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12 agosto,
tra Limassol ed Haifa
Poi la
stessa irresistibile determinazione che mi obbliga a portare a
compimento le ragioni del mio viaggio, in virtù nome per la
della testimonianza virtuale che debbo rendere con il suo seguito
integrale/ coerente, tradotto in parole
scritte, è stata la perseveranza che in
Nicosia mi ha fatto coatto indotto
a persistere nel Museo bizantino, ed indugiare all' interno della
cattedrale di Ayos Giovanni, al di là del tempo che mi sarebbe più che
bastato, occorso seguitando a non avvertire tuttavia
niente fra quelle icone ed affreschi, sebbene per quanto ad una
ad una rivisitassi
le
opere, o tentassi di addurre ai reperti musivi
protocristiani le tecniche pittoriche delle successive icone, quali
le loro luminature bianche o la sovrapposizione di linee di forza di
colore, di timbri diversi da quello del fondo, prima di farsi lungo i
viali, tale determinazione, e si è poi fatta la coazione a
risalire sino a quel solo distributore di Coca cola che abbia trovato
sull' isola, pur di perdere il tempo a smaltirvi quei cinque centesimi,
così sudici, che non sapevo come riporre in una mano, nei pressi a
localizzare ineludibilmente la della stazione dei taxi di linea
per Limassol, che localizzavo e individuavo ineludibilmente, e
come vi ho appreso ch'ero ancora in tempo per rientrare in serata
nella
città
portuale, da
cui risalivo immediatamente all'ostello
a ritirarvi lo zaino e la registrazione dell' arrivo, rimasta
inaccolta, senza che alcuno nel frattempo si fosse fatto vivo, pur
di essere già di ritorno, " all right", a quell' ufficio dei
taxi di linea quando
erano già passate le quattro, in attesa di una vettura
per Limassol ,
che al suo
sopraggiugere, si è rivelato un furgone- merci,
-
al
che ho mostrato così buon viso a tale sorte, che ho fatto l'atto
di salirvi di dietro tra gli altri pacchi, " ma vous n' etes pas un
paquet", inducendo a commentare il
mio
atto maldestro la donna che
conduceva il furgone, una giovane rumena splendida, tutta fumo e techno,
in pants, calzoncini corti e maglia attillata, che
mi
invitava,
così,
ad avere l' onore di salire con lei davanti, per tutto il tempo di una
corsa mozzafiato, prima di finire, di fatto, scaricato alle soglie Limassol come un pacco tra gli altri pacchi, anzi, senza
venire nemmeno smistato a destinazione, come è regola a Cipro del
service taxi di trasporto delle persone, un
maltrattamento al quale, a
un anno dalla morte di
mio
padre,
seguitando in questo a commemorare il carattere
che da lui
ho
ereditato
, non ho reagito che facendo presente alla
driver la manchevolezza, -
eh,
ma qualcuno prima o poi sarebbe passato per
l'agenzia a prendermi, è
quanto lei in tutta replica al che lei si
è invaccata a dirmi, prima che cessasse di degnarsi anche solo di
considerarmi, -
ed io, così
scaricato,
sempre trascinato dall' irresistibile
determinazione che mi forzava l' andare, caricatimi addosso zainetti e
zaino, provvedevo dunque da solo a trasportarmi per i chilometri di
strada che mancavano fino al lungomare, a scendere da solo a piedi
invece chilometri di strada fino al lungomare, in
quanto
che,
se così doveva
essere, tutto doveva compiersi senza che io forzassi in niente le cose e
i tempi, e lasciavo pure che i taxi seguitassero invano a richiamarmi,
che uno di loro inutilmente si fermasse due volte per sollecitarmi,
perché fosse invece l' autobus di linea a portarmi al nuovo porto, dove
nemmeno l'onerosità della tassa di imbarco cipriota, che ne inaspriva
il costo, poteva più farmi recedere dall' avviarmi in fila per fare il
biglietto, con il quale a dispetto di ogni ragionevolezza economica, mi
sono imbarcato alle otto di
sera
e sono partito per Haifa.
Sentivo, in
ciò che mi struggeva impellente,
che non
volevo che per salvaguardarmi economicamente, per troppo riguardo ad
ogni sorta di compatibilità e di mortificazione, mi venisse meno una
seconda volta la meta del Negev e del Sinai, del suo mare corallino e
delle sue montagne sacre, quando già la prima volta che sono stato in
Israele, ho pianto le lacrime del rientro anticipato in Atene per
consentirmi un computer.
Non volevo,
così, negarmi ciò che il passare degli anni, o l'ammalorarmi, può
precludermi irrevocabilmente. Si vive una volta soltanto, si muore per
sempre...
ed è oramai
troppo tardi per il rinsavimento, ora che nella notte inoltrata, senza
riuscire a prendere sonno, mi volgo a prua alle navi che sono al largo
già di Israele, nel rimpianto di non avere compiuto e ultimato il mio
viaggio come l'esplorazione di Cipro, lungo quei sentieri di Caledonia,
di Atalanta, o di Persefone, il cui mancato percorso è lo struggimento
del mancato equilibrio del mio viaggio, (con le restanti ragioni
della mia esistenza( Tanto strappo, forse, solo per poter riportare di
avere ultimato il viaggio in Egitto e in Israele, anzichè di rientro in
Epiro e in Albania?...)).
Taba 14
agosto
La mia
avventatezza è già l' avverarsi il compiersi di un
disastro fallimentare.
Sono sì, già
in Egitto, in Taba, ma in quanto in Israele, a Eilat, mi era proibitivo
anche solo un posto letto, in una delle camerate del più indecoroso
ostello.
E in che
condizione fisiche e di sporcizia ci sono pervenuto, una gamba che mi
bruciava dolorosa ad ogni passo, per un' infiammazione alla coscia,
abrasa, acuitasi al contatto degli indumenti intimi, il mio corpo che è
dalla sera precedente la mia partenza da Troodos, che non sa più che
sia una doccia.
A Taba ho sonnecchiato qua e là e mi sono aggirato protratto intorno
all' aperto, senza che la mia condotta potesse certo essere
riprovata imputata per il suo randagismo vagabondo, se a un
muretto dello spiazzo tentava/o di appartarsi/mi nel sonno, tra gli
Egiziani che sotto i portici, sui marciapiedi, dormivano ancora
indisturbati all' aperto, mentre altri seguitavano insonni a vedere dei
programmi televisivi nel cafè shop del bazar, improntato ai turisti,
.
Talmente non
avevo di che giustificarmici, che uno dei giovani soldati che vi
montavano di guardia a un edificio pubblico, quando gli ho chiesto dell'
acqua per rinfrescarmi ha pur anche deposto il fucile presso il
compagno, per fare scendere, per me, da una loro tanica l' acqua
con la quale, come gli prefiguravo, mi venivo intanto lavando almeno il
volto e le mani, riconferendo un minimo di decoro alla mia persona fisica,
maleodorante e dolorante.
Forse è la
mia ciambella di salvataggio, l'informazione che ho colto fortunosamente
da un italiano sceso ad Haifa con il camper: che ogni mercoledì vi è
in partenza una motonave di linea che a bari ha il suo ultimo scalo.
Sharm -
el-Sheik
Poi, al fare
del giorno, come dei giovani israeliani sono stati essi i primi a
sopraggiungere dalla frontiera per la stessa destinazione, ho completato
con essi la comitiva del taxi collettivo per Sharm- el- Sheik, via,
finalmente, lungo l' ininterrotto spettacolo sempre più fantastico dei
rilievi del Sinai.
Venivano
succedendosi, nell' inoltrarci verso il Sud, quali delle
apparizioni primigenie nella loro remota natura africana di
concrezioni plutoniche, a differenza di come, il giorno precedente, i
finestrini dell' autobus mi
abbiano filtrato, da Tel Aviv ad Eilat,l'erosione sino al
disfacimento dei rilievi cinerei del Negev.
Le montuosità
del Sinai si sono fatte poi un miraggio circostante, nella sospensione
dei dirupi ignei tra le fulgide sabbie, che li interpenetravano, dei
greti di uadi estintisi od in secca, sino a che tutto è finito in
Sharm- el Sheik, col profilarsi della piana popolantesi del litorale.
Per un
breakfast di pochi egyptian pounds, lungo la strada abbiamo sostato
nelle tende accampate davanti di una caffeteria, attendata davanti,
fra lo scenario solitario e grandioso dei dirupi intorno circostanti,
la musica dei Pink Floyd, ( I Wish you where here), che da un radio
registratore si diffondeva all' esterno stupefacente, mentre
corrispondenze affascinanti mi inoltravano la mente tra quello
stazionamento e un' analoga sosta, estatica, nel deserto algerino tra In
Salah e Tamanrasset.
( Il testo
che segue è stato redatto in Haifa il 17 agosto)
E lungo il
litorale dove il tassista conclude la sua corsa, e io vengo scaricato,
perchè è lì appunto che la comitiva dei giovani israeliani fissa
l'alloggio, io non dubito d'essere in Sharm, che non sia distante debba
esservi dove non dov'essere lontano è vicino l'ostello della
gioventù, il solo alloggio che vi possa essere figuri per me
economico, stando ai dati che ho stralciato a suo tempo dalla guida
della Lonely Planey, quando mi ha lasciato che la consultassi
liberamente prelevandola come e quando volevo dal suo zaino, intanto che
dormiva, il ragazzo danese con il quale sono stato in confidenza/
compagnia sulla motonave tra Rodi e Cipro. Vi viaggiava diretto da Haifa
in Egitto, perchè in Hurgada aveva da raggiungervi la sua ragazza,
" My girl", si ostinava a ripetermi, in una dizione dura di un
termine che all' espressione che nella circostanza ho assunto in viso,
gli deve essere apparso in una smorfia quanto mi sia vuota di
significato emotivo, quando ho mostrato infine di capire, che si
sforzava di denominarmi con quella sua articolazione/ parola di cui non
capivo il senso.
Invero avrei
potuto consentirmi, in quell' hotel di Sharm, l' alloggio in ciò che
ugualmente non intendevo che cosa mai fossero, le "hut rooms"
a 38 egyptian pounds, solo che ad ogni modo erano tutte occupate quel
giorno.
Mi
accomiato, senza rimpianti di sorta, ed al termine di un sentiero che vi
immette, inizio a percorrere il camminamento lungo la marina,
nel corso del quale inizio a imbattermi in un primo, in un
secondo ristorante italiano, in una sequela di chioschi, di minimarket,
di edicole e di spacci di offerte di escursioni, dove l'unica lingua
scritta è l'italiano, l' unica lingua che sento parlare nei vialetti
d'accesso, dalla stessa gente che si avvia alla spiaggia, oltre la
quale, in tutto il suo schiudersi di palme e di sdrai, sotto i capanni,
il mare mi appare come non mai invitante nel suo fulgore mattutino, a
quanto mi è dato di intravederlo sotto il fardello sudorifero del mio
zaino, accaldato e sudicio di fatica insonne.
Ma per
affaticato e stanco che io sia, attendo a scaricarmene
solo oltre di
lì a poco, quando il mio percorso litoraneo dovrà pur concludersi,
sono convinto, per svoltare verso le arterie centrali e l' ostello di
Sharm el Sheik.
Intanto,
sotto quel fardello che me ne estranea in una figura di lurida pena, mi
stranisce la situazione turistica in cui mi ritrovo, anche se avrei
dovuto pur supporla, se dato che non c'è agenzia di viaggio, in
Italia, che non prospetti il Mar Rosso Di Sharm-el-Sheik tra le vacanze
esotiche più agevolmente raggiungibili.
in che vi
impersono quanto mi prosterna, pur sempre, ch'io tra quei miei
connazionali che così confortati e riposati, con agio benestante si
avviano al mare, tra loro discorrendo all' apparenza tanto
piacevolmente, debba invece procedere talmente miserabile e sporco, con
indosso una così sudicia tenuta sudaticcia, dopo due giorni e più di
di viaggio durante i quali, da Cipro in battello e attraverso
Israele e il Sinai in pullman e in taxi, non ho riposato in alcun
letto, altrettanto inaccostabile e lurido quanto, a differenza di
loro, mi è costato talmente tempo e fatica esere lì, talmente sono
miserabile come loro insegnante di stato!...
Ignaro
ancora, per mia cieca fortuna, di quanto mi restava ancora di stenti,
per la mia meta, anche se avrei dovuto già presagirli, da ciò che mi
suggerisce l'agente della polizia
turistica quando l'interpello, nel
consigliarmi vivamente, per raggiungere l' ostello, di prendere un
minibus od un taxi, al fondo della via in cui devo svoltare, a destra, e
lungo la quale, o nei cui paraggi, mi ostino a credere che sia situato
l'ostello.
Ma al
termine di quella via devo cedere all' evidenza stremante; lontano,
chissà dove, dove portano i minibus e i taxi che vanno e vengono lungo
l' arteria stradale da cui ho mosso verso il litorale, e alla quale sono
stato ricondotto, è l'ostello ch'è l'unica mia destinazione possibile,
me lo ribadisce ogni egiziano del luogo me lo ribadiscono i locali
alludendo alla sua distanza remota, quando mostro loro lo stemma dell'
ostello con la sua dicitura in arabo.
Solo che pur
nel cedere allo sconforto dell' evidenza, è su un minibus collettivo,
unicamente, non su un taxi che non so che tariffa mi infligga pratichi,
che intendo salire per pervenirvi, intanto che mi si schiarisce in testa
che il mezzo pound del quale mi parlava l' agente, è la tariffa della
corsa da quell' incrocio a Sharm- el- sheik, - e dove mi trovo, e dove
sarà mai? se non ben altrove da dove sono stato appiedato-.
Credo di
essermicisi avviato, finalmente, quando salgo su un minibus collettivo
che si ferma, se non che l'autista mi inizia
a offrire un suo special service, come special taxi, riservato a
me soltanto, per venti pounds che calano presto a dieci, subito dopo a
cinque, mentre chi già si accingeva a salire, discendendone, si fa
condiscendente all'opportunità che costituisco per i conducenti...
Scendessero
anche a zero, a loro volta i pounds, mi è intollerabile che così si
profitti del mio stato evidente di prostrazione fisica e di estenuazione
nervosa, e da solo mi getto fuori dal minibus con i miei bagagli, di
ritorno sui miei passi nel giardino sull' altro lato della strada, dove
straparlando di Taba, la mitica Taba, oramai, alle cui frontiere in
uscita intendo fare immediato ritorno, scarico quant'è la rabbia
sfinita che ho in corpo, sulla guida dell' Egitto che scaravento contro
una pianta,
Ma un
egiziano,di me poco più giovane, che sopravviene e che non ha bisogno
di speciali spiegazioni, mi è allora di soccorso e ferma per me un
minibus, patteggia e mi garantisce il costo di un pound, per la corsa
che dopo essersi avviata ed avere avuto termine in direzione opposta, è
infine a Sharm el sheik, cinque chilometri distante. dal mio punto di
arrivo.
Ma anche da
dove sono fatto scendere e mi si dice di avviarmi sempre avanti, sulla
mia destra, sono solo all' inizio della fine, e per quale cammino, mai,
se non arrancando sotto lo zaino per una salita che curva e curva e non
finisce mai, la sua pendenza da me esigendo un ulteriore supplemento di
tormento, finchè non ho di fronte una moschea e un edificio civile, che
un' etichetta mi dice essere della tourist police.
L' agente
che mi riceve nello stato impresentabile in cui gli sono di fronte, è
ciononostante, e forse ancor più per questo, di una cordialità ch' è
radiante felice di dirmi che " yes, the Youth hostel, yes,
" è solo al di là di un edificio in costruzione precedente.
Mi ci avvio
e di tale edificio vedo levarsi i filamenti in uno spianamento talmente
desolato ed assolato, che dove preavverto, già lo sento, lo
so già, che l'esito di tanto patimento ne sarà solo la
mortificazione finale
Dell'
ostello alle sue spalle non serve a niente, infatti, il chiarore caldo
delle pareti esterne, non basta il " wellcome" salutare, all'
ingresso, a scongiurarne oltre la soglia la desolazione interna, che mi
sopraggiunge nell' odore acre di varechina che si diffonde per l'
oscurità irrimediabile di ogni suo vano, in uno stato di spoglio vuoto
fatiscente.
Per giunta,
quando chiedo di poter accedere immediatamente alla camera, al
mio letto, da parte dell' addetto mi si dice che debbo attendere nel vano
d'ingresso sino alle due.
Posso
intanto usare dei bagni e della doccia- almeno quello!...-, dove è
tutto un impastricciamento , dentro e fuori, di quanti vi si
stanno nettando di tutto, alla poca acqua che i lavelli consentono.
Come
avevo presagito, allarmandomi, quando il giovane del caffè, innanzi la
salita, dove ho consumato una Coca cola per potervi chiedere dove fosse
l' ostello, mi aveva indicato la via dicendomi di saperla benissimo
perchè vi alloggiava, Devono essere costoro, mi dico, coloro che poi servono i tanti, i
moltissimi, la quasi totalità dei miei connazionali che soggiorna nella
marina sottostante, costoro tra i quali, mi chiedo, per quale mai coraggio, e necessità, mi ritrovo mischiato
quale l' unico turista, e
alla mia età, in uno stato talmente miserabile inaccessibile, a quello
di ciascun italiano che avevo intravisto affollare le spiagge, e dei cui
figli dovrei essere
l'insegnante decoroso e decente. costoro tra i quali, mi chiedo, per
quale mai coraggio o necessità, mi trovo mischiato in uno stato ancora
più reietto del loro, inaccessibile, nella mia sua infimità di
stenti per arrivare fin qui, a quello di ciascuno italiano che in
spiaggia o in albergo li signoreggia, e dei cui figli dovrei essere
l'insegnante decoroso e decente.
Finalmente
mi allevia la pena, e la mortificazione, che alle due, dopo che pur ho
fatto la doccia in quelle latrine, mi si consegnino delle lenzuola
pulite, e mi si conduca ad una cameretta che sono ancora il solo ad
occupare, dove il ragazzo che mi ci accompagna, prima di congedarsi,
avvia addirittura l' impianto del condizionatore, -
non fosse
per lo stato precario della serratura, appuntellata alla porta da due
chiodi, che temo di non potere richiudere se la riapro...
Solo che mi
ci si sistemi e possa partirne..., per le belle spiagge dei tanti
italiani, per il sole e il mare come ognuno di loro, che sia
fuori al più presto di qui, nello loro identica cornice di agio e di
lusso...
Ma lasciato
l'ostello, la calura di Sharm, mi evoca l'impressione di entrare in un
sogno che nulla preannuncia della realtà circostante, il rientro su uno
dei minibus alla marina, - oramai, già sicuro del fatto mio, della
tariffa occorrente, di quale sia l' itinerario, mi basta per questo un
cenno d'arresto, allungare un pound senza fare parola-, il sito di cui
apprendo il nome, Nneama Bay, vi si profila nella cornice di una irrimediabile distesa
deserta, dove con i rilievi del Sinai sembra arenarsi anche ogni sforzo
edilizio di popolarla, talmente tanti sono gli edifici vuoti e
interminati, nelle loro schiere di arabeschi resort.
E anche gli
scatolamenti indigeni che sono stati prefabbricati intorno, che hanno a
che vedere con il villaggio turistico in cui finalmente m' addentro, di
hotel in hotel uno più biancheggiante e orientaleggiante dell' altro,
se non la sagomatura profilata come di cartone, che nel villaggio si
arrotonda e impunta nelle ovvietà più ovvie, nemmeno a dirlo, di
arcature acute su arcature acute a ferro di cavallo, in un profluvio,
come non potrebbe che essere, inevitabilmente, in assenza di
qualsiasi immaginazione edificante, di patio e di verde e di fontane
sempre più luminescenti.
Ma dalla
sequela ai lati di bazar e mini e supermarket, non voglio che
distogliere la mente e lo sguardo, per addentrarmi nella spiaggia tra
gli ombrelloni, in riva al mare; penso soltanto, di quel che penso, che
quel villaggio ch'era poc'anzi un miraggio, non sia poi che in fondo
come un caffè turco, da cui è meglio distogliere la bocca per gustare
un sorso d'altro, prima che il sorbirlo ne assapori amarevole il
fondo seppiaceo. amarevole
E mi
distendo con l'asciugamano oltre gli sdrai, prima del bagnasciuga, nelle
stesse intensità di sensazioni, in cui mi assopisco, che immagino sia sono
tutto quanto possono sentire, e niente più,
gli italiani distesi sugli sdrai a pagamento dei loro
costosissimi hotels.
E il mare
così tiepido, e celeste, mi offre un sollievo ed un benessere ancora più
appaganti, oltre la barriera corallina che i miei piedi imparano a
saggiare e ad evitare troppo tardi, pur sempre in tempo, tuttavia, perchè
da quanti vi azionano videocamere capaci di riprese subacquee, o vi
immergono la testa con la maschera, apprenda per imitazione, con i soli
miei occhi, nel loro insuperabile nitore di sguardo per la trasparenza
delle acque, a vedere i meravigliosi pesci floreali che vi si
addentrano, vi nuotano al margine.
La sera
intanto sopraggiunge, le luci si accendono, e quando lascio infine la
spiaggia per fare ritorno al villaggio, esso si è fatto uno sfolgorare,
un' intermittenza di insegne, dove l' occidente grandeggia nel Mc
Donald, l' Oriente ancora più in alto accende il richiamo del
Ristorante cinese, l' Egitto nel quale pur siamo, in tutto questo, le
sole quinte e i soli fondali di agghindati bazar, di faraoni in serie e
papiri a rotoli quali souvenirs. di richiami attraenti di ristoranti
e fast food, questo o l'altro, purchè conveniente, dove la fame reclama
di cibarsi, non fosse, a calamitarmi lungo la passeggiata prospiciente
la spiaggia, che la prima volta che l'ho percorsa in cerca dell'
ostello, vi ho avvistato alcuni chioschi, di agenzie turistiche, che
avevano in programma l'escursione al monastero di Santa Caterina e alle
Montagne sacre.
Non posso
recalcitrare ai costi che mi si preventivano, di certo, rinunciassi per
questo, che senso altrimenti avrebbe avuto il mio avventurarmi nel
Sinai?
Ritrovo il
primo dei chioschi, la giovane che vi interpello parla così bene
l'italiano, che dubiteresti che sia egiziana.
!40 Lire
egiziane il costo. L' escursione è in programma per l'indomani, sabato,
alle sette del mattino, ma esclude l'ascensione al monte di Mosè. Solo
domani posso andare a Santa Caterina, vengo a sapere, in quanto che di
domenica il monastero è chiuso.
Le mie
indisponilibiltà, l' improcrastinabilità del mio ritorno
dal Sinai e
da Israele,- è il mercoledì venturo, infatti, che da Haifa parte la
sola motonave in settimana per Bari,- escludono che possa differire
l'escursione a un giorno seguente.
Ma al
secondo chiosco, di un'organizzazione turistica più rudimentale, vengo
a sapere che per quella stessa notte, alle undici, è in programma e per
un costo di poco inferiore, un tour che include lì' ascensione notturna
del mOnte Mosè, a vedervi sorgere il sole, insieme con la visita del
monastero di Santa Caterina.
La scelta è
presta fatta in suo favore, non me ne importa più niente, nel fervore,
di sonno e stanchezza da recuperare, mi resta soltanto di cercare dove
cambiare l'importo corrispondente alla tariffa del tour, e mi è di
enorme sollievo, quando ne chiedo,sapere che per la partenza posso farmi
ritrovare all' ora convenuta presso quel chiosco, che non occorre che mi
mortifichino, se mi prelevassero all' ingresso dell' alloggio che mi
ospita, dal quale che sollievo è non avervi da dormire ( affatto, )
stanotte, senza che nemmeno debba farvi rientro, in quanto che nello
zainetto ho quanto mi basta- tutti i conti adesso tornano,
avesssi scelto il confort di un hotel, per quella notte in cui
avrei dovuto comunque andare in escursione , sarebbe stato puro
sperpero, anche l' ostello può più che decentemente alloggiare il mio
zaino ...
.........................
Nell'
attesa, di ancora tre ore, posso inoltrarmi a mangiare qualcosa sfamarmi,
a divagare, nel Paese delle meraviglie del villaggio turistico, che
ho appreso che ha nome Neama Bay, in una fantasmagoria di
gioiellerie, e di pelletterie, di lindi souk e di shopping center, di
insegne di ristoranti, e di fast food, dove l' occidente grandeggia nel
Mc Donald, l' Oriente ancora più in alto accende il richiamo del
Ristorante cinese, l' Egitto nel quale pur siamo, in tutto questo, le
sole quinte e i soli fondali cartapestacei di agghindati bazar, gli
spacci di faraoni in serie e papiri a rotoli quali souvenirs.
Una pacchia
d' Egitto, dove come in Italia, al chiosco sul lungomare come
alla tua edicola, puoi ritrovare il tuo stesso giornale sportivo,- macché
Al Ahram...-, al pub, sulla spiaggia, sorbirti lo stesso caffè espresso
che bevi dal tuo barista, al ristorante mangiarti gli stessi rigatoni
con la pagliata e stesse fettuccine con la rughetta che da i
sapori e le pietanze della cucina casalinga da " noantri"/
da " Mario" o "Nestore" /, nelle boutique abiti e
gioielli proprio di stilisti e orefici nostri...
Di quanti
sono gli egiziani che a servirti popolano il villaggio, non uno che
disconosca od in qualche modo non intenda il tuo italiano, che non ti
dia e non accetti del tu, che non ricambi in anticipo il tuo "ciaao...".
Niente loro
lasciti o sentori di sporco, o baksish o ingrata pattuizione dei prezzi,
un solo mendico vi deve pur figurare, ma è così carezzevole che ti
liscerebbe anche la mano...
E che vi è
mai, Maometto e il suo Corano, quell' Islam là di Allah... a sentirli
con te parlare, anche gli arabi che qui trapelano ad occidentalizzarsi
odiano gli arabi, e gli Egiziani non sono che i consanguinei degli
antichi Faraoni!...
E' una
Cartoonia, o Città dei robot, tale sito virtuale, - avrei dovuto già
capirlo-, dove si è soltanto la finzione animata che l'altro vuole che
si sia, ciascuno sia egli l'egiziano nilotico che vi esborsa ad
occidentalizzarsi, l' italiano che vi fa il facoltoso nell' esotico
tutto organizzato credendo di pagare un' inezia ciò che per il
servizievole orientale è una cifra incredibile, che vi paga
l'accesso consumando l' inganno, vicendevole, il vicendevole inganno,
che sia come essere a casa propria come il proprio abitato il
mondo dell' altro, che
sia possibile essere di credersi a casa propria in quello che gli è
lasciato credere sia il mondo dell' altro; l' inganno che è
salvaguardato a vista dal menagement (dell' allestimento oscenico) per
quanto solo possibile in quanto, transennata di fuori, ne è
stata estromessa la ripugnanza reciproca che provoca di ogni
contaminazione reale.
Per
rianimarmi, a un giovane rivenditore di spezie non so evitare di
intrattenermi a correggere la dicitura errata, in italiano, delle
etichette del " saffran" e del " gingero", finendo
anch' io partecipe comparsamordace di un mac fish, nel McDonald più
indistinguibile e impeccabile in cui abbia mangiato.
In prossimità
delle undici, quando al chiosco la comitiva si forma, siamo tutti quanti
degli italiani a costituirla,
anche le
guide umane sono in italiano, come in italiano ci informa il colettore
del gruppo, nel congedarsi:
" Prima
salirete il Monte di Mosè, visiterete poi il monastero di santa
Caterina, alla fine sosterete in un hotel a quattron stelle, per il
breakfast se arriverete presto, il pranzo se arriverete tardi".
"
Speriamo di arrivare tardi," mi è irresistibile commentare ridendo
l' alternativa con un' italiana.
" Vedo
che si ride, ed è bene, perchè il riso è un buon inizio per ilviaggio",
al ne trae pretesto beneaugurante il collettore, prima di richiudere e
fare riavvviare il minibus.
Un
connazionale non attende nemmeno tanto per accendersi una sigaretta. Il
conducente istantaneamente lo vede e glielo vieta in italiano.
" Che
ti credevi, di essere in Egitto?", mi faccio forza di interdirmi di
commentare.
Il buio più
denso circostante,- sono le due quando giungiamo allo spiazzo del
monastero di Santa Caterina.
Eccolo sulla
destra profilarsi nel cuore della notte, sotto la luna, nelle sue
fortificazioni addossate al rilievo sovrastante fra quelle pietraie
montuose, mentre ci avviamo sul sentiero che si insinua oltre, incalzati
dalla guida che non ci da tregua.
Ed io mi
sono forse dimenticato, ahimè, che nei tour organizzasti è
innanzitutto interdetto di arrestarsi, per guardarsi intorno e
contemplare?
Prima di
tutto, nel tentativo di sollevare intorno lo sguardo per vedere e
sentire, devo fare attenzione a dove poggio i piedi, scansarli e cedere
il passo a cammelli e cammellieri, che stanno appostati a ogni inasprisi
dell' erta che affatichi il passo, riduca il respiro, per profittarne ed
offrirsi all' escursionista che ne sia già esausto.
Posso solo
intravedere intorno le sagome incombenti dei monti nella notte stellata,
ove il firmamento si squaderna nell' abbecedario luminoso di ogni sua
costellazione leggibilissima nel suo nitore adamantino, mentre il
percorso che ci attende appare una scia serpeggiante, accesa nella
notte, delle torce di chi ci precede nel pellegrinaggio.
E salendo si
slargano il varco e l' elevarsi intorno dei monti, mentre nella mole
rocciosa le cui pareti ci sovrastano vertiginose, nel chiarore lunare,
ravviso il monte di Mosè, delle tavole della legge, in cui si inerpica
il sentiero aggirandolo di fianco.
Una seconda,
breve sosta, ed affrontiamo l'erta più ripida sino a sboccare nella
sommità del monte, alfine, ed a ritrovarcisi stipati così fitti, che
è arduo trovare dove posarsi sui massi intorno.
" E'
come ritrovarsi tutti quanti al ristorante da Mosè", insapidisce
la cosa un giovane della comitiva.
" Al
restaurant chez Mosé", per parte mia perfeziono la battuta.
"
Immagini di essere sull' autobus, sul 35", rende ancora più
prosaico l'assembramento la guida che ci ha preceduto, il giovane
Andrea, bilingue, che parla naturalmente l'italiano perchè sino a
diciotto anni è vissuto a Milano, prima di trasferirsi definitivamente
a Sharm, dove ha conservato la nazionalità italiana.
Nell' attesa
del sorgere del sole, si sentono levarsi canti infervorati di alleluja,
nei cori religiosi che si intonano dei devoti fra i massi
sottostanti, intanto che mi è difficile/ arduo raccogliermi in alcuna
idea di roveti ivi ardenti e di digitazioni flammee di decaloghi, delle
cornee/ cornute rilucenze di patriarcalità mosaiche,
entro la moltitidine con la quale sono convenuto nel gran rito
turistico: nell' attesa unanime, che immancabile, il protagonista
principale faccia il suo esordio.
E puntuale
all'ora profetata da Andrea che ci guida, preannunciato dall' emanazione
rosea del suo chiarore su una giogaia, eccolo, come dal nulla, che
appare nella celestialità oltremontana cui dà origine, che in uno
spicchio che si fa sfera lucente, globo infuocato, viene irradiando
l'immensità circostante dei picchi e delle vette, ogni ancora intatta
concrezione del tumulto primigenio del Sinai, ogni divallare dei
rilievi, al fondo, in nude e nere pietraie,- le rocce, via via che la
luce si fa giorno, vivificandosi fino ad arroventarsi nel loro fulgore
granitico.
L' astro non
è ancora sorto appieno, che già si è avviata la discesa, nel polverio
ammorbante che i cammelli sollevano al passaggio, e siamo al convento
che non è ancora l' ora di apertura.
Benchè a
supplire che cosa non saprà dirci l'Andrea italo- egizio, abbia già
letto e riletto la guida del Touring, avrò modo di convenire con il
nostro, quando ci dice che poco gli resta da dirne, pressocchè ogni
spazio artistico, o preziosità di reperti, all' interno del convento è
oramai precluso al visitatore.
Durante la
visita egli, per parte sua, si dilunga piuttosto a mostrarci la pianta
ch'è l'erede testimoniale del roveto ardente, le cui foglioline, se
colte, si seccherebbero all' istante, o la carrucola del pozzo la cui
acqua fu attinta da Mosè, ed io posso solo dare un' occhiata alle icone
antichissime di Cristo e di San Pietro, improntate alla ritrattistica
dei sarcofagi del Fayum, e conservarne l' immagine attraverso le
cartoline che mi si lascia almeno il tempo di acquistare.
A incalzare
la comitiva alle spalle, insieme con chi ci guida, è un giovane
egiziano dai lineamenti di delicata bellezza,
ciononostante dai modi, nei nostri riguardi, di un
guardiano di pecore che ci riconduca dal pascolo.
Ma per le
tante volte che mi ha risospinto nel gregge,
egli mi ha
preso in simpatia reciproca.
Nel
refettorio del brekfast, a nessuna possibile stella, il mio pungolatore
potrà così confidarmi che studia per diventare ingegnere meccanico, e
quando gli dico a mia volta di essere un insegnante, e le materie che
insegno, è felice di dirmi
che suo padre è un mio pari, in Egitto, ove insegna arabo e storia e
geografia.
Al rientro
in Sharm, sul far del pomeriggio, non
ci sono stanchezza, e sonnolenza protratte, anche se è dal risveglio in
Troodos che non giaccio in un letto, che possano farmi recedere dal
cambiare l'alloggio innanzi di consentirmi il riposo.
Prima ancora
che all' ostello, per predisporre il terreno, mi reco all' hotel dove si
sono sistemati i giovani israeliaani con i quali a Sharm sono giunto da
Taba, e mi basta apprendervi che è ancora possibile alloggiarvi in un
bungalow, -è questa una hut room- perch'io faccia ritorno all' ostello
solo per prelevarvi il bagaglio.
Ve lo
ritrovo incustodito , nella camera che ritrovo è rimasta
aperta, ove
un giovane egiziano è subentrato.
E' uno
studente del Cairo e viaggia in vacanza.
Nella sera
in cui torno a nuotare, per lussureggiante che sia il tramonto del sole
oltre le palme, tra i rilievi del Sinai, nulla può farmi più desistere
dalla decisione che assumo, per l'indomani, di partire da Sharm- el-
Sheik già al mattino con il primo e forse il solo autobus della
giornata.
/ testo
scritto il 20 agosto, in motonave, tra Rodos e Cesme/.
in Eilat, di
rientro dal Sinai
Questo caffè,
di fronte alla stazione degli autobus , nonostante il frastuono della
musica che diffonde e che intonano alcuni fricchettoni epigonali
sedutivi a bere, il fracasso del traffico nella via di fronte, è uno
degli angoli più quieti e distensivi del centro di Eilat - altrove puoi
sentire che trapanano ancora la strada oltre le otto di sera, tra l'
odore acre e il fumo delle rosticcerie, e i ventilatori dei ristoranti
adiacenti che nebulizzano fumo e vapore acqueo, altre vie invece
dilagano fango dalla rottura delle condutture, nella più calda e secca
delle estati di fine secolo.
Vi sono in
attesa dell' autobus per Haifa delle 23,30, al termine di una giornata
il cui risveglio, nella ubiquità più spaesata, è avvenuto sul duro
tavolato che doveva fungermi da letto, di quel bungalow number 37 del
Pigeon HOuse di Sharm- el- Sheik, quando erano da poco passate le sei.
La mia
preoccupazione più immediata è stata di assicurarmi quanto avessero
potuto patirne le mie giunture ossee, prima che di sveltire la
risistemazione del bagaglio, gli ulteriori preliminari della partenza
con l'autobus delle 9,30 per Taba.
Ed anche nel
consumare il breakfast, la mia massima preoccupazione era di servirmi
una terza volta dello yogurth con dei cetrioli, nella ciotola sbreccata
che mi spariva davanti, non
so per mano di chi, se di un
altro cliente dell' hotel che la credeva per se predisposta, o di
un inserviente che intendesse porvi limite.
E di che
cosa avrei dovuto ancora preoccuparmi?
Ieri di
rientro dall' escursione sul monte di Mosè, in Sharm mi ero spazientito
ad accertare l'ora e il sito della partenza dei pullman per Taba, appena
mi sono congedato dallo Youth hostel e dalla desolazione di
adattarmicisi, in un eccesso di mortificazione delle mie possibilità di
viaggio, e prima ancora di risistemarmi invece in quel bungalow o zeriba
o tucul che fosse, senz'altri conforts che un ventilatore, uno
specchio, una sedia e quel tavolato per letto, ogni servizio igienico
all' esterno, ma che figurava purtuttavia inserito nei circuiti
turistici, con una porta che si chiudeva, benchè a stento, anzichè
costituire una cella aperta ove ho ritrovato ogni mia cosa incustodita
nell' ostello.
Ho chiesto
dei pullman per Taba dove erano parcheggiati degli autobus e delle
autoambulanze, e un uomo
che vi lavorava, che aveva tutta l' eloquenza e l'attendibilità del
caso, mi aveva confermato che di lì partivano.
Anche se
erano già passate le 8,30 quando uscivo con lo zaino dall' hotel, di
che preoccuparmi, bastava che fermassi uno dei tanti minibus che
facevano la spola tra l'area turistica e Sharm- as-Sheik, ed in
cinque-sei minuti, sarei stato alla stazione di partenza del pullman,
all' ora nella quale anche alla reception dell' hotel, mi era stato
detto che vi era in partenza.
Né la
mattutinità della corsa avrebbe conferito alcun carattere sacrificale,
alla rinuncia che mi comportava dei ristori balneari, che avrebbe potuto
consentirmi l'ammollarmi ancora nella Neama Bay.
Nella corsa
sul minibus che ho preso di lì a poco, mi confortava anche il pensiero
che nonostante ogni tensione e contrattempo, o patimento, nel corso del
mio viaggio non avessi ancora ingerito alcun calmante.
Solo che
quando arrivavo a destinazione dove ero persuaso di essere alla stazione
degli autobus, allora soltanto la destinazione vi si rilevava
inesistente, non vi era alcun autobus o assembramento di partenti, a
neanche venti minuti dalla partenza in giornata del solo autobus per
Taba.
Eppure era lì
che doveva pur essere,- anche nell' ascesa all' ostello, al mio arrivo,
che mi aveva assicurato il ragazzo del caffè dove avevo riposto lo
zaino, raccogliendo altre informazioni, a ulteriore conferma,
nel frattempo che lui avesse raccolto il resto dei 5 pounds per
una Coca cola.
Nella
Sharm-es-Sheik indaffarata nel viavai dei traffici di ogni giorno, a
cinque chilometri di distanza dal villaggio turistico ove non v'era
indigeno che chi del luogo chi non sapesse il tuo italiano,
neanche bus station riuscivano più a intendere i nativi, o piuttosto
ero io che mi ostinavo a pretendere che mi rispondessero
secondo ciò che non era vero, ma pur sempre conforme soltanto
alle mie aspettative febbrili ma che mi aspettavo fosse tale,,
che nascosto da una cantonata, o da un affollamento, da chissà
quale ostacolo o barriera che lo rendeva invisibile, fosse lì già
pronto a partire un autobus che stazionava invece in partenza e dove
mai, mio dio, se non lì, nei pressi,
non a distanza, di certo, indubbiamente, più convinto che
volessero soltanto turlupinarmi, i conducenti di minibus,
che quando li interpellavo, li arrestavo al margine,
intendevano addirittura portarmici, figuriamoci, e per quale
tariffa, mai, se non per raggirarmi nel farmi fare solo il
giro di qualche isolato..., fintanto che la ragionevolezza residua/
superstite della mia cervelloticità trafelata, oramai convulsa,
mi lasciava intendere che non mi restava che di lasciarmi
condurre dove mi portava il conducente del minibus che consentiva, e sul
quale ero io soltanto a salire.
A ogni mia
querula insistenza su " the bus to Taba, to Taba", l'uomo
confermava calmo annuiva che aveva capito, a tranquillizzarmi,
yes, yes, per Taba, anche quando fraintendevo che avesse annuito, perchè
non poteva essere che era l' autobus per Taba, quello che gli
indicavo, che vedevo stazionare all' altro lato della strada di ritorno
alla marina, sicchè la mia
agitazione ansimante si faceva un tormento fisico che si torceva, e
dibatteva iroso, al vedere che invece seguitava e seguitava e non
svoltava, fino all' altezza, respiravo, dell' unica e vera stazione
dell' autobus per Taba, che fra gli altri era a motore già acceso, e il
tassista, tale era la mia contentezza, non aveva neanche bisogno allora
di patteggiarli, i cinque pounds che gli allungavo con gratitudine
piena.
Si spianava
poi magnifica la giornata, nella risalita del Sinai lungo la costa del
golfo di Aqaba, da che l'autobus deviava verso Dahab, e Nuweila, al cui
ingresso ci accoglieva una discarica viaria dei rifiuti, tra il libero
circolare intorno di pecore e capre, come già quello dei cammelli negli
avvallamenti interni del Sinai.
Non un
litorale costiero, quale ne fosse lo stato, ove il mare nelle sue acque
non fosse più bello del fondaco azzurrognolo di Sharm-es-sheik, ove la
costa, anche nella sua sola distesa litoranea, non fosse più
sommossa articolata dell' insenatura in cui è compresa la baia
di Sharm, con i suoi vacanzieri italiani speduitivi in volo.
Le acque,
turchesi, che si smerigliavano nella barriera corallina, e al di là
dello stretto sfumavano nei rilievi
della costa saudita.
Lungo le
spiagge, nelle insenature, in contrasto con le rare presenze di
estivanti e di bagnanti, si susseguivano di continuo capanni di tralicci
e canne, restors, a schiera, e villas e castels inultimati, anch'essi
scoperchiati nel vuoto deserto del litorale sabbioso, senza che alcuna
impresa apparisse intenta ad ultimare le opere delle quali, sui
cartelli, si preannunciava il progetto di hotel e casinò.
Solo
quand'ero già in suolo israeliano, qui in Eilat, la giornata è tornata
a farsi più che agitata, tra quelle vie del centro, non una delle
quali, non recasse impressi gli stenti dell' andata per trovare un
ostello.
Le mie
vicissitudini vi si sono sommosse quando si è ravvivato il mio intento
di visitarvi l'acquario e l'osservatorio sottomarino, a cui nel mio
primo viaggio in Israele mi era stato talmente di
sconforto mi ero sconfortato tanto di avervi rinunciato.
Un anelito
che si è tramutato in una rabbia esasperata quando all' ufficio
turistico ove ho commissionato il costosissimo biglietto d'ingresso,
anticipandone lì il pagamento
a compenso
del fatto che mi avessero lasciato consenso concessomi a
svuotarvi indecentemente lo zaino pressoché in tutta la sua integrità,
per ritrovarvi la guida d' Israele ch' era invece in una sua tasca
esteriore, mi sono reso conto che se l'avessi ricercata e ritrovata con
più calma non appena ho valicato la frontiera,
l' autista dell' autobus per Eilat non avrebbe potuto
disattendere la mia richiesta di fermarmi proprio di fronte all'
Acquario, se mai era possibile, dato che avrei saputo anticipatamente
che sorgeva lungo il tragitto così percorso, e in che punto
approssimativamente.
Correvo così
il rischio di vanificare
tutto ritardandovi l' ingresso, dato che mi trovavo a dover riprendere
lo stesso autobus ch'erano già trascorse le tre e trenta, quando la
guida ne indicava l' orario di chiusura neanche un' ora dopo, alle
sedici e quattordici e trenta...
Quando vi
pervenivo, ch'erano quasi le sedici, e chiedevo il termine dell'
apertura al personale d'ingresso, invece mi si recava il sollievo di
dirmi ch'era un'ora più tardi del temuto previsto, Thirty post five,
....
Tra
l'acquario, due piscine, l' osservatorio sottomarino, la curiosità
smaniosa di meraviglie mi faceva anticipare quest'ultimo.
Ma anzichè
scendere subito underwater, iniziavo mio malgrado a salire sull'
osservatorio, da cui la vista spaziava su Eilat, su Aqaba, sul golfo
montuoso, mosso dal vento, di un blu profondo e intenso di luce, su dei
bastimenti fermi al largo dell' altra riva in terra giordana, intanto
che delle vele, di agili imbarcazioni, ne tagliavano sommosse il seno
increspato, che un traghetto, in
prossimità, procedeva
poco oltre la barriera corallina sottostante, ove
le acque si chiarificavano trasparenti in smerigliature verdi.
iIscendevo,
finalmente, nella meraviglia delle meraviglie dell' osservatorio
sottomarino, ove, senza dover essere né poter essere subacqueo, mi sono
ritrovato immerso nell' artificialità di una barriera corallina
naturale, e ove nell' acqua che trascolorava di luce tra ogni forma di
fioritura di madrepore e di spugne e coralli, vedevo sospesi infiniti
pesciolini mirabili, e poi apparire, e disparire, stupefacenti pesci di
ogni guisa cromatica di striatura e variegatura, quali mirabili fiori
cangescenti l' uno nell' altro nelle stesse colorazioni dei più
mirabili fiori cangescenti l'una nell' altra, o nella o quali
metamorfosi dei colori più vivi dei fondali rocciosi, in una
apparizione continua mente mutevole che immancabilmente continuamente
dileguava nel fondo, da cui, ugualmente, poc'anzi era apparsa mirabile.
Controllo
l'orologio, sono già le 23, e la descrizione è sospesa nell' imminenza
della partenza per Haifa, la mente che nel tentativo di evocare le più
splendide meraviglie ittiche del reef, troppo rischiosamente si era già
smemorata del tempo.
Akko, 17
agosto 1998, presso il Pisan Harbour Restaurant
Akko, 17
agosto 1998, prsso il Pisan Harbour restaurant.
Il
Restaurant dove non mi sono proibitive solo che la Coca cola che
ho ordinato e la baklawa che vorrei concedermi, almeno mi offre quiete
ed ombra, la vista che mi ritempra del mare di Akko- intanto che livido
schiuma contro le mura
sottostanti, e che dai cui bastioni vi si tuffano dei ragazzi
arabi-, solo che la bibita sappia centellinarla come la mia sete, solo
che la mia indigenza eviti di ricusarla nella sua irrimediabilità, se
per non disastrarmi economicamente, ho fatto il biglietto per un
passaggio ponte di tre giorni e tre notti da Haifa a Bari, e se ad Akko,
nella città vecchia, una volta che ho ritrovato chiuso lo Youth Hostel,
non mi è rimasto, o non sono stato capace d'altro, che di patire il
ricovero in uno clandestino ancor più
miserevole.
E' inutile,
che come i villeggianti di ogni Agadir o Sharm- el- Sheik, presuma
anch'io che le vacanze, i loro luoghi di elezione, mi offrano consentano
l'occasione di essere altri da noi stessi, da ciò che siamo, di non
essere più ciò che sono, da ciò che intendiamo e sentiamo (e
patiamo) di necessità.
Intanto mi
si diffonde intorno la fragranza del pesce di cui si cibano i
commensali, e che mi piacerebbe talmente consentirmi e gustare, ma di
cui non avverto più l'appetito, come non ho più voglia di nutrirmi cibarmi
di niente, assaporando la sola fragranza salmastra del mare.
Che la
scrittura benestante di altri traveler's writers, di me più fortunati,
celebri le delizie di prelibati sapori e di agiate esperienze.
"
Why no meat? Why no fish?",
" Why?
Because no money", ho appena riso e risposto agli interrogativi ai
quesiti del del cameriere arabo, che tra poco mi servirà la baklawa
che eppure gli ho poi
ordinato, mentre il sole candisce le nubi, nel golfo ne di lui
riluccica e s' infervora il mare.
Akko, 17
agosto 1998, presso il Pisan Harbour Restaurant
Akko, 17
agosto 1998, presso il Pisan Harbour restaurant.
Il Pisan
Harbour Restaurant, dove non mi sono proibitive solo la Coca cola che ho
ordinato e la baklawa che vorrei concedermi, almeno mi offre quiete ed
ombra, la vista che mi ritempra del mare di Akko- intanto che livido
schiuma contro le mura
sottostanti, e che dai bastioni vi si tuffano dei ragazzi arabi-, solo
che la bibita sappia centellinarla come la mia sete, solo che la mia
indigenza eviti di ricusarla nella sua irrimediabilità, se per non
disastrarmi economicamente, ho fatto il biglietto per un passaggio ponte
di tre giorni e tre notti da Haifa a Bari, e se ad Akko, nella città
vecchia, una volta che ho ritrovato chiuso lo Youth Hostel, non mi è
rimasto, o non sono stato capace d'altro, che di patire il ricovero in
uno clandestino ancor più miserevole.
E' inutile,
che come i villeggianti di ogni Agadir o Sharm- esh- Sheik, presuma
anch'io che le vacanze, i loro luoghi di elezione, offrano l'occasione
di essere altri da noi stessi, da ciò che siamo, da ciò che intendiamo
e sentiamo di necessità.
Intanto mi
si diffonde intorno la fragranza del pesce di cui si cibano i
commensali, e che mi sarebbe piaciuto talmente consentirmi e gustare, ma
di cui non avverto più l'appetito, come non ho più voglia di nutrirmi
di niente, assaporando la sola fragranza salmastra del mare.
"
Why no meat? Why no fish?",
" Why?
Because no money", ho appena riso e risposto ai quesiti del
cameriere arabo, che tra poco mi servirà la baklawa che eppure gli
ho ordinato, mentre
il sole candisce le nubi, nel golfo ne riluccica e s' infervora il mare.
O. Bergamaschi
Piazza d'Arco 6F
46100
Mantova Italy
Akko, 17
agosto
Ai tavoli dello stesso restaurant di ieri, ove ho ordinato
nuovamente una Coca cola anche per usufruire dei servizi igienici, mi
consento mi è dato almeno il conforto di un mare più luminoso e
blu e terso che ieri, prima dei travagli della ricerca in Haifa dell'
ultimo ostello, dell' imbarco di domani.
Ieri ho
rivisitato l' Acco islamica, rinviando a stamane di rivedere quella
soggiacente degli Ospitalieri di San Giovanni.
Che piacere
esserci di nuovo, e rammemorare, ritrovandomici, ciò che altrimenti
sarebbe stato perduto per sempre per la memoria, e sentire che
tornavano alla mente e recuperavo le impressioni precedenti, via via
che mi imbattevo ancora nel Khan el-Umdar, ed oltre il Khan es-Shawarda,
rivedevo la moschea el-Jazzar, mi ritrovavo nel verziere della grande
corte, tra il gridio canoro degli uccellini che infoltivano una pianta di
limone, contrappuntato da quello dei bambini arabi che schiamazzavano,
mentre era già l' ora della preghiera.
Nel
contempo, se non ho pranzato o cenato in alcun ristorante, ma farcite di
kebab, di hummus, d' harissa o di tajne, di triti e salse di verdure
piccanti e rinfrescanti, ove il limone di una mistura smorzava l'ardore
bruciante del peperone in un'altra, ho divorato più di una focaccia e di
una baghette, all' uno o all' altro negozietto della vecchia città araba,
o svariando nella nuova città.
Squisito,
davvero, il caffè turco al cardamomo, che ho sorbito in un locale che fa
angolo nei mercati della vecchia città.
Riandare per
quei suk anche stamani mi suscitava sensazioni forti, l' appagamento
sensoriale di esservi in una città islamica reale, dove al negozio di
vendita di narghilè e di essenze, da bruciarvi, si succedevano quelli
dove con gli oggetti d'uso domestico, erano plastificati anche i fiori di
gerani da appendere penduli, e i grappoli d'uva da esporre nei vassoi,
per quanto il piede fosse
più intento a sollevarsi, che a posarsi, sul liquame del lastricato nel
suo fortore, e non fosse possibile aspirarvi la fragranza di spezie o di
frutta, senza odorare il fresco fetore a ridosso del pesce in vendita, o
quello più avanzato, nella decomposizione, degli scatolami delle acciughe
ch'erano state infilate ad un' esca, ad uso dei pescatori.
Mentre ieri
sera ripercorrevo i fossati e le mura di Akko, mi impressionava che nella
porta d'accesso all' una o all' altra Akko, lungo il percorso delle mura e
nell'avvallamento sottostante che si era abbuiato, stessi transitando la l'invisibile
frontiera tra Oriente ed Occidente che permaneva insuperabile in Nicosia,
nel reciderne a metà l' antica cinta di mura, che invece in Acco
include invece accessibile l'intera e sola città islamica, ma ugualmente
destinando alle comunità islamiche loro, - di similari mosche e
caravanserragli e bagni turchi, sui resti crociatti, -
il pregio della propria superiore bellezza arabo-turca,rispetto
alle più sviluppate e ricche Nicosia greca ed Acco ebraica.
Quando il
giovane di fede cattolica ch' è il sacrestano del prete locale, una volta
che mi ha aiutato a ritrovre l' accesso secondario all' ostello, mi ha
detto che gli ricordavo suo padre e mi ha chiesto il mio nome, perchè,
mai, gli ho detto quello dimio padre invece del mio.
19 agosto,
al largo di Haifa.
19 agosto,
al largo di Haifa.
Erano già
trascorse le sette, ieri sera, ma il sole non era ancora calato nel mare,
a soli dieci minuti di distanza, diceva un cartello, dallo Youth Carmel
hostel in cui avevo già depositato i bagagli nella stanzetta.
Niente di più
allettante di un' ultimo bagno nel tramonto, mentre dovevo pur scendere
verso la marina, nello shopping center del quale mi era stato detto alla rèception,
per acquistarvi le cibarie per tre giorni e tre notti di viaggio sino a
Bari.
Sarebbe
stato l'ultimo dei miei rari bagni nel corso del viaggio, nonostante tutto
il mare che ho costeggiato ed attraversato, perchè no? allora, solo che
non mi arrischiassi incoscientemente a lasciare incustoditi a riva il
psssaporto e il portafoglio nel marsupio, nelle cui tasche non ho lasciato
che gli shekelim e la carta bancomat, night and day, che potevano
servirmi allo shopping center, se avessi avuto bisogno di
effettuare un cambio automatico.
Ma via via
che scendevo a mare, l' ultimo bagliore diurno si riduceva solo a un
chiarore residuale, che una barriera di superstrade rendeva
irraggiungibile prima che fosse già sera.
Presso
l'avveniristico Palazzo dei congressi di Haifa, erea invece imminente
l'enorme Shopping center.
E vi ero già
entrato, irresistibilmente, quando intravedevo allora soltanto i corpi di
sorveglianza che vigilavano all' interno, e avvertivo il rischio in cui mi
ero avventato: nell' esservi, all' interno, forse pressocchè l'unico
straniero tra gli israeliani che lo gremivano, senza alcun documento che
potessi fornire se ne venivo richiesto... anche l'uscire appena vi ero già
entrato, oramai un mio comportamento che poteva risultare sospetto.
Comperare
invece pochi alimenti? Per ritornare all' ostello e seguitare gli acquisti
con i documenti d'identificazione appresso? Sventata esaltazione del
rischio, od altro che fosse, in tutta la sicura disinvoltura di cui ero
capace procedevo oltre nell' abbagliante complesso, tra la luminosità dei
reparti, fino ad essere già al di là delle oltre le barriere d'
accesso al supermarket alimentare, di me attrattore, irresistibile, la mia
curiosità di vedervi la globalità impressionante delle merci che vi
erano esposte, per constatare accertare che la differenziasse da
quella di un ipermercato che uso frequentare in Italia.
Eccole tra
intere scaffaluture di soli biscotti, le gallette che per nemmeno 5
shekelim potevo acquistare, ero adesso nel reparto ortofrutticolo, dove
come vedevo fare a un acquirente abituale, con le nude mani, senza che si
richiedessero i guanti od il suggello della etichettatura con una bilancia
automatica, in un sacchetto infilavo tre mele.
Finalmente
ritrovavo lo scatolame di insalate di verdure e di carne di pesce, solo
nell'ultimo reparto i succhi di frutta, dovevo proprio fidarmi delle
immagini illustrative, dato che il mio stato mentale mi impediva di
ritrovare le indicazioni degli ingredienti sotto le impressioni in
ebraico, una scrittura che nei suoi caratteri così poco differenziati,
così minimali, già di per sè mi sembra quella ideale per realizzare la
dicitura di non so quale città, di non so quale civiltà, in cui uno
straniero si ritrova anonimo e perduto.
"E le
posate di plastica?", nell' emozione che tenevo raffreddata come lo
era l'aria che refrigerava la vastità degli interni, venivo tra me e me
parlandone, per esibirmi più sicuro, ma la faccia di un bambino appresso
alla madre che mi guardava stupito, forse che parlassi un idioma ignoto
tra la totalità dei presenti che parlava la sua identica lingua, mi
avvertiva che proprio i modi della mia disinvoltura (sicura) potevano
essermi esiziali.
Ma al
reparto del pane, che ritrovavo presso le barre d'accesso, su ogni mia
cautela prevaleva la mia perseveranza ad esaurire gli acquisti di
alimenti, nel prendermi i rischi del caso, quando alla commessa, come chi
è estraneo agli usi abituali, chiedevo che mi consegnasse le forme del
pane al sesamo e al cumino, che ho così appreso che sarei stato io invece
a dover prendere da solo ed a riporre in un sacchetto.
Non avevo più
altro da acquistare, potevo passare ora alla cassa.
Ve ne erano
di riservate a chi per chi, come me, non aveva usato un carrello?
Con le mani troppo ingombre di confezioni in pacchetti, e di sacchetti
riempiti di scatolame?
E se il mio
zainetto, alle spalle, avesse insospettito, inducendo all' accertamento di
che conteneva, del suo conteuto, l'accorrere di un
sorvegliante che ne controllasse lo svuotamento, con la richiesta
terminale di documenti?
Oh, me l'ero
raccontata tra un reparto e l' altro, la storia da dire nel caso
drammatico:
"
I'm in the Carmel YOuth hostel...My passeport is in the rooom number ...
Whi i haven't a passeport? Because i was going to swim, and...i feared
that somebody when i was in the sea can
take me everythink ii have with me...sorry... sorry...Why i am here? I am
here because i need a fod for my travel tomorrow by sheep...thre days and
thre nights on the sea...Do you understand? YOu can control:what i toke
it' s what can serve on the sea/ on the boat: the forks, the tuna, the
biscuits, the vegetables, yes, the vegetables that keep? ( come
dire che si conservano in un simile inglese? ...." , Tutto che si
teneva, tutto che ritornava, nella mia spiegazione della situazione più
che sospetta:solo, that's the problem, quando se ne sarebbero persuasi?
Fino a quando mi avrebbero trattenuto ? Prima o dopo della partenza
stamani mattina del battello? E come avrei fatto a sopravvivere in Israele
per un' altra settimana?O, dio mio, my god..."
Anche la
signora che mi precedeva mi veniva intanto creando
difficoltà, / mi imbarazzava, pretendendo- per quel che capivo dai
suoi gesti che accompagnavano la richiesta in ebraico- che mi scostassi
perchè le lasciassi recuperare il carrello vuoto.
"I need
a bag" dovevo pur chiedere alla commessa, che capiva e non si
stupiva, con mio sollievo.
55 shekelim
e 20 l' ammontare totale, secondo quanto riportasva la cassa.
Ma che mi
domandava, ora in ebraico, ora che le allungavo una banconota da 100
shekelim?
Da come
prendeva atto soddisfatta di che facevo in risposta, traevo il respiro di
sollievo che avevo indovinato, per fortuna, nel supporre che non poteva
avermi richiesto che se avevo i 5 shekelim e 70 centesimi, che le
consentissero di semplificare il resto a 50 shekelim.
Oltre le
sbarre ero adesso così sollevato, che avrei voluto cedere a un altro
signore quel tagliandino che ero più che certo che fosse un bollino per
l'acquisto con i punti di chissà che cosa, senza nemmeno chiedermi se
alle casse si facesse ricorso a scontrini e e se quel tagliandino potesse
esserlo.
Tra la folla
comune, nella grande hall, ma quel giovane con lanera vestizione dell'
ortodossia ebraica mi osserva, si fa incerto se raggiungermi, se ne
dissuade perchè evito di incrocuarne timoroso lo sguardo, ed infilo
piuttosto la scala mobile lì a due passi, per scendere al piano di sotto.
Al forno
ch'era in prossimità dell' ingresso, oramai, che soillievo, a un passo
dalla salvezza, sapere come ordinare una ciambella al cumino farcita di
olive e ricotta, e gustarla con una bibita, sedendomi a un tavolino,
convinto di essere pressocchè al sicuro, talmente che ordinavo a gesti, e
chiedevo e rifiutavo un altro soft drink, quando porgevo tre shekelim che
non bastavano.
Non
bastavano purtroppo nemmeno i sacchetti di plastica utilizzati a contenere
gli alimenti comprati, quando mi rialzavo, per uscire, e uno di quelle
sporte, troppa ripiena, mostrava uno squarcio da cui fuoriscivano le
confezioni, come a un ladro che fosse smascherato dalla sua refurtiva
eccedente...
Quella
commessa, per mia fortuna, come scoprivo ora in fondo a quel contenitore
laceratosi, quando le avevo
richiesto un sacchetto me ne aveva fornito una serie, ed ora potevo
redistribuirvi gli alimenti, con l'occhio che correva al vicino reparto
arredamento.
Dove una
donna che ne usciva, era fermata da una guardia che le chiedeva di
mostrare ilcontenuto di una borsa, di esibirle i documenti...
Che non
badassi più a nient'altro che a quella decina di metri, soltanto, che
ancora me ne separavano, per/a spingerla quella pesante porta d'uscita,
senza sorveglianti, libero di respirare la calura dell' aria esterna,
fuori di quella refrigerata, tra la folla che liberamemte come me ne
usciva.
21 agosto,
la pagina dell' arrivo a Paphos
Quando il
taxi mi ha lasciato di fronte all' ostello,ho perlustrato a lungo avanti e
indietro quell' avenue di periferia, prima di disilludermi che l' ostello
non fosse l'edificio che avevo di fronte: un villino aperto che sembrava
una dimora dismessa, talmente l' incuria vi vegetava intorno e incombeva
nel suo aspetto esteriore:le porte e le finestre scrostate e stinte,
seggiole e tavoli di plastica sporchi e in disordine, il terreno
circostante tutto ricoperto di fogliame, di pere e di fichi caduti, di
assi, di attrezzi inusati, inaffiatoi, rastrelli sparsi intorno.
Nelle
camerate lo stesso stato di abbandono di ogni cosa a se stessa.
E il
lenzuolo mi sarebbe costato un pound suppletivo, mi dice la giovane
procace addetta alla reception, quando alfine si fa viva ad accogliermi.
Non c'è che
la mappa appesa a un muro, da tramandare a memoria, a soccorso della
prostrazione che sconfortava il mio passo, nel tentativo di raggiungere
orientativamente il centro di Paphos, ne confondeva ancor più il
disorientamento, ne svogliava ogni meta, in quella successione di arterie,
di spiazzi, in cui non sapevo ravvisare il centro in cui ero, quando anche
le vie di banche e di boutiques, erano un disfacimento e un rifacimento di
selciati e di edifici inaffollati di gente.
Ma a quello
sportello del cambio automatico, preso la banca meno appariscente in marmi
e vetrate, felicemente mi ostinavo e finalmente in Cipro con il bancomat
ricevevo valuta, e svoltando a sinistra ove la strada curvava in discesa,
in che angolo ombroso, a darmi pace, sostavo presso quel caffè alla
fermata degli autobus, sospeso tra il cielo e un invisibile mare evocato
dal verde.
Una soda, un
greek café, e ripredevo animo e cammino.
Ma neanche
la targa che indicava che il viale che imboccavo era quello dell' Apostolo
Paolo, quello dal quale si
accedeva alle ville dei mosaici secondo le indicazioni parziali della mia
guida, poteva risollevarmni dal lasciarmi andare allo sconforto lungo
quell' interminabile arteria balneare, tra chioschi, ed officine,
restaurant e minimarket, ove mi era incredibile immaginare di poter
ritrovare basiliche paleocristiane e ville greco-romane, tombe di re o di
dignitari ellenistici, quanto camminando e sudando, sotto il sole, nell'
inoltrarmici solo con vaghi referti, tra gli altri visitatori che non si
dovevano sfinire anche solo per accedervi, muovendo da un sito di miseria
quale il mio.
Con che agio
festante di europei benestanti, li vedevo superarmi sui loro taxi, sulle
loro vetture a noleggio, lungo il vialone che avevo imboccato sulla
destra, e che almeno, in altri tre chilometri, stando a quanto indicava
una segnalazione archeologica, mi avrebbe fatto pervenire/giungere alle
"tombe dei re".
E seguitavo
quel percorso di calore e polvere, con la maglia indosso che non si
prosciugava del sudore, mentre la mia sete esigeva di bere, voleva ancora
del' acqua, mi angosciava che potessi restarne senza nell' area
archeologica, sicchè mi arrestavo ad acquistarne una bottiglia in un
minimarket, e i passi seguitavano oltre, come la mia anima, i miei sensi,
che nelle conoscenze della mia mente, riattingevano alle reminiscenze che
potevano riesumarmi quei sepolcri templari, riandando alle tombe di Licia,
di Petra, di Vergina e Alessandria, per ritemprarsi, in ciò che sentono e
sanno, dell' afflizione mortificante della mia insanabile miseria tra gli
uomini.
Marmaris,
Cesme
" Pare
che abbiamo saltato uno scalo, Marmaris o Cesme..."
"
Meglio, così montano meno turchi..." ieri sera diceva e si ritraeva
dall' aver detto una italiana con cabina, assimilandosi a non so quale
tartaruga di cui poi veniva parlando.
" Poi
magari facciamo scalo in Albania...E come minimo ci ammazzano e ci rubano
la barca...." faceva dello spirito
un' altra delle signore italiane con cabina, stamane nella sala del
bar, telefonandosi, tra amiche, su come con il fisco....
" Li
fanno salire con le scialuppe, i mammelucchi... gli ottomani..." era
ugualmente piacevole sentire da un' altra bocca, di quella compagnia.,
" Over the mud, come recita la scritta della maglietta che portano in
gruppo.
Mentre è
saltato lo scalo a Marmaris sono bastato io, frattanto, quand' ho
defecato, a far risalire nel water l' ingorgo che
ora vi ristagna della liquerfazione merdastra.
Via via che
scorrevano intanto le isole e gli scogli del Dodecaneso, io non ho
seguitato che a immaginare il decorso del rapporto con quel giovane uomo
turco, di Nicosia, che nei giardini invano
è stato invitante, in chissà quale misero ambiente spogliandoolo
dei suoi sudici abiti smessi e rimessi, intrisi dell' afrore forte che ne
emana la pelosità che denudo, che trasudano le ascelle che aspiro e
lambisco, mentre negli slip la mia mano glielo afferra caldo e tumescente,
ed io scorro e mi ci chino sopra reiterando l'abbocco , la suzione è
inesausta, sotto la pressione della sua mano che non mi lascia respiro, ne
ho tregua solo per risalirne il corpo e tentarne la gola, le vivide
labbra, di/per schiuderle alla lingua che ne vuole l'interno, nel che intanto
che mi rispecchio nei suoi occhi animaleschi e languidi di voglia, così
belli, così lucenti, ma lui oppone il diniego a che gli insinui la
lingua, ed io mi rigetto sul' erezione del membro, a esasperargliela,
finchè nella bocca non mi insemina nel piacere del gemito.
L' Egitto
" arabesco" di Sharm- da soap opera.
la
processione liturgico-turistica dell' ascensione del Gebel Musa.
Il corpo di
un turista, in Sharm, nel
quale ho visto reincarsi le forme e le movenze di Gregory, lo stesso anche
il taglio dei capelli, in una vertigo struggente di nostalgia e dolcezza.
La dark lady
Rientro in
ostello, come in un western legando a un albero il mio destriero
meccanico, mi accingo in cucina a predispormi del the, e comincio
solo allora a notare che in cucina, come in ogni lato o recesso
dell' ostello, non v'è niente che serva, o che si estenda, sia
esso fornello o lavello o parete o portello o porta o finestra, non
impianto o sistemazione di cose, purchè possa esso fungere da appoggio o
da infisso da affissione, che non rechi il cartellino o il foglio
di qualche avvertenza.
I moniti
dispostivi lì in cucina, con una preveggenza inesorabile, nella
loro mente ideatrice, di ogni possibile mancanza di cognizione e di
civilizzazione di chi ne fa uso:
"Remember
to clean the cooker after using it. Tank you"
"
Please wash your dishes, dry them, and put them away. Please".
"
Please leave the Kitchen area as you would like to find it".
Un sole che
ride, pulito, ad allietare in ogni biglietto di ogni ingiunzione.
Pure sulla
stufa, al centro del salone, sta scritto in bella evidenza: " The
stove is the sole responsability of the warden".
mentre campeggia
sulla soglia d'ingresso, ad ogni limitare di stanza, campeggia
immanvabilmente:
"
please, close this door!!".
Accedo indi
al bagno, e della signora in nero che detiene l'ostello, mi precede sulla
soglia l'avvertenza generale :
"
Water is precious in Cyprus. Please don't wate it. Tank you.
E' accanto
al boiler sul quale su
sta scritto " do not touch the boiler", prima dello stanzino
della doccia sulla cui soglia, dalla nostra sovrastante sovrintendente
/accuditrice invisibile, onnipresente, è stato punualmente richiesto,
come in cucina" Please leave the bathrom as you would like to find
it. Tank you".
Vado prima
di fare la doccia a defecare nel gabinetto, ed ecco che per questo mi
inchino, e che dalla sua Entità preventiva mi ci vedo affisso davanti:
" If
you don't want a bloched toilet, please don't put anything into it. "
L'idea che vi viene ribadita anche in tedesco: " Papier und ahnliche
dinge verstapfer das klo".
Dentro la
doccia, ove uno si crederebbe nella sua intimità nuda al riparo di tutto di
ogni indiscrezione, quindi mi attende quindi il seguente monito
della dark lady: " please wipe the floor after having a shower and
open the window".
Nè faccio a
tempo a usare il lavello nel corridoi antistante, per lavarvi i miei
panni, che lei ha già inteso dissuadermene in quanto vi è apposto sta
scritto" please don't use this basin for washing clothes. Use the
kitchen sink."
Certune di
tali avvertenze, come quella di asciugare il pavimento del bagno o di
aprirne la finestrella, dopo che si è fatta la doccia, di non poggiare i
bagagli sopra le brande, ricorrono anche puntualmente nell'
incustodia generale degli altri ostelli di Cipro, per quanto vi appaiano
sbiaditi dall' usura di restare inascoltati.
Ma questi
ammonimenti, in questo alloggio dei Troodos, evidenziano tutti quanti l'
inchiostratura indelebile di un accanimento indefettibile, già nei
seguenti termini di accoglienza, se ritorno sui miei passi alla soglia
d'ingresso:
"
Please wipe your feet! Tanks!".
Questa
sollecitazione, senza riguardi di sorta, intesa dalla lady a onde
evitare l'ordura dell'orda, vi campeggia dopo che la felicitazione, per il
sopraggiungere dell' ospite, dell' " enyoi your
stay",preliminare, e che il tripudio breve " del " Welcome
to youth hostel", già
erano stati da colei freddati, in capo alla virgola, dalla manifestazione
della più completa disistima preventiva anticipata nel possibile
grado di civilizzazione educazione e di autocontrollo dell'
ospitato civiltà raggiunto dall' ospitato, espresso già
da in un pressante "ma per favore", " But please"
" no noise in or around the hostel after p.m.", "
Keep all communal area clean." "Tank you".
Al centro
del soggiorno d'ingresso, in tutta evidenza,
sovrastando a
regolamentare a normativizzare il visitor-ospite, qualora fosse
così tardo da non non fosse arrivato a capirlo l'avesse ancora
capito, il segnale di tutti i segnali, la prescrizione preliminare di
tutto quant' è prescritto :
"Please
read all the signs and respect them, Tank you".
Nella mia
stanza, ove mi ritiro, mi esorbita inizio a contare tre altre
avvertenze della Nostra Signora, per motivate e necessarie che
siano:
" No
smoking", " E chi fuma?", "
Don't put your luggage in the
beeds," d'accordo, " please note that the hostel is not at your
disposal between 10 a. m and 3 p.m.", ne terrò conto, che vi
figurano insieme a un' altra, di un' esplicità compita, che mi ricorda/
è di monito che " a youth hostel is not a hotel" esortandomi
pertanto, come già in cucina ed in bagno, " please, leave your room
as you found it." Tank you, ovviamente.
Ma che
ancora può sorprendermi, nell' ostello -maniero, in tale e tanta
spropositata ricorrenza di ogni sorta di ordine e invito,
è in capo al letto il " please", strano," don't
move the curtain", a non spostare assolutamente la tenda che ricade
fra le brande.
" E'
perchè mai?", mi chiedo, istigato a delinquere, pervicacemente,
anche solo a tentare di intravedere che cosa la coltre può nascondere, da
quello che pare, assolutamente, il titolo di un film dell' orrore,
dei più allucinanti... " Non aprite quella porta..."
Tant'è
bastato, perchè l' ostello sia venuto trasformandosi La mia dimora si
è venuta viene così trasformando in una spiritata casa thriller,
nella sede stregata della Troidoitissa di tutte le troidoitisse, della la
mia dark lady di tutte le forze dell' inferno/ di ogni forza d'
inferno ...
E scosto
dunque la tenda come la mia signora in nero ha già inesorabilmente
previsto, sicchè mi attende di leggervi, al di là, affisso a una porta
bianca retrostante:
"
Danger! Do not walk on the balcony.It might collapse!".
E chi più solo
vi si attenta a mettervi piede...
Quando basta
permanere nel soggiorno sottostante, e inalarvi l' aria satura del gas di
ogni impianto in uso di riscaldamento, per avvertire quale possa essere,
piuttosto, la fine più certa della nostra signora e dei suoi occasionali
ospiti.
Il sentiero
di Artemide
12 agosto,
tra Limassol ed Haifa.
Taba, 14
agosto
Antea
31 agosto
1997
Da Spalato
ad Ancona
Inizio e già
interrompo di scrivere questa breve Nota di viaggio, per trascrivere,
prima che me ne dimentichi, il cognome del signor Trumbic presso il quale
ho alloggiato così felicemente, in una camera privata ch' era un
appartamentino in una posizione incantevole in prossimità del peristilio
del Palazzo di Diocleziano, per poi ricercare, sulla mappa di Spalato,
senza ritrovarla, il nome della via in cui egli abita, - posso pur
desumerla da via Dioclecijanovna, ma nell' indirizzo devo indicare, in
qualche modo comprensibile, che è dopo, e verso piazza Narodnj. Ma
perchè,
anzichè andare a ricercare al rientro nella mia città a
casa mia, e chissà dove, come si dice, per inviare alla
signora ch'era con lui, che ignoro se fosse sua moglie o sua sorella, una
caffettiera dall' Italia, per consentirle di fare il caffè espresso e non
solo alla turca, come me lo ha offerto buonissimo, non lo chiedo alla
giovane donna che è seduta su una poltrona accanto, alla quale ho
guardato i bagagli prima della partenza.
Dopo?
Esattamente come in italiano, verso fatico a decifrare che si dice "
ravno" ?
Brani
... così
come oltre le porte d'accesso alla cittadella del
palazzo ( di Spalato) ad occidente si espande splendida e si
trasfigura nella fantasmaticità, vivida di tegole rosse, della pietra
bianca ( scialbata) delle case e delle torri delle sue piazze medioevali-
rinascimentali,
..............oltre
la cittadella in cui si è tramandato il Palazzo di Diocleziano, la
immaginazione riesumatrice delle cui vestigia in corrispondenza con la
configurazione dei suoi sotterranei evacuati e ripristinati, è stata una
delle mie più affascinanti avventure archeologico-rinascimentali.
Redazioni
antecedenti
E più non
parli
E più non
parli che con gli agli uccellini e ai i morti,
non deliri
che i vivi ti auspichino,
nel disfarsi
di nubi all' orizzonte
i giorni
mendicanti alle tue porte,
e suggelli
in effigi gli scomparsi
ne
suggelli effigi,
veli il
riassonnarsi
in nuvolii
di piume,
-al
predisporne i fiori, le sementi,
tu dicendoti
amen,
così è il
plenilunio e così sia.
E più non
parli Seconda versione
E più non
parli che con gli agli uccellini e ai i morti,
non deliri
che i vivi ti auspichino,
i giorni
mendicanti alle tue porte/ soglie
nel disfarsi
di nubi all' orizzonte,
e suggelli
in effigi/e gli scomparsi
ne
suggelli effigi,
veli il
riassonnarsi
in nuvolii
di piume,
se ancora
fossero, come se oramai non fossero dovunque,
le loro
pupille in te non si riaprissero al tremore,
- al
predisporne i fiori, le sementi,
(così)
tu dicendoti amen,
così è il
plenilunio e così sia.
Un mese dopo
25 settembre
1998
Quando sul
far del mezzogiorno mi approntavo infine ad uscire, prima l' uno, poi
l'altro, oggi due
passerottini sono infine sopraggiunti di nuovo al mio balcone, splendidi
del loro nuovo piumaggio in cui sono usciti appena di muta, tra la
fragranza espansavi dal basilico nella sua fioritura estrema.
"
Finalmente troverà chi se ne sazi, e non subirà la diagenesi di
cementificarvisi, ne
sono stato ulteriormente contento-, tutta la semente ch' è espansa da
settimane e ho espanso sul piano del davanzale, mi sono felicitato,
e non sarà solo il *ricettacolo delle in altri visitatori che non
siano solo le camole che me l'hanno fatta rigettare, e le cui larve
che rinvenivo ancora, senza tregua, fra
le cibarie residue del mio uccellino, ad una ad una ad una ad una poi
riposto declinato rigettato, come e quando, senza tregua, ho
seguitato a riporre fra quei grani sul balcone, ne rinvenivo ancora
delle larve in ogni cibaria residua del mio uccellino delle altre,
dopo i giorni seguenti il mio rientro dal Vicino Oriente, la
settimana seguente al rientro dello stesso mio uccellino da Modena, dove
stazionava presso mia madre.
Come nell'
appartamento vi si è ritrovato, tra le scaffalature, il piccolino ha
fatto un balzo di soddisfazione dall' uno all' altro posatoio, ha favorito
di nuovo nell' una e nell' altra mangiatoia, quindi nel beverino, poi
nella vaschetta del grit, e allora soltanto mi ha riconosciuto alfine
riconoscendomi integralmente, ed
è corso di continuo inesausto correndo inesausto al mio
richiamo, ai miei vezzeggiamenti amorevoli, non appena reindividuandomi
di nuovo come il mio sembiante si è per lui reinserito in questa sala del
soggiorno ove ne scrivo e lui si è
appena addormentato, di notte, e ch' è tutto il suo habitat planetario.
Che mai ne
era più, per lui, del suo quieto soggiorno presso mia madre, delle cure
con le quali lo ha aveva accudito durante tutta la sua copiosa muta,
divisa tra le sue perdite di piume e l' insofferenza della calura del cane
Dingo, lei stessa stremata dall' afa incessante, al pari di quanto al
rientro nella quotidianità, non ancora lavorativa, si erano vanificate così
come che ne era più, per me, le ansie e le tensioni e le esaltazioni
del viaggio, delle ansie e delle tensioni angosciose e delle
esaltazioni del viaggio, già dissoltesi nel rientro nella mia
quotidianità, - che allora non era ancora lavorativa,- al pari di
come un sasso caduto al fondo
di acque su di lui placatesi pure /anche nei loro cerchi concentrici, in
ragione della per la nella stessa ingratitudine vitale, avida di
altro, che mi faceva già immemore di quanto in Cipro, nel Sinai, in
Israele, ho vissuto di arduo e di meraviglioso,
di inesorabilmente insuperabile e di sconfortante, e
mortificante, o che a costo di tutto ho incantevolmente ritrovato e
alfine raggiunto, di stupefacente , di quanti altri mi sono venuti
incontro nel viaggio, mi sono stati di aiuto e di esperienza, recandomi l'
umano conforto, impagabile, della cortesia e della gentilezza,
dell'interesse cordiale per la mia persona.
Ancora le
scuole non erano prima ancora che le scuole fossero riprese, e già
scenari e vicende e vicissitudini del viaggio, e volti e patemi e
soddisfacimenti soddisfazioni, si erano fatti irreali quando
ancora le scuole non erano prima ancora che le scuole fossero riprese,
evanescenti, quasi che come se il viaggio, al pari del gioco, fosse
stata solo una fiction di che cos' è la vita, la realtà vera, di che
cosa siano l' autentica gioia e l' autentico dolore, l' angoscia e la
tragicità e l' esaudimento effettivi il compimento di sé effettivo...
secondo l'inganno che vi sia una realtà ultima, siano essa gli interessi,
o gli affetti più cari, alla cui resa dei conti si vanifica il futile e
l' inutile, e il tremendo o ciò che vale della vita si disvela (di)
fondamentale, ... come se della la perdita estrema di chi più mi
ha amato, od ho adorato, ancora effettivamente ne soffrissi la sentissi,
e già l'altro uccellino, che credevo irrevocabile, non si fosse
reincarnato in questo vivo e sano che adoro mi è ugualmente caro.
Del resto
ogni volta che visito mia madre, (non) se ci tengo tenessi tanto a
fare ritorno al loculo di mio padre, ogni volta che visito mia madre,
è perché lì soltanto, in effetti, lui in me ancora si ravviva, è
ancora alcunchè cui mi illudo di potermi rivolgere.
Ed anche i
nuovi allievi, nella classe prima, che dopo dieci giorni di scuola mi
sembra di avere avuto già da una vita, dove andranno in me avranno da
andare non avessero a finire, adempiuti i doveri, se non nella
dimenticanza vaga e grata in cui era già precipitata, nei nomi e nei
volti, anche la generalità di quelli che ho ritrovato in seconda, o nella
rimozione di tutto ciò che per me di sofferto, o di vergognoso,
comportava il loro riapparirmi davanti.
Lettera a Sosi sui miei racconti
Cara Sosi,
infinitamente
grazie di quanto mi hai scritto, di così intelligente e comprensivo sui
miei scritti.
Altro che
stupidaggini, e tu lo sai benissimo.
La sua
lettura trepidante per me ne è stata alquanto emozionale, e mi è occorso
dunque del tempo per una puntualizzazione attenta di tutto quanto vi dici.
Del resto l'
essere amato, e l'essere letto, è per me tuttuno, credo oramai...
Mi è giunto
particolarmente caro, e toccante, quanto vi hai asserito, di solidale,
della disincarnazione in scrittura della mia esistenza, nel mio essere
diverso e inattuale nel mondo, sotto l'ammanto manieristico o barocco
delle forme dei racconti.
Ciò è
quantomai vero quale mia determinazione permanente, e a farmi recedere,
culturalmente, al di là del fissarsi tragico nel" non confidare
negli uomini" ( Singer) della mia condizione umana, - di cui è
indizio quanto disperi di venire alla luce editorialmente, come io mi
affidi ai " pochi infelici",
nel tempo presente non può essere di certo, pur nelle sue
meraviglie incantevoli, l'universo imperante della rappresentazione
mediatica dell' esistente, particolarmente per come trionfalmente si è
risolto in Italia, ove il primato della
telefonia cellulare sullo stesso personal computer per me altro non
attesta, di perturbante, che il trionfo dell' oralità e dell'
indiscrezione dissacrante, sul leggere e sullo scrivere invece più
intimi.
Ma è altresì
vero, di peggio, che sempre di meno i miei sovraccarichi e traviamenti
scolastici, o la casalinghitudine, mi consentono la sublimazione di
scrivere, e che purtuttavia viaggio, d'estate, e che la scrittura si fa
allora per me rammemorazione in atto di esperienza vissuta, un vivere e
rivivere, per davvero , ciò che rispetto all' esistente restante e
mortificante, domestico e scolastico, si configura anche come altro,
nonostante il dolore e la miseria che posso patire nel corso del viaggio,
le cui vicissitudini vengo riesumando sino a che nella loro rievocazione,
tramite l' opera scritta, abbia
tregua il confliggervi l' uno contro l'altro di verità e bellezza.
Della genesi
di quei racconti quel che non potevi sapere, comunque, è che soltanto la
pagina iniziale è recente, e che si tratta per lo più di juvenilia che
risalgono fino alla caduta del muro di Berlino, e poco oltre, cui torno e
ritorno, tuttavia, con opera di restauratore e di archeologo di me stesso,
sicché a questo deve oramai limitarsi la mia opera di intervento, nelle
revisioni che mi suggerisci e di cui condivido la natura critica.
Il "
Giardino pubblico", infatti, per iniziare dal racconto che ti è
piaciuto di meno, è la riesumazione e il tentativo di riequilibrio che
anch'io ritengo solo parzialmente riuscito, del testo di esordio della mia
intera narrativa.
In esso, che
è debitore in questo a Robert Walser, ho cercato di dare la parola a un " idiot savant",
solo che la natura al tempo stesso ingenua e sentimentale del suo
dire, di conseguenza, con la perdita del testo originario, tale dizione
nel restauro conservativo non sono mai riuscito a contemperarla tra
erudizione e slanci goffi di contatto, con il risultato di una forma
troppo affettata o sdilinquentesi.
Anche "
Essere uomini", mi sembra, pecca di troppa sostenutezza enfatica, al
punto che vi finiscono travisati, e soffocati, i miei intenti originari di
non realizzarvi affatto della oratoria ideale, ma la parafrasi in un
discorso riprovevole di seduzione, di quanto allora mi infastidiva dell'
eloquio di successo di Pietro Citati.
Credo che tu
abbia ragione anche per la lungaggine di " La fiera di paese",
che della raccolta di tutti ritengo tuttavia il testo più bello e
di valore, il più alto, insomma.
Mi rincuora,
invece, a conforto di un altro
giudizio favorevole sulla " Petite Histoire" , ed a smentita di
una stroncatura prematura del " Necrofilo", che ti siano invece
piaciuti questi testi in cui non confidavo granché, dei quali hai colto
benissimo quelli che eventualmente ne sono i contenuti meritori.
Per quanto
attiene alle tue richieste ultime, certamente tali testi puoi farli vedere
a chi ritieni della schiera eletta dei " pochi infelici"
(ulteriori?), nella loro edizione che alla luce anche di quanto hai
osservato ho ulteriormente e interminabilmente riveduta e corretta, e che
ti invio insieme ad un' altra che puoi trattenere per te.
A mio volta
ti chiedo, come figura già in questa edizione, se posso inserire nell'
opera anche la tua lettera e questa risposta.
Ringraziandoti con affetto di tanto
Mantova, il
giorno di Santo Stefano del 1998.
Odorico B.
a
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