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Le apparenze del gioco

 

E basta che appena me ne distanzi, dagli allievi, perchè svanisca il piacevole irretimento nelle apparenze del gioco che ci contrappone, e la simpateticità si rovesci in un sentimento antagonistico letale,

se solo riaffiora il pensiero di ciò che in loro subentra dal fondo come rientrano nel branco, e l'identità di gruppo gli impone di riassumere un sembiante oltraggioso e razzistico.

Ma è inammissibile, mi ripetevo anche ieri pomeriggio, che ciò che essi rappresentano possa intorbidare la tua solitudine, essi trascorreranno nella tua vita come necessitate presenze di alcun significato effettivo, eppure sono dovuto rientrare in appartamento, nel magnifico tramonto novembrino, senza che ne fossi smemorato nei fulgori e nei fumidi gialli degli ultimi ammanti, vanamente inoltratomi " solo e pensoso "per" i più deserti campi", ove " vestigia umana" non mi recasse più il timore o il tremore di un insulto sessuale. 

Quando ho successivamente ripreso la correzione dei compiti, l'astio più accanito (belluino) è riesploso nei loro riguardi, lo stesso rabido rancore, debbo supporre, in cui la loro scherzosità in classe senza animosità apparente si piega al compito e all' obbligazione, o si inasprisce come debbano adempiere a un assunto.

Di loro ripensavo, anche stamane, che per quietarmi ed essere più efficace nei riguardi della virulenza che li ha infestati, occorre anzichè contrastarla antiteticamente, che mi interni in ciò il suo decorso ha di analogo con la fenomenologia della contestazione studentesca del sessantotto che mi coinvolse: e così ho ravvisato che come allora, nei rapporti che intercorrevano tra noi allievi delle classi liceali in relazione al sistema sociale, essi non possono per lo più differenziarsi che al'interno del movimento di secessione attuale dal sistema politico, tra democratici, federalisti, secessionisti razzisticheggianti sconfinanti nei naziskeans, così come allora ci si contrapponeva tra parlamentari della sinistra storica e sedicenti extraparlamentari rivoluzionari.

E pertanto mi ha riequilibrato constastare che tutto quanto allora si sarebbe potuto dire di noi, e al cui filisteismo borghese reagivo con sdegno, si potrebbe ora dire di loro a torto o a ragione: che sono il seguito esaltato e inconsapevole del populismo di una demagogia eversiva, e che ha tanto più successo, quanto più il suo formulario è rozzo e schematico, nel vagheggiare un che di indistinto e di generico, o che le armi della critica possono cedere il passo alla critica delle armi, che sono il sedicente nuovo per il cui tramite si riforma il potere in modi più ancora gerarchici: etcetera etcetera...

E già quanti loro genitori, ed altri insegnanti, tramano come allora un doppio gioco: deprecano che siano superficiali o che non studino, che presumano già di bastare a se stessi,  che non abbiano valori e idealità, e che manchino di una memoria storica, mentre non solo non oppongono loro resistenza, ma di fatto ne assecondano gli umori anche nel voto politico.

Non è forse vero piuttosto, sostenevo in Consiglio di classe, che presumono a tal punto( che sono così presuntuosi) perchè effettivamente sono già sufficienti, perchè hanno già una cultura e valori, sia pure antitetici, che bastano a vivere secondo le istruzioni per l'uso? E che possono consentirsi in virtù appunto del privilegio "nordista", di essere così rudimentali e razzisticamente determinati?

Perchè mai, ribadivo in Consiglio di classe, dovrebbero studiare e sacrificarsi, quando vedono che può essere tanto più facile arricchirsi e avere successo se si è incolti e senza scrupoli?

Che senso ha mai rampognarli, avrei dovuto soggiungere nei riguardi di certuni colleghi, che sono quelli che di loro più si lamentano, quando li si è abilitati ad infischiarsene di ciò che insegniamo, promuovendoli anche se nel corso delle lezioni non hanno fatto altro che sfottii?

E purtuttavia, inestirpabile, a rendere insanabile il mio disdegnarli come una recessione e di una degradazione antropologica, permane il senso di essi spregiativo che allora, come ora, la politica (era) per me e per chi mi era compagno era l'attività volta a creare una vita migliore per quanti più uomini sia possibile, che fossi allora comunista ed ora liberale; mentre per chi adesso con loro si esagita concertandoli, come se ne venisse ringiovanito dal nuovo, così come è ovvio che sia per la generalità di loro, la politica non è mai stata che la lotta per salvaguardarsi ricacciando nel subumano e nella morte chi sta peggio.

E' ciò a cui ho alluso, quando ai genitori, come agli allievi, ho ricordato che è così difficile educare, nella contemporaneità, perchè gli orientamenti generali, e particolarmente quelli giovanili, sono tendenzialmente contrari a quello spirito cosmopolita, democratico, solidaristico e volto al bello del gusto estetico, che ci si ripropone istituzionalmente di trasmettere a loro, in quei rituali, quali i consigli di classe e i colloqui e i ricevimenti dei genitori, che si risolvono negli atteggiamenti di prammatica negli insegnanti e nei genitori coscritti, in cui il vizio rende ipocrita omaggio alla virtù.

(E poi in classe a un allievo che me l'ha chiesto, ho illustrato che cosa sia il cosmopolitismo, dicendogli che è il ritenere innanzitutto ogni altro simile come un uomo, e quindi sostenere chi è più debole in luogo di chi è più forte, a prescindere dalla sua appartenza etnica o di razza o sessuale.)

 ( Come il razzismo sia un'esclusione dell'altro, a causa di ciò che non dipende da lui della sua individualità sociale, mentre è una pretesa violenta di superiorità ( e di prevaricazione), che non è giustificata da merito o capacità acquisite che non siano l'attitudine a far sottostare).

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