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pagine di diario, 6

 
     
 

 

 

 

Ideazione

 

Nella sua opera di Interviste  ( e lettere al direttore) "Intransigenze",  è mirabile l'immagine della creatività che Nabokov desume dal mondo volatile, ove dice di sapere semplicemente " che in una fase molto precoce dello sviluppo di un romanzo mi viene questo forte impulso a raccogliere pezzetti di paglia e di lanugine, e a inghiottire sassolini. Nessuno scoprirà mai se, e con quanta chiarezza, un uccello si raffiguri il futuro nido e le uova dentro il nido".

Il sassolino che siffattamente, capitatomi per caso, anzichè ributtarlo ho interiorizzato, è stata la mentalità in atto di quel venditore televisivo, captato l' altra mattina per sbaglio, che in pochi minuti è stato capace di essere tutto ciò che chi è gente non riesce a non essere. Due finti sposi, nei loro panni di moda, si aggiravano in una camera nuziale fingendovi incanto.

Al che lui non mancava di commentare " E' meglio che li allontaniamo da questa magnifica stanza al più presto, se non vogliamo che succeda il fattaccio".

Succubi della nefandezza, i due simil-sposi presunti si aggiravano intimiditi, si intimidivano si intimidivano in con un vacuo sorriso, fra il montaggio in studio di un soggiorno adiacente, dove egli raggiungendoli la domanda seguente, di quel teleambulante, era quale mai fosse ovviamente il mobile che vi attirava più di ogni altro la loro attenzione.

Indicavano i ripiani di una libreria, al che il teleimbonitore abbozzava una ritorsione in compiacimento di un sorpreso disgusto un compiacimento che non riusciva a mascherare un sorpreso disgusto, e con accondiscendenza efferata magnificava" Si, perchè un tocco di cultura ci vuole in ogni casa, e poi se i libri non si leggono, chi se ne frega..."

(Battute da venditore porta a porta, qualcuno soggiungerà.

Appunto, battute proprie di da chi tale è stato ed è d'animo, e come tale è divenuto l'uomo più potente e più popolare della nostra Repubblica. Ed è il nostro Editore massimo.

Che rivolgendosi al Presidente degli Stati Uniti d'America e alla sua consorte, in una notte fascinosa d'estate che irradiavano i fuochi della reggia di Caserta, " attenti a non aumentare in famiglia" è la facezia che ha insinuato da signore di casa.)

 

 

 

Infinita pazienza

 

Ma io ho oramai perduto nella vita pubblica e privata tutta l'infinita pazienza che richiede la vita sociale, al il cozzo con l' interminabile ripetersi delle falsificazioni menzogne falsificatrici  degli interessi e dei giochi delle parti, con l'eterno riprodursi della miserabilità degli atti e della banalità dei sogni, se non infierisce la tua una reprimenda o l'orrore non ne sfuma il relax: e solo l' la tua l' assoluta mancanza di umanità comprensione di chi intima allora li riconduce il al rispetto riguardo, o il cadavere tra le lamiere ritorte ristabiliscono l'evidenza realefinale. 

E subito ti tocca di constatare che sei ancora irretito, come non appena anziché i denti mostri la viltà di un sorriso... come la tua disponibilità, e l'elargizione eccedente, li renda ineluttabilmente e insopportabilmente già arroganti...

Che hai già sul collo chi non tarda ha scrupoli a negarti la dignità il diritto di esistere, se lo ferisci nell' infimo per la tua irriducibilità divergenzasità che gli è superiore, d'intesa con il branco che fiuta ed ammusa nella tua privacy violata rivoltata e oltraggiata.

C' è poco da fare. Hai, per poco che sia stato, imperdonabilmente abbassato la guardia, hai mostrato, un istante, di alterità sprezzo e di gentilezza che balena lo sguardo...      

 

 

A seguitare a contarla

 

Altra pietruzza.

Li immagino, sul lungomare, il nostro Cavaliere catodico e il suo fido compare, che dopo avere strimpellato note al piano e raccontate (contate) le solite barzellette al microfono, si guardano come il Gatto e la Volpe e si dicono fatidicamente"

"Che ci scommetti che a saperla contare...

" Ottieni(Diventi)?

" Ottengo di diventare (Divento) il Presidente della nostra Repubblica".

 Fatto. Quasi oramai.

 

 

Moglie.

 

La sua Signora, cosi riservata e discreta nella sua bella villa con i suoi meravigliosi figli, a dispetto della nonostante la vistosità dirompente delle sue forme fisiche, ignora come tutto è nato.

Con l'ennesima scommessa tra il Cavaliere e il suo uomo fidato di fiducia.

Nella grande sala di ricevimento dell'emittenza, dove era stata Lei contattata per una videoserie.

Che verteva, la scommessa, su quanto tempo sarebbe ancora intercorso, prima che potesse Egli disporre delle sue grandi labbra.

La scommessa, che da parte Sua, non ammetteva dubbi nemmeno su quale fosse il mezzo più atto allo scopo.

"No, so che cosa pensi che serva con una gran fica del genere, ma io penso che sbagli. E'invece un mazzo di rose che ci vuole..."

Infallibile come sempre il cavaliere.

Contento, tra i convitati, della gran invidia che dovevano riservargli, tanto maggiorata, se dopo quella economica gli era stata riservata quella gran fortuna a donne. fisiologica.

Poi, certo, l'innamoramento e l'amore...

Ma era come nella tetralogia dell'oro del Reno, poichè non v'era occasione e ricorrenza mondana, cui la rendesse partecipe che a ciò si prestasse,, che in lui non originasse il ritorno e l'insistenza di quel tema.

Ch'era il motivo, segreto e tacito, ( sottaciuto), della sua pochezza nell' opporsi alla  riservatezza che la consorte manteneva.

Il tema del suo dello sfoggio di lei.

 

 

 

Peccato

 

Peccato che la scommessa divenendo realtà,  sia diventato giocoforza poi assolutamente vincerla, chi ha ancora scrupoli, ( chi se ne frega) costi quel che costi, di dovere abbattere che ci si ti debba mettere contro tutti i poteri arbitrali forti.

Perchè l'Impero mediatico,  che hanno fondato, è stato l' investitura da corsaro di un pirata.

Non più  dei mari, ma dell'etere.

E il bilancio non può esserne aziendale(.), ma

Ma il frutto di una resa dei conti ch'è in primis politica.

Nella messa a rischio gioco di tutto e di tutti.

 

 

 

Assez

 

Assez, con il Cavaliere e il bel Paese.

Eppoi il diavolo, come dice Schopenhauer, non viene mai così ignobilmente esplicito.

E' suadente ed ha charme, intriga la gente con la sua simpatia, e se aggredisce, e manomette, sa vestire i panni sdegnati della vittima accorata, e quanto più se è solo un avventuriero pronto a tutto, sa ripresentarsi negli abiti impettiti di chi è capace di agire ma è impedito di fare.

No, è che tu lo sai, che dopotutto, si tratta soltanto di visceralità accorate, di rottamate parole vibranti di sdegno esteriore civico e politico, di scarti e ancora scarti.

E' una materia in te secreta che detesti, come l'umano sociale che gli si leva contro.

Che possono così interessare al lettore di domani? Esattamente quello che ti interessa, oggi, delle ragioni che nemmeno più ricordi o per di cui detesti riaccalorarti, della protesta di ieri esasperatamente indignata. Mentre invece, più che l' inequità dell'efficacia presunta delle manovre economiche riccorrenti dei conti di Stato, per quanto tu ne risenta ogni giorno le conseguenze nefaste, nel pervenire tra stenti e contenimenti crescenti a un nuovo stipendio, nel rileggerne domani i casi infervidandoti ancora, è la tua situazione umana con il tuo uccellino, l'apprensione  che ti suscita la sua interminabile muta, con sono i termini che non tornano del suo bilanciamento dietico, se per salvaguadarne la salute devi smagrirlo rinunciando ai pigmentanti che ne risaltano la bellezza, ciò che di reale ti anima ed ispira, al rileggerne domani i casi infervidandoti ancora.

 

 

 

 

 

Rinnegando la vera vita presente

 

Come i tuoi allievi che inseguono la chimera di feste, di una socialità onnipervasiva che ti è solo rivoltante, anche tu, al pari di loro, neghi alle tua esistenza vita scolastica di scuola la sua realtà presente, neghi che nel computo della tua vita sia non solo l'onere di una costrizione esteriore, in una congiura della mediocrità degli intenti che la vanifica, quand' è bensì ma, piuttosto, piuttosto il tuo piacere e la gioia di esistere insieme con loro, e loro con te, e questo per effetto della obbligazione stessa al reciproco rispetto, senza la quale la facezia, che tra noi intercorra, anzichè costringersi a un gioco intelligente di spirito, degraderebbe nella stupidità, più insulsamente feroce,  di chi liberamente dispone del proprio tempo irridendo e infierendo sugli altri per presumersi qualcuno.     

 

 

Gentilezza

 

Schopenhauer, La saggezza della vita, Parenesi e massime 28.

Come in effetti siano stati i miei atti di gentilezza e di disponibilità eccessiva  a rovinare i miei rapporti, data l'insopportabilità arrogante, e la presunzione capricciosa, del fare che hanno indotto in altri.

E invece i miei doni materiali, nella dismisura stessa in cui li elargivo, erano la mia  forma di offesa alla mancanza di cura e di riguardo che mi era già stata inflitta , in quelli infimi e privi di qualsiasi ricercatezza che così ricambiavo, o li si supponevano presumevano fossero supponevo la ferita inferta alla presunzione di chi, a suo tempo, iniziò tale pratica funesta del dono e ne avviò il crescendo, senza purtuttavia riuscire poi ad attenervisi, incapace di rimanere fedele alla stolidità, ingenua, che la larghezza iniziale ne attestasse la natura superiore al mio egoismo.

Ancora persuasa e sorpresa, la beneficiaria, che i miei doni siano sempre più generosi a dispetto di tutto ...

Eppure è vero che se è ancora febbraio, già mi sto preoccupando, pur nelle mie ristrettezze economiche, di salvaguardarle, per i doni natalizi, la specchiera ornamentale con gli uccelli madreperlacei...      

 

 

 

 

 

L'eroe e il suo servo

 

Non è più il dramma che oggi si inscena,  che sulla ribalta recitino l'eroe e il suo servo incapace di intenderlo.

Perchè i fari sono oggi puntati, abbaglianti, solo su chi può essere l'eroe del servo.

Improvvisando l'ennesima farsa.

 

 

Escandescenze

 

*E' forse il caso di erompere in escandescenze, perchè presso il mio Istituto è stata bandito dal consesso degli insegnanti, il concorso per la miglior caricatura di chiunque sia un adulto e lavori in Istituto, senza alcun previo assenso dell' interessato?

Che ne è più, mi rovellavo,  oggigiorno che tanto ci si sciacquetta la bocca di liberalismo, della tutela della privacy e dell'immagine di sè del singolo? Chè in nome del diritto di espressione e di informazione, ci si arroga la violentazione generale del privato, la più efferata intrusione e divulgazione dell nell'intimità degli altri.

Eppoi i giovani, mi recitavo, non sono gli incolpevolizzabili che ballano (" Kundera")?.

Che tanti miei colleghi pensano soltanto a vezzeggiare, per il  timore di sentirsi altrimenti l'alito da vecchi?

Per piacere e compiacere chi- e quanto lo auspico- se ne farà giustamente e brutalmente beffa?

 

 

 

 

 

Economie di guerra

 

Lo spegnimento d'ogni spia, l'abbassamento della fiammella del gas o le crudità piuttosto, l'orto di guerra sul balcone, a risparmaiare la rucola e il cicorino:

è come ai tempi della economia di Salò e di Vichy, tanto affama il pubblico impiego, e gli insegnanti, la rivalsa dei poteri e degli interessi grassi e minuti.

E le tomaie che si scuciono e non si hanno i soldi per ripararle, la bicicletta che sgrana al cambio eppur si deve andare senza ripararla, le ricette o le richieste specialistiche che restano inutilizzate tanto ci costano.

 

E per fame ci rendano pure miserevoli, cedevoli a condonare voti e titoli di studio senza studio.

Saranno appunto i diplomi ciò vogliono, un pezzo di carta purchessia.

Cui accadrà in assenza di formazione e di sapere, ciò che accade all' emissione di valuta e titoli, in assenza di incremento di ricchezza: di farsi ugualmente carta straccia. 

 

 

 

 

 

Giovani e vecchi

 

Se la loro gioventù non mi interessa, ammessa la mia avversa conformazione reattiva di rigetto , è perchè in loro non avverto né oltranza ulteriore di eccesso o trasgressione, nè la normalizzazione come convenuto ed ovvio di ciò che fu un tempo  ostentazione di scandalo, diversità e anomalia deviante.

Bensì l'ordinarietà infimo di una generica vita tranquilla quale meta ideale.

Leggendo V. S. Naipaul, L'Enigma dell'arrivo: " " i più anziani erano affascinati dalla disinvoltura e dall'audacia dei più giovani." p. 68    

 

 

Genio, poesia

 

Di certo li stranirò un'altra volta, i miei allievi, quando la scatoletta in cui è confezionata una marca rinomata di maionese, al rientro a scuola sarà il seguito che darò all' ironia provocatoria che ho fatto in classe con un mio caro allievo, che ne è tifoso, sulla nomea di "Genio" del calciatore Savicevic.

Riesumando Musil, ho malignato che se il genio del "montenegrino" appare capace, sul campo di gioco, di prodezze che esorbitano strepitosamente dalle mie infime potenzialità atletiche, di tale genialità appaiono più ancora capaci moltitudini di specie animali.

Ma non avrei acuminato tale strale, ho soggiunto, -quando il giovane allievo mi ha replicato che un "genio " Savicevic lo si definisce solo per gioco celia ,- se a inasprirmi non fosse la consapevolezza che quanti lo esaltano come tale, non onorano o irridono la vera genialità, che spesso per i più non ha che l'aspetto dell' imbecillità o della stranezza di cui ci si fa beffe. irregolare.

E così è per la vera filosofia, come ha modo di lamentarsi Karel Kosik, secondo il quale l' opinione pubblica moderna, la più temibile serva, usurpandone nome e titoli ne ha fatto l' ha ridotta a essere la sostanza di fondo di ogni opinione che ne esprima gli umori, e al cui servizio, pena il silenzio o lo scherno, deve porsi chiunque, filosofando, intenda divenire attuale e popolare e famoso ( Il potere tra maschera e volto, pagina 63-64 di un numero di Micromega del 1994 ), e così è se vi pare per la religione e la poesia...

Come mi ha ricordato poc'anzi la scatola del tubetto di maionese, quando ne ho letto la dicitura che ne esaltava il contenuto come " una vera poesia".

Un'innocente forma ironica di persuasione pubblicitaria, mi replicherebbe l'opinione pubblica nell'interlocutore di turno, squalificandomi in questo e per questo.

Quando invece così è in effetti appunto in realtà, e non è vero per niente il contrario della dicitura; e per la generalità dei miei contemporanei , pressocchè totale, la sola poesia che si gusta è emulsione e non in versi.    

           

 

 

Naipaul

 

C' è un ispirazione che in noi ci determina, di cui un libro o un evento, o un libro e un evento che si richiamano, possono essere l'occasione che la rivela a noi stessi.

Alcunchè di analogo rileva meravigliosamente Nabokov, in Intransigenze, ove pg.50 asserisce " Io so semplicemente che nella fase precoce di sviluppo di un romanzo..."

 

In tal senso L'enigma di Naipaul, che ho intrapreso a leggere, nel dare forma rappresentativa all' urbanizzazione moderna delle campagne inglesi di Salisbury, mi ha dato l'abbrivio a rappresentare a mia volta quella facies dell'universo agricolo, della mia provincia, di cui mi sono arrestato sempre sulla soglia, come allorquando l'altra domenica, quando con i miei genitori mi sono addentrato cautamente oltre i cancelli, su per le scalinate e nell'androne di quella magnifica corte rustica del Mantovano, poi non ho avuto occhi che per gli antichi attrezzi che vi erano fatiscenti- la zangola, la gramola, la cella in legno refrigerante, la pressa per panificare, -, che per gli affreschi aerei di grottesche ed erme egittegianti di fine settecento, per il rustico mobilio austeramente neoclassico del successivo secolo incipiente, che potevo rinvenire ancora in uso  nelle contigue stanze, allorchè l' anziana proprietaria afflitta di solitudine nella sua estroversione, ci ha accomodato con nostro piacere e interesse negli interni, mentre ricusavo di andare oltre, quando retrostante sulla destra, ci ha invitato a visitare la grande stalla moderna ove le vaccine, oltre duecento, dispongono anche degli alloggi esterni.

(Soffermandomi) arrestandomi  ove appunto l'intellettuale tradizionale non ha più interesse a procedere oltre, nell'esperienza e nella sua intenzione di dare forma d'arte al reale, per desolarsi piuttosto, nell' evenienza,( in tal caso), della desacralizzazione della terra e della razionalizzazione anonima senza più calore e intimità delle forme rurali.  

 

 

Per Cronaca di una perdita

 

 

Impettito

 

" Avessi io tanta grazia e bellezza, quale ne ha l'uccellino che si è appena posato sul ramo del pero.

Come filava di corsa squasando agitando e raccogliendo le ali, prima di decidere lì di appoggiarsi.

Come un monello che dovesse nascondersi a chissà quale birichinata...

Allora ha rallentato in un battito d'ali, è subito dopo planato sul ramo che ha oscillato mentre lui vi cercava un equilibrio, che ha raggiunto nell' istante stesso che il ramo è rimasto fermo, già impettito e slanciato come un elegantissimo principino del cielo.

E non ha che la livrea del più umile sevitorello...

Certo Diana , la mia canarina, come dice la zia Ersilia che per lei stravede, così elegantemente bianca e armoniosamente ora agitata e calma, sembra davvero una ballerina della Scala.

E Bibi di cui è invano vanamente innamorata, nella gabbia accanto, quando la sera si fa un silenzioso batuffolo di piume che ti fissa con due occhiolini incantati e nerissimi, prima di socchiuderli sotto l'ala ricurva, mi rapisce tutto come se fosse un angioletto uccellino.

Ma un passerotto è ancora più bello, a mio vedere,  perchè esso è già subito ciò che loro sono solamente con tanta cura, perchè è già tutto ciò che loro diventano ed è così più comune.

E l 0uno va e viene, e un altro sopraggiunge e vola via, poi scendi in cortile e ne vedi una frotta che si intreccia e bisticcia e sono ancora la stessa meraviglia, e così è sui tetti e sui fili e radenti i muri, lungo le strade e fra le siepi e sugli alberi...

L'uno muore e resta ogni altro uccellino, mentre se solo Bibì non canta più, o Diana sonnecchia e arruffa le piume più del solito... ma Tu o Dio buono, e Tu angelo custode dei miei uccellini, vegliate su di loro se mi sentite, fateli vivere per quanta è la carica che li muove a cantare e volare, anche se lo so e mi spezza per quanto e mi fa intristire, sapere che sono troppo giovane per non dovere vederli entrambi prima o poi morire.

 

  

 

 

Aggiunta

 

E' per questo che mi sono sentito stringere da un nodo in gola, quando la zia me li ha portati lo scorso anno per il mio compleanno.

" Mostri, in ciò che scrivi nei temi, di avere così tanta simpatia per gli uccellini, che ho pensato che due canarini non potessero che rallegrarti e riempierti di compagnia in voli e canti...

Non dovrai provvedere che a cibarli... Alla loro pulizia provvderà tua madre. Ma tu mi sembri così pensieroso e in ansia... Eh..."

*Non sono ancora passati due anni da che è morto Bill.

* E se penso ancora a che cosa ne restava da morto, che non era più che una cosa di peli e di carne una carogna di cui si poteva fare di tutto, a tutta la terra che è stata gettata sopra i suoi occhi aperti e il suo muso di cane ....

E' poi* vero che per noi uomini è tutto diverso? Che il buon Dio, come dice recita il catechismo,  ci ha creati per goderlo nell'altra vita in Paradiso?

Io ci credo e non ci credo, io... io sono felice di potere vivere sempre di nuovo in cielo con la mamma ed il babbo e tutti i miei cari, io a tanto ci credo anche se per loro non è vero niente me lo lasciano solo credere, piuttosto ma anche se vi confido, sento una tristezza enorme che in me non si contenta, e soffre anche se è così, al pensiero che il paradiso non sia concesso anche a Bill, e Bibì e Diana, e la mia micetta Caterina e il suo vecchio spasimante Gedeone di quand'ero bambino ...

che tutti loro debbano marcire e non essere più niente, loro così cari e buoni e innocenti, il caro Bill che mi faceva tante feste a ogni ritorno da scuola, e la mattino mi svegliava affettuoso leccandomi il viso, e che noi soli uomini possiamo salvarci, è una fine che trovo di un' ingiustizia inaccettabile e dolorosissima, e allora preferisco sia vero e quanto per me è più giusto ciò che sostengono il babbo e la mamma, quando facendolo tanto irritare, dicono al nonno che tra il pollo che sgozza e la nonna che è morta ed è in cimitero, "non c'è davvero nessuna differenza finale..."

 

 

dalla torre campanaria

 

Per Bibò ter

da rielaborare in La perdita

( Cronache di una perdita)

 Solo verso le sette di sera, ieri di domenica, sono riuscito a liberarmi degli affanni domestici e a riprendere con la bici la via della fuoriuscita dalla città, lasciato Bibò nella sua tulle alfine quieto al riparo da insetti e dal vento, io intanto lungo la statale e la strada secondaria insinuantesi, fra i campi, in una fragranza estiva di  sfoggio estivo di erba spagna di trifoglio e di boraginacee, lungo i rivi costieri del folto di un fossato continuo, oltrepassando già la borgata di case, in prossimità della meta,  che l' insolazione estiva antiquava nelle rustiche pietre canonicheggianti intorno alla Chiesa; nella pienezza estiva, della luminosità intorno, che rendeva mitica ogni siepe e calcinazione muraria, ogni solco di volto e ogni rugginio d'arnese della mia Padanìa estivantesi, a ogni corte un ardore luminescente, fuori del tempo, ogni giardino e fulgore di rose e gerani, finchè l'argine esterno si approssimava profilato di pioppi, e la risalita mi immetteva in una sequela di parchi e di aziende agricole lungo i declivi, di ingressi alberati e radure d' erba circostanti, nello splendore solare, dell' erba rada, delle balle cilindriche di fieno, ferma accanto la rotopressa, prima delle case basse del paese e delle sue locande, della pieve a ridosso dell' argine e del fiume maestro...

Lì, a una panchina di cemento volta al suo corso, nel far del tramonto ho concluso la mia corsa, ove il corso del Pò (dismette) scoistandosene, rilascia sull' altra riva litorali di sabbia, per frangere ed erodere in turbini d'acqua la riva erbosa sottostante, oltre i pioppeti riparata da massicciate arginanti. da arginature di massi.

E radenti le acque , e in su sfreccianti, era un viavai di rondini nel cielo, a pelo dell' acqua risollevandosi e riabbassandosi a ogni increspatura e flutto, per divagare tra i pioppi e traversare la strada d'argine fino ai campi e le case retrostanti, le più giovani le più inesperte e remiganti.

Poi è stata la volta di un aereo stormo di colombi, a dibattersi e planare lento e risollevarsi in alto, prima di riavviarsi alla torre campanaria in cui risiedono, agli antichi coppi e colmigni e alla grondature della pieve che ne è l'ospizio, ove altri colombi e tortore si crogiolavano nella smorzatura della calura e della luce diurna, già quietandosi al riposo notturno.

Come le cornacchie volte al fiume o alla vastità pianeggiante, controsera, lungo i fili e i cavi elettrici sospesi in alto, i passerottini che al mio sopraggiungere s'infoltavano in un cespo arbustivo o in un intrico già ombroso di rami, i confratelli piccioni e le consorelle tortore, conurbate, ritti ed erte sui fari luminosi dei viali di città.

Da tanta beatitudine di vita volatile, finchè al rientro in appartemento, acceso il video, ne era una eco l'ultimo canto di Bibò  al limitare del balcone dischiuso, me ne distorceva l' orrore bosniaco, riportato nei notiziari, degli scudi umani e degli ospiti di pace dell' Onu assunti in ostaggio dai serbi, dei giovani morti di Tuzla dilaniati in una sera come questa al caffè all' aperto, che quella notte sarebbero stati sepolti al riparo dell' oscurità delle tenebre nel cimitero islamico.

 

           

 

 

 

 

"Soggetti"

 

 

Con la madre con il morbo di Parkinson

 

Quel pomeriggio aveva evitato d' un niente la morte , all' incrocio che precede la scuola cui lei si stava recando per i colloqui con i genitori.

E la sera quando dall' alto del suo appartamento mi aveva visto per strada,- tornavo dalla cabina telefonica ove avevo telefonato a mia madre-, era tale il suo  bisogno di liberarsi dall' angoscia stranita di esserci ancora solo per caso,  che dall' alto mi aveva gridato l' invito a cenare da lei.

Io ho consentito senza esitazione, tanto era pressante ciò che avvertivo in quell' invito, in ciò che gridava, in quella voce, così acutamente da vincere ogni resistenza a distanza.

Nell' appartamento, come vi sono arrivato, mi ha presentato alla madre ottuagenaria che sapevo malata, una signora bellissima e rattrappita sul divano dal morbo di Parkinson.

" Mi ricorda il mio canarino, le ho detto, senza che lei potesse ancora comprendere quanto fosse magnificante  il mio raffronto, senza ch'anch'io potessi ancora intuire quanto fosse vero quel raffronto, tra due esseri illimpiditi e resi luminosi e incantevoli dalle loro limitazioni.

Più che alle contrazioni e ai deliqui facciali dell'anziana, ciò a cui ho dovuto quindi abituarmi, in vero, erano i profluvi di autodenigrazione della mia collega, o i soprassalti di parole crudeli rivolte alla madre, pur se costei era lì presente capace di intendere e di articolare parole, pur se inerme di fronte quegli eccessi improvvisi. che si alternavano a slanci subitanei di trasporto amoroso.

E'da vent'anni invero che deve accudirla, non potendo lasciarla mai sola, giorno e notte, con l'assistenza giornaliera al ogni mattino a domicilio di un' equipe di medici, e per giunta deve sostenere i costi di una domestica quando è in classe e fa lezione, cosicchè tutto il denaro che ha accumulato per acquistarsi con il riscatto l'appartamento dove vive, è andato nelle cure che le richiede la madre.

Non avevo che da attendere per questo che lei stessa mi confermasse, che la sua madre è divenuta la costrizione e la ragione di tutta la sua vita, l'essere che le nega ogni libertà ulteriore e la cui la fine sarebbe la sua stessa fine, la sua vita e la sua morte.

" Io mi suicido come lei muore...".

E tale è la sua apprensione per la sua madre del resto sanissima, che quando i bidelli bussano alla porta dell' aula dove sta insegnando per trasmetterle una comunicazione qualsiasi, la preavvisano di non allarmarsi poichè non si tratta dell' anziana signora di sua madre.

Mentre mi preparava il riso con i piselli e poi l' insalata di verdure e il petto di pollo, del resto, ciò che mi rivelava della natura di fondo del suo rapporto con la madre, non era per me che una conferma inesorabile di ciò che mi era stato possibile intuire fin da subito, per ciò che appunto dal mio asservimento alla cura amorosa del mio canarino in gabbia, ho appreso di ciò che si determina in simili casi.

Lui che canta, oltre i vetri, a una luce e a liberi voli che ignora siano la libertà che ha perduto, da sempre, entro delle le sue sbarre che lo limitano e lo rassicurano da ogni altro, l'anziana signora che come apprendevo dalla mia collega, un tempo era diventata la pianista che ora ignora di essere stata...

così come il marito morto era stato un violoncellista, con il quale si esibiva in concerti per l'intero paese, nelle sere d'estate, dai balconi della villa gongaghesca ch'era stata un tempo di proprietà del padre, prima che il fascismo e quota 90...

Seguitandomene a parlare, la mia collega  mi conduceva nella camera da letto  per mostrarmi il ritratto dei suoi genitori quando erano ancora due magnifici giovani, con il fare di riguardo e l' invito, seguitante,  a che la compatissi e le usassi pazienza, per avermi arrecatodi chi può ancora arrecare con i suoi casi noia e disturbo (di chi può ancora arrecare) con i suoi casi noia e disturbo, come se avesse dirottato il corso di chissà quali miei interessi superiori, e anzichè distrarre e distogliere non avesse venisse invece concentratondo su ogni cosa che diceva, e faceva, la mia presunta genialità ed arte di scrivere cui aveva alluso presentandomi a sua madre...    

Sulle fortune avite e la disgrazia economica del nonno materno, di cui intanto mi narrava, il quale pur in tempi di agiatezza, non già gli averi che loro veniva lasciando, ma i titoli di studi acquisiti dai figli, considerava la vera eredità che trasmetteva ad essi.

Lei aveva dovuto invece crescere nelle strettezze economiche, figlia di un matrimonio d'amore in tempo di guerra, fra la madre divenuta disagiata e il padre ch'era segretario, dopo anni di un innamoramento sorto guardandosi da una finestra all' altra di fronte, e quando lei aveva intrapreso a frequentare l' Università, ciò le era stato possibile per i sotterfugi messi in atto, e i risparmi di volta in volta messi da parte da sua madre, alla cui determinzione aveva dovuto arrendersi il marito, che solo ai figli maschi, come si faceva allora, intendeva fossero riservati gli studi e superiori.

Per anni e anni avanti e indietro da Bologna,da mattina a sera disponendo solo di una mela e un  po di pane, copiando e ricopiando appunti dai libri presi in prestito.

Nonostante la sua rigidezza che le aveva inflitto, il padre morto a ottantasei anni, restava per lei un mito ch'era inscalfibile, come un mito era la figura che mi evocava del più illustre ospite della illustra dimora gozaghesca del nonno, il cardinal Federigo Borromeo in cui per lei erano indiscernibili realtà storica e invenzione manzoniana.

Come benchè me ne convalidasse la debolezza soggiacente alla inflessibilità dei modi, un mito di genialità efficiente era per lei la figura del nostro Preside, su un piedistallo che lo faceva sovrastante ogni oltraggio.

Parlandomene mi apriva gli occhi sulla follia delle nostre colleghe che per lui spasimavano, votate all' impossibile da un'animalità mentale e di tutto il loro essere, prima ancora che sessuale, che non voleva arrendersi al vero e ancora delirava e s'irretiva.

Illusa colei che in gita a Parigi, anni or sono, lo vedeva in ogni volto d'ogni quadro, che fosse per la sua pinguedine che la ricusava, la pinguedine in cui s'era più ancora ingrossata e sformata per saturare il dolore, smagrendo la quale seguitava a credere di poterlo ancora attrarre.

E un'altra,  s'era rovinata l'esistenza non potendolo sposare, quando aveva accettato per questo il matrimonio con un uomo infimo.

E tanta follia, tra me dicevo, perchè succubi ottuse dell' imago maschile, perchè incapaci di non pensare la loro vita che al servizio di un uomo...

 

Seguito

 

" Voi uomini siete più forti di noi, più capaci di difendervi meglio, perchè siete capaci più di noi donne di convertire la frustrazione dolente in energia di attività ulteriore.

Invece la nostra collega, quando vedrà che è ancora inutile, non farà che ingrassare ancora di più fino a infartare.

 

la madre nel deliquio, poi reclinata sul divano.

 

la mia solitudine artistica a confronto della sua, lei che mi chiede ragione della sua passione per ciò che è formalmente armonioso e perfetto, ma vuoto di senso, che mi interoga su che mi dia l' essere di fronte solo a un computer continuamente a scrivere, illusioni, ancora illusioni, discorrendo della comune paura degli affetti familiari, dell' angoscia che le sarebbe insostenibile, se lei avesse un figlio da attendere che rincasi la notte, e l'ebbrezza del mio stato di irresponsabilità sentimentale che la affascina, quando le dico che tra me e la morte, ossia il darmi morte, si interpongono solo i miei cari, poichè se fosse per i miei fratelli o chi mai altri...  

rigettando l'umano, quanto più la mia affettivitàumanizza il mio attaccamento per il mio mio canarino che devo tornare ad accudire...

Anche perchè, la vecchia madre intanto l'aiuto a ricondurla nel suo letto, il suo chiedermi come mai questo e come mai non quello, m'avverte che come temo in ogni colloquio che per me si fa intimo, lei sta invadendo la mia diversità, mi sta chiedendo di renderne conto, non capisce la necessità che su di noi incombe e rende differentemente ogni cosa impossibile o possibilissima, in cui siamo agitati e nella quale soltanto possiamori sollevarci...

E giù l'aria per strada, primaverile, è una fresca accoglienza invitante.                 

 

 

 

 

 

Il premio e il congedo

 

Un soggetto in progress dei più meritevoli di un racconto, la situazione che vengo vivendo: che consiste nell' impasse di non potermi recare a ricevere il premio Assisi per la mia opera letteraria, perchè quello stesso giorno io debbo presenziare allo scrutinio di un allievo che ho in affidamento per attività alternative; non più di cinque minuti di presenza per esprimere un parere che può essere ufficializzato e allegato solo se non è decisivo,  sempre che non accetti il sotterfugio del congedo straordinario per malattia, il che mi costringe dovendo così a nascondere alle vivere presso le istituzioni scolastiche come una latitanza colpevole, in cui posso essere sorpreso in flagrante da una immancabile visita fiscale a domicilio , il riconoscimento pubblico della mia opera letteraria dopo quarant'anni di clandestinità per se stessa umiliata.

E nemmeno posso parlarne come di una contraddizione istituzionale, di una fatalità burocratica che impedirebbe la " consacrazione" o il " coronamento" a un più alto grado, di un'attività altrimenti apprezzata, quando è stata svolta al suo interno nell' intento di divulgarsi, ma di una consequenziale stroncamento di quanto di me è stato sistematicamente vilipeso e degradato e vanificato, nella riflessione reciproca della condotta di superiori e allievi e colleghi, gli uni a insolentirmi alle spalle e di nascosto e gli altri a non tutelarmi o a sottrarsi, e per anni e anni, gli uni a imparare  altre materie che le mie, gli altri a impormi orari quale le ultime ore del pomeriggio e del sabato e le prime al rientro il lunedì, a chiedere a me soltanto ragione e conto delle insufficienze inflitte..., con il vincolo conseguente al mio impegno profuso che ne deriva, che quale che sia la considerazione o il credito in cui mi tengono, e pur se di loro poco mi cale, io che qualora mi "congedi" vengo per questo meno alla coerenza con cui ho difeso la dignità del mio insegnamento ogni volta, che disatteso, ho perseguito ogni assenza di comodo degli allievi puntualmente (sempre) giustificata dalle famiglie e convalidata allato dalle autorità scolastiche, mancando a tutto il mio insegnamento ciononostante, se foss'anche per tali mie ragioni mi sottraggo vengo meno agli obblighi di servizio...           

 

 

Altro

 

Oggi ero piuttosto in vena di trarre il diritto dal rovescio, di intendere l' impedimento burocraticoo- scolastico a ritirare il premio, come un fortunato preservativo del mio modus vivendi.

" Tu vallo a dire a un altro, mi dicevo, che ne soffri e ne stai indicibilmente patendo.

Quando ti è arrivato l'annuncio della data, la tua agitazione febbrile non ne è stata soddisfatta, finchè scorrendo il calendario degli impegni scolastici, nel folto delle 2K e H e K, ha rinvenuto per quel pomeriggio l'impedimento auspicato del consiglio di classe in cui era scrutinato il tuo allievo di Attività alternative.

Certo, avrai mancato l'occasione di contatti con editori e agenti e consulenti editoriali, ma hai così l' alibi e la giustificazione per restare ancora oscuro e clandestino, per non emergere e apparire su schermi e ribalte, e personificare ancora, invece, la vittima  affossata nella mortificazione civile di provincia, e vi muore disconosciuta e vilipesa in vita, secondo il solo ruolo e i soli panni che riesci a vestire e in cui riesci a impersonarti artisticamente. . per rimanere nel guscio che mi ha secreto, quale magnifica scusante. per rifiutare di apparire e di emergere, per non sforare schermi e ribalte, e  accampandomi nel mio ruolo  insuoperabile di vittima

Così, ah....., niente premi o riconoscimenti da ricevere, al termine di scalini da salire con il cuore che si dibatte e le gambe che ti vacillano, mentre tra il fragore degli applausi la testa è stordita e annichilita in un simil-vacuo sorriso, dal senso della vanità di gloria e di successo... E il discorso di rito che devi pur leggere e non riesci a leggere, tanto la voce smuore a ogni senso e significato...

E le richieste di interviste da stornare, le felicitazioni sotto il cui gravame schernerndoti ti senti mancare, tanto ti schianta il senso del suo dilettantismo in versi e della tua ignoranza vergognosa.

Dio mio come potrei prendere la parola, già ansimavi, presumere di avere alcunche da dire di autorevole in risposta, se non ho letto che così questi pochi poeti e letterati nazionali, se anche i Saggi di Montaigne o... no, solo un falso vittimismo che non ha motivo che di felicitarsene, può credere che l'impossibilità offertami sia davvero uno smacco, al punto da disperarmene atrocemente, da perdere ogni appetenza per la scuola e irrancidire...

Quale agnello di remissività sacrificale puoi invece farti, ligio alla doverosità scolastica fino alla feccia del più amaro calice...

seguitando ad essere ignoto, in ciò che vali, a una ragazzaglia che ti accoglie come un individuo ridicolo che non è che un culo che non è patentato e non va in automobile, che ogni mattina arranca a scuola perennemente in ritardo in bicicletta, non altrimenti che per tornare a fare lezioni a classi che ben poco apprendono o recepiscono, in orari stilati da un Preside per il quale deve fungere e defungere sino al pensionamento da tappabuchi, tra colleghi che alla prova dei fatti ti usano e ti invalidano e non ti sostengono, quandoi anche solo chiedi di non passare oltre, e per i quali tutti per quanto tu ceda e desista, è sempre troppo che chiedi o pretendi, -indifferenti e consenzienti che anche come è accaduto Venerdì scorso, a riesulcerarti, gli allievi più vicini alla scuola profittino dello sciopero degli autoferotranvieri per disertare le tue ore di lezione, mentre tu per non mancare a uno scrutinio di un solo alunno, in cui ciò che puoi dire vale solo se non è decisivo, sacrifichi di essere presente e di valerrtti, del primo riconoscimento che ti sia stato pubblicamente tributato come artista a siffatto livello..."

Solo che oggi, a rincarare la dose riacuendola in una somministrazione atroce, ho visto che sul giornale ufficiale di Istituto elettronico dal titolo cazzesco di Pysellis, figuravo tra gli insegnanti esposti a caricatura e satira degli allievi, che vi è ammessa anonima e con obbligo di sottostarvi del sottoscritto, così come anonime e senza che possa frapporvi resistenza, sono le contumelie che mi investono in Istituto alle spalle e dalle finestre ovunque vi giri.         

 

 

 

 

Alla Gazzetta di Mantova

 

Egregio direttore,

per dirle quale sia lo spirito morale e civico delle nostre scuole, mi basta comunicarle che ieri mattina,quando ho scorso l'indice del programma del giornale elettronico ch' è l'organo  ufficiale del mio Istituto, il cui nome PYsellis non si ispira che a rilevanze che a eventuali benemerenze nientaffatto non certo mentali dei nostri allievi, ho verificato che avevo l'onore di figurarvi tra gli insegnanti soggetti a satira e caricatura vincenti, cui sarei obbligato a sottostare senza alcuna previa mia consultazione e sotto la protezione dell' anonimato dei suoi autori, stando ai termini del bando scolastico di tale concorso, cosi come è da anni che sono obbligato a sottostarvi alla mia irrisione di culo  non patentato, che sotto uguale protezione dell'anonimato mi raggiungee alle spalle o mi piove dall'alto delle aule di siffatta istituziuone scolastica, o per bocca di suoi frequentanti mi denigra nei bar dove in provincia di Mantova stazioni  come cicloamatore. 

Con buona pace dei miei colleghi progressisti e delle autorità scolastiche di Istituto, che nell'iniziativa si riflettgono specularmente e se ne pregiano. 

 

 

Al Provveditorato di Mantova

 

Al Provveditorato agli Studi di Mantova

 

Egregio Provveditore

 

quale insegnante dell'Itis di Mantova, intendo  comunicarLe che ieri mattina, quando ho scorso l'indice del programma del giornale elettronico ufficiale del mio Istituto, il cui nome PYsellis indubbiamente non si ispira che a rilevanze niente affatto mentali dei nostri allievi, ho verificato che avevo l'onore di figurarvi tra gli insegnanti soggetti a satira e caricatura, cui sarei obbligato a sottostare senza alcuna previa mia consultazione e sotto la protezione dell' anonimato dei suoi autori, stando ai termini del bando scolastico che è stato emanato di tale concorso, cosi come da anni sono obbligato a sottostare alla mia irrisione di culo, non patentato, che sotto uguale protezione dell'anonimato mi raggiunge alle spalle o mi piove dall'alto delle aule di siffatta istituzione scolastica, o per bocca di suoi frequentanti mi denigra nei bar dove in provincia di Mantova stazioni  come cicloamatore. 

Con buona pace dei miei colleghi progressisti e delle autorità scolastiche di Istituto, che nell'iniziativa si riflettono specularmente e che se ne pregiano.

Le si fa presente che di siffatta bella iniziativa il testo sarebbe un esemplare vincente, sotto la supervisione del professor Marozzi.

Si allegano:

a) il bando del concorso;

b) quanto ebbi già vanamente a far presente al Preside R. Freddi.

Mantova, li                    Odorico Bergamaschi

                               insegnante di Italiano e storia nelle clasi 1C e 2C del Biennio dell' Itis di Mantova.

 

 

anche sabato pomeriggio

 

Ne stava parlando a un'altra una mia cordiale collega, notoriamente e per autoconfessione svogliatissima, ignorando di tramare il seguito del mio rovello senza risoluzione che non sia drammatica,...

" L' ultimo giorno li ha fatti venire nuovamente e di pomeriggio, pur di sorprendermi che non fossi in casa, Lui..."

Lui ovviamente il nostro Preside, che si è avvalso delle sue prerogative per promuovere nei suoi riguardi una visita fiscale ogni giorno per il quale si è protratta  una sua asenza per motivi analoghi ai miei, dovendo ella giustificare per ragioni di salute la Sua assenza a uno scrutiniodi un allievo che aveva nelle ore alternative.-  

" Anche di sabato li ha fatti venire?- è stata la mia domanda deltutto interessata.

" Era appunto un sabato pomeriggio l'ultimo giorno del mio congedo. Se è per questo Lui può farli venire anche di domenica...

In ogni caso le fasce orarie in cui èprevista la visita ed entro le quali devi essere reperibile in casa sono tra le 10 e le 12 e tra le 5 e le 7 del pomeriggio."

Sono senza scampo a questo riguardo, mi sono detto, seguitando a parlare d'altro con il cuore che si metteva in pace. Ma fino a quando?

Dovrò sperare nelkblocco indetto dai Cobas o da qualche altro sindacato di base?

O non è forse meglio dire al Preside il tutto, e per iscritto, dicendogli che mi è comunque impossibile e irrinunciabile non presenziare alla consegna dei riconoscimenti e dei premi, e che dunque sono pronto piuttosto ad andare incontro ad ogni eventuale sanzione che ad adempiere etecetera etcetera i miei obblighi di servizio?

E' una soluzione, in ogni caso.

Seguito intanto a venire a scuola, ma a non essere a scuola, sveltendo il disbrigo di ogni incombenza di interrogazioni e compiti in Classe.

 

 

Gioco, partita, incontro

 

Senza sbocchi per pubblicare ed accedere a una vita ancora di viaggi, come un Chatwin e un Naipaul, una volta terminata la revisione di tutto quanto ho già scritto, non fosse per l'uccellino con il  quale convivo, per la cura che gli debbo fin che ha vita di farlo vivere al meglio, ho solo voglia che al più presto finiscano gioco, partita, incontro, inetto o impossibilitato  quale mi sento a sortire da una vita che non sia l'inutile sforzo che mi divide tra l'insegnamento e le cure domestiche, sempre meno il tempo e il denaro per scampare a tanto insensato  spreco di me stesso, mortificato per ciò che tarpate le ali figuro comunque mi eserciti eserciti l' insegnamento, con un minimo di decorosità e di insulso senso del dovere.   

 

 

Il Preside

 

 

Nodo di rapporti

 

Il Preside ora che più che mai l' ho posto e si è posto a distanza, si colloca sullo sfondo delle mie vicende che si annodano.

Dopo che ho vinto il ricorso, nè io ho assunto atteggiamenti sfrontati nei suoi riguardi, nè lui ha teso a ritorcermisi contro.

Solo ho chiesto che mi svincolassse dai colleghi che avevano agito com'io ho agito nella circostsanza in questione, e che all' atto della sua sanzione non mi erano stati solidali.

Mentre di fronte al perenne ritardo con il quale prendo servizio,  di benchè pochi minuti, si è limitato a sopportartli.

In quei ritardi immancabili si precipitano le mie piccole avventure palpitanti quotidiane, le mie sfide e disfide contro un tempo che ha sempre la meglio, le mie nevrosi ansiogene e  la mia valvola di sfogo e di resistenza anarchica, nonostante l'affanno,  contro le pressioni frustranti delle obbligazioni mondane misconoscenti, la reazione del mio genio spirito a tutto ciò cui deve sottostare e soccombere, la rivalsa di ciò che è più urgente e importante su ciò che è prescritto : la doccia rinviata al mattino poichè mi è vietata e preclusa dai regolamenti condominiali dopo le dieci di sera, l'abbigliamento e la toeletta per essere all'altezza delle relazioni in cui entro, l'appartamento che deve essere lasciato in ogni suo aspetto in ordine come assilla il richiamo materno, il ritorno alsuo interno sui miei passi non una, ma due e tre volte, per riaccertare che sia volta allo spento ogni manopola del gas, chiuso ogni spiraglio e rubinetto, nonchè serrata la porticella della gabbia dell'uccellino al sicuro, di cui sfori io quel che sfori, con il nuovo spicchio di mela fresca va indifferibilmente soffiato via dalla mangiatoia ogni relitto di guscio, a riaffermare quanto più valga questa cura che quella di essere un tappabuchi o un vigilante scolastico .

Poi il tragitto una vera Odissea, quando in senso vietato devo accedere al viale sino all'Ospedale, sulla bici che ha un freno guasto e usurati i pignoni, raffrenare al' incrocio per cedere il passo a questo o a quel bimbetto diretto alla scuola materna laterale, e infilare con il batticuore il rettilineo sino al passaggio livello, nel timore o nell' angoscia di vederne abbassare le sbarre; al segnale luminoso , se sono ancora in tempo, accelerando la pedalata o prendendole d' infilata, le sbarre calanti, prima che lo strappetto che sale all' Ospedale mi mozzi il fiato già trapelato.

Verso il rosso del' incrocio a destra, ove cerco di guadagnare tempo, di non dovrere cedere il passo o la precedenza curvando quanto più è possibile a destra, e dunque il rettifilo di lato alle camere mortuarie, quando siamo già tra la prima e la seconda campana che suona in classe, la discesa a destra ove si divalla nel quartiere prospiciente, l'edicola cui non posso fermarmi a prendere il giornale, o forse sì, pigliandoli di corsa e dicendo come già sanno che pagherò più tardi, per ridiscendere un poco e infilarmi e risalire il sottopassaggio che infine immette nella scuola, con il passo che rallenta allo sgranaredei pignoni al cambio in salita, la bicicletta buttata conro ilmuretto, nel corridoio correndo a perdifiato senza nemmeno ritirare il registro....                    

 

 

Un anno dopo

 

Seguitando gli scritti sulla nota disciplinare precedenti del 94

 

Quindi d'estate m'è giunta la comunicazione che avevo vinto il ricorso.

I miei rapporti con il mio diretto superiore sono quindi rimasti quanto mai sporadici e rarefatti, lui che non interviene sulle mie solite mancanze e certi eccessi di disperazione nei miei rapporti e nell'attività scolastica, io che mi limito a comunicargli dissensi e lamentazionio in forma epistolare, il mio dissenso sul suo atteggiarsi in modi di gran dispetto contro l'autogestione, la mia esacerbazione per le intemperanze dei frequentanti i corsi di recupero esterni alla mia seconda.

Ma se quando mi sono assentato ho chiesto a mia madre che gliene telefonasse le ragioni, è perchè nonostante tutto ne diffido e ne insopporto il presiedermi, perchè lo avverto come un ragno che attende l'occasione ghiotta e propizia.

E' radicale la mia avversione pregiudiziale, certamente patologica, tant'è che me ne guardo a ogni modo dall' avvisarlo sul riconoscimento del premio letterario, nonostante il consiglio a muovermi in tal senso di un solo collega.

" Ci tiene a queste cose, al prestigio che ne deriverebbe la scuola..."

E'sua facoltà spostare lo scrutinio concomitante, lo potrebbe fare, di certo, " solo che ti lascerebbe nell' attesa e nel vago, e poi? Se ti dice di no?"

Quale migliore occasione, può presentarglisi, per tessere la tela e tirare ilfilo, intrappolarmi soccombente nella rivalsa dell' esercizio della sua autorità superiore.

Mentre s'io mi presentassi allo scrutinio di prima che lui presiede, il lunedì seguente, con le grisaglie e le gramaglie esteriori del sacrificio estremo così consumato agli obblighi di servizio, che non potrei non comunicare agli astanti perchè tengano conto delle condizioni in cui prestassi servizio, certo gli risulterei  in tutto e per tutto invincibilmente superiore, in ingegno e in ottemperanza al dovere scolastico.

Ma a prezzo d'un atto estremo di imbecillità, succube a ciò che devo o non devo a rane e ranocchi e i re rospi della palude scolastica, a ciò che gracidino o sentimentalizzino o estroflettano al mio indirizzo.

Seconda la favola stupida e stolta, del riconoscimento del Principe- cigno nell'anatroccolo che il cortile dileggia.

E in luogo del natio borgo che n'è confuso, e sbalordito, di ogni aula che plaude, del condominio che plaude e ti sorride, dell' intero quartiere e città che ti sorride e rende onore...   

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La poesia non salva la vita

 

Mèsdames et mèssieurs,

en me réferant pas à vous, icì élevès partecipiants, mais à la géneralitè maioritaire de mès connationaux, il m' embarrasse ( il m'est presque impossible) de parler de poesie ou quand meme de culture en italien à des italiens majoritaires. C'est le meme que de parler de l'humain à la generalité des hommes (etres humains).

Mais malheureusement je ne connais que quelque langue humaine, je ne connais pas le language des fleurs et des animaux, et mes pauvre mots, artificiaux, n'ont nì le charme choisì nì la naturalitè cultivée d' un  Harzel ou d'un Malinois, mais en ayant quand meme à vous parler, j'ai du rèplier sur la langue que je parle mieux àpres ma langue maternelle. la langue que je parle mieux àpres celle plus maternelle de mom patois.

 

 

Signore e Signori qui convenuti,

 

sfortunatamente, malheureusement, io non conosco che qualche lingua umana, io non conosco alcuna lingue animale, e le mie parole artificiali, per quanto da Voi onorate, non hanno nè il fascino squisito nè la naturalità coltivata, del canto di un Herzer o di un Malinois, ma dovendo ciononostante, ora nel parlarvi, convertire in alcunchè per voi di significativo ciò che resterebbe altrimenti una circostanza di rito, mentre Domine non sum dignus vado ripetendo a me stesso, E in termini italiani Et en termes français, sono qui semplicemente per ribadire, sommessamente, nonostante tutto, che la poesia che nella mia opera si magnifica e si celebra, eppure  non salva alcunché e la vita, che nessun atto di bellezza o alcuna forma estatica che sia stata messa in atto, può redimere l'orrore di inscenare la natura umana messa in atto.

Anche il verso più fascinoso bello che io possa avere composto espresso, non può che disperare di impotenza e nullità insignificante, di fronte a quanto costituisca anche  un solo atto di bruto scherno, che sia condiviso, della natura generale degli uomini che siano intenti a ribadirsi come tali.

Può essere, al più, per quanto si sia complici e implicati, dei succubi o dei riflessi dell'ostile, solo il grido di soffocazione o di una irriducibilità sensibile reietta, l'esibizione ferita di se stessa, di ciò che è sensibilità delicata e evasiva contemplazione di incanti o aspirazione ancora ad altro e ad oltre, al cospetto dell'abominazione imperversante di ciò che è genitalità mentale e abominio di soggezione e di potere.

E dunque, nel rinviarvi, di me, alle mie sole parole scritte in prosa e in versi, cui va espresso un vostro eventuale riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva irrilevante che soggiace all' attuale, ed ove per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale profondo, appare comunque prefigurato quale mio destino e d'altri, in questo tempo storico, l'avere a vivere nel farsi villaggio globale del natio borgo selvaggio, in un degrado che è oramai un "regresso a vita", per il quale non solo di questo Paese che come l'Austria di Bernhard, può apparire oramai " soltanto una rimanenza in liquidazione della storia spirituale e culturale" dell'Occidente, nella mia deposizione pertanto dunque di queste crisalidi che sono il lascito dell'uomo che sono stato, devo ribadire che per quanto il mio io scritturale sia mutato, eppure come quell'io che vi si muove estatico e sgomento, (in simbiosi con il mio io che ancora ha una biografia anagrafica,)  non può che consentire, unanime, col volo atterrito dell'uccellino che accudisco e che mi sfugge, poichè e non crede ad amore e cura e dedizione che gli porgo.

Troppo io difetto o sono stato indotto a difettare altrimenti di fede e speranza e carità, per avere altro da lasciarvi che qualche mio miracolo di eccesso mentale fuori del tempo e controsenso, che tale è oramai un atto estetico nel mondo.

E non vi sembri scortese, conclusivamente, se i miei versi, qui in Assisi, mi è grato saperli destinati alla fine destinarli, e saperli destinati, nonostante tutto, di innanzitutto a tutti i fiori e gli altri animali del mondo.

( Eppoi, parlare ancora di poesia in Italia e in italiano...)

E se li destino oltreche a voi e ai miei cari e defunti, più in generale, a ogni vittima del nostro essere qui riuniti e superstiti a vivere ancora.

 

 

La poesia non salva la vita

 

Mèsdames et mèssieurs,

en me réferant pas à vous, icì élevès partecipiants, mais à la géneralitè maioritaire de mès connationaux, il m' embarrasse ( il m'est presque impossible) de parler de poesie ou quand meme de culture en italien à des italiens majoritaires. C'est le meme que de parler de l'humain à la generalité des hommes (etres humains).

Mais malheureusement je ne connais que quelque langue humaine, je ne connais pas le language des fleurs et des animaux, et mes pauvre mots, artificiaux, n'ont nì le charme choisì nì la naturalitè cultivée d' un  Harzel ou d'un Malinois, mais en ayant quand meme à vous parler, j'ai du rèplier sur la langue que je parle mieux àpres ma langue maternelle. la langue que je parle mieux àpres celle plus maternelle de mom patois.

 

 

Citazione da Intransigenze, Nabohov, pg. 50 " IO so semplicemente che nella fase precoce di sviluppo di un romanzo..."

 

Signore e Signori qui convenuti,

 

sfortunatamente, malheureusement, io non conosco per apprendistato che qualche lingua umana, io non conosco alcuna lingue animale, e le mie parole artificiali, per quanto da Voi onorate, non hanno nè il fascino squisito, nè la naturalità coltivata, del canto di un Herzer o di un Malinois, ma toccandomi ciononostante, ora nel parlarvi, convertire in alcunchè per voi di significativo ciò ch' è cio che resterebbe altrimenti solo una circostanza di rito, mentre Domine non sum dignus vado ripetendo a me stesso, E in termini italiani Et en termes français, sono qui semplicemente per ribadire, sommessamente, nonostante tutto, che la poesia che nella mia opera pur si magnifica e si celebra, eppure  non salva alcunché e la vita, che nessun atto di bellezza o alcuna forma estatica, cui si sia pervenuti, può redimere l'orrore di inscenare la natura umana.

Anche il verso più fascinoso bello, che io possa avere composto espresso, non può che disperare di nullità impotenza e nullità insignificante, all' impatto anche di fronte anche a un di un solo atto di bruto scherno, condiviso, della natura generale degli uomini che siano intenti a ribadirsi come tali.

(Può essere, al più, per quanto si sia complici e implicati, dei succubi o dei riflessi dell'ostile, solo il grido di soffocazione, o l'autoasserzione, di una irriducibilità sensibile reietta, l'esibizione ferita di se stessa, di ciò che è sensibilità delicata e evasiva contemplazione di incanti o aspirazione ancora ad altro e ad oltre, al cospetto dell'abominazione imperversante di ciò che è genitalità mentale e abominio di soggezione e di potere).

E dunque, nel rinviarvi, di me, alle mie sole parole scritte in prosa e in versi, cui va espresso un vostro eventuale riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva che le ha secrete,  per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale pE dunque debbo così mestamente rinviarvi alle mie sole parole scritte, siano esse in prosa e in versi, cui va rivolto se ne sono degne cui va espresso il vostro riconoscimento, anzichè alla mia infima e piuttosto altrimenti irrilevante larva di persona, nelle cui tracce  per chi non sia interessato a ciò che vi è altrimenti più formale profondo, appare comunque prefigurato quale mio destino e d'altri, in questo tempo storico, l'avere a vivere nel farsi villaggio globale del natio borgo selvaggio, in un degrado che oramai vivo come un "regresso a vita", e non solo di questo Paese nel suo retaggio altissimo, che come l'Austria di T. Bernhard, purtuttavia, appare destinato a farsi, in un futuro prossimo e remoto," soltanto una rimanenza in liquidazione della storia spirituale e culturale" dell'Occidente.

Intanto che nel depositare nella mia deposizione pertanto editoriale dunque di queste crisalidi, che sono il lascito dell'uomo mentale e immaginale che sono stato, seguito a devo pertanto ribadire che per quanto il mio io scritturale sia mutato, eppure come quell'io che vi si muove estatico e sgomento, (in simbiosi con il mio io che ancora ha una biografia anagrafica,), lo scriba attuale egli non può che consentire, unanime, col volo atterrito dell'uccellino che accudisco e che mi sfugge, e non crede ad amore e cura e dedizione che gli porgo.

Troppo io difetto o sono stato indotto a difettare altrimenti di fede e speranza e carità, per avere altro da lasciarvi che qualche mio miracolo di eccesso mentale fuori del tempo e controsenso, che tale è oramai una forma artistica un atto estetico nel mondo.

E non vi sembri particolarmente sconfortante scortese, conclusivamente, se i miei versi, qui in Assisi, mi è grato saperli destinati alla fine destinarli, e saperli destinati, marcescente, nonostante tutto, di innanzitutto a tutti i fiori e gli altri animali del mondo.

( Eppoi, parlare ancora di poesia in Italia e in italiano...)

E se oltreche a voi ed ai miei cari, vivi e defunti, li destino più in generale, a ogni vittima del nostro essere qui riuniti e superstiti a vivere ancora.

 

Mantova, 1995

 

 

Le regole del gioco

 

Ogni accordo o intesa raggiunta, ogni nuova regola del gioco (regolamentazione), é come la normalizzazione del degrado di un regresso a vita ( è come la normalizzazione di un irreversibile degrado).

 

 

Macchie oculari

 

Ora che non ho più che macchie oculari,

che sensori del vilipendio da cui difendermi,

nel ripercorrere lo stesso tratto di mortificazione

fra i vigilantes, insonni,

anche sull' accorrere di sparuti uccellini

al mio balcone deserto,

al balcone deserto,

desolata di ospiti anche la quella piccola ciotola,

eppure affranto dall'incombenza negli umani riguardi,

di schianto in schianto di esagitati affanni,

nell'eccesso ferito sui doveri degli atti,

senza più rotte a uno squarcio di miraggi di varchi nei cieli,

senza più il lascito, ancora,

per ancora altri popoli e vestigia e miseria,

ricurvo, ogni giorno di nuovo,

su altri rifiuti e polvere di pochi metri quadri,

vita e morte, ogni splendore glorioso,

eppure risorgono in limpidità d'incanto,

sono la luce che sfolgora ancora nella magnificenza dell'alba, nell'alba che infresca,

madida di essa i suoi quegli atti dimessi,

non sono più per la mia vita che un canto volatile,

vita e morte riattinte riattinte, oltre l'oltraggio e la vanità del tempo,

nel becchettio riattinte che ne sostenti il suo canto volatile,

nel nutrirlo ancora di miscelati grani

nell'esserino che è il tutto nella sua gabbia del futuro che resta,

nell'esserino inesausto di inebriarsi 

che nella sua gabbia è quanto futuro mi resta,

per pietà chiedendo ancora all' Angelo soccorso di vita

finchè concorso di vita vi sia nel suo anelare alla luce nel canto,

nel suo trascorrere quieto di semente in semente indorato di luce,

soccorso di vita fino a quando, soltanto,

la mia sospensione del canto possa ancora confortarsi ancora

di suoi suoni d'acqua,

per pietà ma chiedendo allora soccorso di identici battiti, di morte,

non un solo istante attimo, di più,

come quando il capo sotto l'ali in lui reclini nel niente sonno per sempre,

dispento l'esserino per sempre alla quietudine ed al moto.

Fino ad allora Esaudendo(mi) il sostento (possibile)  della sua grazia soltanto, di quietudine e moto,

il mio cammino ancora di polvere e rovi fra gli uomini.

Che resta, esaudendo il sostento della sua grazia soltanto,

in di quietudine e moto,

del cammino di polvere e rovi fra gli uomini. 

Esaudendo il sostento della sua grazia soltanto

in di quietudine e moto,

che resta del cammino di polvere e rovi fra gli uomini.  

 

 

Temi poetici

 

L' ardore di Ero e di Leandro, la spina nella carne di uno sposo divino,

che tramutò in coppiere del proprio Signore il derviscio,

il vecchio decano nel trasfuga del nerbo,

che in una notte così o nel risveglio dell'alba

sognò mille e una altre notti incantesimali,

presagì nell' allodola fugace solo la morte ad unirci,

è in una sera di voli il grano che rideponi con i sali

d'alimento a uno stupido uccellino che non varia

e ripete con il canto il suo istinto di terrore,

di stupore a ciò che non sia moto e quiete,

esultanza di canto o voracità di cibo.

Eppure qui è pienezza e sazietà d'affetti,

respiro di vita, intimità d'accordo.

 

                                              24/5/95