Invasamenti
e annientamento
E
così giorno dopo giorno,
E
così giorno dopo giorno,
pagina
dopo pagina,
volto
il margine ti annienti.
1989
Un
poeta non vede nella luce dei vivi
Un
poeta non vede nella luce dei vivi,
ha
ancora
più freddo
è
più ancora smarrito nel loro trovarsi,
insensato
da ogni parola che dicono.
I
suoi passi ripercorrono il vuoto infinito
nei
loro abitati,
lo
popolano spettri ad ogni affollarlo,
sconciato
come il vivo lo incanti.
Ma
nell'inoltrarsi,
scarnificatosi
il volto,
invasando
d'eterno il tacere dei resti.[1]
1989-90
Al
reinoltrarti
Al
reinoltrarti
non
hanno più le foglie respiro di voci,
e
l'aria è ossigenazione,
riesumandoo
i marmi il vuoto nei Tempi,
interminabili
i volti che incarna l'ossame,
postumi
di ogni sembianza
eppure
ancora in un'ora presente,
dove
non latrano nel vento che cani di pietra,
e
la vanità di un corpo ti è tragico assenso,[2]
nello
sfinirti ancora a uno strappo
ridicendoti
che sei il ritorno sugli stessi passi,
quasi
che il polipo fosse un'anima sacra,
o
tu ignorassi l'antico sgomento
che
nessuno di dentro a te muore.
Ascolta
l'assenza di voci tra i rami
Ascolta
l'assenza di voci tra i rami,
la
disperazione che nemmeno soggiunge,
quand'è
la sconsolazione che tutto è perduto
se
tu appena trapeli nel volto,
e
lenisci dunque l'orrore
in
miele e sussurrri,
sei
docile al dente che assale,
così
reclinando ché così soltanto
ancora
sopravanzi stritolati nei passi.
1990
E
dal vividio di nuovo invasato è il sangue
E
dal vividio di nuovo invasato è
il sangue,
in
occhi che non sono
più
che occhi di carne,
nel
silenzio non si sentono che rumori e grida,
che
il fortore della crescita in agitazione,
la
mente che non è più capace della destinazione,
l'immaginazione
nella sua mania
che
di immaginare gli idoli,
nella
tua notte, solo con te stesso,
tu
così invecchi senza più disperarti,
-
senza più tue forme, e una tua forza,-
ora
che per una magia tecnica
muovi
immagini e suoni
a
un tuo comando
in
impulsi che illudono
l'energia
di Luce
e
così incanti il deperirti,
ti
reincarni nella finzione di una presenza viva.
Che
ti insanguini?
Che
ti insanguini?
Se
in una rosa ne sfiori le gote?
Se
ti riaddensi
la
tua memoria ne è lo scrigno del volto,
reclinano
i tuoi atti sul suo profilarsi,
ché
nel tuo esalare che ne sospira le carni
tu
ne sei tutto
l'anelito
morto nel vuoto aperto.
Spring
Forse
la sua anima tra i nudi campi
incantando
di fiori i rami spogli
l'inebriò
l'amore nel canto risorto,
al
tremito tra il freddo verde .
E
d'immagine in immagine, sempre più vivide,
la
sua trepidazione trapassò la soglia,
sentì
internarsi nell'aria viva
la
crudità intimidita della sua delicatezza.
Così
seguitando, tra i voli d'uccelli,
sul
paleoalveo il fanciullo bambino
intravide
quali i passi ulteriori,
lo
ghermì nell'ombra diffusasi intorno
come
si scatenino contro allora le forze,
presentendo
più possibile il normale misfatto
che
il darsi degli spiriti anomali,
timide
tentandosi
come
tra loro distanti le età affamate...
E
nel mezzogiorno si raccolse sotto l'ala di nuovo,
nel
filo di voce di un'allegria
che
smuore ad ogni altro riguardo.
1990
Altro
vento sterpa i rami
Altro
vento sterpa i rami,
precipita
le foglie di una resurrezione stenta,
è
una convulsione che invoca la fine di ogni fiorita,
che
l'indolenza sia un'agonia,
la
Mente, al suo trapasso,
che
s'apprende ad un'anima così bambina,
la
sola sulle soglie delle sue rovine,
pure
se accanto mai non udrà il suo passo
laddove
appena sola è carcerata dentro.
E
ripercorre disperando le annerite volte
che
volitano pipistrelli dibattendo il torto,
delle
necessitudini riascolta la desolazione attonita,
in
grida, e spregi,
implacando
l'abominio.
Chiedendosi,
nei suoi sudari,
come
la sentenza si revochi ancora.
La
devastazione
Eppure,
negli aspetti incorrotti,
la
devastazione la senti sempre più sfarti,
quand’è
l'affanno che ansima ad ogni gradino,
verso
la
solitudine ancora delle tue stanze,
ove
potesse la tua pena in affanno
confortarne
il tremore bambino,
tanto
ti spezza l'anima il suo infelice anelito,
poi
nell'elevarlo al canto nei mattatoi
esaltandogli
una vita che già ti lascia,
così
nel canto,
eppure
se il tuo respiro è nella voce dei morti,
volto
l'ansito di luce ad ogni dio estinto.
Non
altrimenti si rideclina l'antica mestizia
quando
le anime al tatto
si
lambirono appena,
nel
nodo di lacrime e sconforto
rasciugandoti
ch'eppure domani susciterai il suo sguardo,
e
tremi del vividio
di
ostinarti ad essere ancora per lui.
Per
l'indomani intento
per
lui alla lezione
sull'orrore
che incantano favola e mito.
Tu,
cieco barlume,
Ma
tu, cieco barlume,
non
più che l'ingombro del tuo corpo,
tu
sei vivo nella sua mente,
i
suoi occhi nel tuo sguardo
ancora
ti attendono.
E
se or ancora lo diminuivi,
ora
le tue lacrime comprendono che la
sua devozione
é
la sola cosa ancora che ti fa essere al mondo.
marzo
91
Oltre
il battito e l'impulso
Nel
morto fremito che agita il vento,
oltre
di nuovo il palpito
e
l'impulso,
è
ancora il vuoto e il suo tormento,
la
necessità di incanti e di finzioni,
che
Eco riaffiori il volto e il crine
da
evanescenza e le sue angosce,
del
gelo alitando i suggelli di brine
nei
desolati parchi di siderei passi,
ove
il fastigio più non adamanta i crimini del sangue,
e
lo zampillo che risale
aderge
le forze in euritmia,
quale
che sia la linfa dei viventi,
tra
le nude cantorie della rovina
tua
dolente è l'armonia
che
decantano le aiuole fra i lapilli,
il
trasmutarsi vano degli ansiti
nella
purità di lune senza veli,
come
nel fregio che ricorre,
nella
sequenza che si fissa,
in
lapidee mischie di vittorie e di prigioni
sublimò
il verminìo del vivo che s'adunca,
poiché
amore, sensibile grazia,
ciò
che in un tremito imporpora la rosa,
è
sensibile pietà, l'orrore vivo
di
che disincarni nel ritrarti.
E
la spina ridistilla
più
diaccia vita tra gli umani.
Notte
d'estate
Ardore
senza destini,
nel
fuoco d'estate su la madida fronte
i
voli che insanguinano spine celesti,
quando
nell'ultimo bagliore
addensano
arcani le antiche pietre,
ai
vuoti passi sugli stessi selciati
esulcerata
la carne in sudari d'orrore.
Certo,
le tecniche e il calcolo
Certo,
le tecniche e il calcolo.
Ma
anche l'ultimo degli scolari
è
attonito di agonie e sogni[3],
ne
sgomenta l'ebetudine asservita
il
lamento del sangue nel moderno impianto.
Al
cessare dei turbini della rosa dei venti
Al
cessare dei turbini della Rosa dei venti
È
sul litorale dispoglio di miraggi inesausti
Che
tu riscopri l'approdo nella terra di Nessuno,
Quando
invasa l'orrore i sensi dei sogni
E
ad una desolazione attonita che bava la morte
Il
corpo ti è il rottame di un rifiuto che pullula.
Ma
al flutto che traluce
Ma
al flutto che traluce
eppure
tu ansimi d'azzurro,
risente
la carne l'ardore del fuoco.
E
gli occhi nel vuoto ricercano il vivido,
fra
i rovi tu ancora ti insanguini.
1991
La
città del deserto
Nella
vettura insonni, o desti appena,
ad
occhi riaperti senza un risveglio,
per
ognuno il nuovo giorno è il viaggio in città.
Chi
con l'erbe da vendere a un angolo,
chi
con un (l)'elica rotta da riparare.
C'è
il bambino con la madre in cerca di stoffe
che
al gazebo le chiederà la leccornia,
il
giovane il cui rinvigorito nerbo
per
dei denari si presta a di tutto,
accanto
a lui sedendo il vecchio
senza
più proroga alle lacrime
che
torna a riscuotere
e
a curvarsi nella preghiera,
ulteriore
ad ogni loro traffico ed intento
lo
straniero che andrà oltre nel viaggio.
Si
paga l'identico biglietto,
pur
se l'ultimo sopraggiunto, ad un successivo arresto,
viaggia
in piedi con la sua stampella.
E
ognuno ha altro a che pensare
di
chi gli è accanto,
altre
le vociferazioni delle ragioni e del torto,
l'enigma
di un volto, l'arcano del Trono.
Ad
una scaturigine d'oasi ininterrotta.
Così,
ogni nuovo mattino, finché ciotoli e sabbia
cederanno
a ciò che annunciano
le
torri al deserto.
Bechar
1991
Agosto
'91- Kommunismus
Ma
l'evacuarsi di Comitati e Consigli
non
è che una rotta già avvenuta nel Tempo,
non
più che un'orda di tramutati fuggiaschi
la
demonìa che estorse le lingue
e
larvava i cervelli,
ingenerandovi
i radiosi incubi di larvati stracci,
ora
che il gocciolio dell'acqua nella grondaia
è
la monotonia del crollo fra gli anfratti,
le
bestie che più fameliche rinascono.
All'avvento
di una fine perenne,
che
intanto ricordi,
è
il trascinarsi dei passi di relitti ,
finché
al nero vortice nella notte della Moldava
fu
quel farfallio di bimbi nell'isola di neve,
fra
l'intimità d'intorno delle finestre accese.
Non
ti è giunto intanto l'avviso,
Non
ti è giunto intanto l'avviso,
lasci
nell'attesa che i colori
defluiscano
le tele,
che
il sangue decoli le emozioni,
conturbando
i palpiti
nelle
ricorrenze dell' ansia,
ore
e stagioni nei cifrari di ammanchi.
Quando
ti è il solo conforto
che
se bussano hai già finito.
Dallo
Yemen
Si
disvela la luna sui minareti di Sana'a,
il
fetore si decanta, traspira l'anima,
quando
al cimento che può scaturirla
l'astro
si rioscura,
l’
anima avida e avara
nel
suo tormento.
Le
aride labbra senza più parole
ricercando
gli occhi che elemosinarono invano.
1992
Quando
i rami rinverdiscono invano
Quando
i rami rinverdiscono invano
non
attendi che il novembre della tua spoliazione
nella
linfa per le fibre che ancora risale,
all'incenerirsi
di strade dismesse
la
perdita il grigiore dei cieli.
Poiché
l'animale che declina ed è inesausto
pure
demorde, nella marcita,
vanificandosi
che ciò ch'è superstite
non
è che la fame di pesci di fogna,
che
il fulgore e l'oro dell'estate
l'
estasi fu nell'abbocco del crudo orrore.
Allo
sfogliarsi di memorie
così
mortificandoti nell'occlusione,
impallidendo
rasente i muri.
Natale
92
Cammina
cammina, all'annuncio nei cieli,
ma
come tu riprendi il sentiero comune,
in
amicizia e amore o maestria,
ritorni
orma che altre devastano.
Poiché
sotto gli angeli che cantano in gloria
sarà
chi più ti ricalca chi più ti
sfigura,
né
la tua mortificazione ne deprecherà l'oltraggio,
mentre
nel tuo ansito di salvaguardarti
riterranno
spirito la lividità animale,
e
la cruda repulsione resterà da loro intesa
come
giusto riguardo nelle sue misure d'odio.
Che
ad ogni Avvento ed Epifania
così
andranno i pastori lasciata la culla.
1993
E
nelle guise ugualmente impeccabili
E
nelle guise lo stesso impeccabili,
si
deve risalire ugualmente il gradino,
e
ripetendo la parola inflessibile,
l'accento
di una credenza inesausta,
spezzare
il pane nei cori dei lupi,
di
ritorte parole nell'universale discredito
elevando
il tormento all' atrocità dello scempio,
.......................................................
ed
essere più ancora una voce che grida
sul
lastrico in una bocca spaccata.
...................
1992
Novembre- Aprile 1993
Traduzioni
Shakespeare,
Sonetto
73
Quel
tempo dell'anno in me puoi contemplare
Quando
foglie gialle, o nessuna, o in poche pendono
Da
quei rami contro il freddo che si scuotono,
Nudi
cori desolati, dove i dolci uccelli cantano tardi.
In
me tu assisti al crepuscolo del giorno
Quale
dopo il tramonto svanisce in Occidente,
E
a poco a poco la nera notte lo sottrae,
Gemina
della morte che tutto in se suggella.
In
me tu assisti all'estinguersi del fuoco,
Che
sulle ceneri della sua giovinezza si protrae,
Come
sul letto di morte del suo esalare,
Ora
che lo consuma ciò che un tempo lo nutriva.
A
questo tu ora assisti, che rende il tuo amore più ancora forte,
Amando
al meglio, chi tu devi lasciare dipartirsi (se ne diparta).
Da
Wallace Stevens
L'uomo
d'inverno
Si
deve avere un animo d'inverno
Per
fissare il gelo e i rami
Dei
pini incrostati di neve;
Ed
essere stati lungamente freddi
Per
guardare ai ginepri spinosi di ghiaccio,
Ai
ruvidi abeti nello scintillio distante
Del
sole di gennaio; senza pensare
Che
vi sia miseria nel suono del vento,
Nel
suono di poche foglie,
Che
è il suono della terra
Invasa
dello stesso vento
Che
spira nello stesso luogo nudo di sempre
Per
chi è in ascolto, che ascolta nella neve,
E,
nulla egli stesso, riguarda
Il
nulla che non c'è e il nulla che è.
Debole
sempre più debole
Da
Wallace Stevens
Debole
sempre più debole, il sole cala
nel
pomeriggio. I fieri e i forti
sono
scomparsi.
Quanti
sono rimasti sono i manchevoli,
i
finalmente umani,
nativi
di una sfera diminuita.
La
loro indigenza è un'indigenza
che
è indigenza della luce,
un
pallore stellare che pende dai fili.
A
poco a poco, la povertà
dello
spazio d'autunno diviene
uno
sguardo, appena poche parole.
Ogni
persona ora ci tocca pienamente,
con
ciò che egli è, così come è,
nella
grandezza spenta dell'annientamento.
Il
corso di un particolare
Oggi
gridano le foglie, pendenti sui rami che agita il vento.
Ma
la nientitudine dell'inverno si fa ancora di meno,
E'
più ancora pervasa di ombre diacce e forme di neve.
Gridano
le foglie...Ci si tiene distanti, e solamente si ode il grido.
E'
un grido intento, che assilla qualcun
altro.
E
benché si dica che si è parti di tutto
V'è
disparte , è inclusa a ciò una resistenza,
Ed
essere parte è uno sforzo che declina,
Si
sente la vita che dà la vita così com'é.
Gridano
le foglie...Non è un grido di attenzione divina,
né
l'esalare di eroi spenti, nemmeno è un grido umano.
E'
il grido di foglie che non trascendono se stesse,
in
assenza di fantasia, senza che significhino più
di
quel che sono nell'apprensione ultima dell'aria, nella cosa
in
sé, fintantoché, infine, il grida non assilla più nessuno.
[1]
Variationes
Nell'inaudito
Poi che nell'inaudito
scarnificatosi
il volto
scarnificatosi (è )
il volto,
invasando
d'eterno il tacere dei resti. invasando
d'eterno
il tacere dei resti.
Chi
più non vede nella luce dei vivi
Chi
più non vede nella luce dei vivi
ha
ancora più freddo nel loro calore,
è
più ancora smarrito (si smarrisce più ancora) nel loro trovarsi,
insensato
da ogni parola che dicono.
I
suoi passi ripercorrono il vuoto infinito
nei
loro abitati,
lo
popolano spettri ad ogni affollarlo,
sconciato
come il vivo lo incanti.
Al
reinoltrarsi,
scarnificatosi
il volto,
invasando d'eterno il tacere dei resti
[2] Variatio: ti è tragica gioia