A Manaka

 

13 Agosto

 

Che importa, ora chiederti ove il tuo alter Ego mai sarebbe.

Fosse egli in un'isola cicladica o fra le rovine  sabee, evocarlo non sarebbe che rimpiangerne (l'assistere ad) attimi d' incanto.

Ora che ti stomacano le tue degustazioni tropicali, e che nella sabbia del fiume, se divaghi, non è che il tuo corpo che tu puoi sfinire.

Rientrando dalla sazietà di feste e di ataviche sagre, fra sempre più stanche pagine immaginifiche.

immaginandoti altrove, ti rimorderesti inutilmente di avere deluso te stesso.

Inetto a reimergerti di nuovo, per attimi di suggestione, in atroci fatiche e nella mortificazione di rivisitate miserie.

Ed a nulla varrebbe, ripeterti che pur nelle visioni mirabili, fabulandole già ne differiresti le sensazioni ( l'apprensione) saresti già intento a fabulare quanto ne vieni differendo nella finzione che le riporta, comunque, come qui, intentovi ad esistere solo per trascriverti.

Poichè tu sai, che nel patire inenarrabili stenti per risparmiare denaro e così rassicurarti, inveendo alla minima molestia e ladrocineria, imperdonandoti ogni mancanza patita, saresti pur sempre irragionevolmente stupido, ma più ringiovanito, di quest'animale qui ristorato (riposato) e fresco tra i più confortevoli oggetti.   

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Lasciata l'altura del fortino, nell'afa pomeridiana mi sono aggirato in Sa'ada per i souk sottostanti, sostandovi qualche minuto presso uno speziale, che sovrapponendone la buccia al chicco verde, mi ha identificato come fossero gusci di caffè.

( mi ha consentito di identificarli in gusci di caffè),

Quindi me ne ha offerto una tazza gradevole.

Gli ho chiesto allora di individuarmi quali fossero i semi di cardamomo e di cumino, ossia l'hayl ed il cumin, ed il tamarindo ed il coriandolo.

L'ho contraccambiato acquistandone del cardamomo, e congedatomi mi sono successivamente intrattenuto presso un negozio di lavorazioni artigianali in metallo, dove tra le mani mi capitava un tallero di Maria Teresa nientemeno che del 1918, sinchè lo slargo del souk e la confluenza delle vie, che in Sa'ada si convogliano quali interstizi alveolari delle dimore, mi conducevano alla sacra moschea e al suo minareto, svettante fulgido di splendore meridiano sul biancore scialbato della qibla.  

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Svoltatone l'angolo, presso la soglia d'ingresso mi ero già accinto ad indossare i pantaloni lunghi per entrarvi, quando prima lo sguardo inanimato quanto inflessibile di uno zelante giovane, poi un' intera mutria di anziani devoti, mi ha contrastato l'accesso riducendomi progressivamente gli spazi della soglia interdetta, via via che a viva forza ne retrocedevo, sino a che non si è così compiuta  la mia espulsione di cane infedele nella piazza antistante, benché non avessi manifestato la minima resistenza o contrarietà al divieto.

Siffatta fanaticità di modi, è una provocazione cui comunque non riesco mai a mancare di reagire: mentre (così) mi ricacciavano, digrignando li ho denigrati quali animali, non degli uomini, nell'atrio sacrale ho ricusato l'esistenza di ogni divinità, mentre all'esterno il vento ha fatto rifluire sulla mia mano lo sputo che avevo a loro rivolto.

Dopo che ho avuto così modo di apprendere quale sia il nerbo coriaceo dell'austerità di Sa'ada, nello Yemen  roccaforte pugnace di ogni residuo arroccarsi nella teocrazia imamica, diradatisi all'interno i guardiani islamici, si è lenito di lì a poco il mio livore, e la saggezza mi ha suggerito di ripristinare cordialità di accenti con la gente yemenita.

Così ho ringalluzzito un vecchietto magnificandogli il manico della sua yambia, rispetto a quello inornamentato di un giovinetto per strada a lui d'accanto, ho divertito un venditore di generi alimentari narrandogli la diceria degli africani, che qui sono emigrati, che gli yemeniti siano degli asini e dei pazzi, ed ho poi partecipato della loro follia, quando sul taxi che rientrava a Sana'a, insieme agli altri viaggiatori ho interminabilmente brucato il qat che seguitavano ad offrirmi.        

 

  A Manaka 

 

"Non ti lascerò partire dallo Yemen, senza essere prima andato a Manaka"; davanti allo specchio mi dicevo poc'anzi al lavandino.

Prima di recarmi all' Ufficio di Immigrazione, per chiedere la proroga di una settimana nell'estensione del visto.

Mentre i patemi s'addensano, che scadano entro tre giorni i termini del soggiorno, senza ch'io possa nel frattempo rinnovarlo e trovare un posto libero nei voli dello Yemen per Il Cairo.

Oggi, domani, o l'indomani, comunque l'Ufficio di Immigrazione, che comunque esiste, ragionavo per quietarmi, non può nel frattempo non concedermi un'"extension visa".

Ma l'inquietudine permane assillante.

 

 

La mattina della partenza per Sa'ada, il 12 agosto, ho imparato che Sana'a, in' un'estraneazione pur sempre fascinosa, assomiglia a Venezia non solo per l'ornamentazione arabo-gotica, od il decorso delle strade, nei loro slarghi, lentamente sinuosi, fronteggiati da ogni sorta di logge e da finestre, od il decorso delle strade lentamente sinuoso,  intente a schiudersi in slarghi al loro schiudersi (aprirsi) in slarghi ove si fronteggiano ogni sorta di logge e di finestre,  ma ahimè anche per l'acqua alta che uggiosa ne infanghiglia le vie, non appena la pioggia, i primi giorni caduta a sprazzi, come (non appena) precipiti cada a dirotto. Così prima dell'inizio di un mio lungo gioco del'oca, in cui sono rimasto irretito dalla necessità di ottenere un'estensione del visto, la traversata dei suk, da Bab el Shuab a Bab el Yemen per effettuarvi un cambio, è divenuta una estenuante peripezia di passetti e passettini in punta di piedi e di rapide corsettine, nel cercare di schivare i torrentelli di liquame lurido, e di sudicia poltiglia, ove ogni sorta di deiezione diveniva materia corrente.

Orripilante, in tal senso, quella banchina, presso Bab el Yemen, divenuta nella sua fossa interna una negra piscina di ogni schifume, sui cui bordi donne e bambini eppure sedevano tra le immondizie che vi aggallavano.

Dicevo dunque del mio gioco dell'oca per un'estensione del visto:

al cui inizio mi sono protratto fino al quartiere di Hasaba in cerca dell' Immigration Office, secondo le indicazioni unanimi della guida e del personale del Tourist Office, nei più vari sviamenti e ritorni sui miei passi, stando ai più vaghi accenni inconsapevoli di mani fluttuanti ondivaghe in ogni direzione possibile, non appena chi consultavo appariva intendermi in Inglese,- avessi, secondo la mia guida pratica, recitato la formula arabica "Maqtaba: Javazzat"-, finchè, giunto al Ministero degli Interni, un addetto cortesemente mi sottraeva ai lazzi delle guardie, e mi informava come l'Immigration Office ora si trovasse invece alla periferia opposta, ossia lungo la strada per Taizz.

Che ieri ho ripercorso avanti e indietro per tre ore, pur sapendo, essendo di venerdì, che quel giorno nello Yemen ultraislamico è chiuso ogni Ufficio, tanto mi urgeva di ritrovare dove questo vi fosse situato, per scongiurare il rischio, per via dei vani erramenti di cui sono pratico, di pervenirvi in ritardo il giorno seguente, a tal punto ero preoccupato della scadenza del visto entro due giorni, che sono il termine indispensabile per porsi altrimenti in Waiting list per il volo di ritorno.

Scoprendo alfine che l'Immigration Office vi si trova effettivamente, oltre cave e rifiuti, accedendo allo slargo che lo fronteggia traverso le cabine di un Hammam.

E dove oggi sono ritornato, per apprendervi a dileggio di ogni inutil precauzione, ( a dileggio della più defatigata ed avveduta assennatezza), che alcuna proroga del visto è necessaria, poichè, -come la mia sola intelligenza supponeva-, il termine di inizio della sua validità è la data di ingresso nel paese, e non il giorno del rilascio, sicchè il visto scade pertanto fra due settimane. Entro le quali devo già pur essere in Italia.

"They're very very donkees," ho ripetuto al police man, assai divertendolo, ( divertendolo assai), perché lo comunicasse per telefono agli addetti in questione del Tourist Office.    

Ma in verità, l'asino con le orecchie di gran lunga più lunghe mi sentivo io stesso, come subodoravo già ripetendo la storia al personale dell'Hotel Dyaifa, e come realizzavo compiutamente quando spropositavo inferocivo parossisticamente contro me stesso, nell'urgenza impellente per essermi ulteriormente smemorato di orinare (mingere) in Hotel prima di lasciarlo; cosicchè, per rimediarvi, ho finito per cacciarmi pressantemente (dovevo pressantemente cacciarmi) in un autentico merdaio. ( cosicchè dovevo pressantemente rimediarvi cacciandomi in un autentico merdaio);

Non altrimenti che con me stesso, infatti, ero talmente esasperato quando mi sono irritato con quei piccoli, per strada, che curiosavano il mio rovistare lo zainetto, nel disfarlo tutto, al solo fine di (per) ritrovarvi il barattolo delle salviette igieniche poi per disinfettarmi.

Ed ora che il tempo non è più una limitazione sacrificale del mio viaggio, qui, nell' ultima stanzuccia su in alto del fondouk di Manaka ove sto scrivendo a notte fonda, altrimenti nella stanza sottostante disturberei l'australiano con il quale la divido, un miraggio brilla nella mia mente, sui lumi notturni che digradano oltre i vetri: Shibam, la Manhattan nel deserto del'Hadramawt.  

   

E dopo Sa'ada, rientrato in Sana'a, Thula ieri pomeriggio.

Sa'ada ho desistito l'altro ieri nel meriggio dal visitarla oltre, quando lo slargo principale che ne convoglia gli interstizi alveolari delle le vie affluenti, oltre la moschea è venuto imputridendosi in plaghe di liquame verdenerognolo.

E ieri mattina  era nauseabondo della nuova Sana'a, già sfinitomi lungo Taizz street in cerca dell'Immigration Office, poi di un taxi collettivo per Thula fino a un altro capo della città, ( non essendovene nessuno nela stazione presso il Tahrir), che raggiunto il numero fatidico di 9 passeggeri, in taxi infine sono potuto partire.

Allorchè al bivio verso Shiban ho terminato la corsa, ed a piedi mi sono avviato lungo la deviazione che conduce a Thula in otto chilometri, sulla ariosa vastità della piana ed i monti circostanti, ove si fronteggiano a Nord-Ovest Shiban e Kawkaban, arroccato su in alto, e più ad Est il villaggio di Thula sotto il dirupo di un monte, il cielo era un contrasto straordinario di alterne vicende atmosferiche; su Shiban e Kawkaban, e al di là dei dirupi nordoccidentali, splendeva luminoso il sole nella celestialità serena; a Sud, dai rilevi valicati giungendo da Sana'a, il cielo era invece l'approssimarsi di un tumulto di livide nubi solcate da lampi.

L'aria intanto si veniva freddando, il vento spirando più rabido tra i coltivi e per i pascoli.

Sulla strada, mentre nessuna delle vetture mi offriva un passaggio, figurarsi alcune Toyota gremite di italici (di una Tournèe di italici), lo sguardo in apprensione correva avanti, ad un ( l')eventuale riparo, qualora il temporale mi avesse investito lungo il nastro d'asfalto.

Fortunatamente, grazie al passaggio concessomi da due del luogo,  trasbordato sul cassone aperto della loro seconda Toyota, le prime gocce mi sferzavano, in fredde ventate, quando già ero alle soglie di Thula.

Che mi è apparso immediatamente, dal portale delle mura sotto la pioggia, un villaggio stupefacente.  

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L'antico aspetto vi è pressocchè intatto, in un succedersi, sotto l'impervio fortilizio dello sperone roccioso, delle più sobriamente eleganti residenze in nuda pietra; le loro monocrome volumetrie, illegiadrite di oculi e losanghe, di logge superiori e di archettature cieche, di trame aeratorie di vuoti e scacchi, di marcapiani e costolature addentellate, costituendo delle quinte murarie inerpicantisi in scorci di puro Medioevo arroccato, in cui il susseguirsi dei mercati e delle moschee, dei silos e degli hammam, s'apriva nelle volte e negli slarghi di intimità di piazzette.      33yemen.jpg (36126 byte)

Incantato di Thula, rientravo felicitato alfine a Sana'a, nel chiarore lunare che si disvelava sui suoi minareti.

La determinazione della volontà, pienamente esaudita, mi concedeva solo allora il darmi tregua, e di accondiscendere, una buona volta, alla mia individualità tragica nella solitudine dei nei suoi passi per Sana'a.

Mi sono dunque accordato di saziarmi di pesce, diliscandone con le mani fuliggine e carne, come con le sue, che ne avevo distolte, mi aveva proposto che facessi il ruvido inserviente, anzichè usare astrusi coltelli e forchette.

Ma già quando nel the all'aperto 26 settembre, alla implicita richiesta di un pò di ryals, ch'era nella discrezione delle parole del giovane profugo somalo accomodatosi al mio tavolino, allorchè mi ha confidato di non avere neanche la certezza dei soldi per una cena, la mia sordidità si è raggricciata in un nel silenzio che non gli dava più ascolto, e quando così ho mancato alla sollecitazione  dell'ingiunzione interna, la mia magnitudine confidente era già annientata, sicchè al cospetto di quel delicato giovane che si dileguava congedava scivolando nell'ombra, la mia durezza determinante non era più che la tenacia di una pietra refrattaria, il nocciolo e avaro di una solitudine fatale.

Oh, in grado di persistere ad oltranza per realizzare la meta di un itinerario, ma senza la minima forza, a sostegno della mozione della coscienza, che gli consenta la minima cessione ad un altro del minimo utile del suo denaro.

La mia magnanimità sensibile finisce davvero, mi ripetevo stamani, appena l'altro anche solo accenni al mio portafoglio.

E quando di ritorno nello stesso posto prima di partire per Manaka, ho rivisto quel giovane tra degli altri somali , mi sono sentito come rincuorato, con un sospiro di sollievo, che il suo saluto rivoltomi con un cenno mentre era in compagnia, rendesse sconveniente qualsiasi elemosina.

A riprova, senza appello, che il suo caso pietoso non poteva sforzarmi che alla poesia che ieri sera ho composto.

Mentre invece ad indurmi a all'angoscia depressiva di volere male a me stesso, sino ad autoaffliggermi, paiono essere irresistibili le mie mancanze agli scrupoli igienici o di estetica esteriore; ove non riescono le mie più grette e sordide economie, o la mia durezza refrattaria al ventre vuoto di un altro.    

  A Manaka

 

Ero già in prossimità di Hoggara, nel primo mattino, quando mi ha raggiunto l'australiano con il quale ieri notte ho condiviso la stanza.

Arrivato ieri sera  a Manaka con la pioggia, e in una nuvolaglia densa, che mi ha impedito in altura di vedere d'intorno alcunchè, come infine la precipitazione è cessata, mediante le indicazioni di alcuni bambini mi sono affrettato a raggiungere l'Hotel Manaka, situato in una casa tradizionale.

Altre bambine, a un primo piano, mi hanno indicato di salire lungo le scale. M'attendevo qualche sorta di Reception ai piani seguenti, invece è nella camera che occupava appunto l'australiano che sono finito stranito.

Lui mi ha immediatamente aiutato a familiarizzarmi e poi a stanziarmici, nella profusione di soli poggiali e di luridi materassini di gommapiuma, che costituivano la sola dotazione dell'ostello che fosse stata messa a disposizione degli avventuraticisi dai suoi gestori.

Non lenzuola, e nessuna toilette, come accertavo, che non fosse di fatto impraticabile, manomesse le docce e i lavandini, incrostati fin dai primordi (dalle origini) di ogni ordura fecale, nessuna riparazione che nel corso del tempo fosse stata intrapresa.

E come la mattina dopo mi ha garantito l'australiano, il prezzo

richiesto dai pigionanti era anche superiore a quello che ho pagato altrimenti per dormire in stanza da solo, e disponendo almeno dei servizi essenziali.

Per giunta non era possibile dividere l'importo della stanza.

Così ieri me ne sono defilato di primo mattino, furtivamente uscendo inavvertito dalla magione, come innavertitamente vi ero entrato.

Poi,  mentre Toyota su Toyota da Hoggara affluivano a Manaka per il mercato, ho fatto le pulizie personali lungo il percorso, con le salviette e l'acqua minerale che serbavo nella borraccia,

seguitando quindi la camminata d'alacre passo, nella giornata che si preannunciava radiosa.

L'australiano, come mi ha raggiunto, mi ha sollecitato a seguirlo oltre la prominenza rocciosa sovrastante, mentre la mia impazienza si era già venuta esaltando, da che oltre uno sperone Hoggara aveva iniziato ad apparirmi stupefacente.  

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Dall'altura su cui è sovradominante, oltre i declivi rocciosi che affoltano i cactus, palazzi di pietra svettavano in ogni verso, come grattacieli di un medioevo superstite fuori del tempo, sobriamente impreziositi di oculi e di arcature, nella variegatura originaria delle rocce parietali.

E dal fondo di un divallamento, una scalinata risaliva oltre le fondamenta impervie dei palazzi sino alla porta d'ingresso nella cinta muraria, valicata la quale gli edifici ovunque d'intorno, tra i camminamenti dei gradini scavati nella roccia, pur se più rudimentalmente acciotolati, aggregavano le medesime sembianze degli svettanti palazzi di cinta, sovrergendosi su oscure botteghe di ammassi di pietre; pertanto (così), benché fossero più recenti di secoli, o in rifacimento, essendo così state erette o ammassate secondo una medesima costruttività ancestrale, tali dimore, nella Arabia felix, venivano apparendomi  quali le stupefacenti magioni di una città medioevale( di un' Assisi o di una Gubbio dei tempi di Francesco), viva di echi e di voci e di silenzi di altri tempi; nonostante le antenne e condutture, e i bambini più viziati che altrove dai turisti, che inoltravano alle note di "Fra Martino" le richieste di baksesh.

L'australiano, del quale approfondivo la conoscenza, è un avvocato che si è assunto la difesa delle cause degli aborigeni del suo continente, solidale in effetti con ogni sorta di primitivismo, sia tale primitivismo la mancanza del senso della proprietà o l'unanimità consensuale, nell'assunzione di decisioni, (che sono) proprie degli aborigeni australiani, sia tale primitivismo l'ebetudine ottusa dal qat degli yemeniti, le cui guance rigonfie del bolo verdognolo della masticatura delle foglie stupefacenti, o le cui accozzaglie brutali in scazzottature frequenti, gli ricordano i contadini di Bruegel.

Al che, io che dell'arte del pittore fiammingo e del suo senso della vita sono un fervente, ho soggiunto che il suo mondo contadino è l'allegoria dell'universale follia e stupidità degli uomini. E a ulteriore commento gli ho riferito, divertendolo alquanto, quello che qualche sera fa mi ha raccontato il tedesco multilingue di Marib, che ho poi reincontrato più vivo e vegeto a Sana'a, nel mio medesimo hotel, circa gli individui, in Nuova York, nel trasferirsi da un aereoporto all'altro, che ha avuto il timore di incrociare per strada, in uno guatatura assassina che toglieva loro ogni parvenza di homo sapiens.

Egli era poi stato male il giorno seguente, fatalmente, all'ingestione di quella fasolya di cui gli avevo (sot)taciuto che era stata soffritta nello strutto, lasciandolo invece persuaso che il condimento non fosse neanche il burro, a lui di nocivo, poichè comunque di derivazione animale, e come tale per lui intollerabile.

Nè, benché sapesse l'arabo, etcetera etcetera, era potuto giungere altrimenti che al tempio dei cinque pilastri.

E mentre me lo riferiva, nessun rimorso o rincrescimento che benché minimamente mi corrucciasse.

Quanto poi all'australiano, dopo esserci aggirati e inerpicati per gli scoscendimenti di Hoggara, al ritorno sui nostri passi è quindi scomparso oltre il rilievo di un crinale, senza che abbiamo più avuto modo di incontrarci.

( Egli dileguandosi anche perché era indisponibile ad attendermi nelle lungaggini dei miei rituali igienico-alimentari, in cui mi sono attardato nel pressi del chiosco dove ho consumato un brekfast di tre banane, uno yogurt, un pacchetto di biscotti e una Canada dry, nell'indugiarvi poi a disinfettare ancora una volta la borraccia, che dal mio zainetto da trakking ancora una volta era caduta nel fango).

Più che le discriminazioni tra unsophisticated e sophisticated way of life, secondo sostruzioni per me comunque ideologiche, che di lui ammiravo era la sicurezza e la scioltezza nell'agire e nel passo, l'agio e la condiscendenza, benché non incline ad alcuna baksish, - " mafi sura, mafi kalam, mafi kalashnikov e bombon"-, con le quali si muoveva e s'affidava ai piccoli, quando invece i miei modi, più tesi e contrastati e attardati (e) in impaccio, scadono di frequente in un atteggiarmi irritato e scostante.

Mi sono intrattenuto quindi a lungo, nel contemplare ancora Hoggara di fronte, ben in tempo per vedere sopraggiungere gli stessi  italiani incontrati a Marib- il loro conducente mi ha ravvisato e salutato-; nei quali, d'incontro a una svolta, ravvisavo un'anziana signora, lungo l'erta, che risaliva a stento lasciandosi condurre per mano da un piccolo, poi un altro anziano signore, claudicante, che quasi reverentemente mi salutava al passaggio.

Passato mezzogiorno e rientrato a Manaka, me ne sono nuovamente allontanato, in senso contrario, per raggiungere secondo l'ulteriore trekking consigliato dalla guida, un paesino di cui mi era costantemente difficile il ricordare il nome, ah, si, Al Kutubia, e quindi pronunciarlo in modo intellegibile,5yemen.jpg (62355 byte) ogni qualvolta a un bambino che si avvicinava, od a qualche montanaro di passaggio, ne dovevo chiedere più volte la direzione, 27yemen.jpg (45643 byte) il che era necessità imprescindibile, dati i bivi che seguitavano a succedersi lungo il percorso.

Troppi, a dire il vero, per la mia assai cospicua asineria.

Giunto infatti a quello che avrebbe dovuto e potuto essere il penultimo, all'arrivo successivo di una Toyota, anzichè disturbarmi per consultare una volta ancora sulla guida il nome da chiedere della località, proseguivo in conformità dei miei soli auspici per il sentiero più agevole, il quale, così, per i suoi confortevoli tornanti mi conduceva immancabilmente fuori strada.

Ne sortivo infatti in un villaggio sottostante una sommità impervia, accocuzzolato intorno alla quale sorgeva( s'elevava) per l'appunto al Kutubya.  

V'era pur tuttavia, e me lo indicavano oltre alcuni somari al pascolo degli yemeniti del luogo, un percorso che da quel borgo vi si inerpicava, ma ne perdevo ben presto le tracce tra i coltivi e i pascoli, sicchè più oltre, ove un sentiero ulteriore già calava in discesa, ne chiedevo il verso ad alcune giovinette in compagnia, tutte velate, le quali cortesemente mi riconducevano indietro sui miei passi, dove poi, cionostante ancora disorientato, chiedevo la via ad una comitiva di donne, susseguente, che tentavano di indicarmelo senza sortirne ancora alcuna mia intelligenza.  

Le avevo interpellate poichè erano in compagnia e nessuna presenza maschile ci scrutava, e l'atto non era parso a loro affatto sconveniente, anzi ne aveva suscitato la piacevole sorpresa.

L'udire poi sulle loro labbra la parola "essaouira", ed il supporla riferita alla mia avvenenza, mi lusingava al punto da espormi senza ritegno di sorta nel mio smarrimento, bisognoso tramite ciò che in arabo tentavano di indicarmi, che mi si chiarisse ancora dove davanti mi si apriva il sentiero.

Cosi, mentre sconfortato della mia ottusità itinerante, mi risollevavo dalle prominenze di un masso ignorando dove inoltrarmi, mi riaccostavano con tatto gentile per ostentarmi, "Mister", che erano dei punti e delle frecce segnaletiche bianche, sui massi e le cortecce, il camminamento che infine ravvisavo, e poi per segnalarmi, già distante, che presso quel masso avevo appena abbandonato nell'esaltazione stordita entrambe le guide.

Iniziavo quel percorso arrampicandomi su alcuni spuntoni, mentre alle mie spalle sopraggiungeva un uomo del luogo, che doveva compiere lo stesso tragitto.

Così ogni tanto volgevo indietro lo sguardo per avere conferma, dai suoi cenni, che il percorso seguito era quello giusto, finchè l'erta diveniva più faticosa, e mi lasciavo da lui superare perché mi facesse da guida.

Ma finiti gli spuntoni iniziavano dei gradoni rocciosi, resi paurosamente viscidi dai rivoli d'acqua che ne discendevano, tanto che lo stesso valligiano si levava le calzature per procedere a piedi nudi (più prensili).

Ed io, reso più ancora periclitante, oltrechè gravato, dallo zaino in spalla e dalla sacca in cui trasportavo delle cose residue, non appena ho intrapreso al suo seguito il traversamento del primo lastrone, ed ho scorto che strapiombava per decine di metri sottostanti senza offrire rientranze d'appoggio, vi sono rimasto immobilizzato dopo pochi metri dal senso di pericolo, che si è tramutato spontaneamente in una paura terrificata, cosicchè, ansimante, come un animale terrorizzato ho iniziato a desistere ritraendo i piedi.

Non appena volgendosi, di lì a poco, l'uomo yemenita mi ha visto ritrarmi tutto tremante, subito è ritornato sui suoi passi, quindi "Saddik, Saddik", con dolcezza suadente mi ha richiamato al suo seguito, già alle mie spalle, inoltrandosi, un poco più in alto, lungo un tracciato di ciottoli tra il gradone e un rivoletto, che fiancheggiava il gradone fino a un camminamento, più in sù, tratteggiato ed assicurato da un acciotolato ulteriore, percorrendo il quale, poi, benché lo strapiombo sottostante fosse maggiore, mi era possibile superare il gradone, e successivamente valicarne un altro, la cui ripidità non era affatto inferiore a quella del precedente, ma era pur attenuata da alcuni infossamenti di appoggio che mi si offrivano.

Così pervenuti, infine, dopo avere rampicato ancora più in alto come capre, a un verde avvallamento prima dei terrazzamenti conclusivi, facevo cenno allo yemenita che dovevo assolutamente tirare fiato, come il mio ansimare lasciava ben intendere, il che lui assecondava deponendo il suo carico, dopodiche, riprese rapidamente le forze, potevamo procedere tra le sporgenze dei terrazzi superiori fino alle soglie di Al Kutubya dove ci salutavamo.

Sotto il bianco fortilizio riposto sulla cima, la veduta vi era magnifica, quale si offriva ora su sottostanti versanti vertiginosi e possenti, ora sui (tanti) villaggi fortificati e arroccati in ogni prominenza a perdita d'occhio, ove s'infinitavano all'orizzonte le crestature di vette e di vette.  

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Avviandomi quindi di li a poco al rientro,- sviandomi avevo fatto già molto tardi-, i due giovani ismailiti cui chiedevo una più agevole strada, per Manaka, di quella percorsa all'andata nel tratto finale, entrambi chissà perché mai, oltre che per cortesia, hanno seguitato ad indicarmi " Turn to right, and after to left, to right and after to right,...", finchè non mi sono perso alla loro vista e alla loro voce.         

Così discendendo, poichè non avessero a smarrirsi nei miei  medesimi erramenti, ho informato della retta via per Al Kutubya un gruppo di Francesi arrestatisi in Toyota lungo la strada, riferendo loro come e a che prezzo l'avessi perduta viaggiando da solo.

" Vous avez bien du courage" mi hanno ripetuto, al che ridendo " Et moi qui crois ( Que je crois ) d'avoir toujours peur", ho risposto in vena d' allegria.

Vista che li stupivo ammirevolmente, incurante di accumulare ulteriore ritardo ho quindi narrato un breve estratto illustrativo delle mie vicissitudini yemenite,  e di quali e quanti siano stati gli errori che mi sono occorsi per farvi esperienza, in particolare il caso della mia estensione del visto"

Ainsi j'ai perdu prèsque trois dèmi jours, in Sana'a, pour ça; le prèmier pour vérifier que le maqtaba:javazzat, l'Office des Visas, n'était pas dans le quartier d'Hasaba comme disaient les guides et les èmployès du Tourist Office, le deuxième dèmi jour pour vèrifier qu' il était vraiment de l'autre coté de la ville, le troisième pour apprendre que je n' avais besoin de rien de tout, ni de l'Immigration Office ni de l'extension du visa, et que je n'avais que perdu du temps".

Del tempo rischiavo di perderne altro, e non meno importante, se seguitavo lì più oltre en les amusant; così dovevo pur congedarmi da così solidali uditori; che con superiore spirito francese " Vous avez bien à en écrire en livre", mi raccomandavano; come già stavo ben facendo, ho risposto (rispondevo) loro ilare e ironico, indicando lo zaino ove era riposto il mio quaderno ( ove riposto era il mio cahier).

Già era sera fitta, al rientro in Manaka, e già mi sconfortava il fastidio  di dovere pernottarvi; ma avevo una buona volta l'accortezza di situarmi giusto accanto al distributore di benzina, all'ingresso del paese, presso il quale alla spicciolata si sono venuti raccogliendo quanti avevano da recarsi nella vicina *, lungo la strada fra el Hodeida e Sana'a; dove un taxi era giusto in attesa ch'io completassi la comitiva che vi stazionava, per partire alla volta di Sana'a e giungervi a notte tarda.