certo, non potevano essere che quelle due aree immediatamente sottostanti
con intorno i basamenti circolari di colonne, le sale dei tempi cananei
dell'età del calcolitico, risalenti addirittura alle prime (alle
primissime) età del bronzo, mentre il cumulo di pietre adiacente assumeva
tutta la nettezza di una forma circolare, sì,
E sottostanti, secondo il cartello
( "We are here"), vi erano pure due megaroi e i basamenti di un
tempio, più ancora antico, che veniva fatto risalire (ricondotto) al
3.000 a.C.... Mentre dovevo pur distogliermene
per ridiscendere verso l'uscita- erano da tre minuti senz'altro passate le
quattro- vedevo avanzare ancora verso le rovine due visitatori
ritardatari, sicché supponendo un posticipo della chiusura, profittavo
ancora di un pò di tempo, non più di tanto, senza per questo riuscire ad
individuare il più antico dei templi cananei. Era in ogni caso il mio bagaglio
di cui iniziavo allora ad allarmarmi; e se dagli altri addetti,
all'infuori del guardiano, la sola via d'uscita fosse stata lasciata
aperta? E così era, infatti: e dunque con
la morte nel cuore, riuscendo solo ad esalare le mie parole, mi afferravo
al guardiano, un vecchio arabo, " my luggage... in the ticket
office... have bee cloosed" farfugliando, " can you with the
keys?...", Era disperazione reale, che mi
toglieva la voce e sfaldava le parole in un rotto singhiozzo... Lì, sino all'indomani, di sabato,
quando in Israele non circola un autobus...E se domani fosse poi stato
ancora giorno di chiusura?... E quel vecchio arabo, burbero, con
un'occhiata torva volta a me, e l'altra alterna indirizzata ai due anziani
turisti israeliani cui aveva concesso una proroga, che avrebbe dovuto
essere di pochi minuti mentre quelli ancora non facevano ritorno,
malaccondiscendeva alla mia costernazione, rientrando sospettoso e
sprezzante nella hall di ingresso, ove rilevava da una guardiola un mazzo
di chiavi. " Anche questa volta è
fatta..." io intanto venivo confidando.(mi venivo dicendo). Egli aveva iniziato così a
provare e scartare una chiave dopo l'altra, tornava sui suoi passi, io a
ridosso il suo segugio, per prendere un altro mazzo e concludere che non
c'era quella che apriva lo stanzino. " Tomorrow, mister, tomorrow..." Al che io balbetto, quasi piango,
ad una fontanella mi piego su me stesso per trarne sostentamento,
da un altro sorso, supplico che riprovi ancora... e conto gli shekalim, cinque al
massimo, che sono disposto a dargli di mancia perché ritenti meglio.. Sono a vedersi la mancanza più
completa di dignità... " Dunque, mi dico, stanotte,
qui, tutta la notte, fino a domattina costretto nei paraggi, quando
stasera avrei già dovuto essere a Gerusalemme per Elat e il
Sinai..." Ma quel vecchio non mi vedeva più
nemmeno, con quel "Tomorrow", infatti, per lui era già chiuso e saldato definitivamente il conto
nei miei riguardi. Seguitava iracondo solo ad
inseguire con lo sguardo la signora ed il signore israeliano che infine si
facevano in vista. " Five minutes" a loro
aveva pur detto... Ed erano già più di dieci
minuti... Io balbettavo, le mani nei
capelli, gli ultimi conati straziati... Lui impassibile, che richiudeva
anche l'ultimo cancelletto e in auto filava via... L'anziana coppia che lo seguiva
sulla propria vettura. Quando mi rialzavo dal verde
dell'erba ove m'ero abbattuto, tempestando il suolo di pugni, quasi che
alla mia disperazione prostrata i due coniugi israeliani fossero indotti a
indurlo ( ne fossero impietositi tanto da indurlo) a recedere e a
riprovare con le chiavi, così mi ritrovavo invece solo e chiuso dentro i
cancelli. Al che intendevo ( realizzavo) che
mi restava oramai solo da raccogliere una dignità che tanto Oh, ne avevo ora del tempo
davanti, per vedere e rivedere l'apocalittica Armageddon.. Mi guardavo allora intorno per
accertare ciò che mi offriva
la situazione circostante: l'uscita dal parco non appariva certo
impossibile, bassa era la siepe di recinzione, pur se occorreva seguitare
la sortita tra intrichi di cespugli spinosi sino alla strada. E così confinato nella piazzola
oltre il viale d'accesso, in quel Limbo tra il mondo esterno al Parco e i
locali di servizio e le aree attrezzate al suo interno, era verso
quest'ultimo che cercavo un varco. Un cancelletto con su scritto "No
entry", mi sollecitava ad accertarne l'invalicabilità.
L'invito-divieto, così perentorio, in effetti era in ragione della
irrisoria facilità con la quale poteva essere eluso, facendo scorre la
barretta del cancelletto nella rientranza scalfita nel muro; e potevo
dunque verificare al di là, che cosa quei locali ed aree mi lasciavano a
disposizione: una pineta con panche e sedili, una fontanella d'acqua a cui
bere, ulteriori tavole e sedie il ristorante, mentre un furgoncino
scassato nella radura di fronte, quando risalendo verso le rovine lo
riosservavo, trovavo un cane lupo a fronteggiarlo; ma il timore che vi
fosse a guardia mordace del tutto, era fugato quando il fissarci l'uno
negli occhi dell'altro, si risolveva in una sua ritirata di sghimbescio. Era il via libera anche verso le
rovine, ove pure seguitavo a ritrovarlo d' improvviso più in alto o a
incrociarmi il cammino, dal quale appena avanzavo si ritraeva per
disperdersi e riapparire di nuovo intento a scrutarmi. E quando poi collocandomi in una
nuova visuale, individuavo infine lo zoccolo dell'altare e i presunti
pilastri del più antico tempio calcolitico, rivolgendo lo sguardo verso
la sommità del colle, mi sorgeva incontro un'altra apparizione: due
giovani fanciulle e un uomo paterno che ne guidava il passo, tre
visitatori sopraggiunti chissà come e da dove. All'incontrarci reciprocamente
inattesi, ci scambiavamo il saluto rituale,
si confondevano insieme i nostri percorsi, e parlottando loro mi
disvelavano la loro identità etnica: erano ebrei dell'Ex Unione
sovietica, di origine russa l'uomo e la più intensamente bella e
coinvolgente delle due ragazze, estone l'altra, più ritrosa, Katerina,
dei tre lei sola di cui ricordo il nome. Potevo però comunicare con loro
soltanto attraverso l'altra ragazza, l'unica del terzetto che parlasse
propriamente inglese, poichè aveva avuto modo di soggiornare in Canadà
per studiarvi. Non sono riuscito a chiarire altro
della loro vita e dei loro rapporti, mentre non mi è occorso molto, per
quanto mi atteneva, per fare almeno intendere a loro in che inghippo mi
fossi cacciato. E da/el mio caso si sono sentiti
immediatamente coinvolti.
Di lì a poco discendevamo,
Katerina irritata dei millepiedi che insidiavano il suo cammino, io per
mostrargli( a loro) dove e come fosse detenuto lo zaino, loro come fossero
agevolmente entrati per due smagliature campali della siepe di recinzione. Era quando( allorchè) così
mostravo l'esterno del ristorante e come fosse mio, re per una notte, che
tra le sue sedie sbucava e si defilava la terza delle apparizioni nel
Parco: un gatto, sinuoso e lesto, che mi sfuggiva eppure seguitava i miei
passi. Passavamo successivamente davanti
all'ingresso, allora scorrendo il tariffario dei biglietti di ingresso dai
tre così bravamente eluso, -" Then shekalim"-, con sprezzo
sarcastico ironizzava il russo. Mentr'io restavo con le
incantevoli fanciulle, lui si indirizzava verso la loro auto e la
conduceva presso l'ingresso al Parco per accompagnarmi al vicino Kibbutz e
chiedere per me ospitalità per quella notte ( se potevano offrirmi
ospitalità per quella notte). Niente da fare, secondo la custode
alla sbarra d'ingresso. Perchè era già il sabbat? Mi recassi ad Afula, se volevo
dormire in Hotel. L'ebreo russo si offriva di
riportarmi con lui ad Haifa ove ricercare l'alloggio. Rifiutavo (
Declinavo l'invito): potevo seguitare fino a una destinazione solo
seguitando a dormire in ( ad alloggiare) in youth hotel. Di tornare ad
Acco, manco a pensarci. Così mi accomiatavo
definitivamente da lui e dalle due ragazze sulle soglie del Parco,,
risalendo l'erta della mia china notturna, mentre la fanciulla russa, nel
salutarmi con intenso calore, " porta via il tuo bagaglio sfondando
la porta", mi suggeriva. Era quanto avrei fatto,
senz'altro, solo se e se solo fossi stato sicuro al cento per cento della
riuscita. Per il rumore dello
scasso non c'era problema, chi (nessuno) avrebbe potuto sentire? Solo che
la porta dello sgabuzzino ov'era il mio zaino era inaccessibile,
all'interno, e non aveva finestre che non fossero protette da inferriate
profondamente infisse. Non mi restava piuttosto che fare
il punto della situazione, passando in rassegna tutto quanto nel Parco
avevo a disposizione: dunque dell'acqua, illimitatamente, tutte le panche
e le panchine e le seggiole che intendessi utilizzare, un tavolato con
sopra il telo di una tovaglia, fresca erba rugiadosa, pini balsamici e
sovrastanti rovine, la compagnia intermittente di un cane e di un gatto
randagi, il canto di piche e di gazze. Nella mia sacca tutto l'occorrente
per disinfettarmi e incerottarmi i piedi che cominciavano a piagarsi in più
punti, la provvidenziale scatoletta di tonno che per l'emergenza avevo
preservato della quantità di provviste acquistate in Italia, e del tutto
inattese, due serie di wafers di una confezione acquistata il giorno
avanti. Mi sono recato a perlustrare anche
quel furgoncino scassato, preso il capanno dov'erano gli attrezzi della
manovalanza; non vi ho rinvenuto che un banco frigo chiuso a chiave, ed
anche i sedili anteriori vi erano inservibili, tant'erano lerci e logori. Quando prima del calare della sera
sono risalito alle rovine, il cane è riapparso sulla soglia della porta
d' accesso senza interdirmi l'ingresso; ma nell'oscurarsi della chiaria
diurna, era il sortire dovunque di processioni di millepiedi e
scolopendre, che mi faceva recedere dal procedere oltre ( avanti). Così avevano inizio ( cominciava)
la sera e poi la notte, le ombre si facevano dense ed ogni cosa si
confondeva dintorno, si accendevano le luci dei boxe shop della
gioielleria interna, irradiava le sue bluescenze al neon un istecchitore
di insetti volatili; nella cui luce violacea quindi all'interno del
ristorante, appariva una stupefacente figura femminile, reclusa immobile;
solo un'immagine pubblicitaria di una giovane, preservatavi perennemente
ridente. Con le ombre e le tenebre
precipitevolmente diffusesi intorno, * tutto quanto vi era nel Parco
veniva già estraniandosi, ed anche ciò che in un angolo riconoscevo come
una carriola, diveniva una sagoma allarmante, mentre si restringevano gli
spazi in cui mi attentavo intorno al solo tavolato su cui mi stendevo
sotto i pini e le stelle, cercandovi il sonno al più presto. Ed ecco quanto riporto di ciò che
allora sono venuto scrivendo tracciandolo al buio, per vincere prima del
sopraggiungere del sonno la paura incombente. " Scrivo a sera già fonda
sotto le stelle fra i pini fragranti di Megiddo, senza vedere ( più) che
il bagliore oscurato del foglio davanti. Ove ne è il ciglio, dei fari
illuminano la rada sottostante del parco, sono più sotto(,) le automibili
che sfrecciano all'incrocio della Galilea con la Samaria e trasmettono
bagliori. Prima mi erano di conforto i pochi
animali che vi erano randagi, un cane che è più spaventato di
me di quanto io lo sia di lui, un gatto rimasto, che è la forma sinuosa
che seguita a girarmi attorno; mentre i millepiedi, onnipresenti, sono i
custodi vigili dell'inviolabilità notturna dell'accesso di Megiddo. Ora ogni rumore e forma mi fa
paura, io stesso (appena) come muovo i miei passi (se mi muovo). E' l'immobilità soltanto, che
rendendomi invisibile mi acquieta. Anche se so benissimo anche quel
gatto che mi seguita e fugge, se io cessassi per sempre di muovermi che
cosa ne farebbe di questa carne e i miei ( questi) occhi. - Intanto il pallore del foglio è
sempre più tenebroso.- Anche il pallore del foglio sempre
più tenebroso, Eppure (appena) di sotto
s'incrociano il traffico di Galilea e Samaria, solo che ridiscenda dal
tell vi sarei addentro. Dei fari costanti (,) (ne) striano
i fusti del pino e il rilievo del tell. Mentre i millepiedi sono i
guardiani ovunque avanzantisi, a invincibile, invalicabile
guardia della città di Armageddon. Quella falce di luna, sulle palme
fra le rovine sù in alto. Che bello, é stare qui sotto le
stelle fra le trame degli aghi dei pini, che frescura odorosa di resina. Ma ora lo sfogo verso il nero del
sonno." Quando riemergevo dal sonno, o dal
decorso dei miei pensieri in esso internatosi, era già quasi mezzanotte. Mi facevo più coraggio e
ritornavo ad essere avvistabile nella luce al neon del ristorante, al suo
alone mi sforzavo di rinvenire ed individuare sul foglio i caratteri
difformi che vi avevo tracciati, cercavo e trovavo un sonno meno
disagevole del precedente, sul tavolato rivestito di quella rosa tovaglia
davanti al suo ingresso, riemergendone fino a svegliarmi del tutto verso
le quattro. Cercavo allora che il tempo
scorresse attraverso il riordino della mia persona e dei miei effetti
nello zainetto Finchè il chiarore non
s'irradiava, ritornavano visibili la valle di Yzre' el e i monti che le
sorgevano attorno, e riavvistavo su in alto le rovine e il cane che vi
vagolava intorno, ove risalivo prestamente, riscontrandovi già diminuiti La riconduzione dei resti gli uni
agli altri e a questo o quel periodo, al regno di Achab o di Salomone, a
seconda che fossero fatti risalire a questo o a quello strato, al quinto
oppure al quarto, al quarto a o al quinto b, mi intrattenevano
consentendomi il trascorrere del tempo, sino a che si schiariva del tutto
nel giorno. Avevo allora cura di riordinare
tutto e di fare sparire ogni traccia della mia permanenza all'interno del
parco, richiudevo il cancelletto " no entry" come se per esso
non fossi mai transitato, rivalicavo il varco per il quale il russo e le
due fanciulle erano entrate, e mi disponevo ad attendere lungo il viale
esterno al parco i suoi custodi ed addetti. Che arrivavano giusto alle otto. Prima il vecchio arabo, poi degli
altri su di una Toyota, infine l'addetto al Ticket office ( alla
biglietteria). Quando attese cronometricamente le
8,22 sono entrato e mi sono a lui rivolto, lasciandolo solo per questo
perplesso, poichè evidentemente si ricordava di avermi già visto il
giorno prima, ho quindi aggiunto un ancora più grande sconcerto al suo
sconcerto, quando gli ho detto le ragioni per le quali ero di nuovo lì
presente di primo mattino come il pomeriggio prima. Eppure gliene avevo parlato come
del più usuale incidente. Allora dallo stesso sgabuzzino cui
si era rifatto il vecchio custode arabo, riprendeva egli gli stessi mazzi
di chiavi, e con una delle stesse chiavi che l'altro aveva già usato ma
con una più solida scrollata, mi schiudeva la porta e mi consentiva il
ricongiungimento con il mio zaino agognato. Scollinavo il tell in un gaudio
che mi metteva le ali, fino all'incrocio divenuto nella celestialità del
mattino poco distante, dove avevo poi ben da attendere verso la sua terra
il Buon Samaritano, nella pretesa di raggiungere Gerusalemme lungo la via
più breve che passa per Jenin e Nablus, toccando anche Sebastye ove
volevo visitare l'antica Samaria.
Dopo oltre due ore, non una
macchina che si fosse arrestata in quel mattino già cocente. L'uomo che gestiva all'incrocio il
capanno di un misero spaccio, mi consigliava e mi persuadeva piuttosto di
tentare lungo la direttrice più lunga per Tel Aviv. Ed infatti, prima di mezzogiorno,
in tale direzione un giovane mi concedeva un passaggio fino ad Hedera,
alla cui autostazione accertavo che dopo le quattro, finito il sabbat,
riprendevano le corse degli autobus. Ed anche se in me v'era un
singolare soggetto che per la concessione di quel passaggio aveva già
preso gusto di nuovo all'autostop, e che si rammaricava di non essere
rimasto sulla grande strada per Tel Aviv, lo stato rovinoso dei miei piedi
mi imponeva l'assennatezza di rimanere nell'autostazione di Hedera ancora
quattro ore quatto quatto, riordinando i miei bagagli e le cronache. Ma dall'autobus che alle 16,30
giungeva puntuale, rischiavo (tuttavia) di rimanere poi escluso dopo
averlo atteso per quasi cinque ore, poichè essendomi messo decisamente in
coda e per ultimo con i miei bagagli ingombranti, al conducente- che in
Israele deve allo stesso tempo guidare e fare l'esattore dei biglietti
secondo il tabellario e il tariffario dei vari tagliandi corrispondenti,
con le varie sottostanti pile dei vari tipi di monete- risultavo
l'ennesimo che si presentava con un biglietto di 50 shekalim. Solo perchè non mi decidevo a
scendere e la generosità di altri passeggeri me li scambiava con altri
biglietti di taglio inferiore, la cosa si risolveva a mio vantaggio. Quindi a Tel Aviv, nella stazione
centrale, l'autobus per Gerusalemme che sarebbe partito solo dopo le
venti, sicchè vi rientravo in taxi collettivo, per qualche shekalim
soltanto in più. Giunto in Jaffa Street, pensavo
bene di attenermi ai suggerimenti del giovane di Zurigo che aveva con me
alloggiato nell'ostello di Akko, e ho cercato e trovato ospitalità presso
lo Youth hostel Luterano, di cui mi aveva magnificato il bellissimo
giardino in cui ritornava a bearsi ogni giorno. Ove ho soggiornato più giorni
benchè abbia di gran lunga superato il limite massimo di accoglienza di
trentadue anni di età, come rivelavano i miei capelli bianchi che
infoltiscono, e che il berretto si sforzava di nascondere sotto le mie
apparenze altrimenti di un giovane uomo. E ove ora termino queste note di
primo mattino, dopo essere stato ieri a Qumran ed a Gerico,- ma di questo
nella prossima cronaca- nella perplessità più totale su come ora
orientarmi: se per il Sinai e la sola conclusione in Israele della mia
visita di Gerusalemme, o per il seguito del viaggio in Israele soltanto, e
allora recandomi anche a Tiberiade e Sebastie. Bastano mai i soldi? A questo
punto è più uno spreco non profittare del fatto che sono già in
Israele, o invece ricorrervi? Nel patema e l'incognita, al fondo di tutto,
di dovermi mettere in lista di attesa all'aeroporto per il volo di
ritorno, "full" ogni giorno per Atene. Mah, che decida alfine il
seguito degli eventi, nel dipanarsi l'uno dopo l'altro del loro groviglio.
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