All'Indice degli Scritti degli anni 1986-1994 |
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Marocco Ieri,
benché il caro Mebrouk Djalil neghi che nel Marocco ci sia il deserto, ho
attraversato il Sahara marocchino. E
ora di nuovo sono (nel tripudio esotico di) in Marrakesch, assistendo nel
tramonto, oltre le seggiole e i tavoli immersi nella penombra del caffè,
tra le zaffate di urina dai cessi, all'animazione perenne vivida di colori
lussureggianti della Djema-el Fna. Già
ieri sera, in Er Rachidìa, mi sentivo stranito del gremitìo di vita del
Marocco, ed era come se ogni aspetto, che ne rivivevo, intendesse essere
vissuto per la prima volta, svanendone ogni memoria che cercavo di
riattingere del viaggio precedente.
Dopo
la miseria socialista algerina, ora tra gli archi coronati e le effigi
dappertutto della monarchia marocchina, mi straniva tanto stridore di
vita, di dignità di cenci e volgarità di sfarzo, tanta commistione di
tramandi folclorici e di oltranza occidentale, il più puro candore delle
djellaba tra le fluorescenze del rayon, quel frusciare in sete e tessuti
sintetici di ammanti di tuniche e cappe, tra gli stracci variegati di
toppe di straccioni non meno magniloquenti, nell'incedere curvi sul loro
bastone come re folli e mendicanti. Ed
oggi, nel corso del viaggio, ripercorrendo in autobus la vie delle Kasbe
fino a Ouazarzate, poi risalendo in un paesaggio sempre più fantastico la
valle della Draa, l'immaginazione ( irrealizzava) nella natura rapprendeva
un identico tumulto di forze, come se all'immensità infinitamente
trasmutata dal vento del Sahara algerino, fosse subentrata la
rappresentazione incantata di una drammaticità originaria, e l'orogenesi
dell'urto delle placche, in cui i monti d'Atlante si sprigionarono dal
fondo del mare, fosse la scaturigine rafferma di forme e colori
strabilianti di monti e di rocce, all'inesausto succedersi della
sedimentazione fantastica di ogni tonalità mineraria, di ocre calcaree
rosse, verdi, brune, gialle e grigie luminescenti, ove sul verde argentato
degli oleandri del fondovalle, si sovrergevano, annidandosi, ksour e
villaggi di case a terrazza (di montagne), fusi nei toni smorzati o di
fuoco di una medesima argilla, eppure dissonanti di una nota più viva dai
crinali circostanti, benchè tratti e arrotondati dal loro medesimo
impasto. Finchè
disceso l'estremo declivio del TizinTika, non è stato il tripudio di
palme prima di Marrakesch, ove nella sera la Djema el-Fna si viene ora
arrosando e affumicando delle rosticcerie delle bettole.
In
Marrakesch ho cominciato a faticare a levare gli occhi dal fango. Il senso
d'orrore per ogni forma di vita( intenta),che vedevo brulicarvi, veniva così
significando che l'incanto del viaggio volgeva al termine.(Così) Ho
allora intensificato le mie peregrinazioni, rivisitando le tombe sadiane e
la medersa di Beni Youssef, perdendomi nella medina, e poi cercando di
ritrovare l'ordine interno ai souk. Ma
è tale la vitalità di Marrakesch, che nonostante l'afa piovosa che
alitava fetori e aromi e decolava liquame, la sua animazione alacre ha
trasceso il mio orrore incipiente. Ma
a deteriorarmi, ciononostante, era piuttosto che non potevo levare gli
occhi su un volto o un aspetto, o volgermi intorno in cerca di un
riferimento, senza che mani e voci, intollerabili, sopraggiungendo non
insistessero per invitarmi ad entrare in un bazar o per offrirsi da guida. "
Va t'en, va t'en foutre", era la reazione rabbiosa di artigiani e
offerentesi, quando agli uni, ad esemnpio, ribattevo che i loro
brancicarmi irritanti non erano che l'attestato del loro sottosviluppo
commerciale, agli altri che la loro miseria non li autorizzava di certo a
impedirmi la più inviolabile libertà personale, sudata con il solo
frutto del mio disconosciuto lavoro, di viaggiare da solo, e affaticato e
stanco, per fare e vedere di consentito ciò che volevo. Così
l' alterazione ha deturpato ogni riguardo in gesti di furore intollerante
ed insolente, non senza sortire, tuttavia, che più di una voce non
riprendesse le mie stesse ragioni, che un garzone o commesso con me non
giungesse a levarsi contro la " gente emmerdante" de Marrakesch",
che come il proprio padrone costringe i suoi pari ad umiliarsi anche solo
per una bazzecola in quegli inutili richiami infastidentissimi.
Il
viaggio seguente, fino a Fes, non è stato che il farnetico di un
dormiveglia sudolento. Dopo
avervi trovato in un battibaleno l'Hotel che cercavo con ansia sulla
guida, nel disperdermi già nel lunghissimo itinerario fino alla medina,
vi ascendevo il Calvario già di Marrakesch, finche, intenzionato a
concedermi la cena in un ristorante dei più lussuosi, per mia buona sorte
non vi sostavo presso un videoclub, sortendone il felice incontro con il
giovane che lo gestiva in luogo del fratello. "
Con Saddam Hussein gli arabi hanno risollevato la testa," è il
motivo che mi ha ripetuto al discorrere iniziale già della Guerra del
Golfo. "
In Marocco- mi diceva tra le sue cassette di film di violenza, -, il re,
la polizia e i grandi mercanti sono contrari a Saddam Hussein, mentre
invece con Saddam Hussein è il popolo intero. Gli
ho raccontato, e ne abbiamo riso insieme, della favola candida di
quell'islamico fervente che ho incontrato a Marrakesch, e ch'io ho
contraddetto con indulgenza nella sua devozione fanatica, per l'amabile
sorriso che ne mitigava ogni discorso di fatwa, il quale, quando ai suoi
vaniloqui antipapisti contro gli ori e i tesori di Giovanni Paolo II, le
cui posizioni sulla Guerra del Golfo è venuto falsificando in un appoggio
benedicente l'invio dell'armata americana, ho replicato che in ancor più
ori e tesori naviga lo stesso suo re Hassan secondo, mi ha controreplicato,
convinto, che tutto ciò che riceve il suo re lo dà ai poveri. "Qui
c'è gente che non ha un centesimo, mi ha soggiunto il giovane,il quale ha
annuito senza contrastarmi, a tutto quanto
gli obiettavo sull'intelligenza politica e il valore di Saddam
Hussein, della sua sfida a tutto il mondo, senza che ciò significasse,
beninteso, che le sue parole non seguitassero a lumeggiarlo ai suoi occhi
quale un idolo eroico. Ciò
che comunque lo ha compenetrato, é stata l'intransigenza con cui ho
denunciato tutta la gravità dell'antigiudaismo arabo, che aggallava in
certe sue espressioni, richiamandogli le differenze di posizione sulla
stessa questione palestinese (che sussistono all'interno del) interne al
mondo ebraico, e che tale ostilità razzisticheggiante inibisce a farsi
valere oltrechè sentire. Anche
a seguito del dialogare con quel giovane, un dato ( una cosa
(conclusione)) per me é comunque certo(a): come la generalità dei miei
interlocutori maghrebini sia dogmatica nei
contenuti dei suoi asserti, ma dialogica e tollerante del
contrasto nel confronto, laddove la generalità di chi interloquisce in
Europa, specie sui media, è relativista e pluralista nell'etichettarsi,
ma di una intolleranza faziosa e settaria
nei toni e nei modi. E
quando al giovane ho confessato di avere sperimentato, di persona,
l'ipocrisia della sua gente che si ammanta tanto spesso di fervore
islamico, egli si è riconosciuto in quanto gli dicevo, annuendo che per
il denaro sono disposti a fare ogni cosa.
Dovevo
già lasciarlo, data l'ora tarda, per recarmi al ristorante, e così
iniziavo di nuovo a disperdermi, inoltrandomi oltre il fondouk el-Nazarin
in restauro, dove sostando avevo potuto dialogare brevemente con uno
studente grande conoscitore dell'opera di Tahar Ben Jelloun, ruotavo in un
turbine vano intorno alla Grande Moschea, di cui non avevo il tempo che di
adocchiare affascinato le sale di preghiera, affidandomi dapprima
vanamente a un bambino di bottega che mi veniva allegato, e poi ad un uomo
ricurvo troppo intelligente per la mansione che simulava di assumersi
senza obbligarmi a un compenso, se nel condurmi in un dedalo
biancheggiante e interminabile di vicoli E
con che diplomazia si era abilmente sottratto a una mia incomoda domanda,
nel rispondermi perchè che quella sera avrebbe ascoltato il discorso alla
nazione del proprio re, nell'anniversario dell'Indipendenza; " sarà
senza dubbio interessante". Lo
sarebbe stato, certamente, come avevo modo l'indomani di constatare
integralmente su ogni prima e doppia pagina,per chi avesse voluto
rianalizzare come l'appello al nazionalismo, in nome della marocchinità
dei sahouriani e della sahourianità dei marocchini, che vanificava a dire
del sire ogni necessita di un referundum che legittimare l'annessione del
Sahara spagnolo, Quella
sera, nel restaurant, era musica egizia contemporanea che ascoltavo,
scambiandola quale musica malouf per la sua arcaicità strumentale, nel
delibare nello squisito interno le più squisite pietanze, allorché ne
chiedevo conto all'inserviente, che
aveva così modo di riprovare
a viva voce in arabo la mia risibile gaffe. E
rientrato in hotel a mezzanotte inoltrata tra gli ulteriori insolenti,
eluso uno splendido ragazzo intento a prendere sonno in un angolo di
strada, mi sono risvegliato agitato alle quattro, rigirandomi, rialzandomi
e ridistendendomi a prendere sonno, nel chiedermi intanto se l'indomani
dovessi o meno recarmi a Rabat, a verificarvi di che temperamento,
effettivamente fosse, il fratello di quel delicato giovane incontrato
l'estate scorsa sul treno da Tanger a Fes, che dopo un esordio invocante
che Allah sia benedetto, mi aveva scritto una strana lettera ambiguamente
invitante. Riprendevo
nel mentre in mano la lettera; rileggendo la quale mi accorgevo sorpreso
che gli errori non erano errori, che la sua stranezza era solo presunta, e
che soltanto la mia sessualità interessata l'aveva fraintesa.
La caduta di Gorbaciov Solo
stamane, 21 settembre, acquistando un giornale ho appreso dell'evento
immaginabile e possibile che più temevo: della caduta di Gorbaciov. Tra
il pane e la libertà politica, la scelta del popolo sovietico che è
maturata al vertice è ora chiara del tutto. E'
evidente, tra un ritorno all'ordine totalitario e gli aiuti occidentali,
quale credito è prevalso. Intanto
Ibliss, già di primo mattino, ha ricominciato a metterci le corna anche
nelle mie faccende: ogni autobus per Rabat oggi è completo, e la
montatura degli occhiali si è rifratturata. Stupefacente,
stupefacente oltre ogni dire, il doppio fondo della vita del giovane
del videoclub e della sua famiglia. L'avevo
già reincontrato e salutato lungo la Tallat, mentre risaliva intento a un
carico e a un impegno. Quando,
dopo avere rivisitato le mederse di Bou Inafia e di El Attarin, sono poi
ritornato a mezzogiorno nel suo videoclub, mi ha invitato a pranzo a casa
sua prima che partissi. Nel
locale, in attesa, gli ho proposto uno scambio postale di audionastri
(registrati), chiedendogli in cambio di registrazioni di musica ala e di
melodie egiziane di Oum Kaltoum e di M. Abduallah, il cantante arabo qui
più famoso fra i giovani e recentemente scomparso, quale musica
occidentale dovessi inviargli. Ed egli, quand'io temevo ben diverse
candidature, mi ha fatto un
solo nome consolantissimo:" Mozart". La
sua situazione domestico-abitativa, in cui intanto m'addentrava, non aveva
definiti contorni nei suoi accenni, poichè mi è venuto solo
alludendo a una sua casa "ancienne", poi ad un'altra più
imprecisata, parlandomi della scuola dove vive il padre quando vi fa il
guardiano estivo . E
risalendo la medina, una volta chiuse le serrature a più lucchetti del
negozio, è in quest'edificio scolastico che mi ha condotto, quantomai
anonimo e scrostato nella sua obsolescenza, dove il padre, benchè fosse
un mercante, per una ventina di giorni era appunto succeduto a due suoi
predecessori nel custodirlo. Aperto
l'uscio, tra malcelate risatine, e con una mia certa sorpresa, mi
accoglieva uno stormo succinto e allegramente nomadesco di fratelli e
sorelle, lì accampati con le suppettili domestiche insieme al padre e
alla madre. E
tra banchi e in aule vuote e scassate, ci siamo aggirati a
lungo non sapevo bene in attesa di che cosa. Ero
sconfortato di quella destinazione così poco sapida, mentre riguardavo,
di fronte, l'altissimo muro di cinta della vastissima dimora- mi diceva il
giovane-, di un famoso e ricchissimo mercante morto da anni, e che i suoi
figli disabitavano da tempo. Con
mimica facciale sempre più stirata, ostentavo comunque buon viso ad
avvilentissima sorte. Finché,
d'improvviso, sopraggiungevano entrambi i genitori, recando non capivo
bene da dove le vivande, lui con un certo fiero portamento, lei
vivacissima e allegra, alla apparenza selvaggia, quanto, pur tuttavia, può
sembrarlo una donna preservata integra da ogni sapere riflesso. Il
giovane, in negozio, mi aveva anticipato che avrebbe richiesto alla madre
di prepararmi delle specialità della cucina di Fes: ma ciò che veniva
imbandito alla mia attesa (delusa) frustrata, su due banchi di scuola
riuniti sotto una tovaglia stracciata, non era che un'insalata di pomodori
e cipolle cosparsa di un pò di prezzemolo. Io,
via via che fratelli e sorelle confluivano a tavola, attendevo comunque
anche l'arrivo di posate e bicchieri: attendendolo
non senza una vaga apprensione, ed a ragione, "
Mangez, mangez,..." si insisteva intanto calorosamente a ch'io
facessi altrettanto,( nel rinnovarmi unanimi l'invito a fare altrettanto,)
com'io mi sottoponevo per educazione e rispetto ad adempiere con sincera
ritrosia, non senza che il capofamiglia, per educazione a sua volta
squisita, non alludesse, divertito, al fatto ch'era così andata delusa la
mia attesa stravagante di usare forchette (ch'io mi attendevo la
stravaganza di usare forchette.). Il
piatto sostanzioso, e più luculento, erano quindi delle patate
giallognole di zafferano in un rado sugo di pomodori e peperoncini,( e che
mai altro,) che sormontavano un piccolo pezzo di carne di cui
calorosamente ho declinato l'invito. "
La viande ici coute chère", mi ribadiva il giovane comprensivo. Quando
poi é sopraggiunta una vicina, i resti del pane, che avevo
sbocconcellato, hanno costituito gli avanzi di cui è stata commensale. Così
essendosi mestamente fatto già tardi per il treno per Rabat, il
giovane mi ha condotto per i
vicoli della medina, almeno a vedere quella sua fantomatica casa
"ancienne"; finchè addentratomi privo di aspettative in un
lurido vicolo intralciato di calcinacci, ha aperto al fondo un'antica
porta, sfasciata e fuori dei cardini: oltre l'ombra del cui andito
(dell'andito ad essa seguente), mi trapelava, stupefacente, lo splendore
favoloso in rovina di un antico palazzo, costituito da una duplice
galleria di sale attorno a un patio, splendido di ceramiche e stucchi e
fontanili, benchè fatiscenti, mentre agli angoli del lucernario
squarciato, si sfacevano ( si sfarinavano) le residue vestigia di un
mirabile rivestimento di cedro.
Dopo
avermi fatto intravedere dalla toppa lo splendore, filtrato di luce, dei
vanni e veli e cuscini della camera violazzurra del padre, il giovane mi
conduceva quindi in soffitta, dove un pollaio escrementava una gattabugia
superstite. Mentre
poi scendevamo, dal lato più in rovina, un miserabile sparuto faceva
mostra della sua nudità in slip, il solo inquilino, come il giovane mi
diceva, delle famiglie alloggiatevi che avevano affollato e degradato più
ancora il palazzo, a seguito del flusso migratorio delle campagne,
infliggendogli sorte analoga a quella di tanti altri palazzi ugualmente
splendidi e fatiscenti della Medina, che, come mi indicava il giovane, ne
costituiscono il 50% delle dimore. "
E l'altro che possiedo è ancora più bello, soggiungeva, mentr'io
strabiliavo," peccato manchi il tempo per vederlo". Mi
spiegava, altresì, che tali palazzi in rovina non costano cari, a
differenza di quelli restaurati, e come il padre avrebbe voluto venderli
entrambi, pur di insediarsi in un quartiere della Ville Nouvelle, e come
solo le resistenze di loro figli lo avevano fatto tuttora desistere. Trasecolato,
gli dicevo che se in Italia avessi posseduto e potuto restaurare due
palazzi simili, e ne avessi ceduto anche uno soltanto, sarei divenuto
ricchissimo per tutta la vita in un ambiente di fiaba; ed assillato quasi
ne fossi divenuto comproprietario, l'ho sollecitato a resistere con i
fratelli a quei malintenti paterni; ancora un poco, e gli avrei
scherzosamente suggerito di farlo internare... L'ho
quindi salutato nel pomeriggio inoltrato, sulla soglia del suo negozietto
che veniva riaprendo, mentre le sue ultime ripetute parole erano: "
N'oubliez pas, n'oubliez pas ", di inviargli ( che gli inviassi) gli
audionastri promessi. E
già nell'avvicinarci lungo la Medina alla sua casa antica, ed avendogli
chiesto che cosa ne pensasse del mio punto di vista su Saddam Hussein,
se per lui fosse davvero un eroe, ora mi confortava che mi avesse
assicurato che avevo ragione in ciò avevo detto, e che anche per lui
Saddam aveva fatto davvero delle cose cattive.
E'
bene, che il mio tour iniziatosi sulle coste mediterranee di Cartagine,
trovi la sua conclusione ( si concluda ) sulle coste atlantiche di Rabat,
ove si respira un'aria più libera che altrove nel Marocco, come attesta
che posso scrivere queste parole sul retro di "Le Monde", la cui
titolazione fortunatamente riporta le gravi difficoltà in cui versano i
golpisti di Mosca. Intanto,
nel giardino degli Andalusi, ricerco l'occasione che due anni or sono qui
ho perduto, ma il volto a me accanto è quello abbrutito di un giovane
padre. Mentre
scrivo la menzogna che mi sono recato da Aicha e che non l'ho trovata. Arriva
ora un giovane, incantevole, Finché
anch'io m'alzo e mi perdo nel tripudio dei fiori. Nel
caffè più vicino ho atteso sino alle 15, 30 che rientrasse dal lavoro,
dopo che la sorella più giovane, tramite una ragazza del vicinato che
faceva da interprete, mi aveva detto la ragione per la quale non l'avevo
trovata in casa. Bella
di una maturità precocemente intensa, con semplicità di modi mi ha
salutato ed accolto nel soggiorno, un interno costituito da un ripiano
lungo tutti i muri su cui sedersi, rivestito di una coperta e di cuscini,
disposto intorno a un ornato tavolino in rame, il tutto fragrante di
nitore ed ordine. Intanto
che mi osservavo intorno, lei terminava di leggere le parole che le avevo
scritto in un notes, quando ancora non credevo di rimanere ad attenderla,
incaricando la sorella in mia vece che gliele recapitasse. Avevo
cercato di essere nei suoi riguardi quantomai sincero, confessandole la
mia diversità dalla norma degli uomini, e la mia distanza morale dalla
legalità dell'Islam, che costuivano alcuni alcuni dei motivi soltanto,
per i quali non avevo risposto alla sua lettera, mentre le ulteriori
ragioni per le quali non le avevo risposto, erano evidenti nello sconcerto
con il quale rigirava fra le mani la lettera che mi aveva inviato, e che
le avevo rimesso, rigirandola quasi fosse un atto
commesso con leggerezza che non le apparteneva, e di cui la mia
venuta era la conseguenza imprevista che doveva fronteggiare. "
L'ho scritta su (dietro) richiesta di mio fratello" era la sua
ammissione reticente di quanto le leggevo negli atti, eppure ha seguitato
(a chiedermi e) ad impegnarmi a dirle perchè mai non avessi risposto a
quella sua lettera, in cui si era ridotta ad apparirmi " toujours
souriante, une personne qui se fait des amis de suite et partout". "
Je ne suis pas étudiante à la faculté de Science économique, comme je
vous avais écrit, J'étais étudiante à la Faculté de geographie,
chimique et biologie", era l'ulteriore correzione che apportava alla
sua rappresentazione di se stessa, in quella lettera, mentre la pena
vivente della sua esistenza apriva già il varco alla confessione delle
" difficoltà e dei problemi", malgrado i quali, nella lettera
aveva finto di apparirmi "toujours souriante". I
suoi genitori avevano divorziato da tempo, e lei aveva dovuto interrompere
gli studi per mantenere i fratelli, assumendo un incarico precario di
segretaria d'azienda, che nulla aveva a che vedere con le sue ragioni di
studio, con la sola promessa incerta di un'assunzione futura. Forse
si sarebbe iscritta ad una scuola serale, ad un corso d'Informatica, ad
esempio, pur di sovvenire le necessità famigliari. Mi
ha chiesto se anche in Italia le cose stanno così. Le
ho risposto che è così anche in Italia, e che più spesso è vero invece
il contrario, che i miei giovani allievi sprecano e non traggono profitto
dai loro privilegi, e che i loro privilegi li rendono ostili e ciechi alla
miseria degli altri. "
Voi non immaginate quante volte mi abbiano a scrivere: "Chi
oggi non possiede e non dispone di questo o di quello?" Per
sincerarmi che gli svolazzi religiosi di quella sua lettera non
esprimessero uno slancio integralistico, ho seguitato parlandole di altri
inevitabili argomenti, a onore del vero, ossia di ciò che nell'Islam è
più repulsivo alla mia coscienza; lei ha protestato, a differenza di ogni
fanatico cultore dell'unica legge rituale, asserendo che vi sono più modi
di intendere l'Islam, e che potevo essere la voce di un pregiudizio
razziale. Alle
sue obiezioni ho soggiunto che l'Islam che rigetto è il mondo di vita in
cui è cresciuta la mia infanzia, l'universo di barbarie fallica che ho
rigettato crescendo, la sordidità che svilisce la donna a terreno da
seminare, e per la quale è inconcepibile l'uomo singolo e solo,, e non le
ho sottaciuto quanto
susciti avversione in me, come in molti degli Occidentali, elevare
perpetuamente Allah tra se e gli altri, tramutandone il nome nella
ricorrenza di ogni ritornello e indovinello Ho
cercato quindi di farle comprendere come nell'occidente capitalistico
anche per i credenti Dio si è ritirato dal mondo, per
lasciare gli uomini assolutamente liberi, e che ciò che più conta anche
per la moderna coscienza cristiana, più che la fede, che è un dono, sono
gli atti di bene che si compiono, ciò che uno fa della sua vita per gli
altri, motivandole, conclusivamente, come per me un ateo che fa il bene in
sè e per sè, sia assolutamente superiore al credente che lo compie solo
in vista dell'Ultimo Giorno ( solo per guadagnarsi il Paradiso ed evitare
l'Inferno). Mi
era evidente il suo sconcerto, le sua difficoltà su ciò che le dicevo a
confrontarsi, così le ho chiesto di questioni sociali ed economiche, del
regime monarchico del suo
paese, provocandola con il dirle che mi sembrava che il suo re
usasse" una mano differenziale" con i suoi sudditi, che cioè
assicurasse più libertà in Rabat, Tangeri o Casablanca, che nel resto
del Paese, così per meglio sussumere una protesta operaia o studentesca
altrimenti esplosiva. Il
suo diniego è stato netto, a qualsiasi concessione di magnanimità al suo
sovrano; Aicha non ha inteso concedergli il minimo benevolo intento,( al
suo sovrano,) nei riguardi del "suo caro popolo". Di
libertà, a suo dire, non ne aveva concesso che "un peu", e
"très, très limitéé", ed ha convenuto, ripetendolo in arabo
per confermarlo meglio a entrambi, solo sulla mia proposta del termine
"dittatura", per definire il regime di Hassan II. Sulla
condizione della donna, nel Marocco, ha invece convenuto che ha conosciuto
dei miglioramenti, indicandomeli principalmente nella
conquista del diritto al lavoro,( "prima era l'uomo che guidava
tutto"), e nella possibilità di ottenere l'affidamento dei figli in
caso di divorzio. Si
è parlato ancora di altri argomenti, delle condizioni degli emigrati in
Italia e del problema dei profughi albanesi, io teso, con le mie domande,
a rompere il silenzio in cui lei ricadeva assorta. Intanto
la sua sorella più giovane, che si era riabbigliata con una giacchetta
attillata di velluto su una gonna intonata, si era venuta a sedere a lei
d'accanto. Poi
nell'avviarmi a lasciarci, per intensificare ciò che sottaceva il suo
sguardo, le ho riassicurato che ne comprendevo tutta la pena, il dolore
ch'era nel ritegno delle sue parole amare, quanto la tormentasse avere
dovuto stroncare gli studi all'incombere delle necessità familiari, in un
fermo orgoglio che la conferiva la fierezza e lo sdegno che d'un tratto le
faceva dire, categoricamente, che non le importava niente di ciò che di
lei pensassero gli altri. Nel
lasciarla, assicurandole che le avrei scritto una volta in Italia, l'ho
esortata comunque a tentare di riprendere e seguitare gli studi. "
Forse non è che una chance, che un filo di speranza, le ho detto,
ma è forse per voi, come per tanti giovani che ho conosciuto del vostro
Paese, la sola speranza che rimane." E
sull'autobus, al rientro a Rabat, che mi serrava la gola era la
riaffermazione che avevo ravvisato della
sua dignità ferita, in quell'ordine domestico pulito e confortevole, in
quella cura di se stessa e del proprio decoro, che Aicha veniva così
trasmettendo nell'indigenza ai propri fratelli. Che
non solo per la mia coscienza, è uno dei modi più alti di un'anima di
pregare Dio o la vita.
Oramai,
sul pullman al rientro per la Spagna, la mia insopportazione dei
Maghrebini è divenuta intolleranza fisica. Non
tollero vederli ancora e il sentirli parlare, non sopporto più le loro
gutturazioni raschianti, quel loro irriducibile afrore di sudore e di
polvere, la loro implacabile miseria ignorante e fervente. Mi
invasano di orrore stremato, come
ogni razzista ne avverto la presenza come un intollerabile virus. Finchè
lo spregio si esaspera nell'odio di ogni realtà di massa,
(degli estivanti alle stazioni,) (stravaccati e bercianti nei) dei
carnai immondi di europei estivanti, al sentirli come pappagalleggiano e
squittiscono, per esibire la più ottusa sufficienza che non sente alcuna
mancanza, quasi bastasse tra
una chiacchiera e l'altra, il solo loro consumare formicolando,
finchè l'acme è lo
schifo dell'italianità, così come prorompe, sui vagoni,
in queste orde di giovani italioti senza ritegno ,
via via più straboccante ed eruttante , ( e )che ritrova in loro i
suoi connotati più autentici, nazionalpopolari, nell'essere tanto (così)
prepotente e vaffanculeggiante,
per come sbocchineggiano in oltraggi ogni straniera finchè non pianga, o
( per come) vomitano insulti
anzichè cedere i loro posti occupati abusivamente (nello scompartimento
di prima classe) a chi (sopraggiunto) ne ha diritto, in tutto così
simili, già fetenti, ai
padri e ai padri dei loro padri, e
che non sanno a parole che cazzeggiare, in discorsi che non esprimono che
gusti e disgusti da schiavi. Si
passa la frontiera nel giorno della messa fuorilegge del Partito Comunista
dell'Unione Sovietica, del crollo finale del Comunismo per esecuzione
testamentaria dello stesso Gorbaciov, e il solo giornale che
immediatamente appare in ogni vagone, a Ventimiglia, non è che la
Gazzetta spetazzante dello Sport.
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Didascalia klee |