Viaggio in Libia

 

 

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Sabrahata, 7 agosto

 

" Vorrei poteste sentire, quant'io sia contento di essere qui a Sabrahata", dicevo al vigoroso libico che mi parlava gentilmente in Italiano, con lui attardandomi  all' ingresso degli scavi, prima di entrarvi, per godere ancora del ristoro dell' ombra di un atrio; gli occhi che balenavano svariavano oltre i cancelli, e il folto dei pini, già esaltati dalla vista a stagliarsi, sui fondali del mare, delle quinte e delle cavea del grandioso teatro, finalmente lì presente, a materializzarsi, come finalmente ero e sono in Libia.

Da Medenine sono ero arrivato a Ben Gardane ch'era già pomeriggio, troppo tardi per disporre del tempo utile per delle possibilità di cambio in nero, che fossero più favorevoli di quelle -  due dinari libici per uno tunisino-, cui mi sono piegato sono sottostato   nelle trattative con quel gruppo di giovani smazziatori di banconote che mi sono venuti incontro all' incrocio centrale del paese; dei quali il bel ragazzo dai magnifici occhi verdi, intriganti, mi giurava che di cambi non ne sussistevano per me di più favorevoli, mentre era disponibile  anche a stragiurarmi, segnandosi, che con quei dinari libici indosso avrei potuto attraversare la frontiera senza avere da temere controlli o ispezioni.

E' in Tunisia, lì a Ben Guardane,  che si deve cambiare in nero prima della frontiera, che dopo, una volta in Libia,  a meno di correre i massimi rischi, non avrei potuto scambiare che al cambio imposto dal regime libico, che ti decuplica il valore del dinaro e rende una follia  permanere in Libia.

Un italiano che n'era di ritorno, e che insieme all' amico, con il quale era in moto, si era fermato a quell' incrocio per scambiare l'enormità di dinari libici rimastigli, mi diceva che in Libia sono state inasprite le pene per chi cambia in nero, c' è il taglio della mano per il libico che vi attenta, mentre per lo straniero è contemplata la prigione.

E mi raccomandava che facessi registrare il mio ingresso presso l' Ambasciata italiana, che se fossi scomparso,  avrebbero potuto così provvedere a  ricercarmi.

Grazie al tassista, che mi ha fatto da intermediario, avrei cambiato ad un tasso più favorevole presso la frontiera, a 2,75 dinari libici per uno tunisino.

Erano altri 27 bigliettoni da dieci dinari, che come i precedenti gli altri facevo finire nel ripostiglio delle mie mutande, come mi aveva suggerito di fare il corpulento tunisino anziano che lungo la discesa dalle rovine di Ben Barka mi ha caricato fino a Tataouine.

Non avessi, in ogni caso, alcun timore di accertamenti e controlli dei doganieri frontalieri, stessi in questo pur sicuro,  si sarebbero limitati a chiedermi se importassi alcool, no, non sarebbe stato, come gli riportavo, come mi era accaduto invece in Algeria, dove ero stato mi era stato richiesto di certificare la valuta importata, e mi era stato rovistato il portafoglio.

E' stato a Tataouine, (che) rendendomi conto che da solo, nel Dahar, non avrei raggiunto che gli ksar Ouled Debab, e che altrimenti, se avessi desistito mi sarei avviato al ritorno di un viaggio mancato, nel suo esito reale, quand' anche fossi risalito all'oasi montana di Tamerza o alle rovine romane di Haidra, che la mia tergiversazione se entrare in Libia o restare in Tunisia è finita, e mi sono deciso ad affrontare il rischio che è il fascino di avventurarvisi.

Ed alla frontiera, come raggiungevo sbarre e cabine, iniziava la ripetizione procedurale di identiche lungaggini, intanto che nelle mutande indosso, che erano quel giorno oversize, per evitare gli arrossamenti all'inguine che avevo patito nei giorni della partenza dall' Italia, cominciava un primo smottamento del cumulo dei bigliettoni, cui, sentendo

In quella calura senza conforto d'ombre, ho sentito allora sentendo il freddo addosso di chi va ineluttabilmente incontro alla catastrofe inscritta nella propria inettitudine demente stolta, cercando cercavo di rimediare come potevo, con la simulazione che accusassi insistenti disturbi a quella parte del corpo, a copertura dei raggiustamenti del malloppo.

Chissà se non occhieggiavano già anche tra gli slip e la maglietta di cotone, di sotto non ne ho avvertito alcun franamento, finchè sono stato in fila per la vidimazione di un modulo giallo che un tunisino si è offerto cortesemente di compilarmi in arabo, discorrendo, mentre scorreva la fila, della situazione interna al loro paese con due algerini che parevano agiatio, uno dei quali mi esonerava anche dalfrancese perché sapeva benissimo l' italiano, per avere studiato all'Accademia militare di Livorno.

La situazione interna algerina si stava normalizzando, a loro dire, come mi era stato assicurato ripetuto blandamente da questo o da quello l' ultima volta che sono stato in Algeria, nel '91, (stando all'secondo quanto risultava dall' ultimo visto d'ingresso apposto sul mio passaporto,) l'estate che ha preceduto il colpo di Stato e la guerra civile.

Ma che parlavo mai di guerra civile, per entrambi i miei interlocutori gli algerini miei interlocutori non era che puro terrorismo, tutta opera di manipoli stranieri, che non stessi ad ascoltare la propaganda ostile dei paesi limitrofi, " ils sont jaloux de notre pays et de sès perspectives".

Io ciononostante seguitavo ugualmente a discorrere di uno stato di guerra civile , a volerne da loro sentire parlare, anche perché parlare, parlare, mi serviva ad allentare la tensione di una seconda ed ulteriore fila da fare, presso i baraccamenti dei  libici, per riconsegnare a loro quel modulo giallo vidimato, prima del traguardo  finale e del vaglio cruciale della loro dogana.

Fossero gli ansiolitici antidepressivi che avevo ingerito, o le assicurazioni ricevute, oppure la calma che subentra quando si è già assunto un rischio senza più poter retrocedere, il solo arrestarsi ci è fatale, e si ha addirittura indosso il corpo del reato, non c' è più alcuna possibilità di ritorno sui propri passi ed o la va o è la prigione, sta di fatto che approssimandomi al controllo esiziale io avvertivo più impazienza che paura effettiva.

Ma nella terra di nessuno che si spiana, ecco che proprio mentre mi avvicino alla barriera decisiva oltre la quale il territorio  è definitivamente Libia, lungo il tratto che resta tra me e i doganieri, sento i dinari libici franare nelle larghe mutande, sotto i calzoni sortirne lungo le cosce, farmi ritorcere, e che fare altrimenti, in istantanei risentimenti al basso ventre per risistemarli...

Sono adesso a loro di fronte, il primo è un bel giovane, poco più che un ragazzo, ed mi chiedo che cosa ho da temere da lui.?

Egli si limita a domandarmi- a conforto- se ho dell' alcool, nella borsa valigia e nello zaino in cui l'altro rovista, dove ad insospettirlo, avvolte in carta di giornale, sono proprio le sole fotocopea della guida libica, che per sei dinari tunisini ho fatto in Medenine appunto per ovviare ad un sequestro.

Posso passare, finalmente, mi fanno cenno, mentre lungo l'uno e l'altro calzone sento i dinari libici frusciare contro le gambe,

ed è improbo non solo appuntare i palmi, come a un formicolio, onde farli risalire nelle mutande, ma * tenere il passo senza che fuoriescano già dai pantaloni, lungo il nastro d'asfalto che è già Libia, mentre mi pare di sentirla, ineluttabile, la voce che mi intima alle spalle di fermarmi, " Alt, mister, e quello?...", frattanto che guadagno/ando i bordi sabbiosi che costeggiano il rettilineo, approssimandomi a dei bianchi casamenti poco più addentro, fra palmizi, da cui escono dei bimbi, importuni, che temo che così richiamino che richiamano su di me l'attenzione..

So che debbo pur farlo, ma non mi decido ancora a piegarmi sotto lo zaino e a sfilarmi dai pantaloni i dinari, che oramai traboccano dovunque, anche se mi guardo intorno, senza volgermi indietro, e non vedo più che postazioni di tassisti e viaggiatori in attesa, devo maneggiarli i dinari, mi ribadisco, oramai fuoriescono altrimenti, e dappertutto, comunque mi muova, sbucano adesso anche tra le mutande e la maglietta militare, ...finchè dove che io sia, mi decido a deporre gli zaini,( e) a ricurvarmi su me stesso e a risistemarmi addosso i rotoli di dinari, quando è già troppo tardi, oramai, per evitare che una banconota stropicciata fuoriesca, ed io, scoperto e allo scoperto, debba correre come posso ad acchiapparla, tanto il vento la sospinge veloce tra i cumuli di sabbia, le mani, al tempo stesso, che nella corsa sono impegnate a trattenermi addosso i malloppi. -

Ed ho appena agguantato il foglio dei dieci dinari, finalmente, che di spalle, a che nessuno sull' altro bordo della strada veda che sia, estraggo un rotolo gualcito di dinari per sistemarlo nello zaino, e sento che un altro cala a terra lungo le cosce...

eccole già nel vento quelle altre decine di dinari, che rincorro finchè nel riprenderle non mi trovo di fronte a un gregge di pecore...

Volge in farsa oramai la faccenda, ...quando la voce che mi chiama è di uno da un taxi, oltre la strada, che capisco comunque, e soltanto, che mi chiede dove sia diretto...

Quando arriviamo a Sabratha, non uno a bordo che sappia dove sia possibile farmi scendere lungo la strada.

Dal punto in cui il tassista si arresta, mi si dice in francese che più indietro c'è un bar dove algerini e tunisini immigrati possono aiutarmi parlandomi in francese, in un universo libico esclusivamente di parole e lettere arabe.

E in effetti vi trovo due algerini, uno dei quali, dall' aspetto sconnesso, mi dice di essere professore di inglese, che si offrono addirittura di accompagnarmi sino all' ostello.

La fortuna che in suolo libico oramai mi arride benigna, vuole che a rincuorarmi e a parlare per me, mi imbatta vi ritrovi nel salone d'ingresso in un gruppo di italiani, visto che il little english che stento ad articolare, stanco e contento di essere arrivato alla prima destinazione del viaggio, sembra non soccorrermi molto alla réception, con il sudanese che vi è addetto.

Ah, poi che doccia benefica, tonificante, prima di rientrare nel cubicolo ch' è la mia stanza, dal quale, vanamente, cercherò a più riprese  di uscire per recarmi a Sabratha, perché un sonno interminabile mi stende provvidenziale, ristoratore e confusionale, com' è inevitabile e benefico che prima o poi su di me scenda, in ogni  avventura d' Africa o di deserto che mi sia capitata.

Postscriptum: Dovrò ahimè comunque sortirne solo a dopo mezzanotte inoltrata, quando già ogni luce cameratesca è stata spenta, ridestatone da un impellente bisogno di urinare, tanto urgente, bruciante, quanto non mi riesce di dargli soddisfazione, maledizione, aaah, che nel buio e nel caos non ritrovo la chiave minuta dello stanzino, e che avrei ritrovato chissà quando, non fosse stato per la lampada frontale che riesco infine a reperire, armeggiando con la testa imbalordita in panne tra i miei bagagli rovistati e riaperti.

 

Per come ne sono fatte le ante delle porte, nell' entrare nella stanza di un ostello libico pare di addentrarsi in un armadio a muro, ripenso al mattino quando mi sveglio (* L'osservazione risale a Gadames, 20 agosto). 

 

E (L' indomani mattina) come intendo, dal sudanese alla reception, che se non resto un'altra notte non mi è concesso depositare all' ostello i bagagli, sarà con il loro carico in spalle di salmerie, che il mattino seguente, prima di visitare gli scavi, mi avvio per trovare dove fare colazione, - non è prevista all' ostello-in direzione dell' arteria di scorrimento del traffico lungo la quale si sviluppa Sabratha, fra Tripoli e la frontiera con la Tunisia.

Lungo la via che vi reca dall' ostello, che lascia sulla destra le rovine di Sabrahata, in un anonimato circostante di blocchi condominiali senza zolle erbite intorno, sorgenti fatiscenti dalla nuda sabbia, sosto da un  negoziante per un pacchetto di biscotti e un succo di mango-  mi doveva il resto di cinque dinar che attendo da lui invano?- prima di sboccare nella via principale, e dal sentore che vi avverto, di odorare il preannunciarsi di alcune friggitorie di polli e di kebab, ad una delle quali mi fermo già oberato dagli zaini.

E' un marocchino che la gestisce, a quanto ravviso, un giovane dalla dentatura guasta, e gli occhi acuti di intelligenza, nei lineamenti scarniti e allungati del volto, e con lui, per mia fortuna, posso rifarmi con il mio francese, in lui sento di poter fare affidamento, nel parlargli, mentre gli ordino un cafè crème e più di una bibita da bere.

Mi sono così sospinto verso il centro, che forse è meglio, mi dico, che rispetto alla sulla visita delle rovine di Sabrahata, anticipi la regolamentazione del mio accesso presso la il posto di polizia locale, così come è previsto sul visto d'ingresso e si raccomanda recita con forza la guida.

E nel prendere congedo da quel giovane marocchino, ch' è di Casablanca, ho modo di apprezzarne la laconicità dei consigli, quando mi dice :"Ici, pas ( d') amis, pas frères, ici vous avez à faire avec votre tete seule, compris? ..."

Compreso, d'accordo, solo che è esattamente quanto non mi accade di fare o di poter fare, di lì a poco, quando vado dalla polizia e mi si dice che non da loro dovevo recarmi, ma dal "maktaba javazzat", all' ufficio immigrazioni oltre la postazione dei taxi, mi indica il poliziotto, nel fornirmi con la mano, fra alberi e raduree strade,  il vago orientamento in cui immediatamente mi perdo, come intuisce, prontamente, avvistandomi un uomo vecchio dal volto segnato da una cicatrice al mento, che mi si impone, non riesco a distogliermene, nella sua volontà di darmi in qualche modo una mano, " un coup de main, amì, et pas d'autre...", secondo quanto mi precisa quando mi irrigidisco tra i calcinacci del casotto militare dove mi conduce, e che non è ancora la destinazione finale, perché da cui ne siamo rinviati a un chiosco di fronte, auff, dove un anziano corposo e compito, ricorrendo sul passaporto ai dati del timbro bilingue, mi compila un tagliando e mi rispedisce al precedente casotto, affinchè perché vi riconsegni a un ruggionoso sportello quel tagliando con il passaporto.

" Io del Marocco, ....anch' io lavoratore, stato in Italia, Genova, Milano, a Zùrich,...." mi dice di sè il mio soccorritore, mostrandomi degli orologi Casio contraffatti, se mai volessi acquistarne qualcuno.

E mi resta accanto in attesa di altro in cui possa rendersi utile, in cambio contentandosi-o dovendosi contentare-, di bere l'acqua che ho nella borraccia.

Riesco finalmente a distaccarmene quando alle spalle sento parlare italiano.

E' un giovane di Padova, mi dice, che viaggia in moto con una comitiva di amici.

Gli è accanto un altro italiano ultraquarantenne che lavora in Libia, che lo sta aiutando nel disbrigo della stessa formalità in cui sono irretito, così come e che si viene facendo una lungaggine di durata superiore allo stesso transito della frontiera.

A sentirlo, l'italiano che al servizio di una ditta nazionale lavora per l'esercito libico- sei milioni al mese ed il rientro assicurato in Italia ogni tre mesi, per venti giorni-, non fosse che ci guadagna bene, non resterebbe un solo giorno di più tra questi beduini, " beduini, beduini e basta".

E' soprattutto se gli occorre avere rapporti con le loro donne, che la vita si fa drammatica.   

Ne è così geloso il loro possesso maschile, che non gli è mai riuscito di vedere la moglie del libico, un nero, che è il suo tassista oramai da anni.

Né capisce a vede che serva, come mi è stato consigliato, comunicare il mio ingresso in Libia all' Ambasciata d'Italia, " tanto, poi chi può venire a cercarvi..."

Quel giovane di Padova, e gli altri suoi amici e le ragazze che sopraggiungono in moto, -mentre se ne va e ci saluta ci lascia l' italiano che lavora in Libia, visto che non gli resta più niente da fare per aiutarli,- appena ne riferisco appaiono interessati alle mie esperienze di viaggio, da solo e a piedi e con i mezzi pubblici.

Anch' essi, infatti ,dato che essi , come me, stanno finendo di ripercorrere in Libia tutte le coste del Mediterraneo, e quanto vorrebbero essere stati come mi è già capitato nello Yemen, ma quali sono, mi chiedono, le possibilità di giungervi in quanto ciclomotoristi attraverso l'Arabia Saudita?

Sento e apprendo che fatalmente costretti, come me,  per sopravvivere quali turisti in Libia a finire coinvolti nel traffico in nero,  sono ugualmente affascinati dal rischio e dall' avventura di addentrarsi, così in Libia,  in un paese ove regnano l'illecito dilagante e le pene più severe, il traffico in nero di tutto e il taglio della mano e l' impiccagione, con la sola attenuante per lo straniero che vi è coinvolto invece scoperto a cambiare in nero, sono contemplati di cinque anni di carcere duro, in un piccolo riquadro con al centro un bugliolo... Ad un certo punto li fisso pewr scherzo negli occhi e dico loro:

"Guardiamoci bene in faccia, nel caso che di noi debba occuparsi una trasmissione quale " Chi l'ha visto..."

E ad una di loro, una commessa, che nella snervante attesa della restituzione dei documenti, che già dura da ore, si dice ammirata della mia tranquilla calma, " Da che ho lasciato la Tunisia prendo degli ansiolitici", confesso.

So, in effetti, che per viaggiare come io viaggio ci vuole del coraggio, che " il faut bien du courage", come mi aveva detto appunto nello Yemen, vedendomi viaggiare da solo, quella signora di una comitiva francese.

Ma per me, che sono terrorizzato da tutto, viaggiare è il modo omeopatico di affrontare la mia paura continua a dosiingredienti massicci elevate.

Nel frattempo se ne è andato, l' anziano marocchino dal volto rude di bei lineamenti che mi ha aiutato, e così, a dispetto dei suggerimenti a che facessi solo con la mia testa, avanzatimi appena prima da quel giovane di quel ristorante, il suo prestarsi mi ha riproposto l' impossibilità, nel corso di un viaggio, di non fidarsi e di non affidarsi a nessuno, e dunque la necessità di saper intuire in chi occorra fidarsi, chi vada piuttosto evitato, con chi occorra essere gentili o con chi invece ruvidi e schivi, come lo sono stato a sproposito, (mi accuso,) lo confesso, con quell'uomo che mi ha appena dato una mano.

Che disastro invece con Kaled, per avere dubitato che fosse capace di ogni richiesta, ma non già che potesse essermi ladro... che risentimento rancoroso che non mi dà respiro, come torno a pensarci...

E memore, rivolto a quei giovani, pur senza riuscire a parlarne esplicitamente, anche perché non ne avverto ed avvertirne l' opportunità, come Renzo, finita la rivolta del pane, pur evitando di discorrere dei propri casi presso i rivoltosi rimasti o gli avventori truffaldini dall' oste della luna piena, eppure in quel ridotto calcinato, e affocato dal sole, i miei casi penosi li generalizzo e sentenzio, a rinfrancarci tutti, che forse qui in Libia non ci capiteranno traversie perché siamo allertati e stiamo avvertiti, perché dei guai, una caratteristica prima, è quella di coglierti di sorpresa, di accadere quando e dove meno te l' aspetti, per mano di chi meno sospetti,  finendo tradito, o ingannato, dico con il tono di voce risentito che allude a un' esperienza cocente patita di fresco, da chi meno avresti ritenuto capace di tanto, perché cieco nei suoi riguardi!...

E' l'una, stremati/nte, quando infine ci è rilasciato di nuovo il passaporto, con impresso il timbro triangolare che attesta la nostra registrazione di presenze non più clandestine sul suolo di Libia non più clandestine, e ci salutiamo e ci ripromettiamo di ritrovarci tra le rovine di Sabratha, come non avverrà poi, anche perché prima di raggiungere il sito archeologico mi fermo di nuovo nel ristorantino dell' andata, per uno spuntino con uno spiedino di kebab ed un contorno di verdure.

Il giovane marocchino mi rivede contento e mi lascia con una frase che  come le sue altre è di poche parole:

"Io voglio lasciare la Libia, voglio venire a lavorare in Europa, in Italia, perché qui sono morto..."

All' ingresso degli scavi deposito gli zaini, raccolgo in un sacchettino le poche cose che mi occorrono per la visita, e così indugiando, ed attardandomi ancora, attiro l'attenzione di quell' uomo libico di me più anziano che parla italiano, dallo sguardo miope e dai modi gentili, vestito di una corta djellaba e di sottostanti pantaloni bianchi.

E' così disponibile al dialogo che ne approfitto per entrare direttamente nel vivo, e gli chiedo che postumi siano rimasti della dominazione italiana nel suo Paese, italica in Libia, preavvertendo che " io comunque sono nato dopo".

" Nessuno, mi risponde, è una faccenda che può aver riguardato vostro nonno, non voi o me, i libici o gli italiani di oggi".

Ma la sua bonomia amabile s' impunta, contrariata, come passo a chiedegli se si corrano rischi ad inoltrarsi nel Sud, nel Fezzan.

" Nessuno. Molti di meno di quelli che si corrono nel Sud del vostro Paese".

Io mi limito a replicargli che non mi adonto di quel che dice,

che non ho difficoltà ad ammetterne la verità. " Io non sono affatto nazionalista".

Al tempo stesso spero così di far decadere il nazionalismo di cui lui invece appare coriaceo, come pare stia accadendo, nello spianarsi del suo volto a un sorriso in contraccambio.

E' dal 1992, mi informa, che il suo paese si è aperto al turismo, Certo, ammette, che ha influito negativamente il caso Lockerbie.

Confidenza per confidenza, piluccando i chicchi d'uva del grappolo che l' affabilità, con la quale discorriamo, mi ha fatto guadagnare insieme alla loro considerazione dagli addetti alla biglietteria, gli dico come sia avvenuto quando ero ancora piccolo, negli anni cinquanta, che ritrovandone le immagini fotografiche su di una rivista culturale fascista che era rimasta in casa, confinata su in granaio, mi è rimasto impresso, fin da allora, il fascino indelebile delle rovine bianche di Leptis Magna.

E come mi congedo ed inizio ad aggirarmi tra le vestigia antiche le rovine di Sabratha, prendo a chiedermi quanto debba essere splendida Leptis Magna, se può essere superiore al mutilo incanto di Sabratha, dei tanti colonnati di basiliche e templi che intorniano il foro, nei capitelli e rilievi, diruti e sparsi, della sua orientalità fenicia romanizzata, quale prima città di confine, volta alla Cirenaica ed all' Egitto, del limes tripolitano dell' Africa proconsolare, raggiungendo spossato solo quando sono già le cinque di sera, l' emergenza abbagliante del suo teatro10libia.jpg (56974 byte) nelle quinte sceniche dei colonnati corinzi, 15libia.jpg (58276 byte) aggirantesi ad aggirarsi che si aggiravano in esedre leggiadre da cui promanavano i prostili, di un ordine postumo tardo, 3libia.jpg (44143 byte) a fissarsi in un eterno proscenio.  

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Al di là, il blu del mare che sconfinava nel blù incandescente del cielo, oltre i colonnati presso la a riva del tempio di Iside.