Nicosia
8
agosto
E'
nella quiete e nel verde dell' atrio gotico della moschea di Omerye, che
mi ristoro sono mi ritrovo di nuovo e che cerco di
ritrovarmi nella Nicosia greco-cipriota, sostandovi in disparte solo
tra le ciabatte di devoti ed assenti, il nel frinire inesausto
delle cicale che vi sovrasta ogni fragore urbano,-
sostandovi di rientro, due ore or sono, dal settore turco della
città-capitale, giusto al termine del tempo concessomi quand' erano le
cinque pomeridiane del tempo concessomi.
Identicamente
sostandovi fra le ombrose Fra le identiche arcate gotiche di un
idioma religioso perduto e in rovina, questo pomeriggio nella Nicosia
turca che con lo scadere del permesso mi si sottraeva, erano
identicamente intenti e non si distoglievano dalla loro parola
reciproca, i turchi che vi erano nel' atrio dell' arcano di pietra della
moschea di Selimye, i suoi minareti svettanti al cielo sui contrafforti
e le arcate e le vetrate superstiti della cattedrale di Santa Sofia, tra
i loro pinnacoli tese nell' azzurro la falce e la luna della Turchia.
Oltre
i cavalli di frisia del Ledra Palace, superata la green line nell' unico
varco d'accesso, via via che procedevo nei caddesi in cui si erano
tramutati i leoforoi della Nicosia greca che più ne fanno ch'
è più una ex-Berlino occidentale, tra quella popolazione più
dimessa e più fisicamente pregnante, (fra) i loro sguardi
sfuggenti meno indifferenti, che mi si rivolgevano con una più viva
trepidazione, -come negli occhi di quel giovane cassiere, al cambio di
sole diecimila lire insolite italiane con quattro milioni di
quelle turche,- mi sono ritrovato nella parte che mi spetta,
delle due Cipro, pervenutovi tra chi escluso da ogni legalità
internazionale, riesce ad esercitare comunque ogni necessità vitale.
In
piazza Ataturk, ov' ero pur giunto al centro della Nicosia turca, ma
di banche e uffici e negozi, e alberghi e ristoranti, quanto più
appariva ridotta ogni funzione e attività, che nella corrispettiva
piazza greco- cipriota Eleftheria, per più piacevole che ne fosse l'
aspetto conferitogli dalla dominazione britannica, di quello della
corrispettiva piazza greco- cipriota Eleftheria, quanto più
appariva ridotta ogni funzione e attività, laddove nessuna via
Ledra lastricata per lo shopping, alcuno leoforos Makariou, pulsante di
traffico, tra palazzi di lusso di agenzie o dell' alta finanza, vi
riesce a confinare nelle sole sokkagi del centro la povertà materiale,
che anche nella Nicosia greca pur trapelava dietro le soglie delle
vecchie dimore, a causa della che la lebbra di una stessa
fatiscenza che le ammalora e sfascia al di là e al di qua della linea
verde, nelle specchiature e nei timpani affissi alle porte, nelle trame
delle lunette arrugginite, con la data di inaugurazione della casa tra
le volute e i racemi.
Già
ieri mi ero inoltrato al di là della stessa Chiesa
di Nostra Signora del Lino d'oro, per reimbattermi nella green
line ove le vie di San Cassiano e di San Giorgio si interrompono in
muraglioni con postazioni di vedetta, e le case a nord vi rovinano e
aprono squarci a ridosso della zona di nessuno, delle disabitazioni in
cui rinvigorisce solo la sodaglia rinvigorisce o non si
sospingono che gli uccelli, sorvolando o inoltrandosi tra le
sbrecciature di dimore e di officine morte dal 1974, da oltre un
ventennio, oramai, prima, che al di là, apparissero i pennoni
incrociati e le luce delle case turco-cipriote, e la stessa città
riprendesse vita in un'altra del tutto incomunicante.
Il
misero ristorante domestico in cui nei paraggi mi sono ridotto allora a
cenare, era una delle poche dimore di siffatto tenore fatiscente,
che nella Nicosia greco-cipriota non abbiano ancora perso un uso civile
o che non siano cadute in una completa rovina, per la devastazione della
crescita in loro luogo di palazzine cementizie.
Tra
i tavoli che vi erano a ridosso della muraglia della linea verde, solo
dopo che mi ci sono seduto ho notato fatto caso al dato che
quello che avevo scelto aveva uno scacciamosche sulla tovaglia, prima
che mi ci fosse servita una lonza così coriacea, sotto i denti, come
non mi si erano incalliti i piedi dolenti,
per mia fortuna inavvertendone il sapore, tra quello dei pomodori
e dei cetrioli con cui l' inghiottivo.
Ma
era tra quella miseria e a quelle rovine, alla tragedia dell'impasse
storica consolidatasi nella vigilanza internazionale di guardia a
quelle zone morte, che era stato calamitato il mio andare di tutta la
giornata, dopo che dal Museo archeologico sono uscito solo all' ora di
chiusura, e da porta Paphos ho fatto ritorno alla chiesa della Agia
Faneroumena, mi sono ritrovato nell' atrio di questa moschea, sono
risalito verso il Palazzo arcivescovile e la microcattedrale di Agios
Johannis.
Era
ancora aperta, per il rito che vi officiava il prete ortodosso per pochi
fedeli, che come dopo l'amen ha rinchiuso l'iconostasi, se ne è filato
via in Mitsubishi nella direzione stessa in cui ho mosso miei passi,
verso la Chiesa di Nostra Signora del lino e la linea verde.
L'avevo
vista l'altro ieri per la prima volta, dove sbarra ogni prosieguo di
shopping della via Ledra, e ove qualche vicolo più a oriente, al di là,
quali miraggi inarrivabili, svettavano i minareti della moschea di
Solimano, le vette che crestavano all' orizzonte l'irraggiungibilità
dei monti Besparmak.
In
virtù del privilegio accordatomi per un solo giorno, ma era in quella
inarrivabilità incantevole che oggi pomeriggio sostavo dentro la
moschea, dopo che il complesso moderno della città turca, dove mi ero
attardato ostinandomi in cerca della casa di Dervis Pasa, si era animato
di remoto, nel viavai che ne affollava le mercature in luogo del
traffico, come oltre il buyuk hammam, e i caffè ombreggiati di
alberelli, i cui frequentatori erano attardati nel gioco della *, mi
sono ritrovato lungo Arasta sokagi e i suoi pellami.
L'
ho lasciata per risalire sulla sinistra l' Asma Alti Sokagi, e potervi
solo intravedere l' interno del gran caravanserraglio, i ripostigli
sottostanti dei magazzini e le camere delle locande al primo piano
piano, una per ognuno dei camini che ne sporgevano dal tetto; nel
cortile scorgendo a stento, tra i battenti di un portone, l' ottagono
cupolato che vi si profilava di una mini moschea, situandovisi, tra le
macerie e lo sfascio , quale un deposito adesso dei loro rottami, nella
cella ch' è sovrastata dalla scala d'accesso all' aula chiusa della
preghiera; così come poco più avanti, potevo solo accedere all'
esterno del Ristoro dei giocatori d'azzardo.
Solo
durante la rivisitazione generale, prima del rientro, mi sono
inoltrato sino all' ulteriore simbiosi gotico-islamica della moschea di
Haydarpasa,
nel frattempo, infatti, di ritorno sui miei passi, ho voluto
riaddentrarmi tra la folla turco-cipriota, lungo la via che da piazza
Ataturk reca alla porta di Girne, ove al di là del suo slargo stava
seduta ai tavoli dei chioschi di un giardino pubblico.
Ai
camerieri, prima di ordinare, dovevo mostrare tutta la pochezza del
potere di acquisto delle centinaia di migliaia di lire turche che avevo
nel portafoglio, perchè mi dicessero se potevano bastarmi almeno per un
te, per un caffè turco, qualora avessi rinunciato a un doner kebab, che
mi sarebbe costato pressocchè l'intero ammontare della somma di cui
disponevo.
Mi
ci intrattenevo tra le fragranze dei pini e l' odore di sudore e di
umori maschili, che affluiva dai tavolini di quelle compagnie di soli
uomini, prendendo a fissare, ricambiato insinuante, un giovane uomo
turco dai bellissimi occhi, che mi evocava ogni tutto il piacere
possibile, con la lingua e le labbra sotto il folto dei baffi.
Il
balenio del suo sguardo si faceva ancora più inequivocabile, insistito,
mentre la sua destra scendeva all' altezza dell'inguine, sul membro
ingrossato.
Era
impossibile anche solo immaginare che con lui potessi anche solo
indugiare, ma nell' alzarmi, non mancavo di rivolgermici, di salutarlo,
e un uomo accorso, ad un suo cenno, allorchè mi ha invitato inutilmente
a sedermi, si faceva a lui interprete della mia necessità di rientrare
di lì a un' ora nell' altra Nicosia.
La
sete, l'urgenza di urinare, quando sono ritornato fugacemente agli
hammam e ad ai caravanserragli, mi ha forzato a sostare alla trattoria,
una delle più allettanti, ch' è adiacente al Ristoro dei giocatori
d'azzardo, dove al garçon chiedevo una limonata e di potermi servire
della toilette.
Ed
egli mi ha accompagnato per un tratto di strada, svoltando a sinistra,
all' interno di una casa dove oltre la soglia, prima della scala, due
battenti marroni indicavano con una scritta, sopra in bianco, l' accesso
al W.C od al Bath.
Dal
cesso stava sortendo intanto una donna, mentre nell' altro stanzino
sentivo un uomo espettorare e gemere.
Era
una squisitezza, la limonata che il ragazzo mi avrebbe servito, più
ancora di quella che per le
duecentomila lire turche che ancora mi restavano e non sarebbero
bastate, dopo averne invano richiesta un'altra al caffè all' angolo
della moschea di Solimano, mi serviva il gestore del bar in prossimità
del ceecK point, compiaciuto , a quanto gli dicevo, che mi dispiacesse
di dovere purtroppo lasciare di lì a un quarto d'ora al massimo la
Nicosia turca.
Vi
era con un inglese, che mi si diceva della forza d'interposizione
alloggiata al Ledra Palace.
Certo
che mi rammaricavo di non potervi restare, e non tanto perchè ogni cosa
vbi fosse very cheap, come vi trovava convenienza quel militare.
Ma
nella Nicosia greco-cipriota ancora non avevo rimesso ambo i piedi,
che alle postazioni di controllo
rivedevo il russo sordomuto, dopo essermelo ritrovato dentro in
camera nell' uno e nell' altro ostello.
Nei
pochissimi suoni che riesce ad articolare, vi si affannava a chiedere,
come avrebbe perseverato a chiedermi, a che ora e per che importo, e in
che valuta, fosse possibile passare dall' altra parte,
quella della "Turk oc-cu-pa-tion".
Se
si ostina tanto a confidare nel mio aiuto cordiale, riesco evidentemente
a celargli quanto mi irrita quella sua gestualità forsennata, come
quando strabuzzando gli occhi si pone le mani alla gola, a significarmi
il timore di finirvi in qualche modo scannato, o si ritorce nello schifo
dello sputo, quando mi chiede per chiedermi se l' accoglienza
turca non sia piuttosto un rigetto.
"
He's a russian", dico al vecchio gestore del chiosco cui mi siedo,
ordinando una spremuta d'arancia che mi serve in una bottiglietta, la
bevanda, così da lui predisposta, non meno squisita, nella sua genuinità,
delle limonate della città turca, che è ridiventata, di già, le case
irraggiungibili che vedo di fronte, oltre un campo di gioco sotto i
bastioni delle mura veneziane.
"
Non è buono tutto questo" dico all' uomo del chiosco facendo(gli)
cenno a quanto ci sta di fronte, a com' è stata tranciata un' isola,
una città.
"
We can do nothing", " Noi non possiamo farci niente." è
tutta la sua sola risposta.
"
Per quanto ne so, credo che la Grecia abbia commesso troppo errori, qui
a Cipro,... contro Macario, nel nome dell' enosis...
"
La Grecia ci ha distrutti", è in risposta la sua sentenza di
inappellabile condanna.
Ed
io non ho che un saluto di simpatia, di cui per questo ricambiarlo.
Nicosia,
9 agosto
Nicosia,
9 agosto
Un
anno fa è morto mio padre.
Ne
parlavo con l' uomo siriano che mi si è avvicinato fra i suoi
connazionali convenuti nella moschea di Omerye, per la preghiera, quando
mi ha chiesto di mia madre e di mio padre, dopo la domanda di rito, per
un arabo islamico, sulle ragioni per le quali non sono sposato.
Ma
non era per verificare se con me poteva rimediare all' assenza della
moglie, che mi ha preventivamente chiesto di ciò, e se per un caffè
volevo accompagnarlo dove vive, e dove l' ho seguito, una miserevole
stanza ch' era occupata solo da un letto sfatto, periclitante, da un
ripostiglio dei suoi effetti personali, dall' ingombro di valigie e
dalla sedia su cui mi ha accomodato.
E
non era per provocarmi a fare qualcosa con lui, che mi ha offerto quel
mazzo di carte che non erano che pornografia, ah, mi è bastato vedere
la prima per esserne ripugnato- alla vista di quell' anonimo membro,
senza il volto del corpo, che infilava la fica di quell' anonima donna.
"
Quello che non è non può essere buono buono per un islamico-
gli ho insistito/ detto-, non può essere buono per un non
islamico."
Non
era per tale genere di cose, infatti, che ha poi tentato di offrirmi
invece un coltello a serramanico, a più lame, che mi ha ugualmente
fatto ribrezzo, e che ho solo accennato a riporre nel mio piccolo zaino.
Nè
per arrivare ad avere con me rapporti, mi ha trascritto in arabo e fatto
traslitterare il suo nome e indirizzo, dicendomi che così potrò
ricordarmi di lui, in Italia, quando mi capiti, prima di addormentarmi.
Ne
sono stato certo Me ne sono rassicurato, tuttavia, solo quando mi
ha mostrato l' immagine del suo bambino, in due fotografie che ha
estratto da un portafoglio, in una delle quali era in lacrime, nell'
altro si era appena ripreso dal pianto.
Egli
Il quale vive in Siria, con sua moglie, che sopravvive
delle rimesse del suo lavoro in Cipro.
Ma
ne sono stato certo accertato/ certificato rassicurato
per dovermi allarmare piuttosto, con apprensione e sgomento, che erano
delle mie cose appresso, dei miei soldi che voleva, persuaso che la mia
accessibilità fosse disponibilità.
Ho
iniziato allora a tirarmi indietro, a non
lasciargli più margine, sottraendomi alla sua richiesta di
vedere che valuta avevo, se disponevo di dollari in carta moneta.
Si
è allora contrariato, deluso, ripiegando sulla richiesta se volessi un
caffè, (che lui mi avrebbe offerto, già me lo immaginavo, ed io
avrei pagato per entrambi in un ritrovo esterno.)
Come
se non sapessi che finiva per voleva implicare, poi, che
accettassi da lui anche un solo caffè.
Che
a mie spese avrebbe poi ordinato per sè a mie spese la sua cena,
un mezé di parecchie portate, cui ha alluso dopo la a seguito della
richiesta se volevo un caffè.
Gli
ho allora pretestato che come italiano, "as italian", sono un
uomo povero, nient'affatto un ricco,
altrimenti non viaggerei come io viaggio, nè mi avrebbe trovato
dove mi ha trovato, e ch'io a Cipro non mangio che una volta per giorno,
una sola pietanza.
"
Se è per un caffè,... ma solo un caffè".
"Sì,
sì,..." ha ribattuto scornato, nell' accompagnarmi con un mio
sospiro di sollievo ad uscire di fuori.
"
In Marocco, in Algeria, in Tunisia, in Egitto, o in Siria, e' sempre la
stessa storia, - per strada gli ho allora chiarito in inglese- voi
offrite e io debbo pagare".
Stesse
pur certo che al cameriere avrei detto che qualunque cosa lui avesse
ordinato, gli avrei pagato soltanto un caffè.
Mi
ha allora chiesto indietro e io gli reso il foglio con i propri dati.
Io
mi sono invece allora chiesto perchè dovevo ancora seguitare con
lui un solo passo di strada, ed ho invece preso la direzione opposta.
Ma
come posso io mai credere, nel seguito del viaggio, che a delle genti
come quell' uomo in miseria, anche a quel giovane uomo turco che mi
faceva cenni d' intesa nell' altra Nicosia, possa mai interessare altro
che il denaro, di un uomo già in età, quale io sono d' animo e
d'aspetto?