In
Tunisia
E
lo spettro dell'indeterminazione delle mete del viaggio, già smisurato
le volte precedenti, in questi ultime settimane si è ancor più
dilatato (allargato) prima di partire, protendendosi dall'Oceano
Atlantico al Golfo Arabico, se a tutto ieri ero ancora indeciso tra le
Isole del Capo Verde e il Medio Oriente, l'irresolutezza dilagando
(aumentando) quanto più scarseggiavano le risorse e si rendevano
impossibili le mete più affascinanti: lo Yemen, per me proibitivo a
raggiungersi in volo aereo, e l'Iran ove non ci si può recare che in
comitiva. Così
mi sono costretto a a fare ritorno nel Maghreb, lungo un itinerario
divergente e riconfluente nei precedenti, che include in Tunisia i siti
archeologici del Nord, e in Algeria la Grande Boucle dell'Erg
Occidentale. Quando invece non è che (solo) la fiammella fatua di una
velleità, intenta ad illudere la mia aspirazione a visitare ogni volta
un paese più oltre, la prospettiva di discendere nell'Africa nera e
animistica del Niger e del Benin. Pertanto,
mi sento tuttora così avaro, di denari e di intenti, nel dispormi a un
ritorno nel Maghreb, sospintovi da una pressione tanto più incoercibile
quanto usurata, che non auspico che una traversata del Sahara col minor
dispendio di tempo e risorse. E
il mio solo auspicio è di ritornare in Tunisia, o nel più
spregiudicato Marocco, per fare almeno del turismo sessuale con la sola
remora dell'Aids.
Le
resistenze a partire sono state dunque virulente a tal punto, che atto
per atto ho dovuto predisporre la partenza come un fatto compiuto, per
(se intendevo) debellarle, già inoltrando all'Agenzia la richiesta a
caro prezzo del visto per l'Algeria, poi vaccinandomi contro la febbre
gialla com'é richiesto per l'Africa nera, migliorando ad ogni occasione
l'attrezzatura d'emergenza e di pronto intervento per il viaggio, che
ora comprende anche il filtro per acqua a carbone attivo. Finché
ieri, il 27 in anticipo del mese, ho
prelevato l'intero ammontare in pagamento, che è il tutto delle mie
finanze,e ho contratto un debito ulteriore con la banca, acquistando i
franchi francesi che occorrono per i vari cambi. Eppure,
nemmeno tali prelievi, e la più meticolosa predisposizione, sono
riusciti a sedare le mie repulsioni, se alla presupposta partenza non
vagheggiavo ieri sera che le amenità del rientro, (il ritorno agli
stessi stressanti consumi dei supermarket, o alle programmazioni di
ulteriori videoregistrazioni), o agognando quando sarà la ripresa a
settembre dei sospirati patemi del campionato di calcio, nel mentre su
ogni capo di abbigliamento, ancora da lavare, applicavo una
"l" con didascalia a futura a memoria, inumidendomi
(intenerendomi) che la mia nausea assoluta, se non già l'aspirazione
alla mia dipartita (scomparsa) nel corso del viaggio, così da farla
finita con una vita che non ha più senso protrarre, si intenerissero in
tanta dedita cura alla loro sopravvivenza di cose. Il
delirio del disgusto, frattanto, mi contraeva l'immensità del Sahara in
un minuscolo vuoto, infinitamente più piccolo
del suo formato sulla guida in ridottissima scala. Mentre
già la fatica con cui avevo affondato il passo negli arenili del
Po, arrivando sfinito come un legionario sui litorali del mio naturismo,
mi erano stati una premonizione di vicissitudini terrificanti nel
Sahara, ingigantite da un'angoscia che ne paventava invece infinitamente
infinito ogni percorso minimo ( infinitamente infinita ogni traversata
minima). Nè
l'impossibilità di trovare un condomino che si prendesse cura della mia
pianta domestica, mi amareggiava al punto da sollecitarmi al distacco
dal mondo che in essi così mi circonda (ripugnava). E
il paio di mutande, caduto a mio insaputa dal balcone ove le avevo stese
ad asciugare, che ho poi ritrovato appeso alla porta, ha
poi lenito anche tale (l')acredine amara. Piuttosto
un potente deterrente, a non permanere oltre, è stato
il disgusto dell'inanità domestica, tra supermarket e fornelli,
in cui rimanendo avrei degradato il resto dell'estate al culmine.
Con
che inesorabile rimpianto... Consumato
frattanto ogni preparativo materiale, il riordino completo e la pulizia
igienica di tutto quanto partendo avrei lasciato, solo a tardissima
notte, lesionisticamente, mi accordavo la predisposizione spirituale
dell'eventuale viaggio, stralciando
dal bloc notes due mie deludenti poesie recenti in cui mi ricopio,
estraendo quindi una sintesi di passi( di Céline) da "Viaggio al
termine della notte"di Céline. E
solo al termine della notte così mi assopivo, cosicchè, quando è
suonata la sveglia, mi sono riaddormentato per risvegliarmi alle cinque
pressocchè in fatale ritardo, se il treno delle 5,30 costituiva la
prima e l'ultima possibilità di partire in tempo per Genova, qualora
(oggi) fosse salpata oggi a mezzogiorno la motonave per Tunisi, secondo
uno dei suoi orari alterni di partenza. Nonostante
la repulsione viscerale, animato dello stesso spirito con il quale
partii in quella nera mattina di dicembre verso il tunnel( lungo un
anno) del servizio militare, come un automa mi sono indotto
ciononostante ad alzarmi, a rivestirmi di mutande e maglietta e
pantaloncini e calzettoni, quindi a infilare le scarpe ginniche e
caricarmi lo zaino in spalle, per partire ugualmente per la stazione nel
fresco mattino. Ed
è stato solo dopo avere rinchiuso l'ingresso principale del condominio,
che mi sono ricordato intempestivamente di avere lasciato in cucina il
sacchetto di plastica con dentro la mozzarella le uova sode e alcuni
pomodori, che avevo prelevato dal frigo la sera prima per il viaggio,
insieme con un tubetto di maionese. Chissà
che fetore, il loro guasto, avrebbe prodotto in un mese nell'
appartamento!... Non importava, il passo era veloce (alacre), e un esile
filo di chance resisteva ancora. Ma nonostante la lestezza del passo
sotto il gran carico dello zaino, per cui mi compiacevo delle mie
integre energie fisiche, sono arrivato( in stazione) giusto in ritardo
per vedere il treno in dissolvenza sul fondo. Non
so davvero con quale disappunto. Digitavo comunque il Deltaplan, per
accertare se vi erano opportunità successive. E
l'elaboratore mi ha fornito addirittura due possibilità, una delle
quale in tempi strettissimi, qualora alle 6,01 avessi preso il treno per
Codogno. Mi
è balenato allora in mente l'exploit (risolutivo,) perfezionistico, che
mi ha deciso definitivamente: nei venticinque minuti intermedi, eppure
avrei potuto fare il biglietto, ripercorrere l'arco di strada che si
incurva nei pressi della stazione, il viale sino al grande piazzale,
quello dell'ospedale sino a incrociare l'ulteriore dove abito e risalire
in appartamento, prelevarne il cibo infestante,e ripercorrere quindi di
nuovo il tutto sino ai binari del treno per Codogno, convinto chissà
mai perchè che potevo farcela prima della sua partenza. E
ce l'ho fatta esaltato e stremato, tanto che un ferroviere ha dovuto
soccorrermi nel sollevare lo zaino sul treno, e che la maglietta qui a
Genova, nel vento marittimo, non si è ancora prosciugata del sudore
espanso. Che
importa(va), che tale performance poi sia risultata irrilevante, se poi
ho perso comunque la coincidenza a Pavia per Genova,
e alle ore 19, 57 sono qui ancora in attesa dell'imbarco, dopo
avere trepestato in coda per quattro ore prima di ottenere il biglietto. Lo
stimolo a quella prodezza mi ha dato l' (abbrivio) avvio decisivo, anche
se di questo mio viaggio, tuttora, mentre imbarcano autovetture e moto e
campers(,) tra le latte e le cartacce sul molo sparse, non vedo alcun
senso, od incanto, che ne riscatti la sola nauseolenza che ne sento. E
la natura della Tunisia, e l'archeologia, già hanno compiuto la mia
trasmutazione psichica. Tra
le sparse rovine di Cartagine, nello splendore del fondale del mare, a
un erompere ovunque di gerani e bougainvilles, di
fragranti oleandri e di mimose, sono pressocchè già risorto nella
(dalla) mia malinconia.
Sin
dalla tarda mattinata, con dedizione attenta, ho ripercorso i vari siti
dispersi sino al crepuscolo, a iniziare dal tophet delle lapidi dei
primogeniti sacrificali, per concludere l'itinerario
tra le rovine delle basiliche paleocristiane. E
la rivisitazione di tali siti E
fra le imponenti vestigia, nelle terme di Antonino Pio, della
riesistenza di Cartagine come colonia dedotta dalla sua potenza
sterminatrice, quel mare così luminoso e calmo, l'ho visto balenarmi
nello sguardo nemico,all'orizzonte, di chi vi aveva già temuto il
profilarsi delle vele di Roma. Ma
rivisitare gli scavi di Cartagine, con l'ottimo ausilio della guida del
T.C.I., non è stata di certo avventura romantica, date le difficoltà
di lettura dei resti, il sovrapporsi dei cui strati ha determinato la
depressione di quelli sottostanti, come è avvenuto delle successive
sedimentazioni puniche sulla collina di Byrsa, dove al cimitero
originario si sono sovraedificate dimore artigianali, e a queste
ulteriori insediamenti abitativi, oppure (dei vari livelli) ne è
accaduta l'interposizione, per cui le costruzioni antecedenti sono
divenute le sostruzioni di quelle successive, come si è verificato nel
quartiere di Magone, ove le dimore puniche sono divenute i sotterranei e
gli scantinati di quelle romane, e ancora sulla collina di Byrsa,
allorchè la romanizzazione del sito ne ha operato lo spianamento e la
fondazione sui suoi resti del Foro. Il
giorno seguente mi sono quindi recato a Tuburbo Majus, dopo una notturna
sauna fra il letto e la doccia, e vi ho rinvenuto di particolarmente
interessante- insieme con
il consueto impianto delle città di provincia, incentrato sul Foro con
il Campidoglio e la Basilica e con l'adiacente mercato- il vario
configurarsi circolare (lobato) dei templi, nel loro svolgersi (svolgentisi)
in emicicli intorno a una corte interna, in corrispondenza con il
voltare delle conche di un abside; ed è una configurazione quale poi lo
si ritrova nelle vestigie delle basiliche paleocristiane, della Damous
el Karita di Cartagine, ad insigne esempio,- ove all'abside
delle nove navate, in undici campate, da cui si fa a sua volta
discendere (originare) la pianta della moschea di Kairouan, intersecate
da una presunta navata trasversale a sua volta conclusa da un'abside,
corrisponde l'aprirsi ( lo schiudersi ) di una cappella trilobata su
un'atrio semicircolare a peristilio-. Ed
oggi, prima di riaffaticarmi, mi riprometto una giornata di sole e di
mare in Hammamet per riposarmi.
Dougga La
medina di Hammamet l'ho ritrovata (l'altro ieri) di nuovo incantevole,
nel trascolorare biancoazzurro delle sue mura nel cielo, bagnandomi
presso la serena quiete del cimitero militare lungo la spiaggia dei
caduti francesi. Si
è poi verificato, alla partenza, che il bigliettaio mi ha impedito di
salire sull'autobus perchè ero in culottes... Così
ho rimediato il rientro a Tunisi con un taxi collettivo. Ieri
ho quindi (seguitato) ripreso il mio itinerario archeologico in Bulla
Regia, dopo essere arrivato in treno la sera prima a Jendouba. All'arrivo
nel piazzale della stazione, due giovani mi hanno guidato al vicino
Hotel, seguitandomi fino in stanza: uno di loro, benchè insistessi che
dimoro in Italia in un appartamento ammobiliato che ho in affitto, ha
insistito a chiedermi se (in Italia) potevo assicurargli presso il mio
domicilio l'"hebergement", come richiedono le autorità
italiane e tunisine, insieme con il certificato di lavoro di un datore,
per assicurare il rilascio del visto d'uscita e l'ingresso in Italia. Gli
ho chiesto quale lavoro, eventualmente, fosse disponibile a compiere in
Italia "
Qualsiasi lavoro, mi ha ripetuto, qualsiasi lavoro pur di venir via di
qui. Qui non c'è che da stare con le mani in mano, non
si dispone che dei soldi che ci lasciano i nostri genitori." Ci
siamo dati appuntamento in Hotel per l'indomani, prima che partissi per
gli scavi. E quando non l'ho rivisto ho respirato. (
Che pena, nonostante si dica il vero a chi non se ne capacita,
nonostantetutto assicurare e promettere.) In
Bulla Regia è stato quantomai emozionante ( un incanto), fra le dirute
rovine, al discendere nell'ombra delle dimore sotterranee, riattingere
nell'arida arsura l'antica vita, risentire come ristorandosi dalla
calura estiva, in ambienti similari a quelli in superficie, la
signorilità romana vi ricreava i peristili e i triclini del proprio
sfarzo musivo, talmente intatta al visitatore, ridiscendendo, ne ritorna
l'antica quiete di luci ed ombre, ove nel silenzio dell'ora e del Tempo,
gli Amorini dei mosaici porgono di nuovo a Venere i loro specchi,
dai più seducenti mostri marini fra i pesci risospinta ancora sui
flutti. A
Teboursouk ieri sera un secondo incidente: quando intrattenendomi con i
tre giovani del luogo, uno di loro splendido di animalità
inintelligente, un ubriaco con due suoi compari li ha intimiditi a
fuggire, e per qualche istante ha poi minacciato di colpirmi con una
bottiglia. In
Dougga, oggi rivisitandola,
ho ritrovato l'ambientazione iniziale di Abdia di Stifter, per la vita
che ancora vi transuma delle genti che abitano ai margini delle rovine,
conducendovi al pascolo gli armenti e le greggi, o usando come stalle le
cisterne romane. Così
vi si trascorre tra olivi e tratturi e decumani e cardi, mentre l'occhio
si perde nell'asprezza modulata dei rilievi
circostanti il fondovalle, sconfinato nel vento che agita gli
ulivi e reca frescura. Ora
di fronte in lontananza, (contemplandolo )all'altezza di un bivio ove
una statua stroncata puntella una stele, il Campidoglio promana il
sublime della sua verticalità ascendente, nello splendore intatto della
nervosità vibrante del suo porticato corinzio, in cui si esprime
nei secoli, ininterrotta, la tensione tuttora di reggere la
gloria dell'aquila di Antonino Pio. E
dell'attuale aquila imperiale, dell' "aigle americaine", ieri
sera mi parlava ostilmente il più colto e intelligente dei tre giovani
tunisini, riaffermando il valore eroico di chi solo contro tutti aveva
osato sfidarla. Una
prima foto del leader irakeno, frattanto ho intravisto stamane
campeggiare in una bottega di Teboursouk. In
Dougga tutto si è ripetuto di nuovo... E
di nuovo ha prevalso l'amoroso riguardo. La
festa araba Ieri
sera in Maktar, visitati gli scavi, i due bambinetti
quattordicenni sono stati la grazia che mi ha salvato per strada, esasperato,
a causa d'altri, d'avere perso l'ultimo autobus per Le Kef: dei due il
più bello non finiva di inoltrarmi, in una botta e risposta, le domande
a raffica di un sua interrogatorio politico:"Qu' est ce que vous
pensez de Saddam Hussein? E di Bush? E di Lenin? E di Bourghiba? E del
nostro presidente Zine ben Ali? "; mentre alla mia controdomanda
chi fosse per loro Saddam Hussein, fioriva già nel loro volto Poi,
grazie ad un giovane quantomai disponibile del luogo, studente di
Scienze agricole, l'esatto contrario dello sventato ragazzo ch'é
studente a Mosca, il quale ubriaco di birra si era lasciato sfuggire e
mi aveva fatto perdere l'autobus, dopo che si era assunto mio malgrado
il compito di fermarlo, ho potuto fare con successo l'autostop per Le
Kef, all'arrestarsi del furgone di quel (del) giovane uomo tunisino così
mite e generoso, che (il quale) ha simpatizzato a tal punto nei miei
riguardi, da invitarmi in un suo slancio, dopo essere scesi in un bar di
Sers, suo paese d'origine (lungo il percorso), per berci più birre tra
i fradici accoliti del vasto salone, a una festa araba di nozze fra la
sua gente, in una spersa fattoria nella quale siamo giunti dopo aver
preso una pista. L'intensità
trascinante della musica e di un canto continui, le contorsioni ventrali
in quelle danze di soli uomini, l'accoglienza festante e nutriente,
inebriante di vino fruttato, tra i bocconi squisiti di insalata tunisina
e di carne di montone nel nero intingolo di un sugo attinto alla cucina
egiziana, la bocca piccante di peperoncino e fragrante di sesami e
pistacchio, mi hanno esaltato sino ad avventarmi a chiedere al mio
commensale ospitante, (un) faceto studente universitario di diritto
islamico, se quelle danze, "
Je ne vous comprends pas, monsieur..." in sola risposta ne é stata
l' espressione ripetuta dello stranimento attonito .
Ed
egli eppure era lo stesso, che già alla goffaggine dei gesti e del
canto sguaiato di un vecchio fradicio, aveva cercato di lenirmene
l'impressione alquanto penosa, sorridendomi
(dicendomi) che non era di certo Michael Jackson. Benchè
mi attenessi al ruolo impostomi dello straniero che vi veniva iniziato,
ero ben consapevole del senso e dei vari momenti di una festa araba di
nozze- quali la lavanda
degli sposi compiuta dal
corteggio di amici o di amiche, il corteo nuziale e la divisione (eterogamica)
dei festeggiamenti tra i due sessi prima della consumazione del rapporto
, e l'ostentazione successiva al villaggio del sangue della di lei
verginità stuprata: secondo il senso e l'onore doveroso anche di quella
"pura festa araba", come alcuni ragazzi me la magnificavano,
per quanto, come il giovane uomo che mi aveva fatto l'autostop,
potessero sorridere dell'obbligo del velo, o della segregazione della
donna in una cella domestica. Intanto
in me all'empito del ritmo pulsante, sotto l' interminabile sorriso
subentrava il disdegno di quei corpi ballonzolanti, che insistevano
nelle danze giravoltando su se stessi sempre più a mala pena, una
repulsione,fino allo schifo, di
quelle simulazioni di mammelle e vagine nelle profusa lascivia, il
rigetto di quanto perpetuavano, dello spirito del mondo contadino che mi
ha originato. Intanto
seguitavano i discorsi con il mio commensale ospitante, la cui apertura
era intorta nell'obbligazione coranica della sua fede islamica, e la cui
esaltazione continua dell'identità araba, in quanto evidentemente
frustrata dagli eventi del Golfo, si ritorceva nel ricorso delle
lamentazioni di un vittimismo razziale, quasi che torti e disfatte e
persecuzioni e sfruttamento e scambio ineguale, fossero inflitti (tutti)
alla sua gente perchè araba. E
il termine "juifs", allo stesso tempo, ricorreva nella sua
facondia con riaizzato odio razzistico. Così
i suoi accenti riverificavano come l'antagonismo politico faccia
assumere il volto deteriore del proprio nemico, il suo
vittimismo rieccheggiando le geremiadi dell'ebraismo israelita
votato alla irriducibile guerra. E
quando mi ha informato che nella sua università si studia anche il
chilometraggio dei ( degli spazi) percorsi nel loro inferno domestico
dalle donne occidentali, disattento (non facendo così attenzione)
(inavvertito) che così lasciava trapelarmi la lama di un proprio
coltello nascosto,( ne ha motivato le ragioni citando) mi
ha citato un (il )proverbio arabo (,)(che asserisce che) secondo
il quale occorre studiare il proprio nemico se si vuole
vincerlo(debellarlo). Forse
tale studio almeno in lui era ancora In
Le Kef, la casa in cui il giovane uomo tunisino mi ha poi ospitato, mi
è stato un alloggio particolarmente caro, per la discreta premura con
cui la sua giovane moglie mi ha approntato le lenzuola e il copriletto
nella stanza degli ospiti, togliendone i piccini risvegliati gravidi di
sonno, e l'asciugamano fresco di bucato sullo stipite del cantone, ove
presso una latrina che espandeva ovunque il suo fetore, un lavabo
fungeva da toilette. E
stamane, dopo averli salutati e ringraziati, lui scusandosi di dovermi
già lasciare perchè alla piccola doveva far fare all'ambulatorio
"la piqure", con lo zaino che mi gravava (in spalla) sulle
spalle risalivo ( sono risalito) sino all'autostazione di Le Kef,
rifiutandomi il taxi, ancora una volta, per il mio pregiudizio
(sospetto) che i tassisti urbani siano tutti dello stesso gruppo
sanguigno, il che, per non invelenire all' eventuale estorsione, per
quanto irrisoria, mi (sottopone) induce alle più stremanti fatiche
sconsiderate.
In
autobus poi fino a Sakiet Sidi Youssef, forse il sito della battaglia di
Zama, per affrontarvi a piedi e sacco in spalla( il transito della) la
frontiera tunisino-algerina che lo divide.
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