E tu ora svena ogni tuo spasimo
E tu ora svena ogni tuo spasimo
fra le ritorte foglie che ti laminò un artefice,
la ferrea trama riforgiandoti
di cancelli invano a schiudersi,
ora che le stagioni si susseguono, pur sempre,
e delirio
è ancora accoglierne il richiamo,
tra i freddi palmiti
verso dimore d'ombra
affetti e palpiti stillanti,
a corpi e mani, se ripulluliamo,
quale vano tormento
a noi morti l'intrecciarci.
1992-1997
Al frinire dei sistri delle cicale
Al frinire dei sistri delle cicale
non andare se tumultua il sangue,
il cielo è immane una canicola di piombo.
Per chi la Vergine s'intorbida stravolta
le occasioni sorgono già morte.
A lamine profetiche reclini
che attendi ancora il vento,
per la pianura,
che vi spiri a sommuoverti un futuro?
Più non stormiscono, nell'estuo,
tacite le fronde pitiche,
terreo lo sguardo
le Sibille intorte.
Così a decretarti,
nel desiderio senza più speranze,
tutto di nuovo, sempre così.
Al chiarirsi di derive di zaffiro
Al chiarirsi di derive di zaffiro
s'invermigliano di sangue le asterie fluttuanti,
nell'opale disciolto di cieli di Siria
mutili acanti promanano agli astri
dei cancri solari cavitati nei vortici,
quando nel riorbitare delle sfere armillari,
a lunazioni più rapide
precipiti immani,
Mercurioveneri chiaroveggenti
ingeminiamo ovoidi aborti postumi,
- nei peripli di terrore
se la celata è levata a mirare un sogno
a parare l'oltraggio che ci ritorce
il seme di cuori che già si sfaglia.
I983
Se nell'alba lucente e azzurro rifolgora il mare
Se nell'alba lucente e azzurro rifolgora il mare
le calme incantano un destino fatale per acqua,
timoni od ancore vani a sventarlo,
- nel divamparci degli orifiammi del sole
a gorghi di luce nel vortice
cieco del sangue,
oltre la soglia alla serratura che scatta
Giano bifronte un solo volto che vermina,
quando anche il persistere di ogni iridarsi
è il penetrarsi a disfarsi delle anime e i corpi,
già nel balenio ad affidarsi degli sguardi
per la vita e la morte Marte che incocca.
E gli uomini sanno e si riavventano per mare,
tentano ancora il gioco del caso,
ne rivalicano la soglia cruenta,
- in ogni domani, a reincarnarsi,
negli ori e gli amori del dismarrirsi di ieri,
riattingendo le sole sorgenti a disgorgarci la vita
alle inesauste scaturigini di ogni ferita.
Dalle massime del Regno dei Morti.
Al rientro nei cicli a ritentarvi l'esistere,
mentre andrai rigirando le serrature più ermetiche,
già entrato alle tue spalle sarà l'assassino.
Ché a torto l'allodola accuserà l'ombra,
quando ad ottenebrarti fu solo la Luce.
Era già scritto nelle pagine di sabbia del Libro del Tempo:
Chi diserta nel Sole le regioni dei morti
sarà in nebulose di sangue un perduto vivente.
Vivere a lui lo schiudersi nei frutti di carne
di labbra che risanguinano l'intatta ferita.
Che ancora riprovoca
quella lama nella carne il deceduto?
A chi incarbonito ha decifrato la Sfinge
che tra glicini d'ombra lo Stige stillante.
Nell'ora che si eterna in te la stasi
Nell'ora che si eterna in te la stasi
v'é chi riferve di un'attesa,
v'è chi gode di un suo angelo
nell'ora che in te ricade la rinuncia.
E mentre ti ammorta tanta inedia
vi è chi nel suo godimento
o in una preghiera a un dio
teme una morte che tu solo brami.
Allo sgretolarsi nella torre dei passi notturni
Allo sgretolarsi nella torre dei passi notturni
è il riflusso illune di abominazioni nei pozzi,
ancora, risonanti,
quegli urli del sangue nel cranio in ascolto,
a porte suggellate all'appello
i brandelli fra refoli di volti inestinti,
algide meduse dal fondo le melancolie affioranti,
da quanto,
in oramai labbra senza più scuciture,
latitanti geniture di Onan nelle città lunari,
radiati invisibili agli sguardi
le ombre di gente morta al fuoco nel vento,
nascoste le piaghe nei gessati
gli uomini coccodrillo che si congratulano,
nel lontanarsi
recisa all'iride nitente
il sangue del Sole che cola agli spalti.
A scaturigini occluse il risensare di nuovo
A scaturigini occluse il risensare di nuovo,
contro il pietrame notturno nell'annientarsi dei passi,
fra i cadenti ossami di case celesti
nel terrore dispentici di uomini e dei,
oltre livida l'onda
non più a rivolgerci ancora se a scongiurare l'assalto
le lontananze di mani e di volti non bastano mai...
l'incubo la veglia del sogno, gli appelli
calcinati e gli spasimi,
all'iride che illimpidisce nel sangue
tacitando i richiami notturni dei lupi
l'Impiccato nella Luna sotto il ponte,
più oltre nei cieli di squarci di lamine
per lui invano le voci imploranti degli angeli,
poi che sull'arco dell'orizzonte allo stremo
il rosseggiare dell'albe morte per sempre
e’ Marte asceso in eterno.
Le veglie assidue di solitari studi
Le veglie assidue di solitari studi,
urne ad urere le fronti notturne,
entro i silenzi
astrali di celle
le melancolie monacali incense di sodomie lunari,
ai sublimi, reminiscenti,
nell'atanor inestinta l'animalità degli angeli.
Nella notte i monacali silenzi sui fogli intenti
Nella notte i monacali silenzi sui fogli intenti,
implacabili, gementi,
di cadaveri d'anime i giacigli d'amanti,
sugli ossami dei vinti i castelli dall'acque,
lo scompaginarsi ad un soffio, l'oscillare di fronde,
d'angeli e demoni
il placarsi nel nulla sulla tastiera degli astri.
I983-84
L'insistere ad estati inerziali (Notti che incuba l'estate)
Notti che incuba l'estate,
l'ardesia del cielo senza graffiti di stelle.
Al gridio di rondini
ove annerano Lune,
morte forze, adombrati i volti,
Lemuri a reinoltrarci inesistenti.
Giovinezza, invano
Giovinezza, invano
luce a protrarsi,
fermento nero dei sensi
più ancora ad ammortare
tra più vividi vivi.
Nella necrosi riprecipitando, sterili i giorni,
avidi ed immobili suicidali,
quando ad occhi e volti, che trepidanti risorgono,
invano sognati come non mai,
si v all'altra morte nel sole
più invano gridando.
E' l'ora che decrepita le meridiane,
E' l'ora che decrepita le meridiane,
l'arco dell'orizzonte a riardere a liquefarsi,
un crepitio che precipite più vi riferve e brulica.
Ma se anneri il quadrante degli astri
in controlume il Sagittario riuniti i capi
scoccata ha una freccia ferma in eterno.
Ora, che tra gli agitantisi vivi
Ora, che tra gli agitantisi vivi,
dal cuore di morte della Luce
calcinate Menadi nel Sole.
Autunno che disfiora
Autunno, che disfiora,
brume che sfumano
i deliri e le eclissi,
il vanire
di che fu incanto
ora al tramonto degli incendi,
eppure al suo scempio ad uno specchio
la sua voce di un tempo
a trasalirvi:
" E come già io potei,
dagli uomini,
essere rapita per due volte..."
Nel velame d'anime nei parchi
erme che persistono solitarie,
nero in un abito di smog
fra un cadere fragile di foglie;
in destini d'ombre sempreverdi
gli impeccabili espianti.
Avventati come a un tempo futuro
Avventati come a un tempo futuro
la coppa è riattinta del liquame dei giorni,
il tormento l'impasto coatto,
quell'identica feccia
il vacuo fecale dell'ebbrezza dei torbidi.
Ma la bestia non cessa di delirare,
e la trasparenza gelida nei vetri che addensa,
o le pene e l'ansia, insonni,
affina a spine di mistiche rose.
Mentre le bestie che così non sanno l'esalare
ancora ammusano allo scolaticcio nel trogolo.
1985
Silenzi
Silenzi
di un inverno che riagghiaccia,
in specchi a tenebre e nebbia,
snervati spettri, funghenti,
gli Ii dispenti nei tepidari,
sul brulichio dei mozziconi viventi
discesa la neve che felpa i tonfi del sangue.
Verso lividi cieli
di pene senza più un grido nel fumido gelo
l'evacuarsi che sale nelle bestie del dio.
Qui ancora, incessanti
Qui ancora, incessanti,
nebulose che pulsano luce e tormento,
ancora le forze a protendersi in croce,
ad un sole nel giorno, estatici,
sulle case morte di vie chiuse a splendere,
al disgelo di acque che cantano
folgorati d'amore i solitari invasi,
intanto, vicinantesi,
che la morsa ancora ad astringerci
è di fuori dei vivi,
al tormento di infissi
ruotanti nel vano
le ferite ancora
dilavate e le tracce
nel dileguarci e smarrire le mute.
Ogni nuovo mattino è il reincarnarsi disfatti
Ogni nuovo mattino è il reincarnarsi disfatti,
insonne l'ansia nel torpido esangue,
le morte fiamme agli opachi specchi
in demoni ed idoli alla ricerca del fuoco,
quando ciò che fu sogno pietrificato è in silenzio,
delle nuvole, di passaggio,
al primo chiarore l'inesausto sfacelo,
così l'inoltrarci tra le necessitate presenze,
il riverbero nelle morse che si disbrama,
nel riafflusso, già dell'urgere,
gravitante il crogiuolo d'anime e d'auto,
oltre la soglia a quei volti, già predisposti,
la parola ripresa al punto interrotto.
L'albore invescati negli astri cadaveri
L'albore invescati negli astri cadaveri,
oltre le nebbie, ai carboni di luce,
le fughe nei demoni che scuoiano l'anime,
tra le forze d'acciaio ora le orbite e i battiti,
labili volti, lontani,
a spalti che i soli neri infinitano,
come da sempre, immemorabili,
nella quiete deserta dei moti incessanti,
nel cuore ovunque di rose sideree
il mortuum spirando del desiderio dei turbini,
eppure è l'aggallo di bonacce
tra oroscopi e refrains,
mentre loro ancora hanno vita e pupille
nel gemitio e lo scroscio di un mondo disciolto,
quei loro cuori fanciulli
sui marmi palpitano del macello di Moloch,
quando l'aria è il gelo che agghiaccia i vivi con i morti,
e il disfacimento vi continua di ogni sentore,
come le nevi si sfacela così una morte divina,
il cuore incessante in un cadavere eterno,
dell'Iddio nei vomiti delle passioni e nello scolatio dei vermi,
negli ossari di pietra essudato dai palpiti,
il soffio infuocato può ardere ancora il corpo che è carne,
non ove la cancrena dello scolo dei giorni
sbiancata è nell'eterno istante di un rigore di morte,
e le luci di devozioni inconsunte
nei tramonti illividiscono degli astri inerziali,
così nel volto il calco s'addentra,
e dove a Vergini piansero in grembo unicorni feriti
l' algore è disceso del vento stellare,
nei giorni di una notte senza più varchi
in cui si gorgoglia e rantola senza uno sgorgo.
Finchè non è più l'Inferno e il desiderio dei cieli,
ma entro le bende
che il levarsi tremanti di esistere ancora.
************************************************
Versi coevi
Ma anche così,
Vita che non ha più vita
sanguiniamo morte ferite
se palpitiamo.
Se ci fu un tempo,
disperando,
corpi ed anime cercando.
Più non infierire
Più non infierire
nel cuore d'altri.
Che almeno siano cenere i tuoi giorni
d'insfiorati petali di rose.
Ora Lo vedi
Ora Lo vedi
oltre il selciato che a te brilla:
sono i battenti d'oro della morte
che infissi stanno nel sole.
Tanto miele che ne stilla
lo scolarsi del tuo sangue.
Di te che formuli ancora a trasfonderti
vani cifrari telefonici,
all'altro capo in linea tra le voci tacito
il nero Anubis sul suo trono d'ebano.
Sera a riardere d'estate
Sera a riardere d'estate.
Dai golfi di catrame
sartie che salpano oltre le stelle.
Ai moli insenzienti uomini inerti.
Remoti rideclinanti
sentieri di diaspro solitari.
Quando l'ora il silenzio l'ammorta
Quando l'ora il silenzio l'ammorta
un velame d'ombre d'anime
è la bruma nei parchi,
in afonie dispentisi
agli sguardi erratici,
cadenti al futuro anteriore
mani nel tempo stellanti rovine,
ora loro, rimarginati,
che mai non furono dei vivi,
come ad eccedere e spegnersi tanto,
il solo protrarsi, poi,
insepolti tra i nemici viventi,
la memoria dilavatane del sangue
di quando le menti attonite agli assalti,
ove s'intenebrano le statue di gloria
ora al verderame di conche lustrali
oltre il godere e i rantoli ad attingere il fondo.
E' ogni bellezza solo il principio di ogni tormento
E' ogni bellezza solo il principio di ogni tormento,
il deserto il termine di ogni brama.
Un petalo di rosa il residuo bene.
E tu non gualcirla, incauta,
la sua delicatezza che ti sospira.
Nella nebbia è un sogno di che trepidi
Nella nebbia è un sogno di che trepidi.
Se già credulo lo miri,
tu nemmeno lo disfiora
di morte quel tremulo incanto.
Eppure ti ho richiamato, mio delicato essere,
Eppure ti ho richiamato, mio delicato essere,
tra noi due nel vuoto del mio solo amore.
Che un angelo segni ora il termine
che mi è invalicabile.
Crepitando nella mia estinzione
fiamma che di te divampi solitaria,
se luce non splende ch'entrambi riarda.
Già nell'attimo, astanti,
Già nell'attimo, astanti,
che tremanti ci si porge,
già sgomenti ci ritrae
nei più delicati sguardi
il tremendo che palpita.
Così a te solo assisto
in me dissolto a desiderarti inerte.
1983
E' inutile, ancora di notte,
E' inutile, ancora di notte,
ai furori riattorcersi cadaveri.
La fredda vigoria di un vuoto a insistere
sarà oltre i vetri un suo passato che mira
nella rosa al gelo che stenta a morire.
Esercitazioni
Oltre le sirti e i golfi lapidici
Oltre le sirti e i golfi lapidici
ove non è più brezza di vita,
che il mare abbrivii,
ombre d'ombre siamo fra antiche pietraie. Al limitare
ove arde un deserto infinito
nella luce totale. E la notte
é un'ombra nuda sotto le stelle.
Gli esodi e le transumanze
risolcando lontane
carovaniere. Non più la vita nel vento che le voci remote
di ladri di tombe e d'assassini,
le sole serpi
che fischiando s'annidano
in orbite vuote;
ancora torcentisi, implacate,
due mani mozze
gettate di corsa.
Ogni notte
la falce della Luna in un cielo di zaffiro
vi risorge nel silenzio d'inerti forme.
E il giorno é turbine
d'arida sabbia. Se cessa,
ove equorei brillano solo i fatati miraggi
di colombe e farfalle tra minareti.
In tanta rena di vane visioni
eppure persistono le spore dischiuse.
Mentre il vento che reca le voci di fonti
è il vortice che fa polvere gli astri.
Il cielo che gravita converso in acqua
Il cielo che gravita converso in acqua.
Nelle tenebre, insostenibile,
il calice in frantumi
sopra la tavola. Entro un intarsio nelle Menti
la figura ad irricomporsi dell'Unicorno,
il gioco della chiave oramai smarrito
nella successione vana dei tentativi.
Soffermatasi la pioggia,
quando è un'irruzione nel verde
tra l'umido che gocciola.
Entro la gola
un grido rabido che sale...
Alla favilla
riscaturendo dall'ombra a perimetrare lo sguardo
il grigio scalfito degli ammattonati.
Finch'é il ritorno del feed-back.
Sulla modulazione di frequenza inalterata
Otello chiede a Desdemona un altro bacio ancora.
E se rimoduli
è don José che riassassina Carmen adorata.
In memoria di Gino Baratta
Sul davanzale della sua stanza d'ospedale
gli ultimi suoi libri aperti interminabili,
ma l'inesorabile già più
non ci distanzia
nella sua mente che mi discorre intanto
come eterna,
come nella notte che lasciò ogni altro
per parlare con me solo di Egon Schiele.
Ora ch'egli non è più che il suo sfacelo
così persisto a ricordarlo vivo .
1985-86
Note
Su Acanti e Asfodeli e Versi coevi
Di " Acanti ed Asfodeli" , così come di " Versi Coevi" ho effettuato una sorta di restauro selettivo, nel gennaio 1998, all' atto di trasmetterli al fondo " grigio" dei dattiloscritti della Biblioteca Comunale della mia città.
Conclude le raccolte l' aggiunta di un omaggio poetico, inedito anch'esso, a chi, (Gino Baratta), negli anni di "Acanti ed Asfodeli" così generosamente seppe intendermi ed aiutarmi nella mia inesistenza artistica, e di cui serbo cara la grata memoria.
Mantova, il 23 gennaio del 1998 Odorico Bergamaschi
Esercitazioni
Poesie escluse dalla raccolta
Quale vera Maat può soppesarti
Quale dea Maat può soppesarti
la coppa a propendere dell'astrale bilancia,
se a questa tua cieca carne che dilacera e rantola,
o inerte al suo pugno di polvere.
Intanto * che gli occhi ti tramano inesausti
con gli incubi i sogni,
certe solo la pena e le ansietà dell'ansito,
nessuna condanna inappellabile,
la tua carcerazione che così continua.
Il filo che si addipana e ti conduce
e chi può rivelarti
se volge ad un'uscita celeste o a delle fetide fauci,
chi ti riconduce il ritorno della vela che vapora.
Così la tenebra ci fa complici del nostro destino,
e ci si inanella alla catena ininterrotta,
o la si spezza e si soggioga.
E Giasone che tradisce Medea per lui fratricida,
e Teseo Arianna sua complice anch'ella
contro il suo sangue,
saranno i gloriosi vincitori che fluttua una marea perenne.
Quale vera Maat può soppesarti
Quale dea Maat può soppesarti
la coppa a propendere dell'astrale bilancia,
se questa tua cieca carne che dilacera e rantola,
o inerte al suo pugno di polvere.
Al volgere del fuso
gli occhi che ti tramano inesausti
con gli incubi i sogni,
certe solo la pena e le ansietà dell'ansito,
nessuna condanna inappellabile,
la tua carcerazione che così continua.
Il filo che si addipana e ti conduce
e chi può rivelarti
se volge ad un'uscita celeste o a delle fetide fauci,
chi ti riconduce il ritorno della vela che vapora.
Così la tenebra ci fa complici del nostro destino,
e ci si inanella alla catena ininterrotta
o la si spezza e si soggioga.
E Giasone che tradisce Medea per lui fratricida,
e Teseo Arianna che fu sua complice anch'ella
contro il suo sangue,
saranno i gloriosi vincitori che fluttua la marea perenne.
Un poeta non vede nella luce dei vivi
Un poeta non vede nella luce dei vivi,
ha ancora più freddo nel loro calore,
è più ancora smarrito nel loro trovarsi,
insensato da ogni parola che dicono.
I suoi passi ripercorrono il vuoto infinito
nei loro abitati,
lo popolano spettri ad ogni affollarlo,
sconciato come il vivo lo incanti.
Nell'inoltrarsi,
scarnificatosi il volto,
invasando d'eterno il tacere dei resti.
1989-90
Variationes
Nell'inaudito Poi che nell'inaudito
scarnificatosi il volto scarnificatosi (è ) il volto,
invasando d'eterno il tacere dei resti. invasando d'eterno il tacere dei resti.
Chi più non vede nella luce dei vivi
Chi più non vede nella luce dei vivi
ha ancora più freddo nel loro calore,
è più ancora smarrito nel loro trovarsi,
insensato da ogni parola che dicono.
Ripercorrono i suoi passi un vuoto infinito
nei loro abitati,
lo popolano spettri ad ogni affollarlo,
sconciato come il vivo lo incanti.
Ma nell' inoltrarsi,
scarnificatosi il volto,
invasando d'eterno il tacere dei resti.
1989-90
Se ancora ti inoltri
Se ancora ti inoltri,
non hanno più le foglie respiro di voci,
e l'aria ti è imbalsamazione,
riesumano i marmi il vuoto del Tempo
interminabili nei volti che incarnano ossame,
postumi di ogni sembianza
eppure ancora in un'ora presente,
dove non latrano nel vento che cani di pietra,
e la vanità di un corpo ti è tragico assenso,
nello sfinirti, ancora a uno strappo,
ridicendoti che sei il ritorno sugli stessi passi,
quasi che il polipo fosse un'anima sacra,
o tu ignorassi l'antico sgomento
che nessuno di dentro a te muore.
Se già ci fu un tempo di corpi e d'anime
Se già ci fu un tempo di corpi e d'anime
in convulsioni nel vuoto
ora è il dilacerarti,
agame sanguificando
entro il crogiuolo uranico
ove spasmodico
di che ripulluli è l'inverminarsi,
il pietrificarti in incanti di morte
che ti plachi nel riemergere
scarnificante
le gole e i volti
invano sognati,
se disanimato dell'ossessione
sei inane a riattingere di nuovo il palpito
oltre ogni suo estinguersi ad ogni minuto.
I tuoi giorni,
così a persistere,
a farsi il diaspro che ne sfolgora e l'indura
del cancro a fervere ch'è in ogni fermento.
L' urere inesausto
la cenere tua a candire che adamanti...
Fra le mani cuori che palpitano negli sgolatoi
Intoccati Oltre le mani cuori che palpitano negli sgolatoi,
pupille fanciulle
ove i baci come farfalle posassero,
poi che al tatto fu il brulichio dei vermi
e l'anima corrosa si è incatramata in bende,
per strade di polvere e sole
ora a un esalare più lieve nel braciere dei giorni,
nelle vene stremantesi l'orbitare dei cicli,
eppure è l'inoltrarsi ancora per i laminatoi,
anche questo svenarsi, sì,
questo venir meno ad ogni richiamo,
purché l'acqua riscorra e l'aria rinfreschi,
e a nuova solitudine e roccia
l'onda ripalpiti e sospinga,
qui, febbricitanti,
in ogni fibra riarsa che stenti sul ciglio,
nelle carni lo stesso fermento
al palpitare di farci putredine e vento.
Su Acanti e Asfodeli e Versi coevi
Di " Acanti ed Asfodeli" , così come di " Versi Coevi" ho effettuato una sorta di restauro selettivo, nel gennaio 1998, all' atto di trasmetterli al fondo dei dattiloscritti della mia città.
Si è trattato di variazioni intenzionate a togliere zeppe, termini troppo vistosamente ricercati, ( "inchiavardate" o per esempio " pruina"), o espressioni peregrine ( quali " eterni sentieri solitari"), per sostituire tali espressioni e termini con varianti meno effettisticamente vacue ed ugualmente proprie del mio germinatoio linguistico di allora.
Si è trattato, insomma, di un adeguamento maggiore di quei testi a se medesimi, rischiarato dalla consapevolezza del distanziamento nel tempo.
Conclude l' aggiunta di un omaggio poetico, inedito anch'esso, a chi, (Gino Baratta), negli anni di "Acanti ed Asfodeli" così generosamente seppe intendermi ed aiutarmi nella mia inesistenza artistica, e di cui serbo cara la grata memoria.
Mantova, il 23 gennaio del 1998 Odorico Bergamaschi
Revisione ultima il 13 novembre 2005