Il mio primo viaggio in Algeria

 

 

 

Indeterminismo

 

 

Avant de partir

 

Secondo un frame che oramai si ripete ad ogni mio tour, prima di partire la mia risoluzione (decisione) si è nebulizzata nella indeterminazione più generale.

Se davvero ero in partenza per l'Algeria, dovevo arrivarvi per la Tunisia o per il Marocco? Quando solo la sera prima, sembrava senza alternative la intenzione di rivisitare prima il Marocco e le sue occasioni di vita.

Ma l'accesso per la Tunisia non era forse più diretto?

E l'ansia, in Marocco, di spendervi troppo prima di essere pervenuto all'incognita finanziaria dell'Algeria, non mi avrebbe forse forzato a rivisitarlo a tappe affannosamente accelerate?

Mentre la prospettiva degli immani disagi algerini prefigurati dalla mia guida terroristica in Italiano, ridava corpo piuttosto (in alternativa) alla meta più confortevole della Grecia egea.

Le più svariate alternative contemporaneamente così ritornavano in gioco: il deserto sahariano- per la Tunisia oppure il Marocco  o non invece il mare cicladico?

Cosicchè sabato ho differito la mia partenza (per disperdermi) girovagando fra le più varie agenzie, nella vana ricerca di un'indicazione certa delle date e delle possibilità d'imbarco per la Tunisia, qualora- come credevo non fosse già deciso- mi fossi confermato  nel proposito di visitare l'Algeria anzichè la Grecia.

Ma i dati raccolti presso le agenzie e telefonando a Palermo, non trovavano alcuna concordanza tra loro e con quelli a loro volta del tutto discordi delle guide.

La sola certezza raccolta era che da Palermo e da Napoli non v'erano più navi di linea per la Tunisia, e che dalla Sicilia partivano una sola volta alla settimana da Trapani.

Ma di lunedì- com'ero ben certo di aver letto nel dépliant turistico- o di martedi, come sostenevano unanimi gli interpellati delle agenzie di Palermo? Tra l'altro, ritornato nel pomeriggio presso l'Ente turistico per verificare se non avessi traslitterato le date, il dépliant risultava scomparso.

Così, mentr'ero venuto avvalorando il progetto di recarmi in Algeria per il tragitto più breve della Tunisia,- ove in un breve tour circolare avrei potuto visitare le rovine archeologiche di Tuburbo Majus e di Bulla Regia, in contiguità con le escursioni in Algeria a Djemila ed a Timgad- le possibilità di intraprenderlo divenivano sempre più aleatorie.

Qualora la data della partenza fosse risultata sbagliata, infatti, avrei corso il rischio di trovarmi insaccato in Sicilia per una settimana in attesa del successivo imbarco.

Ed intanto ogni sorta di paura, ogni forma di timore e di esitazione mi aggrediva(no), la mia immaginazione prefigurandomi solo squartamenti nel mio errare algerino, i cani selvatici che sparpagliavano le mie membra per l'erg, o i plotoni che intercettavano l'autobus e mi sottoponevano benchè straniero a giustizia sommaria, secondo i timori di una guerra civile paventatimi dall'algerino incontrato mercoledi in treno tra Firenze e Bologna, per la resistenza a desistere dal potere che l'FlN avrebbe opposto al fanatismo del dilagante integralismo islamico.

E le lusinghe a rimanere, risparmiando soldi utili per il trasloco imminente e tempo per le letture dei classici, si mescolavano intanto con le malie solari e nudistiche delle isole greche.

A tutta domenica così una sola certezza era stata assunta: sarei partito comunque, e per risolvermi in tal senso avevo svuotato il frigo già del tutto, ed ogni cibo deperibile l'avevo già lasciato all'anziana  signora che accudisce ai miei fiori, decidendo senz'altro solo di essere già a Bologna domenica mattina, purchè in tempo utile per l'eventuale traghetto il lunedì mattina da Trapani per la Tunisia, qualora intendessi poi procedere per l'Algeria, o con tutto il tempo per ripartirvi in direzione di Genova se mi rivolgevo a pervenirvi per il Marocco, oppure per risolvermi all'ultima ora per la Grecia e calarvi lungo il litorale opposto fino a Brindisi.

Così m'indecidevo, non senza avere prima stipato lo zaino anche delle guide all'Ellade ed alle sue isole.

Ma da Mantova, di domenica, le prime corse dei treni locali utili per essere a Bologna in tempo per le coincidenze grazie alle quali avrei potuto giungere a Trapani il lunedi mattina per l'imbarco alle nove, risultavano abolite nel table time, per cui mi sono deciso a telefonare deus ex machina alla capitaneria del porto di Trapani, che mi informava che l'unico battello per la Tunisia era in partenza quella sera stessa, e che non ne erano previsti per lunedì o martedi; e tale telefonata infine faceva desistere così ogni indugio: ed ora rieccomi come l'anno scorso sul treno da Port Bou ad Algeciras per il Marocco. Mentre covo il rimpianto del sole e del mare della Grecia mitica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Razionalità di scelta

 

Martedì 31 luglio 1990

 

Ed i colpi di scena solo mediante i quali, sulla spinta di eventi ed incidenti, impongo a me stesso una razionalità di scelta, sono seguitati ad oltranza anche oggi.

Così, nel pomeriggio, anzichè(a)discendere verso Marrakesch, per rieffettuare l'itinerario magnifico da Taroudannt a Tenneghir, in Tangeri mi sono risolto a spingermi direttamente verso Oujda e Tlemcen, già in Algeria, anche perchè depresso dalla perdita ( o dalla sottrazione) di un mio portafoglio con varia valuta.

E come già in treno da Port Bou ad Algeciras, la presenza nello scompartimento di alcuni giovani marocchini ha dato luogo ad interminabili dialoghi del cuore; già ieri traversando la Spagna, con il più giovane di due fratelli, raffrontando le forme dell'italiano e del francese con quelle dello spagnolo nella lettura di Gorbancito e di Biancaneve e los siete enanitos, oggi, invece, confrontandoci sull'Islam e l'Occidente.

In particolare l'ultimo giovane di Salè ha suscitato il mio affetto, per il candore della devozione della sua sensibilità, rimandandomi continuamente a chi più di lui ha studiato e ne sa di più,  come per l'illustrazione delle ragioni del valore spirituale del ramadan.

Poi in Fes, quando un giovane ci ha disturbato mentre una prima volta ci salutavamo, per cercare quegli di impormi i suoi servigi, egli ha patito come una ferita quella sgarberia, "c'est embetant", "c'est embetant" , ripetendomi più volte scuotendo il capo.Io gli ho ricordato ciò che mi dice sempre mia madre al ritorno quando le narro di simili incresciosità: " E' la miseria che li fa agire così".

E quando ho accettato di corrispondere con lui, ha sospirato: " Speriamo che sia per tutta la vita".

 

 

Tipasa, 4 Agosto

 

Quante varie incarnazioni della fatica e dell'ansia, e paure continue,  hanno intorbidato la bellezza degli incontri e dei siti di questo inizio del viaggio.

Ed ora anche nell'incanto dellle rovine di Tipasa, con una mano scrivo mentre con l'altra detergo dal foglio le stille del mio sudore.

Tali e tanti sono stati gli incontri e i disagi, che nemmeno ho avuto il modo, chissadove annidati, di raccogliere la trama degli sparsi appunti che ho già annotato.

Credo, se ben ricordo, in Fes di avere riespresso come l'esperienza del viaggio imponga la determinazione di un agire razionale, se non si vuole arrischiare il disastro o la farsa.

Alla luce già di quanto mi è già successo in seguito, aggiungerei che se il viaggio non è un finto tour organizzato, per arrivare a destinazione occorre una assoluta determinazione della volontà, ed un'infinita fiducia nella commutabilità del corso degli eventi, che ci possono Sortire (ottenere) solo la nostra intelligenza e sensibilità.

L'ho riverificato penosamente già nelle  circostanze dell'attraversamento della frontiera, allorchè, smarritomi di fronte alle possibilità del cambio in nero che già si offrivano, per mano di individui dubbi, alle perquisizioni serrate ed alle ambiguità di frontalieri complici, sono incorso in disdicevoli atti ed in errori colossali, cedendo alla paura che mi venisse sottratta la valuta reperita e non dichiarata.

Dapprima ho cambiato precipitosamente i miei dihram marocchini per (con) pochi denari algerini, non avvedendomi come le forze di polizia che mi davano assicurazioni fossero in combutta con quei contrabbandieri, poi, invelenito con me stesso per la mia sconsideratezza, mi sono fatto compatire al cospetto del poliziotto marocchino che mi salvaguardava, in una confusione e nello smarrimento continuo delle cose che riordinavo, con l'impressione confortante, e insieme sgradevole, che a vigilare su un cambio in nero fosse  (chi lo doveva stroncare) colui stesso che doveva stroncarlo; e quindi, alla frontiera algerina, intimidito e stremato e decolante il sudore di cui ero pregno, per il tragitto iniziale in treno con i vetri sigillati dalla polizia, anzichè, com'era logico, dichiarare  nel certificato meno valuta di quanta ne detenevo, così per ( onde) poter effettuare il cambio in nero dei franchi non dichiarati, impressionato dalle perquisizioni anche fisiche e dalle indagini radioscopiche dei bagagli che venivano effettuate, nel contare e ricontare i franchi che nascondevo e rimettevo a posto, prima omettendo e poi denunciando sempre più valuta, ho finito (infine) così per dichiarare un valore in franchi dieci volte superiore di quello che possiedo, l'enormità di trentamila franchi in luogo di tremila; quando, al controllo,visto il mio passaporto gremito dei timbri dei paesi arabi più intransigenti, mi è stato riservato il trattamento di favore di escludermi da accertamenti e controlli.

Ed ora non mi resta che confidare in una ritrascrizione che ancor più imbrogli quei dati scritti, o nell'uso che abrada qualche zero finale, se non già nell'attraversamento della frontiera compiacente verso il  Sud della Tunisia.

Ma poi,in Tlemcen, quale ospità magnifica e quale riaccostamento a meravigliose testimonianze dell'arte islamica ( ho ritrovato), in  tale enclave algerina della civiltà almoavide, lasciandola io nel fulgore, al (nel) tramonto, dello splendido minareto diroccato della città rivale di Mansourah.

Eppure, quale protrarsi della sofferenza e delle avversità nel giorno di arrivo, (appena valicata la frontiera), quando, nonostante il prodigarsi del gentilissimo signore dell'Ufficio di Informazioni Turistiche, ogni albergo risultava completo, mentr'io, dopo oltre due giorni e tre notti di viaggio, l'ultima trascorsa integralmente in piedi da Fes ad Oujda, con il bollore e nello sconvolgimento ancora in corpo dell'attraversamento della frontiera, confidavo nella certezza di riposarmici deliziosamente.

Per la giusta ispirazione della simpatia, fortunatamente mi sono associato a quel giovane danese estemporaneo, grazie al cui affidarsi ad ogni fiato di voce e di consiglio, siamo entrati in contatto con  due giovani del luogo che ci hanno rivolti all'Auberge dès Jeunes, che abbiamo tuttavia raggiunto con loro solo dopo avere scollinato in ripida salita per altri due chilometri; io, assai villanamente, per essermi stato detto che invece era poco distante, lungo il tragitto indirizzandomi più volte scortesemente alle nostre due guide.

Come vorrei, invece, essere il più gentile possibile con la gente algerina, allo stesso tempo così temibile ed ospitale, poichè la mia gentilezza è lo stato d'animo che più mi riconcilia con me stesso, e che mi conquista i loro favori.

Forse è fin troppo seducente, in talune circostanze, la gentilezza con cui chiedo e mi rivolgo, una provocazione per certuni a fotterla ed abusarne, se dopo avermi complimentato per la mia delicatezza, qualcuno passa subito a chiedermi se sono disponibile per un cambio...

magari, come si è verificato in Tlemcen, pressandomi fisicamente con la gamba per un certo piacere, e per impedirmi al tempo stesso di verificare che il cambio era inferiore a quello pattuito...

Eppure è in virtù della mia gentilezza e senza farmi affatto compatire, che alla ressa allo sportello  della stazione degli autobus di Algeri, per il biglietto per Tipasa, nella soffocazione dei corpi e di quell'umido andito, mentre il vomito era prossimo e mi mancava il respiro, solo e non potendo accudire per questo ai miei bagagli, l'autista al quale ho detto delle mie difficoltà, mi ha fatto salire benchè ancora non avessi il biglietto.

Ed è in virtù della mia timidezza cortese che maschera timori e paure, che ieri, qui in Tipasa,  mentre indugiavo clandestinamente presso le

rovine di Santa *, mi si è avvicinato quel giovane che mi ha detto di essere senza genitori e famiglia e lavoro, e di vivere annidato da tempo in quel cimitero cristiano, nutrendosi di quanto vi cacciava,

come il piccione morto che teneva in grembo quella sera.

Quando nella penombra che si addensava già lo lasciavo, mentre egli appariva accingersi all'accensione del fuoco per cucinarlo, da lui allontanandomi già con una certa apprensione, e non solo perchè mi aveva avvertito che quello era un luogo di passaggio per cattiva gente, egli allora mi ha raggiunto di corsa per chiedermi dei pantaloni in luogo dei suoi stracciati. Ho voluto invece regalargli un orologio in disuso, che appunto per cederlo mi sono portato appresso nel sac à dos, cosicchè mi ha accompagnato sino al villaggio turistico in cui sono ospitato, essendo l'orologio dentro il mio zaino nella stanza d'hotel.

Lungo il percorso, mentre parlavamo delle interdizioni dell'Islam e degli effetti del vino, mi ha narrato di come tra le rovine del cimitero avesse sorpreso un uomo e una donna francesi " qui buvaient et se sècouaient"; " devo essere apparso a loro come un fantasma" ha soggiunto ridendo, riferendosi al candore svolazzante della sua djellaba; "forse perchè li hai sorpresi nel peccato" io ho soggiunto, per verificarne non solo la moralità.

Gli islamici algerini, ... anche ieri sera, in precedenza, mentre tentavo di fare il bagno fra gli scogli, un uomo accanto mi ha prestato i suoi calzari di plastica, senza che io glieli chiedessi affatto, per evitare che mi pungessero i ricci spinosi,...  quanti degli islamici algerini, praticanti (che praticano) con la fede più assoluta la shariat più letterale, eppure che lasciano trapelare insinuante un'ingenuità efferata.

Quanta accortezza, occorre pertanto, per non essere il Mundungus di cui parla Sterne...

Ed ora, oltre Tipasa, così incantevole nelle sue rovine digradanti fra le scogliere nella celestialità del mare, eccomi verso Djemila e Timgad, nell'angoscia di riaccingermi al basto del mio sac à dos, la cui pesantezza - in medicine, cosmetici, abvbigliamento e libri ed utensili domestici- è l'indice fisico di quanto sia ancora troppo zavorrato, per una reale avventura nel grande Sud.

 

 

Djemila Timgad L'Aures

 

 

Djemila

 

Ed il viaggio ancora continua, nell'alternarsi incessante di insidia ed incanti.

Non potevo trovare contrappunto più ideale di Djemila, a Tipasa, nè pervenirvi senza che più rapidamente fossero smentite dagli eventi le mie parole sventate, al porticciolo di Tipasa, mentr'ero in partenza per Algeri, che si rivolgevano con sufficienza a quel mio solerte coetaneo algerino, preoccupato dei bagagli che lasciavo a distanza tra la folla,al quale sentenziavo che le paure più temibili sono gli smarrimenti che suscitano le nostre immaginazioni fantastiche, già in Algeri, mentre cercavo un taxi per Setif davanti alla stazione dei treni, alle prese tenaci con quell'anziano troppo gentile e troppo profumato che mi ha intercettato, insistendo tortuosamente perchè sostassi presso di lui, ed in Setif, stamane, poi alle prese ulteriori con quell'uomo oscuro e butterato che continuamente sputava e disarticolava parole, del quale, pur diffidandone, avevo assecondato l'invito a prendere insieme il taxi collettivo per El Eulma verso Djemila, e che poi, nella solitudine delle strade, superato già lìedificio che come presumevo era l'effettiva stazione di partenza, ha tentato di levarmi l'orologio e di maneggiarmi.

Nonostante la luce nera del suo sguardo, la mia sola repulsione lo ha stroncato, ed egli che mi insidiava quasi (come se) celasse una lama, si è ridotto in un angolo pauroso come un bambino, ad ogni mio rivolgermi indietro, per fuggire e dileguare chissadove nella sua impotenza atterrita.

Ed il viaggio così ancora continua, in Djemila ora estatico della evocatività portentosa delle sue rovine, dalle quali come un fantasma insistente sembra sprigionarsi la morta vita della romanità, come nello straordinario lacerto del mercato di Cosinio Primo, i banchi, inquadrativi fra i portici attorno a un'esedra, come se ancora atti alla compravendita, tra gli scolatoi e le vasche di raccolta degli scarti e dei liquami fetidi.

Sottostante allo sguardo, quanto se ne dispiega magnifica, lungo il percorso del cardo, la conformazione urbanistica nell'adattamento della sua ortogonalità classica alle pendenze cuneiformi del sito che si insinua tra i rilievi limitrofi; anche nello stesso teatro in cui siedo, aperta alle quinte sceniche che rideclina di un paesaggio circostante di armoniosa possanza. E la successione ondulata dei pendii ritorna nelle sinuosità dei resti digradanti verso le balze, lungo i crinali, come già nel profilarsi  del morto abitato di Tipasa, nel suo digradare litoraneo verso il mare.

Ma di Tipasa Djemila ripete ugualmente il raddoppiamento scenografico di un più antico nucleo originario, che vi è armonizzato, e unificato, dalla corrispondenza rovesciata per la quale si rievocano a distanza i templi del Campidoglio e del Foro dei Severi.

Tale slargo ne è infine l'acme straordinario, poichè l'assecondamento della pendenza difforme, che vi è stato perseguito, esalta i punti di fuga divergenti dei monumenti che assembla la piazza, svariantivi in altezza oltrechè in prospettiva, in un deconcentramento radiale che magnificamente staccandoli individua i percorsi il tempio i colonnati e gli archi.

E già ripercorrendo le varie insule, non v'era sapere che più mi appassionasse che la concreta conoscenza archeologica che aveva consentito di individuare in certi ruderi il mercato delle stoffe,in altri cumuli di resti una casa di feste bacchiche.

 

 

Shock e dolore

 

Non hanno tregua shock e dolore, in una successione inesorabile che io temo la mia corsa inarrestabile verso il Sud e la morte.

L'imprevisto che costella il mio viaggio ad ogni nuovo tornante tramuta il facile in difficoltoso ed il fausto in infausto, suscitandomi esaltazione e sconforto in un continuo sgomento.

Anche ieri, il viaggio da Djemila a Batna, per Eulma, che presumevo fosse lineare, secondo indicazioni rivelatesi invece errate, si è (invece) tramutato in una peripezia interminabile di taxi ed autostop, nel vasto altipiano ove i cavi e i fabbricati e i casamenti sotto la pioggia sconfinavano ovunque a perdersi nel vuoto, ad ogni arresto in un borgo sopraggiungendovi tra irrisioni beffarde ed aiuti cordiali, mentre l'itinerario si frammentava in un numero crescente di intervalli, o perchè alla stazione seguente v'erano taxi solo verso una tappa intermedia, o perchè diveniva sempre più tardi per trovarne ancora.

Cosicchè, dopo due brevi tragitti in taxi e due successivi in autostop, mi sono ritrovato già a sera inoltrata per la strada nel buio oltre Seriana, solo a distanza intravedendo delle luci remote, quando Batna era ancora distante trenta chilometri, per l'umido del piovasco recalcitrando ad attendarminel folto.

Mi ha allora raggiunto alle spalle un gruppo di giovani lavoratori presso una vicina fabbrica di cartucce, le cui luci costituivano quello che credevo un villaggio remoto, offrendomi di dormire presso di loro nel dormitorio dell'azienda.

Acconsentendo credevo che almeno fossero terminate le mie difficoltà per quel giorno, ma il guardiano notturno ai cancelli opponeva un rifiuto, per cui mi rimettevo alle chances della strada.

Il giovane a capo del gruppo seguitava frattanto a volermi ugualmente trattenere, ripetendomi che non poteva lasciarmi andare

solo di notte. Un altro tentava frattanto di arrestare qualche auto di passaggio, vanamente io supponevo, mentre invece di lì a poco una vettura si arrestava, il cui guidatore non solo mi conduceva fino a Batna,, ma mi ricercava e trovava immediatamente l'hotel, dove potevo ben sperare che il mio travaglio per quel giorno si fosse felicemente concluso.

Come era simpatico ed accogliente il giovane alla reception, e che meraviglioso bagno mi ristorava e mi lavava di ogni fetore, mi dicevo contento, uscendo dalla vasca, quando, nel raggiungere l'asciugamani,

l'acqua viscida mi faceva precipitare al suolo in uno schianto tremendo.

"Tutto finisce in quest'istante", mi sono detto nel precipitare verso l'impatto dell'urto, in un pietoso orrore istantaneo della mia sorte, poichè non già l'attuarsi del rischio del deserto, ma il capitarmi qui in Africa del più banale incidente domestico, costituiva il risvolto farsesco del destino tragico del (corso del) viaggio.

Poi nell'impatto ottudente il dolore accecante, il senso dello schianto frontale e il riavermi in una sofferenza nevralgica, nel disgusto della sofferenza per un così insulso infortunio, mentre sputavo il sangue senza più avversione a morire nel dolore pulsante.

Poi i miei medicinali  e gli impacchi hanno lenito a poco a poco il dolore, travoltone ho preso presto sonno, ed oggi, con il gonfiore livido del volto, sopravvive una sofferenza insostenibile se mastico.

Ma più che il corpo, il trauma ha più ancora piegato la mia psiche

alla certezza della sua prossima morte, che si prefigura ora tra le rovine immense di Timgad, che se hanno una vastità ed una grandiosità maggiore di quelle di Djemila, purtuttavia nella loro esemplarità di civitas romana, nonostante l'eccentricità del Capitolium, perdono il raffronto per originalità di concezione.

Ed intanto vado ripensando che qualunque mossa io compia per riassicurarmi e per sventarla, la ripresenta e la riavvicina.

 

 

 

 

Roufi edenica

 

 7 Agosto '90, Rufi

Mentre nel canyon riascolto il mormorio dell'oued a me davanti (dinnanzi), mi chiedo quale luogo, mai, sia più prossimo di Roufi all'incanto dell'Eden.

Nel celeste solare, di una luce abbagliante, le faglie dirupano serrandosi sul fervidio dell'oasi di palme, dove si affoltano i fichi e i melograni in verdi volte di frescura, inarcantesi sui corsi d'acqua confluenti nel gorgoglìo del torrentello.

Ma nel letto dell'oued c'era il limo del fango. Sono risalito così più in alto, dentro il casolare chaouia abbandonato dove ho riposto i miei bagagli.

 

Ora sottostante è il verde fulgore delle palme, oltre le quali, tra i muriccioli, inturgidiscono al sole dovunque i fichi d'India, più alte le pareti (di fronte) che rinserranno a picco la gola del canyon, nel sole che le invasa di luce prima del tramonto.

 

Lungo i tornanti sono ora giunto all'ultimo sporto, sul serpentare nel fondo dell'oued e del suo serto traboccante di palme, mentre il tramonto ora arrosa le falesie e le gole, con la concrescenza lungo le falde dei villaggi morti.

Lungo il percorso mi sono lasciata frattanto alle spalle la mutria questuante dei bambini, il cui risveglio sul tardi mi pone nell'ansia, se si aggirano tra i casolari in abbandono, che possano ritrovare il tesoro dei miei bagagli.

Infine ridiscendo con un giovane e due giovanetti berberi, che si proclamano  fieri gli eredi, impettiti nel passo, di Giugurta e Massinissa e  della principessa Kaena.

 

Ho chiesto ai tre uomini soltanto dove fosse un caffè, e ne ho ricevuto in cambio l'acqua e la cena.

Ne è seguita, stesi sui tappeti dinnanzi alla soglia, un'interminabile conversazione sull'Islam e la lotta teologico-politica in Algeria.

Di nuovo mi ha reso sgomento, degli islamici ferventi, come la loro umanità, ed il vivo senso dell'altro, si esprima e partecipi di una fede di schiavi e d'infanti, che alla parola del Corano condanna ogni ragione sensibile.

Per loro eppure Allah è giusto e misericordioso ( giusto e misericordioso è Allah, quando condanna al fuoco eterno un'umanità colpevole, colpevole di ciò che lo stessoi Allah che la condanna ha decretato in eterno, è legittimo che sia condannato a un tormento senza fine (l'uomo) il giusto che non crede, e che in nome della sola legge di Allah, lo Stato tagli mano e piede al ladro in torto.  

Non esistono il libro distinti della natura e delle verità morali, come già riteneva Galileo del quale ho parlato, non esiste che la parola del Libro cui deve sottostare con il cuore anche la Fisica, per la quale il cosmo è un vortice d'astri che turbinano su stessi, ed ogni corpo si compone di indivisibili atomi.

Quanto più con me usavano larghezza e generosità, tanto più affilavano le loro parole sulla dura pietra del Corano, esaltati che per il cuore fosse così difficile sottomettersi ai suoi dettami.

Nell'attualità politica il loro odio coranico si riversava contro l'Fln, la cui dittatura condannano in nome dell'imposizione civile della sola legge di Allah, appellandosi, come già gli altri seguaci del Fis con i quali ho parlato, ai poveri cui non ha provveduto l'attuale regime, alle sue ruberie ed ai famigerati 25 miliari di dirham, scomparsi nel nulla, che immancabilmente ritornano in ogni loro discorso.

Il più giovane del gruppo che mi ha poi ospitato, un venditore ambulante di tappeti, mi ha  svelato odi e ritorsioni di parte che preludono già a una guerra civile, come nel caso di quel farmacista aderente all'Fln, che si è rifiutato di vendere ai familiari di un seguace del Fis le iniezioni contro il morso di uno scorpione, rivolgendolo a chiederlo al suo Imam. E ha seguitato a ripetermi il ritornello incantesimale della volontà (benefica) del Fis di riunire tutti i giovani, e di quanto sia per lui difficile la verità degli altri di cui è il seguace, mentr'io, gli occhi vuoti nel capo spaccato tra quelle rocce, lo presagivo il mudjaddin morto nella sanguinosissima lotta a venire, di cui i miei cordialissimi ospiti i capi efferati.

 

 

 

 

 

 

 

La Petite Boucle

 

 

Tramonto in El Oued

 

E stasera il tramonto cala sui mammelloni delle dune di El Oued, lievitandole con le miriadi di cupole ed archi della bella città, che rimiro dall' alto della torre del minareto adiacente il mercato.

Per le strade è un trascorrere sottostante di bambini e di varia gente, di furgoni e di autovetture e di carretti trainati da cavalli, mentre fra le case, nei pressi, una negra sistema le reti per dormire su un terrazzo, più lontano in un campo sabbioso ancora si gioca.

Due anziani discorrono frattanto nella sabbia di un patio, nella sabbia degli altri uomini in un angolo leggono e discutono, due anziane distesevi tra di loro conversano, intanto che per strada, due bambini aiutati da un loro parente trascinano una capretta, mentre altrove, tra le dimore, alle grida di una bambina delle altre caprette si imbazziriscono nel rientrare dentro un recinto murato.

Gli uomini, e le cose, in una luce rosa che soffonde le dune e l'azzurro del cielo.

Scendo che le prime luci già si accendono.

 

 

Il fantastico delirio di Gardaia

 

La pentapoli di Gardaia è la realizzazione fantastica di una spiritualità ancestrale cubo-metafisica, sotto la sommità piramidale dei minareti digradando in una diffrazione continua di volumi e colori, di arcate ritmiche e di cubi senza soluzione di continuità, giallo ocra, roseoviola, azzurro metilene e verde terebinto.

Fra i palmeti, nelle gole, la sua visione surreale gravita ora silenziosa sottostante, laggiù ove l'attuale discendenza mozabita degli antichi ibaiti, nella sua alacre spiritualità commerciale, sembra intenta in un connubio benestante di contaminazione ed integrismo (integralismo).

Vi ridiscendo capitando tra i cocci di vasellame ed i cumuli di pietra che individuano le sepolture del cimitero di Ben Isguen, nella sorpresa stupita di avere prima orinato contro una pietraia ch'era senz'altro un'illustre tomba, mentre un gruppo di capre fissa a lungo il mio volgermi indietro.

Eppure avevo presagito che anche il cimitero mozabita, al pari di ogni cimitero islamico, si potesse incontrare dovunque come la morte, come dice un mirabile passo delle Lettere orientali di Flaubert.

E procedo oltre, in una via desertificatasi con una sete implacabile, addentrandomi, di tanta stupefacenza, dove non ritrovo che fatiscenza e ristrutturazione e fanatismo.

 

 

Al blocco di polizia

 

Se ieri, quel poliziotto, al blocco poco prima di Gardaia avesse voluto procedere a rigor di norma, anzichè simpatizzare e divertirsi del mio sconcerto in un filo di voce, tutti i miei dihram ottenuti al mercato nero si sarebbero volatilizzati d'un colpo nella loro confisca.

Eccoli divenuti realtà, i continui tuoi presentimenti di una resa dei conti, mi dicevo frastornato intanto che ritardavo l'uscita dal taxi per il controllo, profittandone per arraffare banconote dal portafoglio e nasconderle dentro lo zaino alla rinfusa, ma ahimè nella confusione mentale più completa ( della mia onestà in colpa), poichè facevo mancare i franchi che dovevano risultare invece all'appello, mentre lasciavo nel portafoglio i dinari che non avrei dovuto affatto possedere.

Ecco, per chi è balordo, già mi commiseravo, la farina del diavolo che finisce in crusca... 

Invece con i documenti egli mi ha riconsegnato il portafoglio dopo un accertamento quantomai frugale, prima ancora ponendomi una serie di domande sui miei trasferimenti, e sulle ragioni del mio livido a una tempia per la caduta nel bagno, dopodichè con un saluto cordiale mi ha lasciato proseguire.

" E' stato perchè è la prima volta che venite in Algeria", mi ha detto sorridendomi il vecchio che mi sedeva accanto, mentr'io riarruffavo in un sospiro di sollievo i miei documenti e la valuta dentro lo zaino, riconsiderando, con la mia buona stella, che il giovane agente non avrebbe potuto prelevarmi che i dinari, e forse si e no qualche centinaio di franchi, poichè, quella mattina stessa, fortunatamente avevo ricontraffatto la dichiarazione delle mie divise straniere , avvicinandola il massimo al valore effettivo che detenevo secondo la strategia di limitare al minimo ottenendone il massimo i cambi in nero, per assicurarmi tutti quei servizi che mi possono risultare indispensabili, - hotel di classe, voli aerei-,  per ottenere i quali è richiesta la certificazione di un cambio legale di valuta.

" Al controllo di polizia occorre dire sempre la verità", mi ripeteva intanto il vecchio, " come se parlasse della convocazione dell'anima nel giorno del giudizio, " e loro hanno la facoltà di lasciarti spoglio di tutto", " sì, nudo in mezzo alla strada in un paese islamico...", io scherzavo replicandogli, come per festeggiare rincuorato (al)lo scampato pericolo, intanto che il taxi già planava nell'incanto serale della pentapoli.

 

 

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