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1cipro

 
     
   

Poi

 

 

Un mese dopo

 

25 settembre 1998

 

Quando sul far del mezzogiorno mi approntavo infine ad uscire, prima l' uno, poi l'altro,  oggi due passerottini sono infine sopraggiunti di nuovo al mio balcone, splendidi del loro nuovo piumaggio in cui sono usciti appena di muta, tra la fragranza espansavi dal basilico nella sua fioritura estrema.

" Finalmente troverà chi se ne sazi, tutta la semente ch' è espansa da settimane sul piano del davanzale, mi sono felicitato, e non sarà solo il ricettacolo delle camole che me l'hanno fatta rigettare, le cui larve che rinvenivo ancora, senza tregua,  fra le cibarie residue del mio uccellino, ad una ad una ho seguitato a riporre fra quei grani sul balcone, dopo il mio rientro dal Vicino Oriente, la settimana seguente al rientro dell' uccellino stesso da Modena, dove stazionava presso mia madre.

Come nell' appartamento vi si è ritrovato, tra le scaffalature, il piccolino ha fatto un balzo di soddisfazione dall' uno all' altro posatoio, ha favorito di nuovo nell' una e nell' altra mangiatoia, quindi nel beverino, poi nella vaschetta del grit, e allora soltanto mi ha riconosciuto integralmente, ed è corso di continuo al mio richiamo, individuandomi di nuovo come il mio sembiante si è per lui reinserito in questa sala di soggiorno ove ne scrivo, e lui di notte si  è appena addormentato, le cui pareti sono tutto il suo habitat planetario.

Che mai ne era più, per lui, del suo quieto soggiorno presso mia madre, delle cure con le quali lei lo ha aveva accudito durante tutta la sua copiosa muta, divisa tra le sue perdite di piume e l' insofferenza della calura del cane Dingo, lei stessa stremata dall' afa incessante, al pari di quanto al rientro nella quotidianità, non ancora lavorativa, si erano vanificate, per me, le ansie e le tensioni e le esaltazioni del viaggio, come un  sasso caduto al fondo di acque su di lui placatesi pure /anche nei loro cerchi concentrici, in ragione della stessa ingratitudine vitale, avida di altro, che mi faceva già immemore di quanto in Cipro, nel Sinai, in Israele, ho vissuto di arduo e di meraviglioso,  di inesorabilmente insuperabile e di mortificante.

 Ancora le scuole non erano riprese, e già scenari e vicissitudini del viaggio, e volti e patemi, e soddisfacimenti, si erano fatti irreali, evanescenti, quasi che il viaggio, al pari del gioco, fosse stata solo una fiction di che cos' è la vita, la realtà vera, di che cosa siano l' autentica gioia e l' autentico dolore, l' angoscia e la tragicità e l' esaudimento effettivi ... secondo l'inganno che vi sia una realtà ultima, in definitiva, siano essa gli interessi, o gli affetti più cari, alla cui resa dei conti si vanifica il futile e l' inutile, e il tremendo o ciò che vale della vita si disvela (di) fondamentale, ... come se della perdita estrema di chi più mi ha amato, od ho adorato, ancora effettivamente ne soffrissi, e già l'altro uccellino, che credevo irrevocabile, non si fosse reincarnato in questo vivo e sano che mi è ugualmente caro.

Del resto ogni volta che visito mia madre, se ci tengo tanto/ talmente a fare ritorno al loculo di mio padre, è perché lì soltanto, in effetti, lui in me ancora si ravviva, è ancora alcunchè cui mi illudo di potermi rivolgere.

Ed anche i nuovi allievi, nella classe prima, che dopo dieci giorni di scuola mi sembra di avere avuto già da una vita, dove andranno in me a finire, adempiuti i doveri, se non nella dimenticanza vaga e grata in cui era già precipitata, nei nomi e nei volti, anche la generalità di quelli che ho ritrovato in seconda, o nella rimozione di tutto ciò che per me di sofferto, o di vergognoso, comportava il loro riapparirmi davanti.    

 

 

E più non parli

 

E più non parli che con gli agli uccellini e ai i morti,

non deliri che i vivi ti auspichino,

nel disfarsi delle nubi all' orizzonte

i giorni mendicanti alle tue porte,

e suggelli in effigi gli scomparsi

ne suggelli effigi,

veli il riassonnarsi

in nuvolii di piume,

-al predisporne i fiori, le sementi,

tu dicendoti amen,

così è il plenilunio e così sia.

 

 

E più non parli Seconda versione

 

E più non parli che con gli agli uccellini e ai i morti,

non deliri che i vivi ti auspichino,

i giorni mendicanti alle tue porte/ soglie

nel disfarsi di nubi all' orizzonte,

e suggelli in effigi/e gli scomparsi

ne suggelli effigi,

veli il riassonnarsi

in nuvolii di piume,

qualora fossero, se ancora fossero,

come se oramai non fossero dovunque,

le sue loro pupille in te non si riaprissero al tremore,

- al predisporne i fiori, le sementi,

(così) tu dicendoti amen,

così è il plenilunio e così sia.

 

 

Ad affliggerti

 

26 settembre 1998

 

Ieri nello scrivere le prime pagine postume oltre il tuo ultimo viaggio, nonostante il conforto che ai tuoi sentimenti è stato porto/ recato/reso dalla della visione di " Madadayo", per la della dignità commovente che vi è riconosciuta al lutto di Uichida per la scomparsa del suo gatto, penava in te a legittimarsi che più forte di ogni tuo altro sentire, irresistibile a lancinarti, sia in te cresciuto l'amore per il tuo uccellino, che poverino e ignaro nella sua perpetua gabbia(,) ch' è tutto il suo mondo, sia a te divenuto il tuo bambino, il tuo fratellino, il tuo innamorato e unico amico, il simulacro del tuo solo allievo al quale donarti, quando perennemente stupefatto accorre al tuo richiamo, perennemente stupefatto, sta di te in vista ed in ascolto, ai tuoi vezzeggiamenti amorosi ti sembra/sembrandoti che intenda trarre che un ammaestramento capace, che quando ritorna a nettarsi il becco della mela che ha sminuzzato contro il posatoio, su cui ti fronteggia, ti rechi la gratitudine di un  dono.

E disconoscendo che in ciò non sia scoccata che quasi che non fosse in ciò scoccata che la fatalità dell' incontro della tua sensibilità con la sua grazia, ti dicevi che è invece così accaduto l'inevitabile, l' eccesso implacabile, che si scatena quando nessuno di umano intende raggiungerti, o in alcun modo tu lo puoi più raggiungere, quale che sia la cerchia d' affetti cui tu ti volga, oramai reputando che solo quel povero uccellino, perché costrettovi in gabbia a subirti, perché egli non conosce altri altro sembiante che te che l' alimenti, senti che ti è può esserti accanto ogni giorno che ti consuma, di te interessarti che di te s'interessa per quanto ti tema, quando accorre al tuo invito e seguita a richiamarti non appena desisti, per rientrare nella sua animalità nei ranghi, e in sé acquietarsi, si acquieta come quando ti estranei e più non ritorni,-  e se fra gli uomini, per la natura che incarni, per piacevole e degno di stima che tu sia, pur sempre persiste il discrimine e l'offesa, la resistenza e la rinuncia o il rifiuto ad accedere al tuo secretum /intimo , lui invece senti che c'è già, che basta che gli accenni, perché che nella sua immediatezza a te voli e ti riaccetti ed accetta. Nessun tuo simile che mai tu possa immaginare e credere, quale che sia l' istante, che ti ricordi o pensi, o che ti senta,  in un moto dell' animo suo che ti riconosca e ti conforti...  

 

   

 

 

Scrivo dunque

 

Scrivo, dunque, perché non so immaginare, altrimenti, di riuscire a vivere e ad essere negli altri?

 

Non scrivo, certo, solo per capire ed essere capito, ma perché altrimenti, con il tempo che passa, nel medesimo tempo trascorrerebbero e sarebbero già trascorse anche le più esaltanti esperienze e gli affetti più cari e recenti, talmente tutto altrimenti si vanifica, e già è morto, nella quotidianità indaffarata di acquisire sempre dell'altro per attenersi di corsa, nell' ansito stremato dell' ansia in affanno di riordinare di nuovo.

E' bastato solo che ieri sera, riprendendo a scrivere, mi siano balenate le alture dei monti Troodos, i rilievi del Sinai, che mi sia rivisto in Paphos di ritorno dallo Scoglio dell' amore in mountain bike, nella frescura del mormorio di ruscelli di Kakopetria o delle voci di ragazze intorno alle mura alpestri di

Agios Nikolaos tis tegis, fra i fetori e l'afrore e le fragranze di Lefkosia e di Akko, al cospetto delle trasmutazioni islamiche delle loro vestigia gotiche, perché con la parola recuperassi ciò che nella memoria si trasfigurava in incanto, allora disconosciuto, e che bastava sprigionasse a contatto della pietra di paragone dell' ordinarietà in cui è ricaduto l'assillo del presente, per brillare, a contrasto, della politezza in cui la memoria l'ha sfangato e sublimato ammirevole, inscalfibile, oramai, per quanto nei diari di viaggio recuperi le tracce di dolore e miseria che ho patito tanto.    

 

E ne scrivo, pertanto, per vivervi e rivivervi, sino a che nella mia esistenza, tramite l' opera, l' una contro l'altra abbiano tregua verità e bellezza.         

 

 

 

Recuperare le tracce

 

Prima ancora che riscrivendone le pagine del diario, recuperandone le tracce, è stato quando ancora le vacanze non erano al termine, seguitando poi nell' Alto Appennino Modenese le escursioni naturalistiche interrottesi lungo le pendici dei Troodos, che ho cercato di inoltrare il mio viaggio oltre la sua fine, di riprenderlo in ciò che vi era rimasto di rimpianto e di inconcluso, nello strappo che da Cipro mi ha precipitato nel Negev e nel Sinai.  

Era così invitante quella splendida guida, nelle sue immagini limpide di praterie sommitali e di laghi incastonativi, uscita di recente per i caratteri della Giunti, allo sfogliarla di Venerdì nella Libreria centrale di Modena, che il sabato acquistarla, irresistibilmente, divorarne la lettura e progettare una prima escursione, tra i laghi dei monti di Riva, anticiparla addirittura all' indomani di domenica, dato che le corse più rare degli autobus mi consentivano purtuttavia un più prolungato soggiorno che se li avessi presi nei dì feriali, è stata una avventura di una avidità esistenziale irresistibile, esaltante, nel suo precipitare anzitempo al suo compiersi precoce, incalzata dal tumulto dei ricordi inebriati di emozioni di altura, fra le duniti e i boschi di pini neri e le vedute sterminate delle pendici dell' Olimpo di Cipro, e dei rimpianti dei sentieri naturalistici rimasti impercorsi fra i Troodos, altrettanto quanto ero voglioso di strappare un giorno ancora di vacanze, prima del loro concludersi il martedì nel Collegio docenti.

Tre ore, a piedi da Fanano, con l'artrosi in agguato alle anche, prima che la discesa e la risalita del fondovalle, per le scorciatoie che tagliava la strada tra i boschi di carpini e cerri, e castagni, schiudentisi nelle radure intorno a superstiti essicatoi, in lastre di arenaria, i metati, mi conducessero alla sbarra d' accesso al Lago Pratignano, e in esso all' inizio del Parco e del percorso al suo interno..

Ma accaldato, e sudato, essere davvero dentro il bosco, respirarlo tra le voci e i rumori e la frescura d'intorno, anziché tagliarlo ad esso esterno lungo un percorso stradale, che esaltazione nell' inerpicarsi dei passi, tra il sentore dell'humus e l' affiorare di spuntoni e radici, nel cedere del bosco misto alle pigne e agli aghi di pinete e alle faggete d'alture.

Poi nel giorno cupo di pioggia, l' accesso alla conca oscura del lago, incastonata fra i rilievi, era l' ingresso in un mondo ove l' uomo cessava di essere una presenza diffusa lavorativa, per farsi una rarità tutelare di animali ed alberi e rocce splendidamente silenziosi intorno, in una calma profonda come l' intensità quieta di quel castone palustre tra le abetaie scoscese  precipiti a dirupo, il Corno alle Scale  suggellandolo ove i pendi s' aprivano al varco del suo profilo sinuoso all'orizzonte.

Peccato, che il tempo e l' affaticamento occorsimi per raggiungere l' inizio del percorso, mi precludessero, da lì, di raggiungere  il lago Scaffaiolo e di rientrarvi nelle cinque ore previste, ma io procedevo ciononostante oltre, nell' affanno, per ciò, che mi trafelava il respiro e stordiva/ intorbidiva oscurava la vista, di mancare il rientro e di attardarmi lassù di notte, e seguitavo seguitando tra le praterie successive sino a una sorgente tra il folto, prima di riaddentrarmi nei boschi e nel loro sentore fresco, tra i fogliami delle querce che cedevano alle conifere, ai faggi cedui, che vi s'addensavano cupi o le diramazioni che s'infittivano cupe, e si schiarivano teneri, nella varietà di piante e di fronde sulla sommità della dorsale,  le querce che cedevano alle conifere, ai faggi cedui, solo i cui squarci consentivano alle rocce di riemergere nelle radure, e alla vista di potere spaziare giù nella valle del Dardagna, sino al santuario ripostovi della Madonna dell' Acero, prima di precorrere sullo sfondo, traendovi il respiro, i grandiosi crinali spartiacque nelle loro praterie sommitali, oltre le quali era solo il cielo che ove sorvolavano i falchi, -lo scrigno di cime, ove a me irraggiungibile, era racchiuso remoto il lago Scaffaiolo.

Ma giunto trafelato e madido al Passo del Lupo, nella prospettiva di più ancora mirabili viste, allusemi da una coppia di miei coetanei di Bologna che mi erano stati cordiali lungo il sentiero, di fronte prima ancora, nell' ora tarda, a un altro bosco ancora da attraversare sulle pendici del rilievo che avevo innanzi, in cui risalire addentrarmi e da cui uscire prima delle praterie finalmente incontrastate, mi imponevo un termine alla  corsa divenuta folle, il riguardo per le ragioni del mio corpo dolorante alle anche, afflitto negli arti ai polpacci, e il mio respiro si acquietava nel fare ritorno, quando ritrovavo quella coppia di professori coniugi su una altura, con la loro figlioletta, di rientro in direzione opposta alla mia, e nonostante il ritardo mi diffondevo cortesemente con loro, sui cippi, lì confitti, ove una M incisavi non meno magniloquente di una B enorme, sancivano un tempo i litigiosi confini del Modenese e del Bolognese.

Perché affannarmi tanto, ancora, quando da solo non poteva più farcela per l' autobus per Modena, inch Allah, meglio piuttosto ridiscendere i boschi, le praterie con calma, ritemprarsi della loro aria salubre, dell' immersione nell' umidore del folto, al del sortirne fra le erbe nel vento, confidando di trovare in chi mi desse il passaggio, che provvidenziale, ottenevo provvidenziale subito da un ragazzo e una ragazza di Nonantola sul loro fuoristrada, quando ero ancora alla sortita dal all' altezza del lago Pratignano e non mancava più, oramai,- erano già le cinque di sera- che un'ora e mezza all'unico autobus che riportava a Modena.

Scendevo così di vettura nella piazzetta gremita del centro di Fanano, grazie al loro passaggio, che non erano ancora le sei, ed io avevo anche il modo di aggirarmici, di ricercarvici edifici storici, prima del sopraggiungere dell' autobus da Sestola per il fondovalle.              

 

 

Che resta, di mio padre

 

Già la domenica del rientro sono stato sul loculo di mio padre,

a ringraziarlo nel felicitarmi di avere fatto ritorno, se era lui, su di me, che avevo avvertito spirare in quella nuvola o quel barlume di luce ed ombra sulle alture di Cipro.

Nel baciarne l' effigie, nell' intrattenermi, nel ripromettergli che così come nel viaggio mi ero confermato capace, ugualmente senza di lui sarei stato in grado di far fronte anche al trasloco, sentivo di allietarlo, di recargli conforto, per quanto creda, anche in quegli istanti, che di lui non restino più che le tracce sempre più deboli e indolori nella memoria di chi è vivo, e altrimenti, quando mi guardo intorno per rivolgermi a lui ovunque oramai egli possa essere, sento l'intento cadere e finire nel vago.

E' forse vero, in questo, che se non mi addentro nella suggestione  cimiteriale in cui ne giace la salma, l' amore che ne posso evocare è già il più volatile rimpianto?

Anche in quei recessi, nella calura residua, elaborando, nel lutto domenicale, la mia resa preventiva impotenza a ricercare un soddisfacimento sessuale nelle occasioni rimastemi degli ultimi giorni fluviali di estate e di sole, che sentivo di potervigli dire, di vero e di importante nonostante tutto, tra i vivi ed i morti, se non che ribadire, ancora di nuovo, nel sincerarlo almeno a me stesso col rivolgermi a lui, che a dispetto di tutto quanto in vita e nella mia sopravvivenza seguita a distanziarmi da lui, a farmi disdegnare che cosa egli sia stato, di umanamente succube, l' impronta di inettitudine che in me è il suo lascito gravoso, egli restava e resta chi più mi ha amato, senza riserve d' ombra, colui che più di ogni altro ha fatto e si è sacrificato per me, colui in cui più confidavo ed al quale più devo.

Anche parlargli di quel che lo interessava e non può interessare che i vivi, di calcio, di ciclismo, della vittoria di Pantani al giro di Francia, che poteva più significare per la sua sopravvivenza irreale, e della mia vita, se quand' anche egli sopravvivesse ad intendermi, della mia vita che potevo più dirgli o tacergli, di indecente, che potesse più celarglisi anche nei suoi sfoghi più intimi,

Era al più  un intrattenimento, divertimento in cui mi intrattenevo per indugiare lì ancora, immaginare quali compagni ultraterreni potessero mai essere per lui, fino al finimondo, gli altri morti con i quali era stato tumulato in quel loculo, nello loro effigi ritratti in vita così confidenti e cordiali: la Gliceria, la Riccardina, Antonio ed Emma riuniti insieme dopo vent'anni, *alla morte di lei, la Silva e l' Onesta, classe 1889, la quale era riuscita a sopravvivere, di un anno, alla giovane tumulatavi ch'era morta a diciotto anni non ancora compiuti nel 1994.

Commuovendomi, all' uscita, l'immagine che coglievo di sfuggita nel colombario all' esterno(,) di transito, dell' angioletto Alberto B., effigiatovi, serafico, nel suo letto di morte a soli cinque mesi nel 1937, una coroncina che ne aggraziava il visino, sotto l' immagine, in un ovale, della madre Santina Bordini, che potè infine raggiungerlo nel 1952,- i cari, recitava l' epigrafe, che lì nel pianto poterono riunirli.         

 

 

L' impressione di schifo

 

Per un racconto giallo, ove il mancato stupratore uccide la mancata vittima, per cancellare con la sua mente l' impressione di schifo che con il suo gesto vi ha improntato altrimenti indelebile.

 

 

La ciotola

 

Nella perseveranza lubrica del tuo desiderio inerme, la tua disperazione ne  mortifica anche l'impulso, ne depotenzia il vigore di cui pensa inconcepibile ogni esaudimento,- lo sai, anche se esci, che preferisci preservarti al ritorno per il tuo uccellino, trovare di meglio nella vista dei cigni selvatici in riva al lago,- e intanto la tua inaccessibilità, catafratta, che preserva la presunzione della tua elezione infelice, ed esclude ogni altro mentre tu ti lamenti che nessuno ti raggiunga- e chi, forse, la carne poco più che infantile che intendevi addentrare portarvi per strada?-, tale tua inaccessibilità, intanto, non sa accostarsi a ciò che pure ti offre la loro ciotola, a quanto è tutto ciò che ne può contenere l'orlo.

E' pur tanto, sai, che anche ieri un altro, che è stato tuo allievo, abbia chiesto di te, e che un ulteriore allievo che non è più tuo, all' uscita della sala del club ove avete sofferto in diretta la partita dell' identica squadra beneamata, ti sia tornato a salutare emozionato, e anche quell' altro, che hai cancellato dal cuore, se non si è fermato per ritirare la tua revisione corretta della sua pagina iniziale, quel tuo ex-allievo dal volto così bello radiante di luce, è pur tanto che sia stato lui, che il primo giorno che ti ha ravvisato in scuola, è venuto da te in sala insegnanti per dirti quale sia il sito in Internet del racconto giallo, su un delitto in Istituto, che gli sollecitavi tanto e che infine ha scritto.  

 

 

Imprigionatemi, vi prego

 

Nell' impossibilità di uscire immaginativamente dal cerchio della mia individualità refrattaria a ogni altro mio simile, della mia secessione dall' umano per il mondo animale, avverto tutta la mia piccolezza di individuo sociale e di scrittore, incapace di amare e di volere altri esseri all' infuori di sé, di riuscire a immaginarne e ad inventarne di vita propria quali sue creature letterarie, il definirsi così dei limiti invalicabili della mia piccola statura insieme di insignificante uomo e di scrittore, cui il fatto che nessuno pervenga a leggermi, nemmeno di quanti mi conoscono e vorrebbero farmi credere di accalorarsi in una stima di me, è la preclusione anticipata di ogni verdetto che possa mai essermi favorevole, il senso preannunciato che è insormontabile la mia incapacità ad emergere, perché in essa è l'avvertenza, presaga,  di quanto poco, e di scarso, emergendo metterei in luce.

Fossi almeno differito nello scrivere da una passione bruciante, da una divorante esaltazione del sangue o dei sensi... è invece nella ansia di assicurarmi nell' ordine della casalinghitudine, prima di rimettere a posto, di sistemare ogni cosa, che già getto la spugna sprecandovi il mio tempo, in una desistenza fallimentare che non può più nulla, contro la voracità del Tempo che passa mentre non sono ancora niente e nessuno di valore, per quanto mi strazi la consapevolezza di quanto, così isterilitosi, in me si è annientato e non può compiersi del mio talento reale.

Eppure mi sono lungamente sforzato, le settimane scorse, nel tentare di inventare fantasmi di personaggi reali, come quello di quel tizio che un giorno chiede all' autorità di polizia di essere tratto in arresto, per i maltrattamenti e le sevizie che infligge all' altro da sé, in virtù del principio stesso per il quale si è colpevoli del solo solo e appunto del danno che si arreca ad altri, che l'altro da sé, appunto, è un suo convivente da sé disgiunto, per quanto unito solo da vincoli carnali e di soggezione mentale, due persone in una stessa carne, l' uno il carnefice, l'altra la vittima, che impossibilitata ad alienarsene, - dovrebbe uscirne pazzo!-, almeno rivendica sacrosanta giustizia, che solo una volta che sia privato delle sue libertà personali, il carnefice in ceppi trovi un limite nel negarle ogni scampo di svago e piacere. 

 

 

L' odore

 

Dell' odore, che secondo mia madre e gli altri miei congiunti,  della corporeità di mio padre ne impregnerebbe ancora la stanza da letto, trapassato nelle lenzuola e nei materassi, negli oggetti suoi personali che ancora vi stanno.

 

( come mi ha detto mia madre domenica scorsa 11 ottobre)                       

 

 

Ritratto di artista virtuale

 

Il mio ritratto di artista virtuale , se la cosa può confortare l'insensatezza di averlo scritto e di tornarne a scrivere, mi è parso che già testimoniasse ciò che si enfatizza attualmente come la fine del tempo libero per la cura di sé.

 

 

 

 

 

 

 

Rodi, 31 luglio 1998

 

Che singolare virtù, la mia di viaggiatore...Non v'è partenza, imbarco, sbarco, ricerca di via di accesso o di ritorno, cui non mi attenti che perché per me costituiscono un'incognita, ma che in quanto tali, per me non siano occasione di continui patemi e traversie, di ogni sorta di smarrimento e perdita d'animo, eppure d' incanto, tutto che si risolve per il meglio...

Anche all' atto ora di iniziare questi diari di viaggio, mi è bastato che abbia frainteso che cosa si vociava negli altoparlanti, e che abbia visto gli altri passeggeri rientrare, perché mi sia rinchiuso come al coprifuoco nella mia cabina al fondo del fondo della stiva, sottraendomi alla vista di Rodi e del suo mare così bello.

E non v' è discrimine possibile, nel mio fare,

tra ragionevolezza e insensatezza; mi appiglio alla razionalità e finisco in folle, mi fisso a un tentativo irragionevole e ne traggo il buon esito...

Che motivo avevo, a Brindisi, di essere in Grecia quanto prima, mi restava un altro giorno davanti prima della partenza dal Pireo delle motonavi per Cipro, eppure ho voluto scegliere lo stesso il primo ferry per Patrasso, e vi sono arrivato quattro ore dopo l' ultimo di quelli successivi.

Arrivo ch' è già sera inoltrata nella stazione degli autobus di Atene, e benché non avessi alcuna mappa della città ho ricusato l' aiuto del giovane dell' ufficio turistico, per una cieca arroganza, pavida, che era mossa dall' ostinazione di non volere deludere l' impressione che di me aveva tratto il giovane greco ch'era stato il mio compagno di viaggio sul pullman da Patrasso, quando gli ho mostrato di sapere il numero dell' autobus per il centro, sul quale sono salito nella stessa corsa che lui ha preso.

Era stato addirittura lui, prima ancora ch'io lo facessi, a  rinviare indietro l' agente turistico che si era offerto di consigliarmi.

E l'ostello, l'unico di Atene, quando dubitavo della sua stessa esistenza, o sopravvivenza, in una rue Victor Hugo tra tante odos che parlavano solo di personaggi della grecità, l'ho così rintracciato al telefono, come soltanto era possibile, che non era distante dal terminal dell' autobus.

Ma il senso di colpa per non avere acquistato a quel chiosco di Piazza Omonia la mappa che avevo consultato, non mi fa vedere quello che vedo, mi fa smarrire quello che ho rintracciato, fintantoché non sono stato di ritorno a quel chiosco, e non ne sono ripartito con la mappa che vi ho acquistato.

Avrei potuto, ieri, almeno ripercorrere le rovine monumentali disseminate per la Plaka, trascorrere nell' atmosfera variegata di luci ed ombre del Monastirion, nella sua animazione fra le mercanzie e i colori e i profumi di ortaggi e frutta.

Ma nella prima agenzia turistica in cui mi sono imbattuto al di fuori dell' ostello, talmente ne era decentrata la sede e stravagante il nome, in una nazione dove si possono denominare come una Pasife o una Giocasta anche una pensione o un'agenzia,  che vi ho messo piede solo per ritirarvi i depliants dei battelli per Cipro, il biglietto era senz'altro più possibile e sicuro e autorevole farlo al Pireo, dove non potevano che saperne di più.

Ma nell' Agenzia che presceglievo per la sua spaziosità ordinata e luminosa, per il suo personale squisitamente femminile, si perdeva qualsiasi traccia di battelli in partenza quella sera per Cipro. Uno solo, sì, greco, ma  fuori uso.

Che m'avevano mai confermato, presso l'Ente nazionale per il turismo di Cipro, che una motonave cipriote salpava in serata?

E con foga rientro in Atene, dovranno saperne pur qualcosa alla Cyprus Airway, niente, o all' Ente nazionale per il turismo dell' isola, come se fosse inesistente, almeno per me che non lo ritrovo nient'affatto lungo tutte odos Odos Akademia e odos Solonos, avanti e indietro, e indietro e avanti, secondo le coordinate vagamente fornitemi.

Erano oltre le quattro pomeridiane, lascio l'ostello e con salmerie e bagagli non mi resta che ritornare al porto.

E ' maledettamente tardi, adesso oramai, ma perché una determinazione strana, irresistibile,  mi riporta a mettere piede in quella agenzia *preliminare, a resistervi ansioso, con le froge ansimanti, fra ognuno che fosse adulto che maledettamente fumava, solo per il fatto, e nient'altro, che vi ho trovato dei depliants di motonavi per Cipro?

E lì, se prima ancora di stare a sentire chi v'era non mi fossi riversato nel girone fallace del Pireo, fin dal primo mattino avrei trovato il biglietto e l'imbarco per la motonave cipriota sulla quale ora sono in viaggio.

Con che angoscia, poi, ho ripercorso tutto il porto sulla sinistra, da dove come poteva partire la motonave? come mi si diceva, se non mi ci ero mai imbarcato, salpandovi oltre ogni accesso, incustodito, che mi era sbarrato ed aggirabile, mentre le presenze intorno di addetti e partenti mi si rarefacevano...

Mi dava forza solo che un' indicazione trovasse conferma in un' altra, nell'inoltrarmi sotto il peso sacrificale dello zaino- e se tutto si fosse rivelato sbagliato, sotto il suo carico poi nella lotta contro il tempo il percorso a ritroso?-, dove ora il porto si veniva desertificando, la gola che mi si seccava, mentre la sete che rendeva un' arsione l'assillo, tormentosissimo, di quanta strada avrei dovuto così ripercorrere, anche solo se, giunto al terminale dei passeggeri, avessi dovuto fare ritorno a chissà quale sede della compagnia di viaggi, per la carta d'imbarco che ancora mi mancava non avevo... 

ma alla fonda ora intravedevo attraccata la motonave, e per quanto scarsamente fosse animata, quella in cui entravo era davvero la Central Custom House, sì, la stazione della partenza dal Pireo per i paesi stranieri...

Mi sono ritrovato nella stessa situazione di quando, nel circondario della mia città, per avere forato in bicicletta la camera d'aria della ruota posteriore, ho dovuto farvi rientro da una stazione disabilitata, dove non c'era anima viva, eppure tutto funzionava automaticamente, e una voce informava da chissà dove, negli altoparlanti, dell' arrivo e su quale binario del treno del quale ero in attesa.

E' stato solo alla compilazione della carta d'imbarco con gli altri passeggeri allineati per il controllo di polizia, che mi sono sentito certo e si è placata l'ansia, che sulla nave si è commutata in una gioia appagata quando mi sono ritrovato nella cabina, dove potevo riporre ogni cosa e distendermici idealmente fino all' arrivo a domattina a Limassol, non vedendomi intorno in quale cella ferramentosa fossi alloggiato.

Chissà, che in tali circostanze che parevano congiurare avversamente, non mi abbia invigorito il misticismo dell' anziano con il quale mi sono intrattenuto sulla metropolitana, mentre una prima volta mi recavo al Pireo; benché al ricordo, nelle vicende che mi si intorcevano contrarie, ne accusassi la irrealtà illusoria delle persuasioni, l'irrisorietà dell' augurio finale di " bonne chance"...

Mi si era professato appassionato /fervente cultore di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce, del' identico slancio dei sufi nella religiosità islamica, e ad attestazione  mi aveva mostrato la foto del suo maestro  derviscio, ora non ricordo più se di Konya o di Costantinopoli, dove aveva vissuto, prima di trasferirsi in Atene, dopo che per la maggior parte della sua vita era stato a Johannesburg, poi a Gaza.

Noi siamo a immagine a Dio, era stato solo quanto aveva potuto dirmi prima di scendere e di salutarmi, perché noi e Dio siamo la stessa realtà, l' identica cosa.

...................

Ora che la luna è per me puntata su in alto tra Rodi e Cipro, è come se ogni contrarietà si fosse placata, e qualora proceda per Haifa e il Sinai e le oasi egiziane, come ne ho parlato con il giovane danese del quale custodisco lo zaino, non mi si prospettasse più che una calma bonaccia.

Lui mi precede su un'analoga rotta, per ricongiungersi in Hurgada con la sua ragazza.

 

La mia sordità fisica, la mia sordità interiore, fa finta di capire anche quello che finisco per non intendere, in un inglese di cui sui vanifica anche quello il cui senso è soccorso dalla gestualità del mio interlocutore.

Tanto più fingo di avere inteso tutto quello di cui non ho capito niente, appena chi interpello mi mostra noncurante disprezzo, secondo l'abito mentale di una gentilezza intimidita e remissiva ad ogni ostilità esteriore, che non mi sento di ricusare, ciononostante, quale lascito improntatomi dal mio genitore defunto.

 

Già l' atto stesso di partire, anche solo perché l'estate non muoia nel ripetersi delle necessità domestiche, che strappo è stato della ragionevolezza di restare, per accudire e portare alla luce del loro editing scritto, quanti miei testi che permarrebbero solo allo stato di tracce virtuali, nel cui valore chi crederebbe mai anche di chi conosco, se i rischi del viaggio fossero il repentaglio e la fine della mia esistenza?

Fino all' ultimo sforzando la stampante che per me si animava in un genio devoto, a desumere i caratteri di quanti più testi mi fosse possibile dalle loro tracce su dischi, fino all' ultimo stremandomi perché da quanto ho detto che è intercorso tra i vivi e i morti nella mia famiglia, non risultasse, di imperdonabile, che non consento a mia madre di essere, prima ancora che tale, un'anziana signora che intende innanzitutto e soprattutto vivere, anche a costo di sopravvivere alla perdita di suo figlio.

 

Ieri al Pireo, dentro l'agenzia dove mi consultavo prima dell' imbarco, come cantava inesausto quel canarino in gabbia, alle spalle dei due anziani nel fresco che ventilava la stanza, intenerendomi nel ricordo del mio uccellino ch' è ora presso mia madre, il sacrificio cui ho così sottoposto entrambi per intraprendere questo viaggio, era l' idea che mi ha sospinto a inoltrarmi comunque nell' asperità ulteriore, per sudolenta e stomachevole che fosse, quando il suo avvio non era per me che il travaglio di un continuo schifo, da cui non desideravo che l'immediato rientro, recedendo dall' idea di desistere anche per non deludere le aspettative, nei riguardi del mio viaggio, di chi mi abbia chiesto dove andrò quest'anno che sia remoto e distante.

Poi non ho curato che mi fossero un presagio, i due piccioni che intravedevo sfracellati lungo il molo d'imbarco, mentre che piacevolezza vedere celebrati sul retro della cartamoneta da 10 pounds cipriota, i volatili e l'altra fauna meravigliosa dell' isola.

 

E ieri sera, al caffè- chantant della motonave, insieme con la sua immagine di quando in cui mi è apparso oltre il cancello quando mi sono imbattuto in lui, è risorto in un palpito, e sgomento, l' amore di Gregory immutato e intatto.

Confortandomi che a tanta bellezza del volto, del suo fresco fulgore, ogni atto sessuale fosse vanità.

 

 

         

 

 

Paphos, 4 agosto 1998

 

Pahos, 4 agosto 1998

 

Una bonaccia dopo l'avvio il viaggio? Che fortunata dote, per chi è un viaggiatore a piedi e con i miei pochi quattrini, non poter vedere che cosa l'aspetti ovunque si rechi.

Arrivo a Limassol, la Parigi cipriota, di sabato nel deserto generale del centro, e gira e rigira,  in cerca di alloggio, mi ci devo pur rassegnare a che quell' unica stanza d' hotel ch' è la fatiscenza d'ogni degrado, sia quanto mi riserva quel che guadagno a insegnare in Italia,  nè aria condizionata nè fan, solo uno sgocciolio stento l'acqua della doccia, la tappezzeria, plasticata, in cui riscontro uno scarafaggio morto e uno vivo.

Uscitone, a pomeriggio inoltrato, per il castello dei Lusignano nella città vecchia,  indi, quando vi leggo il table time degli autobus di linea,  ne apprendo che quel giorno e tutto l' indomani, di domenica, non si parte neanche per le vicinanze, tutt'al più potrò raggiungere le rovine poco distanti di Amatusa.

Nel vecchio porto dove divago oltre il Castello, la guardia che mi identifica e mi si rivolge e mi parla in italiano, in quanto ha studiato all' Accademia di Napoli, e vuole esibirmelo, mi fa almeno intravedere la possibilità di usare il taxi collettivo per trasferirmi da una città all' altra.

E per le rovine del sito di Kurion? E il villaggio neolitico di Khirokitia?

Parliamo d'altro, e ciò che di lui mi stranisce colpisce* è quando il modo furtivo in cui appena mormora una sua domanda interdetta, l' interrogativo assurdo se io, com' è vietato e impossibile, sia entrato dal settore dell' isola occupato dai turchi. Percepisco una timorosità, anelante, nei modi in cui tale domanda da lui è ritirata al tempo stesso che la viene formulando, che mi lascia intravedere che la Cipro turca nella sua impossibilità preclusa, sia per lui divenuta il miraggio di un Eden perduto.

Mi ricorda per questo quell' autorità di polizia sud yemenita in Aden, nel '92, che quando gli dissi ch' ero europeo, mi chiese s'ero un sovietico di nuovo in arrivo.

Intanto che ne scrivo, in un caffè di Paphos alta ch' è in una * lungimiranza amena di cielo e di mare e di fresco e di verde, una mosca si posa sul bicchiere metallico dell' acqua e del latte del mio nescafè, e mi rammemora l' haiku incantevole di Issa, che mi dice ch' " io salvi la mosca, che soffrega le mani, che stropiccia i piedi".

Eppure l' altra sera a Limassol, nell' afosità del caldo, in quel viavai senza mete possibili, la linea del mare all' orizzonte, oltre i palmeti e i bastimenti al largo, tutto chiuso e deserto, di sabato, fuorché i bar caffè e il lungomare, la stanchezza stessa era divenuta l'allucinazione di una passività esaltata, nel suo lasciarsi andare ad ogni contrarietà imprevista, prima di trarne sollievo, alla taverna del Gallo, in quella sola chef salad che si è potuta concedere, ma in cui i sensi hanno trovato infine un delizioso conforto, prima del rientro notturno nel mio angusto ospizio.

Il mattino seguente, come ne sono uscito, ancora non avevo tratto conforto dall' averne messo fuori i piedi, che per me i grattacapi avevano avuto già inizio,- altro che un' ora a piedi, se dal centro volevo arrivare ai resti di Amatus, come mi aveva ribadito assicurato l'uomo alla réception.

Era da oltre un' ora che m'ero già avviato, nello sconforto incombente divorando chicco dopo chicco il grappolo d'uva che m'ero preso per trarne sollievo tra le vestigia raggiunte, e non mi trovavo ancora che ai primi hotels dell'Area turistica, al termine di tutta la quale è il sito archeologico.

Ma tra i vari rent a car meditavo su come trasformare tutta  quella frustrazione in un'occasione di qualche cosa di meglio, finchè non intravedevo finalmente quell' officina aperta, in cui era esposta in noleggio la mountain bike che faceva per me.

Era il mezzo magico, come l'inforcavo, che trasformava d'incanto, se non in ebbrezza esaltante, data la difficoltosità dell' ordigno come iniziavo a sospingerlo, almeno in contentezza di corsa la mia mortificazione pedestre, data la difficoltosità dell' ordigno ad avanzare spedito, tra i tanti ricchi estivanti cui il denaro sembrava appianare ogni difficoltà, consentire ogni sorta di agio ed escursione immaginabile.

Loro che erano i cittadini britannici, francotedeschi, della Comunità europea di cui lì non ero che il suddito italiano, nei miei pochi soldi di insegnante pubblico.

Non che fossero poi magnificenti le rovine di Amathus, ma erano pur sempre antichità da interpretare, belli erano i fusti a spirale nella luce marittima, e la spiaggetta sottostante, di scogli inaffollati, mi invitava ad attardarmici in un bagno ristoratore, nella chiarità verde delle acque serenatrici.

Ne avevo per davvero bisogno, perché poi verso Kurion, né il conforto di acqua e di frutta di cui mi approvvigionavo, né l' ombrosità sempre più assidua del percorso secondario che avevo intrapreso, attraverso Asomata, all' affollarsi di pini e cipressi tra gli agrumeti circostanti frinenti di cicale, potevano lenire la fatica estenuante di procedere nella calura implacabile, le gambe e quel mezzo a due ruote che sentivo indurirsi sempre di più, mentre, non me ne ero accorto, era quella strada interminabile che avanzava in un continuo falso piano in ascesa, il sudore, che a bruciare lo sguardo/ la vista, mi rendeva avventato agli incroci, calava in occhi afflitti dalle cisposità di una congiuntivite che mi ostruiva la vista.

Ma eccolo, finalmente, grandeggiare il cartello della svolta a sinistra per Kurion, che mi consente di eludere il prosieguo per l'erta che si profilava oltre, ma l' intravedevo male, purtroppo, perché deviavo poco prima(, precocemente,) e nella morsa della delusione stremata mi ritrovavo solo al termine dell' omonima località di mare, una successione inaffrontabile, con la vista e con l'odorato, di stabilimenti vocianti la chiassosità che li gremiva dei ciprioti in vacanza.

E le rovine di Kurion? Erano già passate le quattro, oltre ogni tempo massimo previsto, alle otto era l' ora di riconsegna prefissata della mountain bike, ed io non mi ritrovavo ancora che lì, su quel litorale formicolante, laddove le fotografie e la mappa della guida prospettavano in altura il sito archeologico antico.

La desolazione avvilita mi attanagliava, lo spirito di resa e di rientro da Cipro e dal viaggio, la prostrazione che mi ghermisce ad ogni ulteriore difficoltà incessante, o mortificazione umiliante della mia pochezza economica di viaggiatore.

Mi rimettevo ad ogni modo in sella, verso un colonnato di rovine cui era precluso l'accesso, chiedevo di Kurion nel successivo parking, ove mi si diceva che era sulla collina sovrastante, e là ne intravedevo ora l' anfiteatro, bastava che riprendessi a salire svoltando poco oltre a sinistra.

Quando oltre il teatro vi avevo finalmente accesso, come quante altre città greco- romane,  Kurion mi si prospettava in magnifica vista del mare,4cipro.jpg (34337 byte) ove le alture vi terminavano in una piana falcata litoranea, a perdita d' occhio sulla sinistra fino a Limassol.

Purtroppo, data l'ora tarda, non me ne era più possibile che la visita affrettata, lungo la passerella fiancheggiante i mosaici della casa cristiana di Eustolio, tra i resti della basilica dei primi Cristiani, 5cipro.jpg (42580 byte) vasta al punto che la confondevo con il foro retrostante, oltre il quale mi ostinavo, contro il tempo, a ricercare al di là di quello della casa dei gladiatori, anche il mosaico della casa di Achille.

Mi decidevo solo allora per il rientro, quando non mancavano neanche due ore per la riconsegna della mountain bike, e nella corsa contro il tempo, anzichè ripercorrere l' andata,  optavo per la strada incognita di Episkopi, alla quale la gente stessa del luogo mi consigliava di attenermi, finchè non avessi imboccato la via promessa della New Road, la superstrada, l' accesso alla quale, intanto, dovevo scontare su per questa e per quella e quell' altra salita, finchè imboccavo la superstrada, con il solo sollievo di sapermi giunto a 13 chilometri dalla meta di Limassol.

Evitavo la digressione, che poteva perdermi, di andare a vedere le rovine vicine del castello medievale di Kolossi, non senza fermarmi a raccogliere, per le zampine, un penosissimo uccellino morto che riponevo nella vegetazione al di là del manto stradale, prima che al decimo chilometro da Limassol la strada si facesse una discesa continua, e che per me, apprendista maldestro della guida a sinistra, dovesse iniziare l' apprensione di continui rondò.

Io non mi azzardavo a compierli che a semicerchio, seguitando oltre, a dispetto della successione dei cartelli che mi prospettavano sulla destra l' uscita per Limassol.

Ma quando nei termini greci di " Mesa Gitonia", vedevo indicata la sortita per la città vecchia, scendevo di sella a quel bar sovrastante, ne chiedevo conferma al vecchio gestore, - nel cui locale, a compenso, sprizzavo tutt'intorno dalla lattina la bibita che vi prendevo- e facevo a piedi il cambio di corsia, da dove, allo svincolo, c' era ancora da sbrigare a destra tutto un intrico di odoi e leoforoi, prima di poterne uscirne sul lungomare, (a trarne respiro/sollievo,) quando avevo avere da ripercorrere per un lungo tratto poi tale rettilineo se volevo essere di fronte, finalmente, all' officina di riconsegna della mountain bike, che non erano ancora le 7, 35 di sera, e lì rischiare di essere investito giustappunto mentre traversavo la strada.

Ero così sfinito e pregno di sudore, al mio rientro in  "hotel", che senza potere minimamente disdire ricusare con disdegno, non avevo modo che di sentirmene afflitto ed offeso nella mia povertà costretta a tanto sforzo, quando alla riconferma per quella notte di quella penosa stanza, l' uomo alla réception mi chiedeva che gliene anticipassi il pagamento.

Non  mi restava che consolarmene in una taverna sul lungomare  con un' altra  salad, anche se quella che consumavo, la tropical, per squisita che fosse, nella sua composizione di sola frutta esotica e cetrioli e pomodori, senza carne o formaggi, non era certo, ahimè, quello che esigeva il mio appetito famelico.            

                

 

 

Paphos, 4 agosto, sera

 

Su Paphos il cielo si arrosa d'azzurro, ove il mare (vi) si suggella verso la Palestina e l'Egitto, una stella cadente si accende e vi scompare, oltre un' imbarcazione remota che vi giace alla fonda, intanto che s'illumina retrostante ogni sito della città.

Che stanchezza, se penso a quant'è la strada per il rientro lassù, ove l'aria è impregnata già di balsami di altura.

E l' immensa risacca del mare che si rifrange, lambendo

i profili salmastri sotto la mole del faro, nel suo respiro immenso non placa l'ansito del mio, benchè la giornata trascorsa declini al sereno come l' orizzonte lontano.

Non posso intanto restare, debbo andare, incamminarmi di fretta, per riprendere a scrivere oltre.   

 

 

Paphos, 5 agosto

 

Là sotto la sommità del faro, lo sgomento di ritrovarmi improvvisamente solo, facile preda di ogni agguato, mi ha sospinto fin qui nel traffico di Kata Paphos, sul lungomare dove ho cenato in una taverna, preferendo l' octopus all' aceto alla solita seafod salad.

Prima di ordinarlo, nel discorrere con una signora francese di come in Cipro non si trovassero che degli inglesi, non solo quali turisti, le ho insinuato che per loro *per la loro ristrettezza andarvi in vacanza era un modo di riprendere possesso delle colonie perdute, qui come a Malta.

Che notte poi nell' ostello, l' ospite sottostante, nel mio letto a castello, appena è sopraggiunto ha messo in uso un fan che sembrava un turboreattore, io, che non potendone più, mi riduco tutto all' estremità della branda ch' è dalla parte dei piedi, per estrarre dallo zainetto che vi avevo appeso il tappa orecchie, e sento così spezzarsi di sotto l'assito del letto, costernato di verificare che non è che un plafond di cartone, ma i tappaorecchie ciononostante non li ritrovo, eppure imbuco uno spiraglio di sonno, sotto un asciugamani intorno alla sopra la testa, per essere risvegliato da chi sopraggiunge, e riassopirmi ancora, senza riuscire a uscire ancora dal sonno, nonostante tutto, pure se vorrei farlo, gridare a tutta forza, sbattere porte e finestre, quando di fuori sento sbraitare animatamente, a più non posso, di demokratia e fasismòs...

La democrazia è innanzitutto lasciar dormire la gente, vorrei poter inveire, ma non lo posso, non lo voglio, aggiungerei solo disturbo a disturbo per gli altri, che sembrano nonostante tutto imperturbati indisturbati nel sonno.

Da un giovane operaio svizzero, di origini spagnole, che alloggia anch'egli all' ostello, e che vi avevo ritrovato perchè mi aveva preceduto nell' allontanarmi dal faro, la sera precedente, ho appreso stamane che la mia era stata l' unica camerata i cui ospiti, benchè il baccano l'avessero alla finestra, non fossero accorsi di fuori, a notte inoltrata, quando è sopraggiunto dall' esterno un uomo ubriaco, fuori di testa, che armato di un lungo coltello ha seguitato a minacciare la giovane donna addetta all' ostello, finchè non è sopraggiunta a portarselo via ad allontanarlo con sè la polizia, con la quale era colui che avevo udito per l'appunto sbraitare di democratia e fasismòs...

***

Mi ritrovo ora di nuovo nel caffè di Pano Paphos, tra cielo e verde e lontananza di mare, impregnatovi, è il caso di dire, nello sforzo di lungheggiare a piccoli sorsi il cappuccino, per evitare la trasudazione ininterrotta di quel che bevo, tale è l'afa e la calura dell' isola, un disagio che ieri ha sovrastato ogni mio sforzo di riprendere la cronaca che vi ho dovuto interrompere, verso mezzogiorno, prima che mi esteriorizzasse in una tracimazione continua nel Museo archeologico, e che ancora a sera mi ha reso gocciolante /stillante sui mosaici delle case di Dioniso e di Aion, - ah, la brezzolina lieve, intanto, nel piacere di dare tempo al tempo, prima che mi rechi alla pietra di Afrodite e ai bagni di mare.

Nel Museo Archeologico che mi ha interessato, per davvero, nella sua singolarità, è stato il reperto fittile di porzioni concave del corpo umano, che ricolme di acqua o di oli salutari, si sovrapponevano terapeuticamente alle identiche parti anatomiche del malato.

Nel vasellame cipriota che vi era esposto, ricorrevano i motivi della circolarità concentrica e parallela, e che fresca bellezza di colori e di flussi lineari, nei reperti di quello medievale.

Quanto alle tombe dei re che ho visitato l'altro ieri, e che costituirono piuttosto i sepolcreti di ufficiali e dignitari macedoni, data la loro similarità *con quelli di Vergina, 3cipro.jpg (49067 byte) incavate nelle sotterraneità di un acrocoro in riva al mare, anzichè lungo i pendii di un rilievo, come a Petra o a Cirene, è la pietas e la rilevanza di ogni reperto, che di che ho avvertito nell' atrio di quelle case ei morti, mi consente di dire solo il senso di perdita di ogni originario splendore, alla vista di non più che qualche relitto di triglifi e di intonaci, delle colonne originarie ridotte alla grezzezza del torso di roccia da cuyi furono tratte, del degrado a caverne delle celle di culto e di interramento o di deposizione in loculi dei morti.

Che nella Paphos degli strateghi tolemaici o dei proconsoli romani, le case dei vivi e dei morti opulenti presentassrero un decoro inimmaginabile a quei resti, era quanto ieri mi si offriva invece nella magnificenza testimoniale dei mosaici delle case di Dioniso e di Aion,

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 ove una continua rivisitazione mitologica, di stanza in stanza, intervallata solo dall' apparato musivo di scene di caccia e di tarsie geometriche, era quanto vi aveva il luogo successivo di tappezzerie o di arazzi, a chi vi accedeva o vi deponeva la vista, quando anche il tablinum vi fosse stato  utilizzato a triclinium.  

      

 

 

Il re di Cipro

 

Dire che qui all' angolo di svolta ove il lungomare seguita verso il castello di Paphos,  con al fianco, posteggiata alla banchina, la mountain bike sulla quale sono reduce da Palaia Paphos e dallo scoglio di Afrodite, mi sento niente di meno che il re di Cipro autoproclamatosi tale, è soltanto un'allusione, quanto mai timida, allo stato di beatitudine fisica e mentale in cui mi ritrovo.

Quando dopo l'una pomeridiana ho finito per perdere l' autobus per Limassol,  incapace di lasciare in tempo, talmente mi sono apparsi straordinari, i resti della basilica paleocristiana  nel rilevarmene attonito -anche un nartece prima del vestibolo? Ed era un diaconicon, quell' aula prospiciente l'absidiola a fianco?-  

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è stata allora la charis alla quale ho saputo appigliarmi, ai suoi capelli nel vento, la vista di questa bicicletta in affitto, qui di fronte.

Ma come avrei avuto la forza di affrontare in quell' afa anche solo venti, trenta chilometri litoranei, se il caldo era tale che mi mancava il fiato anche a sostare, e se traboccavo di sudore nelle magliette, cui davo vanamente il cambio impregnandole tutte, e anche alla postazione di noleggio delle mountain bike, dovevo continuamente spogliarmi ed asciugarmi e rivestirmi, nel passaggio dalla refrigerazione dell' aria condizionata dell' ufficio alle mountain bike all' esterno.

Eppure è bastato che abbia preso ad avviarmi, perché nella ventilazione si prosciugassero ogni remora ed affaticamento,

ed all' affidabilità del mezzo potesse corrispondere quella del ciclista.

Una, più soste, per fornirmi di acqua e potere orinare, poichè nel ristorante ove avevo ordinato un greek koffee per affrontare lo sforzo, alla toilette che ho trovato aperta stavo già abbassandomi i pantaloni, prima ancora di chiuderla, quando mi sono accorto che vi stavo terrorizzando un piccolino che ancora non l'aveva fatta nel water, su cui era chino, e che chissà quanto l'avrebbe fatta lunga. 

Soltanto nel risalire l'erta di Palaia Paphos, mi sono sentito teso in un cimento, nello strappo, poichè il non mettere il piede a terra prima che fossi giunto in vista del Museo archeologico, era la condizione che ponevo a me stesso, per potere credere di farcela nell' affrontare poi i monti Trodoi.

E ce la facevo, prima di essere alla spianata finale e al cancelletto d'ingresso, al punto che avevo anche la forza, con il conforto dell' acqua residua nella mia borraccia, di rifiutarmi l'ice coffee in lattina, alla gerente del chiosco che presumeva di farmelo pagare il doppio che altrove, sfruttando la rendita di posizione di quel punto d'arrivo.

" Mancherei altrimenti di rispetto a me stesso", ho mancato di aggiungere, per averne riguardo, al turista inglese che vedendo che mi negavo il conforto di bere allo stremo dello sforzo, si era offerto di pagarmi il consumo della bevanda.

" Tank you, very much, tank you, io posso pagare-ho solo detto-  ma mi rifiuto di pagare una cosa il doppio che altrove". Ed infatti per la metà, come sono arrivato qui, ho pagato la stessa bottiglietta nel chiosco di fronte.

All' interno del museo, più che interesse per le rovine, ho provato commiserazione di quel piccione ch'era nel salone sottostante, quando alla vista delle sue piume cadenti ed arruffate, gli occhi cisposi e brucianti, non ho dovuto attendere di vedere che al mio passo incalzante non  trovasse che la forza di arrancare verso l' interiorità più in ombra del salone, per sentire che stava morendo.

Sono tornato a salutarlo senza più recargli disturbo, rivisitate le sale, e lui mi ha accolto nella sua dignità morente con una piuma nel becco.

E' stata infine una corsa in saliscendi, il seguito in mountain bike fino allo scoglio di Afrodite, 25cipro.jpg (41576 byte) tra gli altri luminosi sproni rocciosi, che biancheggiavano nel mare più celestiale e tiepidamente fresco...  

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Dal quale anziché Venere e il suo corteggio di Cupidi e Cariti, quel signore fluente e le sue opulente compagne, in veste di Nereo e delle sue figlie marine, vi sono sorti anadiomenici quali i primi turisti italiani di cui in Cipro abbia riscontrato la viva presenza, non  già le sole tracce del passaggio, nei registri degli ostelli e dei Musei, anime cortesi bergamasche, di cordialità sensibile verso la povertà soggiacente e sottaciuta, alle mie peripezie turistiche che dispiegavo loro, allo stesso rimpianto di non potere attendere che il tramonto arrosasse romanticamente il tepore del sito, perché siamo più a Oriente, mi rammaricavo, e qui la sera scende più precoce, " ed arrischiarmi ad espormi ai fari notturni, ho scherzato, per me è come il mancato rientro di quand'ero soldato".

    

 

 

Paphos, 6. agosto

 

Già mi immaginavo, sostanziato della più appetitosa seafood salad, di rientrare nell' ostello trionfale, al cospetto dei due ragazzi svizzeri, con la mia mountain bike, come un cavaliere con il suo cavallo glorioso.

Invece la solita taverna, sul lungomare, mi ha imbandito la più deprimente mescidanza di pochi gamberetti e tanto erbaggio , che mi ricordava i peggiori dei miei esiti culinari, nella sua diluizione acquosa del tonno e dell'insalata

E raggiunto l'ostello, su in alto, che strano ordine e silenzio, oltre l'accesso illuminato su ogni sala deserta, non fosse per la sola presenza che vi si agita del sordomuto russo.

E' inutile, quando mi appresso, che lui mi chieda a gesti ch'io spenga al più presto la luce, perch'io divorzio istantaneamente da lui, e dal suo turbo fan, per una saletta ove in tutto e per tutto sono solatio.

Quindi nel suo silenzio, l' emozione per il tumulto del giorno trascorso si fa tale e tanta, che la quiete struggentesi si tramuta in un pianto dirotto, non appena si rifà vivo il ricordo dell' agonia dolente e raccolta del piccione racchiuso in Palaia Pahos, nell' come già dell' identico deperire letale che fu il decesso del mio canarino morto, la piuma nel becco di un'esistenza che non rinunciava a se stessa fino alla fine.

Chissà, che non fosse già sopraggiunta.

Ma per il tumulto che mi stremava cadevo nel sonno, eppure ne sortivo che erano ancora le quattro di notte,- intorno, nell' ostello il più assoluto silenzio.

Che se ne fossero andati tutti, tranne quel sordomuto, nel timore del ritorno di quell' uomo violento?

L' inquietudine e l'ansia si facevano apprensivo timore, mi inducevano a mi facevano uscire in strada, oramai insonne, in perlustrazione di ogni auto, di ognuno, che vi fossero in sosta o di passaggio.

Solo lo sfacelo d' un gatto, vi era sull' asfalto spiaccicato ad alterarmi.

Ovunque intorno, la stessa quieta calma ch' era nell' ostello.

Potevo rientrare, ch'erano già le sei, riassopirmici di nuovo, e sorbirvi un piacevole risveglio, a poco a poco, nel trapelare nel mio angoletto, tra le brande vuote, del levarsi con la luce del canto delle cicale tra le persiane verdi.

 

Poi ho dovuto attendere oltre l'una di poter partire per Nicosia, dopo che nelle mani dell' astinomia della Divisional Police Headquarter of Paphos, ho trovato in chi rimettere le spettanze dell' ostello senza più nessuno, aperto e incustodito. 

 

 

 

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